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Autore: Moonage Daydreamer    20/10/2012    2 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Getting Better.



Lo psicologo si sistemò gli occhialetti sul naso adunco, che lo facevano somigliare terribilmente a uno di quegli psichiatri folli da film horror.
C'è qualcosa che è accaduto quando eri bambina di cui potresti non aver mai parlato con nessuno e che ti trascini dietro da allora? -
Avevo perso il conto di quante volte avevo già sentito quella domanda, in modo più o meno velato.
- No. - risposi incrociando le braccia sul petto.
Probabilmente tutto il mio corpo stava urlando che il mio unico desiderio era andarmene da lì
L'uomo davanti a me, invece, cercava di capire i meccanismi della mia mente, e, sinceramente, non avrei mai voluto essere al suo posto; al momento, però, faceva finta di credere a quello che gli dicevo.
- A volte la nostra psiche rimuove i ricordi più dolorosi, per difendersi da essi. - continuò.
- Non si preoccupi che la mia psiche non ha mai avuto bisogno di difendersi da qualcosa. - sbottai.
"Forse se dicessi la verità ti servirebbe a qualcosa venire qui." mi rimproverò la mia coscienza, risvegliandosi dal coma nella quale era precipitata nell'ultimo periodo. 
La ignorai, anche perché mi infastidiva doverle dare, come sempre, ragione.
Un po' mi sentivo in colpa nei confronti dello psicologo, ma sapevo che mentire era l'unica cosa che potessi fare: più a lungo dici una menzogna, più ti convinci che è la verità.
Il ticchettio snervante dell'orologio da parete mi irritava, ma mi preannunciava anche l'imminente fine della seduta.
Quando finalmente misi piede fuori dallo studio respirai a profonde boccate l'aria libera.
Tutto sommato non mi pesava così tanto recarmi dallo strizzacervelli, ma non ero mai stata una che amasse parlare di sé e durante quel paio d'ore non facevo, logicamente, altro.
Sbuffai e finalmente mi liberai del fastidioso odore di sigaro che permeava lo studio dello psicologo.
Presi un ultimo respiro, poi mi rassegnai a tornare a casa; la cosa che odiavo di più dell'essere tornata a scuola (passino pure i professori e le loro menate) era che i compiti mi toglievano troppo tempo che avrei potuto passare a scrivere.
Tanto più che ultimamente avevo cominciato ad abbozzare un progetto serio.
Cominciai a pensare a quella nuova storia, ma il mio viaggio mentale fu rovinato dalla mia coscienza, che insistette a ricordarmi che la matematica non aveva ancora acquisito la capacità di farsi da sola.
Mi incamminai sulla via di casa e i miei pensieri si rivolsero alla progettazione dei più diabolici piani di fuga.
"Forse potrei emigrare in Messico e vendere tacos..." pensai mentre svoltavo in Forthlin Road.
La mia coscienza, però, bocciò anche quest'idea.
- Sto cominciando a odiarti. - le dissi.
- Che cosa ho fatto?- chiese Paul alle mie spalle, facendomi lanciare un urlo.
- Mi hai fatto prendere un infarto! - esclamai e gli tirai uno scappellotto. - Non farlo mai più. -
- Allora mi dici perché mi odi? - insistette il ragazzo guardandomi con gli occhi verdi spalancati come quelli di Frency quando il cane implorava un po' di coccole; tuttavia il suo tono lasciava intuire con fin troppa facilità che Paul riteneva impossibile che io potessi odiarlo.
- Stavo parlando con la mia coscienza. - borbottai; ricominciai ad avvicinarmi verso casa e dopo pochissimi passi Frency cominciò ad abbaiare e riuscì ad evadere dal giardino passando sotto lo steccato, poi ci corse in contro scodinziolando.
Una volta tanto, io e la mia coscienza fummo d'accordo nel convenire che non era il caso di chiedersi come e quando il bobtail fosse riuscito ad aquisire quel potere soprannaturale.
- E' vero che tu sei quella che ha bisogno dello psicologo! - replicò Paul mentre si chinava ad accarezzare il mio cucciolo.
Anche se sapevo che stava scherzando, dovetti trattenermi per non mandarlo a quel paese.
Mi limitai a prendere in braccio Frency e dirigermi dritta verso casa.
Paul, però, mi afferrò per i fianchi, ridendo.
- Lo sai che non volevo offenderti. -
Gli tirai un'altro scappellotto.
- Va bene, me lo meritavo. - bofonchiò massaggiandosi la nuca.
Sorrisi soddisfatta posando Frency a terra: stava crescendo rapidamente e ben presto non sarei più stata in grado di prenderlo in braccio senza spezzarmi la schiena.
- In ogni caso, non sono venuto qui solo per prenderti in giro. - ricominciò il mio amico - Ho bisogno di un favore piccolo piccolo.-
Batté le ciglia più volte, assumendo un'espressione implorante.
- Lo sai che farei di tutto per il mio Paulie. - risposi con un tono mellifluo e calcai bene il nomignolo che sapevo non piacere affatto al ragazzo, il quale, però, mi tolse tutta la soddisfazione facendo finta di niente.
- Posso farti ascoltare una canzone che vorrei proporre a John, una volta che l'avrò finita? - chiese con entusiasmo. - Per favore...?-
Sarei stata più che felice di accontentarlo, ma c'erano la mia coscienza e gli esercizi di matematica che si erano alleati e facevano terrorismo psicologico.
- Devo fare ancora tutti i compiti...- risposi dispiaciuta.
- Oh, non c'è problema allora! - esclamò Paul; mi prese sotto braccio e mi trascinò con sé - Tu fai i compiti e io suono! -
