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Autore: formerly_known_as_A    18/10/2012    2 recensioni
Islanda ha pensato che un viaggio lontano dal se stesso fisico potesse fargli soltanto del bene. A volte succede. A volte gli sembra che l’isola sia troppo piccola, troppo vuota, persa com’è in mezzo al mare. A volte ha bisogno di allontanarsene per rendersi conto di quanto sia bella.
E non c’è nessun avvenimento che gridi ‘vattene’ come una separazione.

{Personaggi: Islanda, Olanda, Danimarca}
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Danimarca, Islanda, Paesi Bassi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sabato.

Quindici ore prima.



Non si può dire che si affretti verso la Museumplein, il giorno dopo. No, forse cammina molto più rapidamente di quanto faccia di solito, ma, in fondo, è solo perché non vuole perdersi quell'ultimo giorno insieme... ad Amsterdam, ad Amsterdam! Che siano insieme c'entra poco.

Vuole scusarsi, anche. Forse. No, non vuole, eppure...

Eppure vedere i capelli sparati in aria dell'olandese gli fa lanciare un sospiro di sollievo, di quelli davvero sollevati, come se si rendesse conto, all'improvviso, di quanto stesse pensando e ripensando al modo in cui si erano separati il giorno prima.

"Ehy." lo saluta timidamente, comparendogli davanti, le mani dietro la schiena, il viso arrossato, consapevole finalmente di quanto lo imbarazzi e, nel contempo, lo renda felice e stranamente entusiasta, stargli accanto.

"Sei in anticipo."

Ah, quello uccide tutti i tentativi di sorridere in cui si stava impegnando, perché l'olandese non lo guarda affatto, sembra, invece, perso da qualche parte nella folla. Si imbroncia leggermente, prima di pensare che se lo merita, perché non si è comportato per niente bene.

Ma da lì ad ammetterlo ad alta voce...

Aggrotta le sopracciglia e sospira.

"Anche tu." riesce a dire, finalmente, chiedendosi se anche lui, per caso, veda quel giorno come lo vede Islanda, non solo un tentativo di scusarsi -Jan non gli deve nessuna scusa- ma... un'ultima occasione per parlare, per conoscersi, per...

Scuote la testa e poi l'abbassa, fino a fissarsi con interesse le scarpe.

Ok, ha rovinato tutto con il proprio atteggiamento. Non sarebbe la prima volta. Insomma, ha sempre avuto qualche problema ad esprimersi, finendo inevitabilmente per dire il contrario di quello che pensa.

L'unica a sopportarlo, in quell'aspetto, l'unica ad avere la pazienza di cogliere il suo lato nascosto... bé, si vede che alla fine ha ceduto.

Forse sarebbe il caso di andare avanti, no? Non ha senso trascinarsi dietro quella storia, nonostante sia stata, lei, l'unica persona con cui sia riuscito a mostrare una parte che è più fragile, delicata, ma più vera.

Forse è destinata a rimanere così, lontana o vicina che sia.

Ed è in quel momento, tra mille pensieri negativi, che un coniglietto bianco entra nel suo campo visivo.

Fa un piccolo sussulto, sorpreso, chinando la testa di lato come per seguire l'orientamento del musetto, osservando la bocca ad x e gli occhietti neri senza capire, prima di allungare una mano verso il vestitino da marinaio per sfregare tra indice e pollice la stoffa.

Ha già visto quei conigli. Li ha visti sicuramente su una cartolina e poi... ah, vero! Il quaderno di appunti di Giappone è sempre pieno di adesivi con questo coniglietto! Ah, ma perché glielo sta mostrando? È decisamente adorabile.

Ad Eirik piacciono moltissimo i pupazzi. Per forza di cose non ne ha mai avuti quando era piccolo, aveva solo Mr Puffin per giocare -ed è sempre stato molto faticoso giocare con qualcosa che insisteva nel volergli fare un nido tra i capelli- ma Dan gli ha regalato un Teddy Bear quando ne è cominciata la produzione, quasi per scherzo e da lì non ha smesso di collezionare animaletti di peluche, seppur in segreto.

Ed un coniglio così carino, poi! Ha un debole per quegli animali!

“Si chiama Nijntje, è tua.” mormora l'olandese, allungandogli ulteriormente l'animale imbottito. Alza lo sguardo, sorpreso, ma Jan non lo sta guardando, apparentemente interessato ad una biglietteria.

“Nin... Nin-she?” ripete, confuso, rendendosi conto che un gruppetto di turisti li sta fissando in modo bizzarro. Che cosa vogliono? Quello è soltanto un souvenir -non è giapponese! è olandese!- e glielo sta regalando per.... Perché glielo regala?

