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Autore: frodina178    19/06/2004    1 recensioni
Ampiamente ispirato al libro e al film "I Diari della Motocicletta"di Che Guevara.Due amici,un continente,una motocicletta e tanto tempo per pensare.
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Monaghan, Elijah Wood, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ringraziamenti: un enorme grazie a Moon, Roy e Chu(quando aggiorni?), che seguono la mia storia regolarmente, e mi fanno sapere cosa ne pensano. Un grande in bocca al lupo a Mandy per i suoi esami. Non sapete quanto mi fa piacere che vi piaccia, perché sapevo sin dall'inizio che sarebbe stata una trama un po' particolare, che poteva essere apprezzata oppure disprezzata. Se anche piace ad una sola persona, significa che sono riuscita a trasmettere qualche cosa, e questo mi riempie il cuore. Grazie ragazze!

Nota: questo è un capitolo quasi esclusivamente introspettivo, che, purtroppo, per lo svolgimento della trama, anche fisica, non può essere saltato. Scusatemi veramente.

Mozambico-Zambia-Zaire - da Tete a Kamina - Km. 10.060 - from day 12 to day 25

La mattina successiva sembrava non essere rimasta più traccia della tensione accumulata il giorno precedente. Orlando, durante tutto il giorno, non aveva nemmeno minimamente accennato a sua madre, così Dominic aveva fatto nulla per istigarlo. Entrambi avevano spento il cellulare, anche se per motivi completamente differenti: l'inglese non voleva essere chiamato da nessuno, in particolar modo da sua sorella, mentre l'amico si era completamente dimenticato d'accenderlo, quando alzato. Così, irrintracciabili, avevano continuato il loro viaggio attraverso il Mozambico, per poi fermarsi a Kabwe, città dello Zambia. Qui avevano pernottato per tre notti in una locanda, visitando il luogo, rifornendosi d'oggettistica locale ma, principalmente, riposando.
Il primo pomeriggio del sedicesimo giorno erano ripartiti, abbastanza carichi e alimentati. Durante il tragitto Dominic s'era sentito male, ed erano dovuti restare quattro giorni in un ospedale a causa della sua influenza intestinale. Da quel momento si ripromise di non assaggiare più specialità locali.
Il ventitreesimo giorno entrarono in Zaire, viaggiando ininterrottamente fino alla città di Kamina. E qui mi fermo a raccontare un giorno in particolare, considerandolo importante nei suoi avvenimenti.

Erano le due del pomeriggio, Dominic era uscito alla ricerca di un ufficio postale, mentre Orlando aveva preferito rimanere in stanza a riposare. L'albergo in cui si erano fermati poteva essere considerato uno dei peggiori che avesse mai visto: il bagno era in comune per tutti i piani, le incrostazioni ai muri erano tante almeno quanti gli scarafaggi, il letto, uno solamente, cigolava ad ogni minimo movimento. Non c'era la televisione, niente frigo-bar, nessun tappeto o lampadario, tanto che, se volevi leggere, dovevi posizionarti sotto la finestra, che consisteva in due sottili vetri, di cui uno frantumato.
Orlando percepiva un impellente bisogno di lavarsi, ma l'idea di usare quella minuscola doccia in comune lo faceva rabbrividire. Effettivamente non che ci fosse molto da biasimarlo, lo scarico era quasi totalmente otturato da grumi di capelli, mentre il tubo era talmente incrostato da non distinguersi dalla parete.
Si gettò sul letto boccone, affondando il volto nel cuscino. Si stava annoiando a morte e, si sa, la noia a volte è deleteria. Inoltre, in questo modo, non poteva fare a meno di pensare, così presto, nella sua mente, si formarono le immagini di sua madre. Tentò di tutto per scacciarle, arrivando addirittura a strapparsi, uno per uno, i peli delle gambe, solo per tenere i pensieri occupati. Quando si rese conto di ciò che stava facendo, scrollò la testa, dandosi dello stupido. Frugò nella borsa cibarie, alla ricerca di una birra. Poi si bloccò, lanciando un'occhiata alla sacca proprio accanto, dove, giorni prima, aveva abbandonato il cellulare spento. Ebbe qualche esitazione, ma alla fine allungò un braccio e lo prese tra le mani. Lo rigirò qualche istante, prima di premere il bottone rosso ed inserire il PIN. Appena lo schermo si fu caricato, messaggi a non finire lo informavano delle chiamate che aveva ricevuto. Tra queste figuravano centoventisette di sua sorella, trentadue di Kate, vari numeri d'amici e altri sconosciuti. Poi ascoltò la segreteria, che conteneva diciannove registrazioni; molte erano di lavoro, due della sua ragazza, una d'Elijah e una di sua sorella. Riporto qui sotto le loro parole:

Messaggio d'Elijah: Cazzo Orlando, perché non accendi mai il telefono? Quello di Dom non prende mai e devo assolutamente parlarvi! Qui tutti stanno cercando di contattarvi….bè, appena senti questo messaggio chiamami IMMEDIATAMENTE, è molto importante!

