Ho messo l'avviso OOC proprio perché, avendo avuto difficoltà a gestirli in queste vesti, ho preferito essere cauta ed evitare di cadere in errore.
Detto questo, buona lettura! (;
Nightmare
Il crocifisso era al collo.
I bambini erano al sicuro nelle case.
Le donne preparavano la cena ai mariti che
sarebbero di lì a poco tornati dal lavoro.
La chiesa era vuota, con i mosaici che creavano giochi di
luce sul pavimento.
Il Cristo in Croce era inerme.
L’organo muto.
Il vampiro gli era davanti, che teneva le mani incrociate al
petto.
Shizuo era immobile, con gli occhi carichi d’ira a lui
rivolti.
Gli occhi rossicci brillarono, puntati sulle vene visibili
alle tempie. Il collo era coperto dalla giacca chiusa completamente.
Izaya si leccò le labbra, poi spinse la lingua contro i
denti affilati.
Però, ogni volta che quello si manifestava, lui non era mai
sul posto.
Una settimana era durata l’agonia di quel piccolo paesino.
Una settimana intera, tutte le notti, qualcuno aveva ricevuto
“Il bacio del
Diavolo” o “La firma della Morte”
–come lo chiamavano: era stato proprio Izaya,
dicendo a tutti che voleva amare coloro che non lo avevano amato quando
lui era
un umano. Si era fatto maledire, qualcuno diceva, per diventare
appositamente
un mostro.
E, puntualmente, ogni notte mordeva più esseri umani -che fossero in casa o
meno, lasciandogli due
piccoli puntini rosso sangue all’altezza del collo, parte in
cui le vene erano
ben visibili, la pelle morbida e sensibile. Non aveva mai ucciso
nessuno, né
aveva fatto di loro vampiri: lui diceva di voler
“amare” e poteva farlo solo
così.
Shizuo aveva tentato più volte di fermarlo, inutilmente.
Anche lui non era umano, o almeno così diceva il vampiro: la
sua forza innaturale, quel crocifisso appeso al collo che plasmava
secondo il
suo volere, e la sua forza fisica… facevano di lui un mostro.
Ma lui voleva e doveva proteggere i cittadini e gli altri ecclesiastici.
Si era fatto cacciatore di demoni, per esorcizzare quello
che sempre aveva creduto di essere. Per riscattare la sua vita, la sua
stessa
esistenza. Si sentiva bene quando lo faceva.
Ma con Izaya era un’altra storia: non era riuscito mai a
ferirlo e i loro combattimenti spesso duravano fino all’alba.
Poi quello fuggiva
via.
“Dov’è la tua bara, Izaya?”
“Più vicino a te di quanto non pensi”, gli rispose l’essere sovrannaturale.
Shizuo strinse i pugni e
ringhiò.
Portò una mano al crocifisso appeso al collo e
tirò
violentemente per rompere la catena.
Il sacro oggetto dorato si allungò, diventando una vera e
propria croce. Era grande e lui riusciva a tenerla con una sola mano,
stringendo nel pugno la parte inferiore.
Le estremità delle due barre che si incrociavano erano
acuminate come la punta
di una freccia.
Gli si lanciò subito contro e quello, agilmente, lo
evitò
più volte.
Izaya sapeva che quella croce era impregnata di luce, perciò
non poteva esserne
sfiorato. Non sarebbe morto con un paletto nel cuore, ma quella luce
era
pericolosa tanto quanto quella del sole.
Approfittando di un momento di smarrimento dell’altro, che
frenò per non distruggere la parete con i quadri del Cristo,
gli si avvicinò e,
con le unghie affilate, gli strappò il colletto della
giacca. Ammirò la pelle
scoperta del suo collo, così morbida e vergine: non
l’aveva mai toccata, a
differenza di quasi tutti gli abitanti del villaggio.
Ma non voleva amarlo come un essere umano qualsiasi. Lo
desiderava come aveva desiderato il Paradiso nella vita mortale.
