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Autore: csgiovanna    18/10/2012    5 recensioni
Un piccolo viaggio nelle cinque stagioni di The Mentalist attraverso alcuni Missing Moment degli episodi che mi hanno maggiormente colpito... I protagonisti, sono ovviamente Jane e Lisbon.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a tutti per le recensioni, siete sempre in grado di regalarmi energia e voglia di scrivere!! Ecco il secondo capitolo, ancora su un episodio della prima stagione. Vi ricordate quando Jane ha perso la vista? E' stato un gran bell'episodio e, a parte le scene Jisbon,  anche il confronto Jane/Rigsby/Van Pelt  e il successivo falshback mi ha particolarmente colpito. Spero vi piaccia.



Rigsby aiutò Jane a sedersi sul suo divano ed uscì rapidamente evitando di guardare Van Pelt che in quel momento sembrava particolarmente occupata nel frugare tra i CD del consulente e si voltò solo dopo che Wayne era ormai lontano.
«Grazie. E grazie per il tuo ottimo tè.» disse Jane rivolto a Rigsby, quindi si abbandonò di peso sul divano, si tolse gli occhiali scuri e sospirò esausto.
«È stato crudele. Perché lo hai fatto?» lo interrogò la rossa continuando a scartabellare tra i documenti sulla scrivania di Jane.
«Oh... è solo la cecità – si giustificò il consulente massaggiandosi gli occhi – mi fa diventare meschino. – ammise appoggiando la testa sul cuscino in cerca di sollievo – Mi dispiace.»
Si lasciò sfuggire un sospiro. Era realmente dispiaciuto, ma era stato più forte di lui. Il dover dipendere da qualcun altro per muoversi lo faceva sentire debole, inutile e, di conseguenza, lo rendeva vile. C'era un motivo più profondo che lo faceva sentire agire in quel modo: se la cecità non fosse stata temporanea, se fosse stato condannato a non vedere mai più, che ne sarebbe stato della sua unica ragione di vita? Che ne sarebbe stato della sua vendetta? Che cosa avrebbe mai potuto fare? Relegò per l'ennesima volta questi timori in un angolo della sua testa.
«Ma voi due dovete parlare.» aggiunse nel vano tentativo di giustificare le sue azioni.
«Non c'è niente di cui parlare. – rispose lei secca, quindi mostrando il CD – È questo?»
«Mmm...» si lamentò Jane facendo una smorfia e fissando un punto non ben identificato davanti a sé. In quel preciso momento si sentiva impotente e frustrato.
«Scusa, CD bianco con su scritto RPB in nero.»
«Potrebbe essere.»
Van Pelt si spostò alla scrivania, nel frattempo Jane riprese il discorso interrotto.
«Avete un sacco di cui parlare.»
«Tipo di cosa?» chiese lei infilando il CD nel computer.
«È una cosa seria? Tu e l'uomo del chiosco del caffè?» insistette curioso.
Il consulente era abbandonato sul divano, il bastone appoggiato alla sua destra sul cuscino, lo sguardo fisso davanti a sé ed il respiro un po' affaticato.
Grace aprì lo schermo del PC portatile leggermente indispettita.
«Ancora è presto per dirlo.» si limitò a rispondere.
Il consulente sorrise.
«Mi piacerebbe incontrarlo, a che piano lavora?»
Lei sollevò gli occhi al cielo e rispose con tono seccato, senza smettere di lavorare al computer.
«Non lavora qui. È un avvocato. Era venuto a trovarmi.»
E notando l'espressione divertita sul volto di Jane.
«E, senza offesa, perché la mia vita privata dovrebbe riguardare te? – disse stizzita distogliendo lo sguardo dal PC – O Rigsby.»
Il biondo sospirò quindi con un sorriso appena accennato sul volto pallido aggiunse.
«Io, sono solo un ficcanaso. – spiegò – Ma Rigsby, lui ti ama.»
Grace trattenne il respiro e serrò le labbra a quell'affermazione, quindi cercò di concentrarsi sul suo lavoro.