Messaggio di Samantha: Orlando….silenzio….Orlando…non è possibile che non rispondi mai….la sua voce era stranamente bassa e tranquilla, in modo preoccupante….bè, sono giorni che provo a chiamarti. Mamma è morta. Tutto qua, ma probabilmente non te ne frega niente, quindi non mi aspetto che tu mi richiami dopo aver sentito questo messaggio. Ne avevamo già parlato, tempo fa, basta la mia firma per donare i suoi organi, quindi non ti preoccupare. Divertiti….silenzio…io sto bene, non ti preoccupare…ma in fondo che te lo dico a fare? Non lo hai mai fatto, quindi è inutile la mia richiesta…vabbè…non so più che dirti…ciao…

Il cellulare scivolò a terra, mentre Orlando rimase immobile nella stessa posizione di pochi attimi prima. Il tono freddo e distaccato che Samantha aveva usato per informarlo della notizia, lo aveva sconvolto forse più della morte di sua madre. Sapeva che sarebbe arrivato questo momento, lo sapeva da mesi ormai, e si sarebbe aspettato di soffrire come mai nella sua vita; invece nella sua testa aleggiava il vuoto più assoluto. Non avrebbe trovato le parole per descrivere il suo stato d'animo, perché in realtà non esisteva.
Non la chiamò, non fece assolutamente niente, non s'informò dove avrebbero portato la salma, come stesse sua nonna o quando si sarebbe svolto il funerale. Si limitò a spegnere il telefono e a rimetterlo nella sacca, chiudendo come un automa la cerniera.
-Ehilà! -Dominic entrò sorridente, poggiando due grosse borse per terra e asciugandosi il sudore dalla fronte -Non ho trovato la posta, in compenso ho fatto un po' di spesa, le cibarie stavano per…- si bloccò nel vedere il colorito pallido dell'amico.
-Stai bene?- lo avvicinò, poggiandogli una mano sulla spalla. Orlando, cercando di sfoderare il miglior sorriso che in quel frangente gli riusciva, rispose
-Benissimo, solo stanco. Elijah mi ha lasciato un messaggio, dobbiamo chiamarlo!-.
Il tedesco scrollò le spalle, frugando nelle tasche alla ricerca del telefono. Cercò una posizione in qui prendesse.
-Dio, non funziona mai questo residuato!- finalmente, sotto la finestra, comparsero sul desktop due tacchette. Cercò in rubrica il numero dell'amico, lasciando squillare pazientemente.
-Non risponde…- sospirò -Proveremo più tardi!-.
Orlando fu eccezionale nel non lasciar trapelare alcun'emozione, così Dominic non ebbe indizi per poter comprendere la sua psiche e il suo stato, che parevano simili ai soliti. E anche l'inglese, sebbene si sforzasse di capire cosa stesse succedendo dentro di lui, non riusciva a giustificare la sua assurda apatia.
Il tedesco disse di aver bisogno di una doccia, ma ritornò poco dopo, inveendo poco gentilmente contro la sporcizia che regnava sovrana. Si rassegnò così, anche lui, al sudore appiccicaticcio tra le gambe.
-Allora…-sospirò, lasciandosi cadere esausto su una sedia -Hai intenzione di partire questa sera o ci fermiamo qui?-.
-Non saprei… -si grattò la testa -Vedi un po' tu, io non sono stanco, per me possiamo anche riprendere questa notte!-.
Era diventato consueto, per loro, viaggiare la sera tardi, fino al mattino, quando c'era meno gente per le strade e il caldo non soffocava.
-A dirti tutta la verità…dopo quella maledetta influenza intestinale mi sento ancora un po' in subbuglio…non mi dispiacerebbe dormire qui oggi…a te va bene?-.
-Cavoli! Sei sordo? Ti ho detto che per me è lo stesso!- sbuffò Orlando aprendo le braccia scocciato. Dominic rimase interdetto da questa reazione, e lo guardò torvo. L'amico, dal canto suo, si era stupito del nervosismo esagerato che aveva mostrato, di cui nemmeno lui stesso riusciva a capacitarsi, così si scusò. Il tedesco accettò le scuse, anche se, in realtà, dentro di se ancora non comprendeva.
Decisero di restare nella locanda tutta la notte; Dominic riuscì a dormire profondamente, seppur, nei pensieri, turbato da quello che stava succedendo all'amico. L'inglese, invece, rimase tutto il tempo sdraiato nel suo lato del letto, con le braccia incrociate e gli occhi, inevitabilmente, aperti. Nella sua mente viaggiavano una quantità inimmaginabile d'immagini ma, al contempo, vagava nel vuoto più assoluto. Era come se ancora non riuscisse a rendersi conto della realtà delle cose; probabilmente, la morte della madre, era una prospettiva così assurda e quasi inconcepibile, da rivelarsi impossibile da accettare.
Purtroppo, o fortunatamente, dipende dai punti di vista, lentamente, nel silenzio della notte afosa, Orlando non poté mentirsi a lungo.