Shizuo si difese con la croce: la portò davanti al proprio
corpo, come fosse una barriera.
Il vampiro si fermò e si strinse nel mantello.
Lo lasciò uscire dalla cattedrale, perché quello
fuggì velocemente come sempre
aveva fatto.
Era sempre così svelto che sembrava sparire.
Dove diavolo era quella bara?!
- -
Il giorno dopo, non appena fu sera,
Shizuo capì.
C’era solo un luogo in cui Izaya avrebbe potuto nascondersi:
la cripta.
Dopotutto, il passaggio sul retro della Chiesa permetteva
l’entrata.
La porta era chiusa a chiave, ma era da un po’ che, essendo
stata forzata, vi
era solo un divieto d’accesso –che i cittadini,
devoti, rispettavano.
Così, Shizuo passò da lì per giungere
al luogo dove si
nascondeva il vampiro.
Passò lo stretto corridoio, portando un lume con una mano.
Con l’altra stringeva la croce al collo.
Sentì la sua puzza. Era lì davvero. Erano sempre
stati
vicini.
Aprì la porta che conduceva alla cripta e, non appena lo
fece, vide Izaya dinnanzi a sé.
Questi, era seduto sulla bara, con le gambe accavallate. Non
era disturbato dalla luce del lume, che faceva sembrare fuoco i suoi
occhi
rossicci.
In mano teneva un bicchiere con un liquido rosso sangue, che
prima scuoteva e poi portava alle labbra.
Non gli rivolse una parola e non fece cadere alcuna goccia
dall’orlo di vetro.
Questa notte non sono andato a disturbare nessuno.”
“Mi hai sognato? Sono il tuo incubo?
Sono la tua tenebra?”
“Perché sei qui?”
“Perché ho trovato te.”
Si mise di nuovo in modo composto.
Gli occhi vagarono un momento in quel posto grande ma vuoto:
le pareti erano umide e non vi era nulla di valore.
Era un posto abbandonato. Gli unici oggetti presenti erano
la sua bara e ciò che aveva rubato agli esseri umani mentre
dormivano nelle
loro case.
“Tu sei come me. Non sei
umano. Ma non sei temuto, tu sei
amato.
Dimmi: ti senti come loro?”
“Non parlarmi come se mi conoscessi!”
“Shizu-chan, io ti ho
osservato a lungo.
Ho osservato gli esseri umani che trovavo interessanti, ma
nessuno ha suscitato in me lo stesso che mi hai fatto provare tu.
Potrebbe chiamarsi “eccitazione”. Peccato che in
questa
forma non possa percepirla come tale.”
Shizuo fece un passo indietro e strinse la piccola croce con
così tanta forza che avrebbe potuto romperla.
“Questo è… sangue?”
“Esattamente. Ma non
è sangue umano. E’ sangue animale.
Io amo gli esseri umani, non gli farei mai del male.”
“Cosa vuoi da me? Facciamola finita.”
“Avvicinati.”
Si avvicinò senza esitazioni, avendo con sé
ciò che poteva diventare un’arma.
Izaya gli fece cenno di sedersi sulla bara accanto a lui e,
seppur con uno sguardo che esprimeva ripugnanza, lo fece.
“Shizu-chan, tu credi in
Dio?”, fu la prima domanda del
vampiro.
Ciò lo stupì, ma rispose, nonostante trovasse alquanto strano fare “conversazione” con un essere simile.
“Non dire sciocchezze”. Mantenne comunque un atteggiamento scostante.
“Eppure tu lavori per la Chiesa: sei uno di loro.”
“Io lavoro lì
perché sono e voglio essere un esorcista:
quella è la sola struttura che mi permette di farlo.
Io credo nell’uomo prima che in Dio.”
Io esisto. Eppure, tu non credi nella mia vita.
Vuoi forse negarmi l’immortalità tanto
bramata?”
“Tu non desideri la vita eterna?”
“Tu sei un mostro, non puoi
condurre la vita come tutti gli
altri.