Finalmente si volta e nota il suo imbarazzo. Sembra imbarazzarsi anche lui, ma è difficile dirlo quando gli occhi cercano disperatamente un punto da guardare e finiscono inevitabilmente per annegare nel verde.

Apre la bocca per dire qualcosa, ma le parole si perdono, per entrambi, almeno finché l'olandese non interrompe il contatto e gli volta le spalle.

“Ninshe.” lo sente ripetere, con un tono di voce quasi divertito. Gonfia le guance, Islanda, colpito sul vivo perché si rende conto di essere preso in giro.

Hnoðri í norðri verður að veðri þótt síðar verði!” sbotta, seguendolo nella folla e facendolo scoppiare a ridere.

“E che cosa dovrebbe voler dire?” chiede l'olandese, guardandolo affiancarglisi e sembrando più rilassato, come se le incomprensioni del giorno prima non fossero mai esistite.

“Una nuvoletta a nord prima o poi diventa un temporale.” gli risponde, a due passi dal gonfiare il petto dalla fierezza. “Dovresti impararlo, potrebbe tornarti utile in futuro!”

L'olandese lo fissa, poi ride di nuovo, contrastando di nuovo il suo umore abituale, quell'aria cupa che l'ha accompagnato il giorno prima. È come se si fosse liberato da un peso, come se stesse meglio, all'improvviso.

“Stai cercando soltanto un modo per potermi prendere in giro a vita.” insinua, senza nessun tono di accusa, però, sussultando quando la mano dell'islandese arriva ad intrecciarsi con la sua, senza nessun tipo di avvertimento.

Eirik arrossisce, ma non lascia andare. È l'ultimo giorno e Jan ha deciso che quella ferita che gli ha procurato non deve importare. Non può far altro che cercare un modo per farla guarire del tutto.

“Jan, andiamo alla Condomerie!” esclama, lasciando la propria dignità da qualche parte sulla Museumplein, uccisa sul colpo da quella spavalderia. E poco ci manca che anche l'olandese finisca a farle compagnia, perché si ferma di colpo e tenta di guardarlo, anche se, ovviamente, l'altro fugge dal suo sguardo indagatore il più possibile.

“Sei... Stai bene?” chiede, perplesso e forse un po' colpito. Eirik ringrazia che non abbia pensato fosse una proposta indecente. È quasi sicuro che l'olandese pensi che abbia preso qualche pasticca strana, però. “Volevo chiederti cosa... cosa volessi fare, ma questo...”

È riuscito a rompere Jan? Davvero ci vuole così poco -entusiasmo, niente di più?- per farlo imbarazzare?

“Voglio comprare dei preservativi ridicoli per mio fratello.” spiega, cercando di non arrivare a sfumature di rosso troppo accese, anche se ne deve aver sperimentate almeno una cinquantina.

Cinquanta sfumature di rosso, un'autobiografia. Si sorprende per aver pensato di scrivere un libro sulla propria esperienza ad Amsterdam, soprattutto con un titolo così idiota, ma, in fondo, è così entusiasta dal fatto che non dovrà vedere uno Jan demoralizzato per tutta la giornata che non potrebbe importargli di meno della propria imbarazzante fantasia.

Jan assume un'espressione indecifrabile, forse pensando semplicemente a quanto desideri vedere qualcosa che non sia una faccia vuota sul norvegese, forse tramando già il peggio, ma anche quello dura pochissimo, perché sembra decidersi e lo conduce per le vie attraversate il giorno prima per portarlo in quel negozio.

Ok, forse non è proprio stata una buona idea. Ma Eirik non si fa alcun problema con il sesso normale, è quello a pagamento che lo turba parecchio, quindi bastano un paio di minuti per ritrovarsi davanti ai preservativi dalle forme più strane e riderne con il proprio accompagnatore.

Cerca di non notare tutte le coppiette intorno a loro, davvero, ha voglia di passare una giornata tranquilla, un ultimissimo giorno in quella città che tanto l'ha affascinato. Senza pensare che stringe così tanto la mano di Jan perché non vorrebbe andarsene mai.



Escono dal negozio con gli occhi brillanti e le guance rosse, avendo riso troppo mentre la commessa impacchettava un preservativo-salmone ed uno a forma di riccio di mare, immaginando le facce imbarazzate delle persone alle quali vuole regalarli.