Non vedrò mai più i suoi occhi, non le prenderò mai più la mano, non raccoglierò ancora il suo sorriso, non potrò sentire le sue raccomandazioni ogni volta che devo partire, non…
Quando qualcuno che amiamo ci lascia, non sono le cose che verranno a spaventarci, ma quelle che non verranno più. La prospettiva di rendere concreto l'addio ad una persona è terrificante.
Mentre pensava queste cose, un conato di vomito lo invase, costringendolo a precipitarsi in bagno. Rialzò la testa dal water solamente quando ormai, nel suo stomaco, rimaneva niente da svuotare. Si aggrappò alla tavoletta, respirando forte e chiudendo gli occhi. Ora gli era tutto chiaro, tutte le parole e gli avvenimenti. Sua madre era morta, era un cadavere, un mucchio d'ossa senza vita. Non era una separazione momentanea, con la promessa di un incontro; era la fine. Se n'era andata, come aveva fatto suo padre. Solo che, in quel caso, non si era comportato da vigliacco e meschino; questa volta sì, con tutto se stesso, sembrava quasi si fosse sforzato di farlo.
In quel frangente, non poteva importargli di meno delle condizioni della doccia; così si pose sotto il getto s'acqua, rendendola il più fredda possibile; cosa non difficile, dato che quella calda non esisteva. Lasciò che le gocce gelate attraversassero i suoi vestiti, solleticandogli l'ombelico e provocandogli brividi lungo tutto il corpo. Si appoggiò di schiena al muro di piastrelle, sollevando il mento e passandosi le mani tra i capelli.
La chiarezza della situazione era sconvolgente.
Ritornò in camera, cercando di fare il meno rumore possibile per non svegliare il compagno. Lo fissò qualche istante dormire, prima di mettersi seduto sul pavimento, a gambe incrociate. Poggiò la testa sui palmi aperti, puntando i gomiti sulle ginocchia. Prese ad osservare le gambe del letto.
Dopo un tempo, che a lui parve infinito, si sollevò, infilandosi il cappellino della Ferrari ed uscendo. Aveva bisogno di mangiare, potrebbe sembrare assurdo, ma il suo stomaco si era completamente svuotato, fisicamente. Si sentiva girare la testa, e non poteva permettersi di svenire. Inoltre n'approfittò per farsi una passeggiata, da solo. Abituato all'Inghilterra e all'America non gli venne in mente che, essendo notte inoltrata, sarebbe stato molto difficile trovare un negozio aperto. Fortunatamente, almeno in questo, la sorte sembrò essergli propizia, perché capitò presto in un bar semideserto.
Un uomo bianco, sulla cinquantina, stava sommariamente pulendo il bancone di legno con uno straccio e, quando entrò Orlando, si limitò a lanciargli un'occhiata rapidissima. Il ragazzo si sedette ad un tavolino un po' in disparte, sentendosi addosso gli sguardi curiosi dei pochi clienti presenti. Questi consistevano principalmente in uomini, bianchi, anziani e stempiati, con una birra o un wisky stretti tra le mani. Orlando lasciò scivolare una banconota di valuta locale, che si erano premuniti di cambiare la mattina precedente, lungo il tavolo, attendendo che qualcuno venisse a prendere la sua ordinazione. Rispolverò le poche parole in portoghese che aveva appreso per le situazioni d'emergenza, ed ordinò carne e birra. Nel piatto gli venne presentata un ammasso di parti molli, che probabilmente corrispondevano alle interiora di qualche animale. Non ci fece particolare caso, anzi, non ci badò proprio, l'importante era infilare qualche cosa nello stomaco. Non riuscì nemmeno a sentire il sapore del cibo, limitandosi a gesti meccanici, dettati esclusivamente dalla necessità impellente. Bevve la birra tutta d'un fiato, come nell'intenzione di spegnere quel fuoco che sembrava bruciargli dentro. Simulò un flato con un colpo di tosse, anche se nessuno, lì dentro, ci avrebbe fatto caso. Poggiò la fronte sul tavolino, rialzandola solamente quando una ragazza venne a liberargli il tavolo dal piatto e dal bicchiere. Lui, sollevando un poco una mano, le fece capire che voleva ancora da bere.
-Vuoi ancora birra?- sorrise lei.
Orlando sospirò sollevando sentendo il suo inglese, seppur abbastanza stentato.
-Avete qualcosa di più forte?- storse la bocca lui, grattandosi un sopracciglio, lievemente in imbarazzo.
-Cosa devi dimenticare?- domandò lei, con un tono furbesco, ma ugualmente dolce. Il ragazzo rise, diventando rosso. Non era sua abitudine affogare i dispiaceri nell'alcool, e nemmeno quella volta ne aveva l'intenzione. Solamente sentiva il bisogno di qualcosa che lo svegliasse un poco, di modo da poter pensare lucidamente ai provvedimenti da prendere, considerando anche il fatto che Dominic non era stato messo al corrente della situazione.
-Abbiamo del vino tunisino, se vuoi. Oppure il latte di suocera, è la cosa più forte che abbiamo…-.