Perciò, staresti bene come uno della mia specie.
Io non mi nutro di esseri umani, come ho detto prima.”
Izaya si avvicinò col viso
a lui, al suo collo scoperto –non
aveva la giacca con sé, l’aveva lasciata tra gli
abiti in Chiesa per non
destare sospetti nel caso ci fossero stati problemi nella cripta.
Gli ecclesiastici gli avevano esplicitamente detto di non
mettere piede lì, in quanto non era di sua competenza.
Ma una cripta vuota a cosa poteva mai servire?
Inizialmente, aveva pensato che i preti sapessero che lì si
trovava il vampiro; ma aveva scacciato subito quel pensiero.
Shizuo sentì il fiato caldo dell’altro e si
allontanò,
ritraendosi col busto.
“Izaya, stammi
lontano!”, ringhiò.
“Shizu-chan, se tu hai una
vita mortale, come puoi
pretendere di salvare gli uomini?
Di esorcisti come te, dotati di un potere così speciale, non
ce ne sono.
Se tu morissi, qui o fuori, accidentalmente, cosa
accadrebbe?”
Era un qualcosa a cui Shizuo non
aveva affatto pensato.
Con la sua forza, era convinto che nessuno lo avrebbe
fermato –per ora.
Sì, sarebbe invecchiato, ma non avrebbe ceduto a
un’idea
tanto bizzarra.
Lui uccideva i demoni per distruggere ciò che credeva si
insinuasse dentro di sé: voleva purificarsi, far fuggire
quella paura, credere
di non essere come le cose che vedeva e rimandava nell’ombra.
Non ripudiava se stesso, si sentiva “in bilico”.
Si riteneva normale, eppure aveva quel qualcosa di diverso
che controllava e voleva usare per il bene, in caso di
necessità.
No, non avrebbe mai ceduto a quello che era davanti a lui:
all’incarnazione del male.
Non ottenendo alcuna risposta, ma vedendo le sue mani che tremavano per il nervoso, Izaya, temendo sarebbe esploso da un momento all’altro, parlò di nuovo:
“Eh?”
Shizuo lo guardò e spalancò gli occhi:
“Non dire cazzate!”,
lo aggredì.
Sono stanco di bere sangue animale.
Bramo il tuo.”
Lo avrebbe lasciato fare: in quel modo avrebbe salvato gli altri, che
si erano
lamentati del bestiame che moriva o veniva a mancare a causa sua.
In quel modo, avrebbe provato un contatto ravvicinato con un
demone come mai era successo. Ed era un qualcosa che lo attirava. Il
comportamento del vampiro, poi, faceva un certo effetto su di lui: la
rabbia
diveniva una sorta di piacere interiore.
Dopotutto, aveva dalla sua parte quel fascino che riusciva
ad ammaliarlo.
La bellezza dell’innaturale, la giovinezza
dell’immortale.
La perfezione.
Un aspetto così seducente e composto,
un’interiorità distorta,
eccentrica, insolita.
Izaya passò la punta della
lingua sulla pelle calda del
collo, sentendo il brivido che l’attraversava e la rendeva
ruvida al tatto.
Poi, affondò i denti nella carne tenera.
Shizuo sentì inizialmente un pizzico, come una puntura. Poi
provò fastidio quando i denti affondarono maggiormente e si
ritrassero.
Percepiva chiaramente le labbra dell’altro e il sangue
fluire all’esterno con forza, risucchiato
dall’antro caldo della bocca.
Il vampiro trovò quel sapore inebriante e si
portò
maggiormente contro di lui, per prendere il sangue con più
foga, dettata dalla
sete.
Provò un piacere che lo portò a mugugnare.
L’esorcista ebbe violenti fremiti che lo scossero. Un
piacere si impossessò di lui e il calore aumentò
quando sentì il respiro del
demone uscire dalle narici e accarezzarlo, interrompersi quando questi
sospirava contro la ferita sul suo collo.