«È solo spaventato dall'impegno di una relazione. – spiegò Jane come stesse parlando del tempo – E tu ne sei attratta, ma sei profondamente repressa ed emotivamente spenta.»
«Oh, davvero?» sbottò la rossa roteando dapprima gli occhi e poi guardando il consulente con aria di sfida.
«Colpa di un trauma nel tuo passato – continuò Jane senza preoccuparsi di quello che stava dicendo – del quale non hai mai parlato con nessuno, mai, nemmeno con te stessa.»
Van Pelt tacque, lo sguardo turbato e perso in ricordi lontani. Un nodo di emozione le serrò la gola e a stento riuscì a trattenere le lacrime. Jane percepì le emozioni nascoste in quel silenzio e si pentì delle sue parole.
«Scusami. Stavo solo pensando a voce alta.» disse mascherando dietro ad un sorriso stanco il suo dispiacere.
«Cosa? Non stavo ascoltando.» mentì lei con voce tremante, sforzandosi di trattenere le lacrime che erano intrappolate tra le sue ciglia.
«Come si chiama?» chiese lui cambiando rapidamente discorso.
«Dan.»
«Dan? – fece una pausa per prendere fiato – Posso conoscerlo?»
«Se vuoi.» rispose senza entusiasmo e tornando ad occuparsi del file.
«Mi piacerebbe.»
«Questa è la lista dei tuoi clienti. – finalmente il documento si era aperto – La confronterò con i registri della Lynch-Halstead.»
Grace digitò velocemente sui tasti.
«Una corrispondenza. – annunciò – avevate una cliente in comune, molto tempo fa.»
Dopo un attimo di pausa.
«Carol Gentry?»
«Carol Gentry.» ripeté il consulente.
Quel nome riportò Jane indietro nel tempo, ad otto anni prima. Prima di Red John, prima della morte di sua moglie e sua figlia, prima che tutto il suo mondo crollasse e il suo domani fosse un orizzonte fatto di vendetta, colpa e dolore.


 
***

 
Flashback – otto anni prima

Lui e Carol, una trentenne non particolarmente attraente e con qualche chilo di troppo, erano seduti nel gazebo della sua villa di Malibù. Lui era elegantemente vestito con un completo scuro e portava i capelli pettinati all'indietro. Una versione più giovane, più felice ma anche più insensibile di lui.
«La perdona, Carol.– aveva sussurrato tenendo gli occhi chiusi – Sua madre... La perdona completamente.»
La donna lo aveva fissato sorpresa, scuotendo leggermente la testa alle sue parole.
«Non capisco, signor Jane. Mi perdona?»
«Sì. – si era limitato a dire lui sempre mantenendo gli occhi chiusi e muovendosi in modo da simulare un qualche contatto con l'aldilà – Questo è quello che dice. E credo che sia sincera.»
La donna dall’iniziale perplessità era passata al nervosismo, quindi alla rabbia.
«Lei era una viscida, spregevole donna violenta. Ma le ho voluto bene.» aveva spiegato con voce incrinata.
Jane aveva aperto gli occhi e sul suo volto era evidente la consapevolezza di aver commesso un terribile errore.
«E mi sono presa cura di lei, da brava figlia. – aveva continuato la donna con voce sempre più acuta – Cosa avrei mai fatto per cui lei mi dovrebbe perdonare?»
Lui l'aveva guardata, per qualche secondo, con un’espressione indecifrabile, quindi aveva provato a salvare la situazione.
«È una triste verità, Carol. – aveva detto – Ma le persone non cambiano quando muoiono. Diventano semplicemente l'essenza di chi sono.»
Lei lo aveva fissato poco convinta con le lacrime agli occhi.
«Sua madre... – aveva aggiunto lui – Era una donna davvero complicata...»
«Mi perdona? – l'aveva interrotto lei con rabbia – Quella puttana lunatica mi perdona?»
«Le persone sono davvero molto complicate. – aveva insistito – Non è così?»
Lei lo aveva fissato a bocca aperta, confusa e triste. Patrick aveva inclinato la testa e le aveva regalato un'espressione di accondiscendenza, quindi l'aveva consolata strofinando il pollice sul dorso della mano.