-Ecco, dai, non so cosa sia, però portami quello…-.
-Un bicchierino di latte di suocera, allora?- domandò lei, per avere una conferma.
-Tu portami la bottiglia per favore, e un bicchiere... -.
La ragazza lo guardò un po' storto, ma poi, abituata com'era ad ubbidire agli ordini più stravaganti, si allontanò, ritornando poco dopo con quello che il cliente aveva chiesto.
-Grazie…- si sforzò lui di sorridere, afferrando a piene mani il recipiente di vetro e versando un goccio di quel liquido trasparente nel bicchiere. Si sentiva lo sguardo curioso della giovane cameriera addosso, così sollevò lo sguardo e la guardò a sua volta.
-Dove ti ho già visto?- fece lei sollevando dubbiosa un sopracciglio. Orlando non rispose, limitandosi a scrollare le spalle, ostentando indifferenza. Era sicuro che, se gli avesse rivelato chi era, lei gli avrebbe domandato un autografo, e poi non avrebbe smesso di fissarlo per tutta la notte. Non era il caso.
La ragazza non ci pensò molto, e ritornò dietro al bancone; la cosa non sembrava averla particolarmente toccata. Lui fu veramente grato alla sua apparente arrendevolezza, e si portò il bicchiere alle labbra. Senza pensarci molto inghiottì un profondo sorso. Il colore della sua faccia mutò improvvisamente, mentre gli occhi cominciarono a lacrimargli; la gola gli bruciava in un modo pazzesco, mentre quella roba lo aveva preso al cervello come una potente botta d'adrenalina. Tossì varie volte, aggrappandosi con una mano al bordo del tavolino. Quando si fu calmato, guardò in direzione della gente, sperando che nessuno si fosse accorto della sua figura, decisamente poco mascolina. Solo la ragazza, sebbene tentasse di celarlo, stava ridendo sotto i baffi, mentre sistemava gli sgabelli a gambe all'aria.
Al terzo bicchierino convenne che, anche se non aveva sortito l'effetto inizialmente voluto, quella bevanda lo stava decisamente rilassando. Al quinto decise che gli stava facendo veramente bene. Al settimo non riusciva a coordinare i propri movimenti. Al decimo la sua testa non si sollevava, se non a gran fatica, dal tavolino.

Dominic, dopo essersi rigirato varie volte nel letto, tentando di riaddormentarsi, si alzò. Era preoccupato per Orlando, lo aveva sentito uscire, poi rientrare, quindi andarsene di nuovo; era molto tempo che era fuori. Pensò fosse normale la sua inquietudine, vista la situazione familiare e la sua lontananza, però non poteva fare a meno di provare una punta d'apprensione. S'infilò i jeans e una canottiera, trafficando nella borsa. Secondo dei rapidi calcoli a Vancouver, dove Elijah in quel momento era per festeggiare il compleanno di sua madre, o almeno così presumeva il tedesco, doveva essere sera. Voleva chiamarlo, visto che quel pomeriggio non c'era riuscito. Come sempre, il suo cellulare non prendeva, così si abbandonò sconsolato sul letto. Non sapeva come ammazzare il tempo, sicuro che Morfeo, per quella notte, non l'avrebbe più accolto tra le sue braccia. Dopo essersi tagliato le unghie dei piedi e pettinato i capelli, veramente non aveva la minima idea di cosa avrebbe potuto fare. Gli venne l'idea di utilizzare il cellulare d'Orlando che, conoscendolo, sicuramente non si era portato dietro. Frugò nella sacca dell'amico, trovandolo, come sempre, spento. Fortunatamente conosceva il codice PIN, glielo aveva detto il compagno stesso, una mattina che ne aveva avuto bisogno. Si sedette sotto la finestra, poggiando la schiena al muro, cercando in rubrica il numero d'Elijah.
-Ciao Dominic! - la sua voce lo precedette -Non sai come sono contento di sentirti! Sono giorni che tutti cerchiamo di chiamarvi!-.
-Lo so, me lo ha detto Orlando. Solo che lui, lo sai, tiene il cellulare sempre spento, mentre il mio non prende mai…-.
-Vabbè...- tagliò corto l'altro, che sembrava avere una gran fretta -Senti, ho solo un minuto. Ti devo dire una cosa molto importante! Ti ricordi che ti avevo parlato di quell'articolo su People?-.
-Sì, perfettamente. Ma stai tranquillo, perché abbiamo già cambiato percorso e ora cerchiamo d'essere ancora più discreti…-.
-Mi fa piacere. L'altro giorno mi ha telefonato un giornalista chiedendomi informazioni. Io, naturalmente, gli ho detto che non ne sapevo niente e che probabilmente questa storia era stata tutta inventata. Non mi è sembrato particolarmente convinto…insomma…volevo solo dirvi di fare attenzione…-.
-Grazie del tuo interessamento, Lij, veramente, ma non ce n'è bisogno…-.
-Perfetto! Volevo solo avvertirvi! Ora ti devo proprio lasciare, ti richiamo io domani o, in ogni caso, uno di questi giorni, okay?-.