Mi portò sino al cancelletto di casa mia, poi si fermò. - Tu stai ferma qui: tra due secondi sarò di ritorno. -
Mi piantò lì e andò verso casa sua saltellando seguito da Frency che credeva che volesse giocare con lui.
Scoppiai a ridere e alzai gli occhi al cielo, ma non feci in tempo a tirare fuori il quaderno dalla borsa, poiché effettivamente Paul tornò dopo poco con la sua Zenith in mano.
Ben presto la mia risata contagiò anche lui, anche se ansimava e faceva fatica a respirare, quindi entrammo in casa, con ancora Frency che abbaiava esaltato;  Paul salutò Elisabeth, poi, finalmente, salimmo in camera mia.
Il ragazzo, senza far troppi complimenti, si sedette sul letto e il bobtail si sdraiò ai suo i piedi.
Tirai fuori dalla libreria il volume di aritmetica e lo appoggiai pesantemente sulla scrivania, sbuffando. - Non fare i salti di gioia ché rischi di romperti una gamba. - commentò sarcastico Paul.
- Se sei così impaziente di offrirti volontario, chi sono io per impedirtelo? - replicai.
Cercai di concentrarmi mentre il mio amico accordava la chitarra e riuscii persino a risolvere le prime due chilometriche espressioni, ma quando lui cominciò a suonare presi la saggia decisione di chiudere il quaderno.
- Ci hai già rinunciato?- mi punzecchiò smettendo per un attimo di suonare.
- Sta' zitto e fammi sentire questa canzone. - gli ordinai.
Paul fece un sorriso scaltro e ricominciò daccapo.
Presi un blocco da disegno e una matita e andai a sedermi sui cuscini che di nuovo invadevano la parte centrale della stanza, poi, una volta trovata una posizione comoda, cominciai a ritrarre il ragazzo.
Ero talmente concentrata a cogliere ogni frammento di espressione che si tracciava su ogni lineamento di Paul, che alla fine non riuscii nemmeno a sentire la musica.
Quando finì la canzone, Paul dovette chiamarmi tre o quattro volte prima di riuscire a distogliere la mia attenzione dallo schizzo.
- Non hai ascoltato una sola nota, non è vero?- chiese retoricamente.
Guardai il cuscino su cui ero seduta e mormorai qualche scusa a bassa voce, poi, lentamente, rischiai ad alzare lo sguardo sul ragazzo.
Lui raccolse un cuscino e se lo rigirò tra le mani.
- Certo che non servi proprio a niente! - commentò e me lo lanciò contro, colpendomi in viso.  Io non mi lasciai certo sfuggire l'occasione e ricambiai; come c'era da aspettarsi, la cosa si trasformò in una vera e propria lotta. Alla fine stramazzammo tutti e due sul pavimento.
- Ho vinto io. - affermai senza fiato mentre Frency veniva a sdraiarsi con noi, appoggiando la testa sul mio ventre.
Paul mi rispose grugnendo, poi, con enorme fatica, si girò fino a trovarsi sdraiato bocconi.
Mi guardò negli occhi e la sua espressione seria mi mise a disagio.
- Cosa c'è tra te e Stuart?- chiese a bruciapelo.
Rimasi a lungo in silenzio, spiazzata da quella domanda che proprio non mi aspettavo.Cosa voleva che ci fosse tra me e Stu?!
- In che senso?- cercai di prendere tempo.
- Lo sai. - rispose semplicemente. Non voleva mettermi in imbarazzo e cercò di farmelo capire con l'espressione dei suoi occhi.
Guardai il soffitto e respirai profondamente.
- Tu, Stu e Cyn siete i miei migliori amici. - risposi infine, ma subito dopo trovai il modi di sfuggire quella situazione. - Perché me lo chiedi? Sei forse geloso?! -
Paul ridacchiò:- No! Ma ho sentito da qualche parte che l'informazione è potere... -
Gli schiacciai un cuscino contro il viso, ridendo e riuscendo a lasciarmi alle spalle il disagio di poco prima.
- Tu sei matto! - esclamai.
- Senti chi parla. - replicò Paul. Si mise a sedere e si guardò intorno. - Per lo meno mi fai vedere il disegno che mi hai fatto? -
Annuii e mi allungai per prendere il blocco da disegno che nella lotta con i cuscini era finito sotto il letto.
- Spero sia venuto bene. - mormorai - Perché sarà l'unica cosa che potrò presentare al professore di matematica domani mattina. -
Paul prese il blocco e studiò il suo ritratto.
- Non è ancora finito, ma se vuoi puoi tenerlo. - gli dissi.
Paul sorrise, strappò il foglio dal blocco e se lo mise nella tasca dei pantaloni, quindi mi abbracciò.
Il tempismo di Elisabeth, che era ormai passato alla Storia, colpì ancora.
La donna entrò nella stanza subito dopo aver bussato e non diede a me e a Paul il tempo materiale per sciogliere l'abbraccio.
Non che fossi imbarazzata all'idea che mia madre mi vedesse stretta al mio migliore amico, o che quella fosse la prima manifestazione d'affetto di cui lei era testimone, ma fece comunque uno strano effetto e mi ritrovai con il cuore che batteva velocissimo, come fossi una bambina che era appena stata scoperta a mangiare cioccolata di nascosto.
Dall'espressione che Paul assunse compresi che anche lui condivideva il mio imbarazzo, tuttavia Elisabeth sembrò non accorgersene.
- Ti fermi a cena da noi?- chiese sorridendo al ragazzo, ma lui scosse la testa e si alzò.
- La ringrazio, ma tra poco arriverà mio padre e ho lasciato Mike sa solo; devo proprio tornare a casa. -
Una volta che Paul se ne fu andato, Elisabeth mi rivolse un'occhiata sorniona.
La cosa mi mise addosso una certa inquietudine, poiché i piani di mia madre erano almeno dieci volte più diabolici dei miei.