«Temo che sia scaduto il tempo, per questa settimana.»
«Oh. – aveva detto lei annuendo e trattenendo a stento le lacrime – Ok. Mi dispiace.»
Lui aveva scosso la testa, messo una mano sul cuore.
«È tutto a posto. Respiri. – l'aveva rassicurata – Ne parleremo di più la prossima settimana, vero?»
Lei l'aveva assecondato, aveva preso un profondo respiro.
«Sì.»
La donna aveva annuito sorridendo appena, quindi aveva frugato nella sua borsa.
«Ok.»
«Grazie, signor Jane.» disse allungandogli un assegno. Lui l'aveva preso sorridendole.
«Grazie a lei.»
La donna era andata via piuttosto sconvolta e lo aveva lasciato solo nel gazebo. Jane l'aveva guardata scendere goffamente le scale, aveva infilato l'assegno nella tasca interna della giacca e, dopo aver preso un ultimo sorso di acqua e limone, aveva gettato il contenuto del suo bicchiere e di quello di Carol nell'oceano sottostante, sospirando.
Il ricordo di quell'incontro di otto anni prima bruciava ancora vivido in lui e si andava a sommare alle centinaia di colpe che portava già con sé. Carol era solo una delle tante malefatte che di tanto in tanto emergevano dal suo passato e con cui doveva fare i conti. La morte di Angela e Charlotte non era l'unico terribile errore che aveva sulla coscienza e che avrebbe dovuto espirare. Il disprezzo di sé e di quello che aveva fatto stavano per avere il sopravvento sul suo autocontrollo, una combinazione di nausea, disgusto e voglia di urlare lo stava travolgendo. Sul volto di Jane, pallido e provato, era dipinto a chiare lettere il dolore e il senso di colpa che stava vivendo. Era perso nei ricordi e in preda alle emozioni.
«Jane? – Van Pelt si accorse subito che qualcosa non andava nel consulente – Stai bene?»
L'uomo non le rispose. Stava cercando di evitare di essere travolto dalle emozioni.
«Jane? – insistette la rossa visibilmente preoccupata – Stai bene?»
Lui parve risvegliarsi improvvisamente.
«Sì, sì. Sto bene. – ridacchiò imbarazzato, alzandosi dal divano in modo da non dover dare spiegazioni e nascondere le lacrime che minacciavano di scivolargli dagli occhi – Sto bene.» la rassicurò.
Il consulente si allontanò di qualche passo dal divano con andatura incerta, si fermò all'improvviso e cadde a terra privo di sensi.
«Jane! – urlò Grace alzandosi dalla scrivania e raggiungendo il biondo immobile a terra – Jane?»



 
***

 
Rigsby e Lisbon sentirono l'urlo di Van Pelt e si precipitarono in suo aiuto. Il consulente era a terra ancora privo di sensi. Grace lo stava scuotendo preoccupata.
«Rigsby chiama il 911, rapido!» ordinò Teresa avvicinandosi subito a Jane e cercando di mantenere la calma. Mise una mano sulla spalla di Van Pelt, che la fissò spaventata.
«Boss avevamo appena parlato di una sua vecchia cliente che era connessa con la Lynch-Halstead e Jane si è come incantato... – spiegò la rossa balbettando – Sembrava sconvolto... Gli ho chiesto se stava bene, lui mi ha detto di sì, poi si è alzato ed improvvisamente è caduto a terra.»
«Ok. Non ti preoccupare – disse la bruna inginocchiandosi accanto al consulente e mettendo una mano sul collo per sentirne il battito cardiaco – Passami un cuscino in modo da potergli sollevare le gambe.» ordinò.
Van Pelt fece come le era stato detto ed aiutò Lisbon a mettere l’uomo in posizione di sicurezza. Teresa, prima di girargli la testa di lato, gli diede un paio di schiaffetti per rianimarlo. Nessuna reazione.
«Forse dovremmo bagnargli la fronte.» disse rivolta alla rossa che annuì e sparì verso il bagno.