-Va bene, divertiti e fa gli auguri a tua madre!-.
-A mia madre?-.
-Sì…oggi non compie gli anni?-.
-Dì, il sole africano ti ha veramente fuso così tanto?-.
-Scusami…mi sono confuso…ciao…-.
Quando riattaccò si chiese come mai fosse stato tanto convinto che quel giorno fosse il compleanno della donna; anzi, Elijah non glielo aveva mai detto, però, stranamente, aveva quella convinzione. A volte succede, si disse, di essere sicuri di cose che in realtà non esistono. Forse anche Orlando poteva essere inserito in quel genere di cose. Cioè, non lui in quanto persona fisica, ma lui in quanto comportamento. Certo, poteva capire il voler fuggire dalla verità e dalla vita stessa, ma il suo atteggiamento aveva un non so che di malato. Dominic, se si fosse trovato nella sua situazione, non ci avrebbe pensato due volte a fare le valige e ritornare a casa, costasse quel che costasse. Invece Orlando ne sembrava quasi estraneo, come se la cosa non lo toccasse. Per essere più precisi, in alcuni momenti sembrava la persona più sconvolta e pentita della terra, mentre in altri si comportava come se niente fosse. Se questa sua condotta rappresentava una specie di scudo protettivo verso il mondo, cominciava a vertere molto verso la schizofrenia.

-Posso avere una birra?- biascicò Orlando sollevando a fatica un braccio. Dopo tutto quell'alcool, praticamente puro, sentiva il bisogno di qualcosa di meno forte e rovente. Gli venne quasi immediatamente portata, sempre dalla ragazza. Cominciò a sorseggiarla, con lentezza, gustandosi ogni volta che il liquido freddo scivolava lungo la sua gola. Spostò di lato il latte di suocera, gli era venuta la nausea solo a sentirne l'odore. Era decisamente sbronzo. Lanciò un'occhiata al suo rolex, riuscendo a capire che erano, più o meno, le quattro del mattino. Doveva tornare in albergo da Dominic, avevano deciso di partire all'alba, e non sarebbe certo stato lui a ritardare la partenza. Si alzò dalla seggiola, traballando qualche incerto passo verso il bancone, dove sbatté con poca grazia una banconota.
-Guardi che ha già pagato!- sorrise sempre la stessa ragazza, intenta ad asciugare le stoviglie.
-Lo so! Questa è mancia!-.
Lei fece per aprire bocca, dissenziente, ma Orlando la fermò alzando una mano prima che potesse spiccicare parola. Si diresse verso la porta, tentando di mantenere un'andatura diritta con le facoltà che ancora si erano mantenute solide. Si ritrovò per la strada, non ricordando da che parte fosse arrivato. Sicuro era che l'albergo fosse vicino, ma che strada bisognasse imboccare per arrivarci appariva, ai suoi occhi, un mistero. Non ricordava nemmeno il nome della locanda, quindi chiedere informazioni sarebbe stato impossibile. Decise d'incamminarsi a sinistra, perché quella era la direzione del suo cuore e della sua mente, quindi, forse, gli avrebbe portato fortuna. Ma se sulle cartelle elettorali non lo aveva mai deluso, nella concretezza delle vie africane risultò una cattiva idea. Camminava da diversi minuti, ormai, e della pensione non c'era traccia, anzi, non vi erano segni di vita umana. In effetti, Kamina non era una metropoli, ma rappresentava pur sempre un importante centro di riferimento per lo Zaire meridionale. Orlando si sarebbe aspettato di vedere un gran via vai ad ogni ora, del giorno e della notte, invece sembrava quasi che tutti i cittadini si rintanassero nelle loro case, chiudendo addirittura le imposte. Anzi, c'era qualche cosa di molto strano. Nel bar dov'era stato non erano né uscite né entrate persone, ma tutti erano rimasti ai loro posti, perfino addormentandosi sui tavolini. Non era normale. Ma, ebbro qual era, non prestò molta attenzione alla cosa, proseguendo nella sua ricerca.

Dominic scrollò dalla mente quei pensieri, si stava rincitrullendo. Aveva passato molto tempo con Orlando, abbastanza da poter dire di conoscerlo bene; non era una persona falsa o menefreghista, semplicemente, a volte, molto ingenua e stupida. Il tedesco sospirò, pensando che, forse, non era il suo amico ad avere un comportamento scorretto, ma lui stesso. Non gli stava dando l'aiuto di cui, sebbene continuasse a negare, era palese necessitasse. Però la parte chiamata in causa era sì, Orlando, ma principalmente sua madre. Purtroppo Dominic non la conosceva, l'aveva vista una sola volta molto di fretta, ed era già un miracolo se si ricordava il suo nome. Quindi non riusciva, per quanto si sforzasse di farlo, ad essere minimamente in apprensione per lei. E per questo si sentiva sporco, non riusciva a capire come mai il suo cuore mostrasse tanta indifferenza. Una sola cosa gli dispiaceva, il fatto che Orlando non le fosse accanto. Sapeva che se ne sarebbe pentito amaramente, al punto da poter arrivare ad odiare se stesso, però non poteva fare più di tanto. Era adulto e vaccinato, doveva saper compiere da se le proprie scelte. Dominic aveva provato ad indirizzarlo verso quella che, secondo lui, era la strada più giusta, ma non c'era riuscito. Non sapeva bene cosa gli avrebbe detto, ma sentiva l'incalzante bisogno di parlare con l'amico. Inforcò i ray-ban, scendendo verso quella che somigliava molto vagamente ad una reception. Poggiò le chiavi sul bancone e si girò, facendo per andarsene.