L'idea che quelli che a lungo ha considerato come i propri genitori -e ancora è così- facciano sesso l'ha sempre imbarazzato, fin dal primo momento in cui i due si sono messi in testa di fargli il discorso. E non doveva arrivare al piano della cucina che avevano allora quando li ha sorpresi, con conseguente trauma. Ma ha finito con l'accettarlo, a patto di non assistervi -cosa molto facile, peraltro, visto che i due non sono più due giovani vichinghi infoiati che approfittano di ogni superficie piana disponibile-, ormai abituato ai rumori del letto o anche solo quell'idea che, in un modo o nell'altro, quei due si amano ed è più che naturale che facciano... l'amore. Non sesso, ecco.

Almeno si amano, no? È quello che, alla fine, importa di più, quello che gli ha fatto dimenticare ogni imbarazzo.

Si lascia guidare ancora per le strade della città, fiducioso, allacciato con sicurezza alla mano dell'olandese, sentendosi così bene da chiedersi cosa diavolo l'abbia portato ad addormentarsi stritolando il cuscino, la sera prima.

Jan lo porta davanti a quello che sembra un gigantesco distributore automatico. Febo, c'è scritto ed altre persone lo stanno utilizzando come se non fosse la cosa più...? Lo fissa, perplesso, ricordandosi della buonissima cena al ristorante e decidendo di fidarsi dei suoi gusti. Cerca di non pensare che quelle cose potrebbero essere lì da millenni e contenere versioni cristallizzate ed in miniatura del pianeta Terra.

Forse dovrebbe smettere di pensare troppo.

Osserva il funzionamento dell'apparecchio ed afferra il piattino con il cibo, quando l'olandese glielo porge, sentendolo caldo e sorprendendosi parecchio.

Kroketten. Sono una specialità, devi mangiarle prima di andare via o non mi perdonerò mai.” asserisce, quasi solenne. Dev'essere serio. Prova tutti i tipi di kroketten che gli porge, mangiando mentre camminano ancora, come se avessero fretta di vedere tutto quanto si fossero lasciati sfuggire. Il che ha ben poco senso, per Jan, che ha a disposizione quella bella città ogni giorno, in ogni momento.

Lo invidia ed è un sentimento strano, quello. Ama il proprio paese, ma Amsterdam è particolare, ha quasi qualcosa di magico.

“Cosa vorresti fare?” chiede Olanda, finendo l'ultima krokett e porgendogli un tovagliolo.

Eirik ci pensa seriamente, ma non gli viene in mente nulla che non sia passeggiare ancora e cercare di assorbire il più possibile l'aria della città.

Camminano lungo il canale, in silenzio per lasciargli modo di scegliere e non riesce a pensare. Vorrebbe dirgli di tornare ancora al Red Light District, in modo da recuperare la figuraccia del giorno prima, ma non riuscirebbe a mentire. Non riuscirebbe a farselo piacere e rovinerebbe anche quell'ultimo giorno insieme.

“Vorrei vedere il più possibile, sapere il più possibile.” finisce col dire, adocchiando un battello e chiedendosi se quello sia un buon modo per farlo. Sicuramente non rischiano di stancarsi, ma quello è davvero il problema minore.

Jan sorride, prendendogli di nuovo la mano e all'islandese viene in mente che potrebbe essere la prima volta che è lui ad iniziare quel gesto.



Gli piace navigare. Che sia nell'immenso oceano o solo per un paio d'ore lungo un fiume, è rilassante sentire il rumore dell'acqua, il suo dondolio particolare, soprattutto quando non c'è quasi nessuno a disturbare quelle sensazioni.

E, di sicuro, avere un olandese accanto che si premura di raccontargli dettagli e spiegargli il perché di certi aspetti della città, non è un disturbo.

“Le case sono così alte perché un tempo le tasse si pagavano in base alla larghezza della facciata...” dal nulla, ad esempio. Ad Eirik non dispiace avere tutte quelle notizie, non quando è così affascinato dalle storie e da quella voce.

Non quando ancora stringe la sua mano, non lasciandola neppure quando gesticola anche con quella, per indicare qualcosa. Si appoggia alla sua spalla, osservando bene tutte le facciate, ascoltandolo, soprattutto.

“Voi olandesi siete tirchi.” commenta casualmente.

“Siamo pratici e teniamo a non sprecare troppi soldi.” si difende l'altra nazione, con un tono di voce leggermente offeso che lo fa sorridere. “Io non so nulla degli islandesi per ribattere, non è affatto equilibrato!”

Quella protesta gli fa alzare la testa dalla posizione comoda in cui si trovava fino ad un momento prima, per osservarlo.

Gli ha parlato di sé in parecchie occasioni.