Il corpo si irrigidì.
Aprì gli occhi e li abbassò, accorgendosi come
fosse ormai
evidente che la parte intima stesse reagendo a tutto quello.
Immediatamente si
scansò, dando uno spintone all’altro.
Izaya, che non aveva calcolato ciò, cadde a terra,
scivolando dalla barra.
Vide negli occhi dell’esorcista affanno, insoddisfazione.
Non c’era paura, ma disagio.
Era ovvio: era la prima volta che veniva morso!
… Ma non era solo quello:
Tu, invece, dimostri evidentemente le tue emozioni.”
Aveva le labbra sporche di sangue, come anche i canini
appuntiti, ma continuò a parlare:
“Non dico di essere soddisfatto, dal momento che hai
interrotto e non posso prelevarne quanto vorrei, ossia fino
all’ultima goccia…
ma tu, a quanto pare, sei ridotto peggio.”
Fece un passo in avanti, alzandosi da terra: “Posso fare
qualcosa?”
Chiese con eleganza e una punta di malizia.
Izaya lo lasciò andare, sicuro che sarebbe tornato la notte
seguente.
Sapeva di essere il suo sogno angoscioso, oppressivo,
frequente, che lo faceva restar sveglio col respiro affannato e
l’eccitazione
addosso, mista al sudore e un senso di smarrimento.
Il suo incubo.
Le notti seguenti, si incontrarono segretamente: Shizuo
offriva il suo sangue a Izaya, che aveva l’abitudine di
mordere altrove e non
nello stesso punto.
Quando il collo era pieno di segni, passava ad altre zone.
Ormai la luna illuminava il paesino
silenzioso, le campane
avevano già rintoccato –segnando le tre di notte,
e Shizuo fece staccare Izaya
dal braccio.
Gli prese violentemente il mento con due dita e si chinò a
baciarlo in modo rude, sentendo il sapore del proprio sangue.
Quello gli morse più volte le labbra fino a farle sanguinare
e si scambiarono
un bacio bagnato e passionale, dal sapore ferroso.
Era ripugnante tutto ciò, ma non riusciva a controllare
l’istinto.
Forse, dopotutto, aveva trovato qualcuno che, essendo –in
parte- come lui, poteva stare al suo fianco. Su di lui poteva sfogarsi,
con lui
poteva sperimentare cose mai provate.
Si era sempre rassegnato ad una vita solitaria a causa della
sua natura, nonostante molte persone tenessero a lui – in
primis, il parroco
che lo aveva invitato ad unirsi alla Chiesa per qualcosa di buono: Tom
Tanaka.
Una compagnia del genere, però, poteva forse averla proprio
da chi era completamente un mostro, sia esteriormente (i canini, gli
occhi
rossicci, le unghie lunghe che sembravano vetro), che interiormente -e
che
quindi era odiato da chiunque.
Dopo che fu sazio delle sue labbra, Izaya non sembrò averne
abbastanza: iniziò a toccare la sua intimità
avidamente, con le dita sottili e
le unghie affilate.
Entrambi si misero in terra e Shizuo restò seduto, con le
gambe aperte e i pantaloni e l’intimo abbassati fino alle
caviglie.
Era tutto dannatamente scomodo, il pavimento era freddo e
faceva male.
Le mani di Izaya avvolsero la sua evidente erezione e lui
emise un sospiro roco, non riuscendo a trattenere le sensazioni forti
che gli
facevano quasi girare la testa.
Dal braccio il sangue scivolava, deliziando la vista del
vampiro. Questi masturbò il sesso dell’altro,
strofinando più volte la punta
col pollice, stando attendo a usare il polpastrello e non
l’unghia.
Shizuo teneva gli occhi chiusi e il capo girato, in preda
alla vergogna.
La piccola croce era adagiata sul suo petto visibile dalla
camicia aperta.
L’esorcista a quel punto aprì gli occhi e li
portò su di
lui.
Con una mano andò ad afferrargli i capelli, incitandolo a
fare di più.