Teresa sospirò. Quel cocciuto del suo consulente aveva voluto fare di testa sua, ancora una volta, e queste erano le conseguenze. Osservò il suo volto: pallido ed esangue. Dannazione, imprecò tra sé la donna. Il polso era lento, ma piuttosto regolare e questo era un buon segno, la pelle era calda anche se un po' sudata. Si morse il labbro inferiore. Jane doveva stare in ospedale, non gironzolare nel bullpen o, peggio, visitare vedove in lutto ed indagare sull'esplosione. Si sentì in colpa, avrebbe dovuto essere più dura e decisa con lui, obbligandolo a prendersi cura di sé. Se avesse avuto un po' più di polso tutto questo non sarebbe accaduto.
E se avesse battuto la testa nella caduta? L'ipotesi la fece rabbrividire.
«Accidenti Jane. – sussurrò scuotendolo con delicatezza – Apri gli occhi!»
Un gemito le disse che l'uomo stava riprendendo conoscenza. Lisbon si avvicinò al volto pallido del consulente ancora preoccupata.
«Lisbon?» la chiamò con voce incerta, riconoscendo il profumo di cannella della bruna.
Provò ad alzarsi, ma la testa iniziò a girargli e si fermò.
«Stai giù. Hai perso conoscenza – spiegò la donna trattenendolo a terra con delicatezza – l'ambulanza sarà qui a momenti.»
Il consulente esalò un respiro frustrato, ma non riprovò ad alzarsi. Si sentiva incredibilmente affaticato e dolorante. Potevano fargli male gli occhi anche se non ci vedeva? Gli sembrava un controsenso.
«Mmm.» si lamentò.
Lei roteò gli occhi.
«Dire te l'avevo detto ti farebbe sentire meglio?» le chiese Jane sorridendole, gli occhi ancora chiusi.
Teresa sorrise suo malgrado.
«Forse. – ammise, poi con tono più dolce – Come ti senti?»
L'uomo ridacchiò.
«Meh. Splendidamente. Mi sono sempre chiesto se il pavimento del bullpen fosse abbastanza solido.» disse toccando con la mano il pavimento di legno.
Lisbon sorrise al commento, probabilmente non era nulla di grave.
In quel momento Van Pelt rientrò nel bullpen con un panno bagnato che passò immediatamente a Lisbon. Lei lo passò sul viso e gli occhi del consulente che la ringraziò con un sospiro soddisfatto.
«Si è ripreso...» commentò la rossa con un lieve sorriso.
Teresa annuì.
«Mi dispiace di averti spaventata, Grace.»
«Non farlo mai più.» rispose lei sorridendo.
«L'ambulanza è in arrivo.» avvisò Rigsby entrando in quel momento.
Lui e Van Pelt si scambiarono uno sguardo imbarazzato.
«Ottimo.» esclamò Lisbon osservando lo scambio di sguardi, ma facendo finta di niente.
«Rigsby aiutami a spostarlo sul divano.» ordinò, poi.
Wayne annuì e prese in braccio il consulente, che si lamentò un pochino, ma non oppose resistenza.
«Ehi, sei un falso magro, uomo!» scherzò l'agente sollevandolo, in realtà, senza particolare difficoltà ed adagiandolo con delicatezza sul divano in pelle.
Jane non reagì. Teresa si accigliò preoccupata per l'estrema docilità del consulente.
«Stai bene?»
«Benissimo.»
Jane respirava con fatica, notò Teresa.
«Jane...»
L'uomo sospirò, gli occhi ancora chiusi.
«Ok... Ho avuto momenti migliori. – ammise massaggiandosi le palpebre – mi fanno un po' male gli occhi, ma starò bene.»
«Dovresti stare in ospedale e riposare.»
Lui fece spallucce.
«Van Pelt mi ha detto che ha trovato una corrispondenza con una tua vecchia cliente.»
«Già... Carol Gentry.» rispose con voce incerta.
Lisbon notò il turbamento.
«Ti sei ricordato qualcosa?»
«Si. È stata mia cliente otto anni fa... – spiegò – non esattamente una cliente soddisfatta, direi.»