-Dove cazzo crede d'andare??!- una voce bassa e rude lo bloccò.
E questo cosa vuole ancora…pensò, rivolgendosi al portiere, uomo scorbutico, zozzo e maleducato.
-Penso che siano affari miei!- sfoderò il migliore dei suoi sorrisi, voltandosi.
-Guardi, mettiamo in chiaro una cosa -disse l'uomo, a cui non era sfuggita l'ironia nascosta in quel sorriso -A me non me ne potrebbe importare di meno di quello che lei e il suo….amico…. -rise lievemente calcando questa parola -Facciate o non facciate. Lei fino alle sei non può uscire. -.
-E perché mai?- replicò Dominic, scocciato dall'insinuazione che era stata fatta riguardo al rapporto che vigeva tra lui ed Orlando.
-Perché da oggi fino alla fine della settimana c'è il coprifuoco!- disse spostando lo stuzzicadenti all'altro lato della bocca.
-Che coprifuoco?- il ragazzo cominciò a pensare di essere preso per i fondelli.
-Bello il mondo delle favole, americano? Purtroppo ora ne devi uscire, perché qui dalle dieci di sera fino a dopo l'alba nessuno mette mai piede fuori casa. -.
-Questo lo avevo capito…grazie…- strinse i denti, irritato -Vorrei sapere perché?- fece seguire le sue parole da gesti, come se stesse parlando ad un sordomuto.
-Lei può fare quello che le pare, però non esca di qui senza avermi prima pagato il conto. Non vorrei trovarmi a frugare nelle tasche di un cadavere per avere i miei soldi….-.
L'irritazione di Dominic stava raggiungendo livelli inimmaginabili.
-Ogni anno queste viene festeggiata come la settimana dell'occupazione….è proprio in questo periodo che, nel '600, i coloni portoghesi presero legalmente possesso di queste terre, naturalmente, con tutte le conseguenze che ne derivarono… -sorrise beato con lo sguardo perso nel vuoto -Da oggi fino a domenica, la notte è pieno di bande di ragazzi esaltati, ubriachi e drogati, che vogliono ripercorrere le gesta dei loro antenati. Insomma…mi capisce…per un negro di merda -Dominic, a quell'uscita, strinse i pungi, trattenendo l'impulso di fargli sanguinare il naso -E' praticamente impossibile uscire di casa e poi ritornarci. Ma anche per lei. Sa, non che facciano molta differenza tra bianchi, negri, mulatti, gialli o a pois…delinquenti sono e delinquenti rimangono. -.
-Non capisco tutto il suo interessamento verso di me…- disse il tedesco, vagamente sarcastico, ma anche oltremodo preoccupato.
-Glielo ho già detto, se lei vuole uscire da quella porta, prima mi paga tutto il conto, mancia compresa!-.
-Ma che gran testa di cazzo…- sussurrò mentre tirava fuori il portafogli e contava i soldi.
-Come, scusi?- tese l'orecchio, l'uomo.
-Niente!- pronunciò secco Dominic, voltandosi senza nemmeno guardarlo, dopo aver poggiato le banconote sul bancone.
Ora aveva un motivo in più per cercare Orlando. Conoscendolo, ipotizzava non si fosse spinto troppo lontano, dato il suo scarso interesse per le passeggiate, quando non c'era niente da comprare. Sperò di trovare qualche locale aperto, sicuro di trovarcelo dentro.