Ma quando Izaya provò ad accogliere l’erezione tra
le
labbra, Shizuo lanciò un grido e lo strattonò per
le ciocche nere per farlo
allontanare: i denti pungevano.
Leccò il seme dell’altro, trovandolo insapore, e
venne
improvvisamente spinto con la schiena a terra.
“Shizu-chan!”
Izaya proruppe in una fragorosa risata:
“Mi faresti solo del male.
Gli prese una mano tra le proprie e se la posò sul cavallo
dei pantaloni.
“Senti?”
Non vi era traccia di eccitazione.
Poi se la portò al petto, all’altezza del cuore.
“Capisci?”
Il suo cuore non batteva.
Il suo dannato cuore non batteva!
Si alzò in piedi e si rivestì, senza dire una
parola.
Izaya rimase sdraiato, con un ghigno rivolto a lui, alla sua
reazione.
L’esorcista se ne andò, ancora avvolto nel
silenzio: non
sopportava niente di lui e di quello che facevano, nonostante se ne
fosse fatto
una ragione e avesse accettato i bisogni e le voglie del proprio corpo.
Odiava perfino l’espressione che contornava ogni volta il
suo volto.
- -
Il loro gioco durò due settimane.
La notte del quindicesimo giorno, qualcosa cambiò.
Istintivamente la indossò e andò alla cripta: la
porta era
aperta e da essa usciva fumo nero.
Gli abitanti iniziarono ad uscire dalle loro abitazioni.
Corse lungo lo stretto corridoio, trattenendo il respiro.
Quando arrivò allo spazio circolare e grande, vide legna e
fuoco sul pavimento e gli ecclesiastici, nelle loro vesti, che
circondavano il
vampiro.
Izaya, tra il fuoco accecante e le figure dei preti (erano
quattro), era immobile, con la sua solita espressione metà
divertita e metà
sprezzante.
Shizuo chiamò il suo nome e quello rise quando lo vide
dinnanzi a sé.
I sacerdoti si rivolsero a lui: gli dissero che era diventato lo
strumento del
Diavolo e loro lo sapevano. Lui era ancora lì e lui non lo
aveva cacciato. Lui
era in -buoni- rapporti con quel vampiro, altrimenti non si spiegava il
perché
non uscisse più allo scoperto, non si nutrisse
più di animali, non "baciasse" gli
umani rimasti, non rubasse più oggetti di valore e non.
Ha lasciato la Cappella in silenzio, chiedendoci di non
farle del male.
Tornerà, ma quando la faccenda sarà
finita.”
Cosa lo spingeva a proteggerlo?
Sicuramente, il fatto che il vampiro non fosse cattivo, né
“contro
Dio”, nonostante la sua natura non umana.
Non sopportava ciò che stava succedendo.
Si avvicinò a Izaya e lo afferrò per un polso.
La luce non avrebbe ucciso gli ecclesiastici, ma le punte
alle estremità li avrebbero feriti.
Shizuo non avrebbe mai fatto del male a nessuno di loro, li
minacciò solo al fine di allontanarli.
Fu chiamato “traditore di Dio”.
E qualcuno disse: “Dio ti punirà. L’ha
già fatto,
lasciandoti l’amore di quel mostro che ti
divorerà.”
Uscì dalla cappella
assieme all’altro.
Non appena fu fuori, vide i cittadini in pigiama riversi in
strada. I bambini erano scalzi.
Strinse i denti e abbassò lo sguardo.
Il suo tocco al polso di Izaya era così forte che quello
sentì dolore.
L’esorcista sapeva che non c’era più
posto per lui lì.
Lo additarono e molti, con le fiaccole in mano, si
avventarono sul vampiro, che si difese da solo con agilità,
liberandosi dalla
stretta dell’altro.
Alla fine, riuscirono a rifugiarsi in casa di Shizuo.
“Shizu-chan, tu mi ami?”, chiese Izaya con un tono che sembrava derisorio (o era semplicemente il suo?), una volta che arrivarono lì, al sicuro.