Gli ha detto che cosa gli piace fare in inverno, quando sono andati a pattinare. Gli ha raccontato delle giornate trascorse davanti al camino, con una tazza di cioccolata calda in mano ed un buon libro e Jan gli ha chiesto se non si sentisse mai solo.

Allora ha mentito, dicendogli che la realtà del libro bastava, quando sa perfettamente che leggere davanti al camino, fianco a fianco con qualcuno, commentare ad alta voce certi passaggi, dividere una liquirizia ed il calore, sono molto più piacevoli, come sensazioni.

“Si chiama Hajnòwka.” sussurra, chiudendo gli occhi e sospirando.

Si allontana un poco, sempre stringendogli la mano e si sofferma sulle case, sulla calma di alcune vie, paragonate a quelle frequentate dai turisti, per lasciare che la mente vaghi.

“Ci siamo incontrati casualmente, perché suo padre ha deciso, in un lampo di genio, che una Nazione così lontana ed inaccessibile fosse la migliore per ospitarla, lontana dalla guerra. È una città polacca, con la stessa parlantina, lo stesso amore per il rosa. A volte sembra stupida, ma il più delle volte è così dolce da far male.” racconta, abbassando gli occhi verso le mani intrecciate e non sentendo troppo male.

Nessun rimpianto, allora?

“Non sono il ragazzo perfetto, anche se lei lo diceva sempre, ho finito per fare degli errori, la trovavo troppo bella, troppo preziosa, troppo lontana dal mondo per non esserne ferita. Ho finito per venerarla e lei è andata via con qualcuno che la trattava come una persona e non una statua di cristallo. A ripensarci è così logico che mi sembra assurdo aver sofferto così tanto.”

Non ne ha mai parlato in quel modo chiaro, neppure con Lukas. Forse perché fino a quel viaggio non se n'era reso conto, c'era in lui soltanto un senso di inadeguatezza dovuto al tradimento e rimaneva cieco davanti ai propri difetti.

Ma li vede tutti, ora, vede gli errori e pensa che non vuole perseverare in essi. Vuole essere felice.

Jan non gli risponde, non cambia discorso, si accontenta soltanto di portarselo al petto, stringendolo con un braccio, come se volesse nasconderlo da qualcosa.

Lo ringrazia a bassa voce, abbandonandosi con una guancia sul suo petto, a guardar scorrere Amsterdam lungo il canale, sentendo battere il cuore dell'olandese.

Amsterdam è anche quello: il suo cuore. Ed averlo capito rende tutto fin troppo chiaro.



Sotto al ponte, l'acqua scorre senza quasi un suono, le luci che vi si riflettono lo fanno sembrare una distesa di pietre preziose ed Islanda si dice che forse sta esagerando con i paragoni colti. Hanno trascorso una giornata meravigliosa, però, una settimana intera, anzi, a scoprire quella città che ormai sente di adorare, non ci sono molti motivi per fingersi indifferenti ad uno spettacolo del genere.

Si sporge leggermente, guardando l'acqua fino al punto in cui diventa scura, sentendo l'uomo accanto a lui tendersi ed affrettandosi a tornare con le ginocchia sulla panchina, poggiando la guancia a alle braccia incrociate e guardando il flusso di persone della strada accanto. “C'è sempre tanto rumore, qui.” commenta, socchiudendo gli occhi. “Sei fastidioso.”

Non è vero, gli piace, gli piace tanto. Il fiume, le persone, le lingue differenti che si mescolano fino a creare un borbottio incomprensibile, una di quelle cose che fanno sentire a casa anche a centinaia di chilometri di distanza da essa.

L'Islanda non è quella che si dice una meta turistica molto apprezzata. Sì, i paesaggi sono pubblicizzati come meravigliosi in molte parti del globo, ma le persone davvero disposte a visitarli dal vivo non sono molte.

“Fastidioso?” ripete l'olandese, facendolo voltare per il tono di voce, forse perplesso, forse offeso. Non vuole offenderlo o insultarlo, ha solo un modo di parlare che... argh. Si appoggia con la guancia dall'altra parte, guardandolo fumare e chiedendosi quanto ci vorrà a togliere l'odore del fumo della pipa dai vestiti. Spera che vada via prima che il fratello si decida a fargli visita.

Allo stesso tempo, però... non ha tutta questa fretta di cancellare l'unica cosa che gli rimarrà di lui.

Ironico, vero? Fumo. Soltanto fumo, qualcosa che non si può afferrare, come la vera natura di quell'uomo così complicato, come qualcosa che non potrà mai avere.