L'inglese aveva rinunciato a girare confusamente, si era seduto su una panchina coprendosi il volto con le mani. Era stata decisamente una pessima idea bere, quando già prima non era in buone condizioni. Il respiro si era fatto corto, mentre lo stomaco non dava segni di volersi zittire; la testa gli girava assurdamente, mentre si sentiva le gambe pesanti come fossero fatte di piombo. Non riusciva a rimanere diritto con la schiena, stava inevitabilmente gobbo, come se la posizione eretta fosse improvvisamente diventata troppo spossante da sostenere. Stare fisicamente e mentalmente male, è un connubio ben poco prospettabile, particolarmente quando si è soli. Avrebbe desiderato con tutto se stesso avere qualcuno vicino, in quel momento; non Dominic, nessuno in particolare. Solo del calore umano, una persona che gli cingesse le spalle dicendogli che tutto si sarebbe aggiustato. Mai, come in quella contingenza, aveva pensato fortemente che, l'idea di prendere e viaggiare, fosse stata estremamente sciocca. Forse, se non fosse partito, sua madre non si sarebbe aggravata, non sarebbe morta e Samantha non sarebbe da sola. Erano discorsi assurdi e campati in aria, logicamente, ma era talmente confuso e disorientato da non riuscire più a connettere pensieri sensati tra loro. Se ne faceva una colpa, e con ragione, lo sapeva. Avrebbe desiderato poterle stringere la mano negli ultimi attimi, abbracciare sua sorella alla funesta notizia, farsi salire in braccio Levone, in suo cane, che capiva sempre quando Orlando stava male, e si premurava di leccargli la faccia. Invece no, aveva preferito o, meglio, deciso, di rimanere accanto a Sandrina, e a Dominic che, seppur grande amico suo, non poteva certo compensare la mancanza della sua famiglia. Quale famiglia? Non aveva un padre, non aveva una madre. Che ne sarebbe stato ora di Samantha? Avrebbe vissuto con la nonna, che, per quanto dolce e tenera potesse essere, non era nemmeno in grado di badare alle proprie funzioni fisiologiche. No, non lo avrebbe permesso. Lei avrebbe vissuto con lui; ma la sua vita era talmente sregolata e priva di qualunque misura che, nonostante tutto l'amore che potesse darle, sarebbe stata deleteria. Allora, forse, avrebbe dovuto rinunciare al suo lavoro, a ciò che aveva conquistato lottando e sudando, compiendo degli enormi salti nel buio, procedendo alla cieca. No, lo sapeva, non lo avrebbe mai fatto, nemmeno per Samantha. Avrebbe tentato di conciliare le due cose, senza dover operare una scelta così drastica. Certo, c'erano i suoi zii, quelle care persone che erano magicamente ricomparse nella sua vita solamente dopo la fama. Non le avrebbe permesso di avvicinarsi troppo a loro. Chissà cosa stava facendo in quel momento, dov'era; forse piangeva, dormiva e si dondolava apatica. Orlando, per la prima volta, si rese conto di non conoscerla poi così bene come credeva, perché non riusciva ad immaginarsi la sua espressione, dopo quello che era successo. Non era un buon fratello, non lo era mai stato; la notte le sussurrava che loro due erano più di tutto migliori amici, persone che si amavano e non avrebbero mai permesso a niente e nessuno di separarli. E quel niente e nessuno era stato proprio lui, detentore di quelle promesse. Quante volte lei lo aveva chiamato, dicendogli che aveva bisogno di parlargli, di sfogarsi, anche su piccole cose, fatti quotidiani. E lui aveva sempre da fare, le assicurava che l'avrebbe richiamata più tardi ma, il più delle volte, irrimediabilmente se ne dimenticava, e anche se lei faceva finta di niente, era chiaro quanto ci stesse male. Ma non glielo aveva mai fatto pesare, aveva accettato tutte le sue scelte mostrando gioia, dalla sua partenza, da ragazzino, al suo trasferimento quasi permanente negli Stati Uniti. Orlando era stato troppo preso dagli eventi che sembravano scorrergli senza sosta davanti agli occhi, l'accademia, la prima, piccola parte in un film, poi un ruolo da protagonista, quindi la mutazione in un valoroso principe degli elfi, e via dicendo, per potersi accorgere che Samantha stava crescendo. Non aveva mai smesso d'amarla, nemmeno un istante, ma non si era nemmeno mai posto il problema che, forse, lei aveva un assurdo bisogno di lui. Si ricordava perfettamente quando non aveva potuto assistere al suo sedicesimo compleanno, data importantissima per una giovane ragazza. Aveva fatto di tutto per potersi liberare, ma non avevano voluto sentire ragioni: o lei, o il lavoro. Inutile ribadire quale scelta avesse compiuto.
Si stava torturando in questi pensieri, quando udì delle voci in lontananza.

Dominic camminava spedito, alla ricerca di qualunque indizio che lo riconducesse all'amico. Aveva trovato un locale aperto, era entrato e aveva chiesto informazioni. Orlando era stato lì, poco prima, ma poi se n'era andato. Maledisse il menefreghismo di quelle persone, che non lo avevano avvertito del rischio che correva, girando la notte, in quel periodo, per le strade di Kamina. In ogni modo era quasi l'alba, era anche probabile che ormai non gli succedesse niente. Quando seppe, dalla ragazza sempre molto gentile, che se n'era andato dal pub alquanto alticcio la sua ansia crebbe. Nessuno seppe dirgli in che direzione si fosse diretto o dove avesse avuto intenzione di andare, quindi dovette, per forza di cose, affidarsi alla buona sorte. S'incammino verso da destra, visto che era appena giunto dalla destra e davanti a lui si stagliavano edifici. Mentre avanzava lasciava ai suoi pensieri il permesso di vagare liberamente, spostandosi dalle cose più futili alle più fresche. Se per Orlando si era rivelata una pessima idea, fare quel tour, per lui forse non era meglio. Era all'inizio della sua carriera, certo, si era fatto un nome grazie alla trilogia di Peter, ma non che fosse particolarmente spiccato tra gli altri. Fino a quel momento aveva ricevuto molte proposte di lavoro, ma poche veramente interessanti, o comunque degne d'essere solamente considerate minimamente tali. Frugò nelle tasche, ringraziando se stesso per aver portato il cellulare, sentiva un assurdo bisogno di sentire la voce dei suoi genitori, voleva un consiglio o, meglio, una conferma. Si spostò da un marciapiede all'altro, alla ricerca di un posto dove la ricezione fosse sufficiente. Trovato, si accucciò per terra e compose il numero di casa, pregando di trovare qualcuno. Parlare con suo padre gli fece molto bene; non ricevette consigli o ammonimenti, semplicemente sincere parole di conforto. Versò qualche lacrimuccia di malinconia, quindi terminò la chiamata, riprendendo la ricerca dell'amico. Il telefono, dopo qualche minuto, squillò. Il numero in sovrimpressione era sconosciuto, così, Dominic, ebbe qualche titubanza a rispondere, ma alla fine cedette.