“Smettila di dire sciocchezze. Guarda cos’è successo! Tutta colpa tua, che hai cominciato quel perverso gioco!”
Non alzò un dito su
di lui, ma gli urlò contro più volte,
minacciandolo con la croce dorata, che poi
lasciò cadere in terra –e così
tornò ad essere un piccolo crocifisso.
Quando si fu calmato, disse:
Domani notte, ci metteremo in
viaggio. Andremo in un posto lontano e sicuro.”
Poteva chiedere a Tom di aiutarli,
nasconderli dalla Chiesa
che lo ospitava. Ma avrebbe significato metterlo nei guai. Non avrebbe
mai
potuto.
“Shizu-chan, come possiamo
farlo se sei umano?
Io posso nutrirmi del tuo sangue, ma tu?
Hai bisogno di dormire, mangiare-”
“Starò bene. Chiudi il becco.”
Dopo cinque minuti in cui Izaya aveva preso a guardare il
soffitto, illuminato dalla lampadina sul comodino accanto al letto sul
quale
era sdraiato, Shizuo, che sedeva al bordo, lo chiamò:
“Izaya.”
Senza guardarlo, con la piccola croce ai piedi e le mani
giunte che tremavano per il nervosismo, disse:
“Dammi quello che volevi.”
“L’eternità?”
Arrivò all’altezza del suo collo, chinandosi con
la bocca
all’altezza di quello.
Shizuo non rispose. Si lasciò strappare il collo alto della
giacca, il colletto della camicia, si lasciò uccidere dai
suoi canini e portar
in vita dal suo sangue.
Lo bevve a grandi sorsi, conoscendo il piacere di cui
parlava l’altro.
Se voleva passare il resto dei suoi giorni con lui, doveva
avere la sua stessa natura.
Un sacrificio più grande di quelli fatti finora per un amore
che superava quello degli abitanti del suo paese.
Adesso
aveva una sfida più grande: controllare la sua natura
di demonio e fare il bene con questa, controllare la sete e il suo
essere.
Raccolse la piccola croce e se la mise al collo: mutarla voleva
dire morire, ma gettarla via voleva rinnegare tutto ciò che
era stato e che
era.
Andò a serrare le finestre per il giorno che veniva e che
non avrebbe più sopportato.
Tutta colpa di quella sottospecie di demone.
Quando tornò in camera da letto, sentì la
stanchezza
cogliere le sue membra.
Notò che anche l’altro si era addormentato.
Si adagiò su letto: in quel modo aveva salvato il paese e se
stesso dal tormento della sua esistenza. Un mostro non poteva fingersi
umano,
un umano non poteva possedere una forza mostruosa, essere in grado di
esercitare la magia sulle croci, racchiudere la luce, cacciare i demoni.
O umano, o mostro. Aveva fatto la sua scelta, in un certo
senso si sentiva liberato da quella parte di cui non aveva
più neanche le
fattezze.
Ma i sentimenti sì.
Nonostante il cuore non battesse, provava delle forti
emozioni e sensazioni fisiche.
Anche se gli ecclesiastici lo avevano sempre trattato come
uno di loro, Izaya aveva tirato fuori la parte di lui che
più lo angustiava.
In un certo senso, è come se fosse stato lui a salvarlo.
Odioso. Era una pulce che si attaccava, neanche un
‘pipistrello’.
Si irritò appena a quel pensiero e al leggero sorriso che ne
seguì.
Benché gli abitanti gli avessero dato rispetto e
ammirazione, Izaya era l’unico da cui si sentiva realmente
amato per come era,
non per cosa faceva.
Ciò che aveva cercato nella sua vita senza sogni, fatta di
notti insonni e demoni deformi, lo aveva trovato in un incubo.
Hold me,
Like you held on to
life
When all fears came
alive[…]
Love me,
Like you loved the sun*
(*HIM
– Vampire Heart)