«Devi averla combinata grossa se ha addirittura uno spazio nel tuo palazzo della memoria.» osservò lei stupita.
Un'ombra attraversò il volto del consulente.
«È un esempio di lettura psichica non particolarmente riuscita.»
«Un momento... Patrick Jane ha commesso un errore e lo sta ammettendo?» chiese ironicamente.
Lui sorrise stancamente senza ribattere e Teresa notò che dietro l'apparente indifferenza si nascondeva qualcos'altro. Senso di colpa, forse?
«Carol aveva un conto in sospeso con la madre. – spiegò – Ed io sono stato troppo superficiale e non ho capito che non era lei a dover chiedere perdono, ma sua madre.»
Il consulente tacque.
«Avrei dovuto fare più attenzione.» ammise dopo un po’ con un certo rammarico.
«Oh. E non sei riuscito a rimediare con il tuo proverbiale fascino?» chiese con una punta di sarcasmo.
«Ti sembrerà incredibile, ma non tutti mi trovano così irresistibile!»
«Strano – commentò fingendosi sorpresa – non lo avrei mai detto. Sei così amabile.»
Il biondo ridacchiò, ma Teresa avrebbe potuto giurare che dietro l'apparente leggerezza si nascondessero sentimenti ben più cupi. La condizione in cui Jane si trovava non gli permetteva di avere il consueto controllo sulle sue emozioni e, ad un occhio attento, non potevano sfuggire le piccole sfumature. C'erano senso di colpa, disgusto di sé, rabbia e un velo di tristezza nei suoi silenzi.
In quel momento entrò il paramedico. Teresa lo salutò con un cenno.
«Lasciati visitare. – disse rivolta al biondo – E se necessario ritornerai in ospedale.» si allontanò di un passo da Jane per lasciare lavorare il medico.
«Oh sto benissimo – sbottò – non c'è bisogno di andare in ospedale, giusto?» chiese rivolgendosi al sanitario, un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati.
«Lasci deciderlo a me – rispose il medico estraendo lo stetoscopio e lo sfigmomanometro – Come si sente? Ha tolto lei le bende?»
«Meh – si lamentò aprendo solo allora le palpebre – Mi facevano prurito e poi volevo verificare se potevo vederci!»
«La pressione è normale – disse, passando poi ad esaminare gli occhi – Lo svenimento può essere la conseguenza di un affaticamento oculare.»
Jane fece una smorfia.
«Anche se non ci vede – spiegò l'uomo – tenendo gli occhi aperti può sforzare comunque il nervo ottico e nelle sue condizioni non è salutare.»
«Visto?» sbottò Lisbon che stava seguendo la discussione. Si mordicchiò il labbro quando si rese conto dell'involontaria gaffe. Probabilmente non era il termine più appropriato in quel momento.
«Divertente. L'agente Lisbon ha uno spiccato senso dell'umorismo. – spiegò Jane al medico – Comunque non è necessario che ritorni in ospedale, ora sto bene.»
«Se non toglie le bende e cerca di riposare evitando di affaticarsi ulteriormente, non sarà necessario.» lo assecondò il sanitario.
«Visto?» disse il biondo rivolto a Teresa con un sorrisetto ironico.
Teresa sbuffò, sapeva che dietro quei modi, quella cocciutaggine si nascondeva la paura. Jane temeva di rimanere cieco. Per un uomo come lui, che disprezzava sé stesso e aveva fatto della solitudine la sua espiazione, dipendere da qualcun altro doveva essere intollerabile. Senza contare che se fosse rimasto cieco avrebbe dovuto dire addio ai suoi piani di vendetta e alla sua folle caccia.
Sospirò avrebbe voluto confortarlo in qualche modo o semplicemente poterne parlare con lui liberamente, ma sapeva che il consulente non avrebbe ammesso una cosa del genere nemmeno sotto tortura. Quindi decise di tacere e si limitò a stringere la croce che aveva al collo pregando tra sé che questa condizione fosse realmente temporanea e che potesse riacquistare la vista al più presto.
 
   
 
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