-Pronto?-.
-Dominic?- una voce femminile, che non riuscì a distinguere.
-Sì, in persona, chi parla?-.
-Sono Samantha, ti ricordi di me?-.
Al ragazzo prese un colpo, cosa poteva volere la sorella d'Orlando da lui?
-Certo che mi ricordo di te!- tentò d'essere il più dolce e gentile che gli riusciva.
-Mio fratello è lì con te?-.
Lui non sapeva cosa dirle, però decise di non mentire, perché di bugie, in quegli ultimi giorni, se n'erano dette anche troppe.
-No, non è con me. -.tacque però sul fatto che era da solo, ubriaco, per le strade notturne, estremamente pericolose, di Kamina.
-Sai se ha ascoltato il mio messaggio?- domandò.
-Alla segreteria? Non credo, ha sempre il cellulare spento- sospirò alzando gli occhi al cielo, grattandosi uno zigomo.
-Quindi non sa quello che è successo?- continuò lei, calma.
-Perché? Cosa è successo?-.
-Senti, ti dispiacerebbe dirglielo tu, che mamma è morta?-.
Dominic quasi si strozzò con la saliva. Così era successo, ma come avrebbe fatto a dirglielo?
-Penso sarebbe meglio se questo lo facessi tu, Samantha…-.
-Non voglio parlarci!-.
-Ascolta, io non faccio parte della vostra famiglia, non conoscevo tua madre e a te ti ho visto due volte sole. Però ti dico, vi state comportando stupidamente, anche se, lo ammetto, la colpa è tutta quasi esclusivamente d'Orlando. Avrete bisogno l'uno dell'altro, e in questo modo non fate altro che allontanarvi sempre di più. Credo tu abbia un po' più di senno, quindi cerca d'essere forte, e non far degenerare in questo modo, poco degno, i vostri rapporti…-.
-Sta male?- lo interruppe lei, secca.
-Certo che sta male, anche se fa di tutto per non farlo vedere…-.
-E allora perché non torna da me?- scoppiò a piangere lei.
Dominic, in quel momento, si sentì estremamente in colpa. La domanda della ragazza non aveva la minima intenzione d'essere un'accusa, purtroppo suonava molto come tale. Inoltre non avrebbe saputo darle una risposta sensata, quindi si limitò a tacere.
-Pensi che, prima o poi, ritornerà?-.
-Ma certo! Che domanda stupida! -rise in imbarazzo lui.
-Non credo sia tanto stupida, Dominic, non so più cosa aspettarmi, cerca di capire!-.
-Io ti capisco…- mentì lui.
-Credi abbia voglia di vedermi?-.
-Più d'ogni altra cosa, solo che è molto confuso e…- non sapeva perché stava cercando di giustificare l'amico, visto che sapeva perfettamente che era dalla parte del torto marcio.
-Lo conosco -disse lei -E' troppo orgoglioso, quindi vengo a prenderlo…-.
-Cosa fai??!- le parole gli uscirono quasi urlate.
-Ho detto che vengo a prenderlo! Devi solo dirmi dove siete, e io parto questa sera!-.
-Ma tu non puoi…-.
-Perché non posso??! -sbraitò lei, mista tra la rabbia e la disperazione -Io sto andando fuori di matto! Ti rendi conto??! E' crepata mia madre e sono circondata da persone a cui, di me, non gliene frega un cazzo! Conosco Orlando, so che anche lui si sente solo! Non voglio sminuire la vostra amicizia, Dominic, ma non è di te che ha bisogno in questo momento…-.
Lui sapeva che quelle parole erano tremendamente vere.
-Quanti anni hai?- domandò poi.
-Diciotto- rispose lei.
-Bene…allora non dovrebbero esserci problemi…-.
Le diede tutte le informazioni necessarie, con la promessa che non avrebbe detto niente ad Orlando. L'avrebbe fatto rimanere a Kamina con una scusa. Quindi, riprese a cercarlo, con però, ancora più apprensione nel cuore.


  
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