“Fastidioso. Ma non in senso negativo.” gli spiega, facendo un breve sorriso. “È una bella città questa. i canali, i musei, il verde... è triste che ci siano persone che vengono qui per il sesso o la droga.” continua, sospirando e chiudendo gli occhi, sentendo che le gambe si stanno leggermente addormentando per la posizione, ma desiderando più di tutto poter guardare quel fiume, di acqua e di persone, che scorre intorno a lui.

“I concerti, i quadri, la musica per strada, il riflesso delle stelle nell'acqua... è una città che fa venir voglia di innamorarsi.” sussurra, affrettandosi a spostare lo sguardo verso il cielo, senza notare molte stelle, però, viste le luci del ponte. Non importa, gli basta distrarsi.

Jan tossisce, segno che quello che ha detto è davvero strano come credeva. Non è una cosa che si può dire così, a cuor leggero.

Però Eirik sa di non avere nulla da perdere, in fondo, quindi può essere profondo e mostrare un lato che difficilmente emerge con qualcuno con cui ha così poca confidenza. Magie di Amsterdam, forse.

“È la prima volta che qualcuno mi dice una cosa del genere.” ammette Olanda, sorpreso. La sua voce ha un tono strano, ma l'islandese lo ignora, dicendosi che è probabilmente colpa del fumo che gli è andato di traverso. Forse.

Ma voltandosi per guardarlo nota un leggero rossore e non può fare a meno di replicare allo stesso modo, facendo un microscopico sorriso, altrettanto imbarazzato

“Oh, ma è bella.” ripete Islanda, annuendo e tornando a sedersi normalmente. “Davvero. Prostitute e droga a parte, non ha nulla da invidiare a Parigi o Roma...” aggiunge, appoggiando i gomiti alle gambe ed intrecciando le dita tra loro, giocandovi nervosamente. Sospira ancora, rendendosi conto che essere sinceri ed aperti è davvero un problema, per lui.

“O forse sono solo io a vederla così.” ammette, volgendo lo sguardo sui passanti. Nessuno presta attenzione a loro, per fortuna, ma Eirik è enormemente imbarazzato lo stesso, perché quello sembra un ponte da innamorati. Ci sono parecchie coppie a passeggio. Ed alcune sono da voltastomaco, ma è un discorso a parte.

Sente l'olandese accanto ed ha paura a voltarsi, perché voltarsi significherebbe guardarlo ancora, rendersi conto di essere attratto da lui per l'ennesima volta e maledirsi perché non c'è più tempo per restare lì, è il momento di salutarsi, quello, la sera prima la partenza, come nei peggiori cliché. Nei film che Nor guarda di nascosto -pensando che nessuno l'abbia mai scoperto, tra l'altro- è una di quelle situazioni in cui tutto è possibile.

Nella realtà è ben diverso. La realtà è piena di aspettative, paure e consapevolezza che non succederà nulla.

“Grazie.” mormora Jan, semplicemente. Quella è la realtà. Nessun bacio sul ponte degli innamorati. L'ultima sera insieme e basta. “Mi andrò a vantare con gli italiani e il francese.”

Gli viene da ridere e fa l'errore di voltarsi, rimanendo ipnotizzato, gli occhi fissi in quel verde surreale che lo affascina da giorni, le dita che si flettono per tendersi ed afferrarlo. Le blocca, quasi desiderando sedercisi sopra. Ma si accorgerebbe di quel gesto, gli chiederebbe qualcosa a cui non vuole rispondere.

“Ti prenderanno in giro.” ribatte, a voce bassa, quasi non riuscisse più a formare le parole come vorrebbe. E, in parte, è decisamente vero.

“Dirò che è tutta colpa tua. Mi hai illuso che la mia capitale fosse romantica e io ci ho creduto.”

Strano... sembra che anche lui abbia lo stesso problema. Cos'è quell'improvviso ammutinamento delle corde vocali?

“Lo credo veramente.”

Dannatamente serio, le dita che si liberano e si posano sulla sua cicatrice, scivolando poi lungo la tempia, lo zigomo, il mento. Lo tiene, tremando, il pollice sulle sue labbra per un secondo.

Quando Jan si avvicina, chiude gli occhi e sospira, andandogli incontro per lasciare che il bacio avvenga.

Il resto della notte è un turbinare confuso di eccitazione e paura, misto alla consapevolezza che tutto finirà l'indomani e che, per questo, Islanda vuole ogni cosa, senza badare alle conseguenze.



Se la lista delle cose che avrebbe voluto fare una volta tornato ad Amsterdam fosse esistita per più di una settimana, se avesse avuto il tempo di riordinarla, il primo posto sarebbe stato sicuramente occupato da un altro bacio sul Magere Brug.


   
 
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