Mi girai un'ennesima volta nel letto, non riuscendo a trovare una posizione comoda per riaddormentarmi dopo essermi svegliata come al solito per gli incubi, anche se essi, grazie a sonniferi e ansiolitici, erano diventati meno spaventosi.
La mia mente era particolarmente irrequieta quella sera.
La domanda che Paul mi aveva rivolta nel pomeriggio continuava a tonarmi alla mente, anche se non ne sapevo il motivo.
"Non ne dovresti essere felice?" mi dissi" Finalmente sei tormentata dalle stesse cose che affliggono le adolescenti normali!"
Che ben misera consolazione...
Come se non bastasse, avevo ricordi sfocati di quello che era successo durante la mia permanenza in ospedale, ma ero quasi sicura di non essermi solo sognata lo sguardo di Stu cui continuavo a pensare: qualcosa indefinibile e intenso, a metà fra la dolcezza e l'ardore. 
Ben presto, tuttavia, i miei pensieri presero una strada diversa e senza che me ne accorgessi mi ritrovai a sostituire l'espressione di Stuart con quella che, per un secondo solo, mi era parso di scorgere negli occhi di Lennon.
Non potevo credere di stare di nuovo pensando a lui: ultimamente non facevo altro!
La mia mente era tutta un Lennon qui, Lennon là; Lennon, Lennon, Lennon...
Cristo santo, quel ragazzo mi perseguitava!   
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Dopo due settimane sono riuscita a trovare il coraggio di abbandonare il cantuccio accogliente nel quale io e la coscienza di Anna abbiamo condiviso un breve periodo di letargo. (Tra l'altro, ci siamo conosciute meglio e ora posso con gioia annunciare che è diventata la mia seconda migliore amica immaginaria, anche se non so quanto possiate ritenere quest'informazione indispensabile per la vostra sopravvivenza. Comunque ve la do lo stesso perché informazione è potere, no? )
Bene, dopo questa posso tranquillamente emigrare in Burkina Faso. Ci vediamo lì, ok? 
In ogni caso, per la vostra gioia (sì, certo: come no...) ecco qui il nuovo capitolo.
Esso, come credo si capisca abbastanza, costituisce un passaggio a una parte di storia che comporterà numerosi cambiamenti; ma poiché non posso anticiparvi niente e la voglia di spoilerare a tutto spiano comincia a farsi sentire, mi dileguo e torno nel mio cantuccio accogliente e invaso dalle noccioline che ho diligentemente messo da parte in attesa che arrivi l'inverno.
Okay, adesso sto per lanciarmi in un discorso filosofico sulla bella vita che fanno gli scoiattoli grigi di Central Park, quindi è meglio per la salute mentale di tutti i lettori se vado a fare queste discussioni altrove. (magari in Burkina Faso.)


Cherry Blues : Ebbene sì, ultimamente alla povera Anna sono successe un sacco di cose (le ho dato ufficialmente il permesso morale per vendicarsi su di me) e, purtroppo per lei, non siamo che più o meno a metà della storia!
Se dovesse venire a farmi fuori prima che riesca a finire la ff, ho dato disposizioni a mia sorella e alla mia "agente" affinché la terminino al posto mio!!!
 
Peace n Love. 
 
 
  
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