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Autore: melania    03/05/2007    10 recensioni
Una notte come le altre. Un futon caldo in cui dormire. Una finestra a separarlo dalla pioggia che imperversa fuori. Poi...il suono di un campanello che interrompe il silenzio. E la sua vita.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Questa notte ho fatto un sogno

AIUTAMI

°6°

 

*Ciauzzzzzzzzzzz.. dopo una pausa millenaria (periodo feste natalizie-capodanno, periodo pre-esami, periodo esami, periodo post-esami, periodo inizio lezioni e proseguimento lezioni, periodo feste Pasquali, periodo del nulla) rieccomi qui. Scrivere questa storia non è facile, il tema è difficile e non voglio scadere in luoghi comuni…speriamo bene*

*Grazie a tutte le/i ragazze/i (seika, Yumi, HiNao, kiba91, Kate91, airis) che hanno commentato o che hanno solo letto l’ultimo capitolo….GRAZIE (_ _) !!!*

*Un baciotto enorme…e buona (si spera) letturaaaaaaa….*

*Note a fondo pagina*

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa notte ho fatto un sogno.

 

Un sogno…strano.

 

C’ero io…………ma soprattutto.

 

C’era Lui. Con me.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Distendo lentamente le braccia lungo il futon candido. I polpastrelli accarezzano le lenzuola…un po’ ruvide. Sgualcite.

 

Mi sto rigirando da più di due ore ormai. Già…Kaede non riesce a dormire. Kaede insonne.

 

 

Sembra un ossimoro a pensarci. Come è possibile?

 

Mi rigiro di nuovo su un fianco. Affondo la testa nel cuscino. Chiudo gli occhi.

 

 

 

 

Una ciocca di capelli rossi…scivola sulla sua fronte. Morbida. Lucente.

 

 

 

 

Riapro gli occhi di scatto. Sospiro, alzandomi a sedere.

 

È inutile mentirsi sul perché non riesca a dormire. Ogni volta che chiudo le palpebre…c’è lui. Anzi…particolari della sua persona.

 

 

 

 

Una ciocca di capelli.

Un battito di ciglia.

 

La sua mano che scivola sulla tazza di porcellana.

 

Le labbra piegate in un sorriso verso Akito.

Un guizzo di un muscolo del suo braccio.

 

Un lembo di pelle abbronzata che s’intravede dal collo del maglione.

 

I suoi occhi.

 

 

Cazzo i suoi occhi. I suoi occhi…maledetti. Che mi scavano dentro. Che mi guardano dentro.

 

 

Ti odio….

 

 

 

 

 

No…non è vero.

 

 

 

 

Cosa mi sta succedendo…? Non mi capisco più.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Scendo con un balzo pigro dalla bicicletta. Chinandomi per assicurarla contro il palo della luce, mi copro con la mano uno sbadiglio.

 

Ho sonno.

 

Ma questa volta per davvero. Non è quell’insofferenza verso ciò che mi circonda che mi portava a chiudere gli occhi.

 

No. Per non vedere. Per isolarmi.

 

No.

 

 

 

 

È sonno. È chiudersi incontrollabile delle palpebre. È stanchezza negli arti. È fiacchezza.

 

 

Questa notte non ho dormito. E mi vergogno…per il motivo per cui non l’ho fatto.

 

 

 

 

 

 

Il motivo che sta adesso varcando i cancelli azzurri della scuola.

 

 

 

 

-          Beh…allora ci separiamo qui.

 

Lo osservo. Sposta il peso da una gamba all’altra.

Imbarazzato.

Come lo sono io.

 

-          Sì. Torno a casa.

 

-          Io…non penso che ci sia…bisogno di ringraziarti.

 

Arrossisce lievemente, incorniciando il viso con un sorriso un po’ spavaldo. Provocante.

 

-          Non sono un tipo che accetta ringraziamenti – lo guardo un po’ duramente, cercando di riportare il nostro rapporto ad un qualcosa di più…distante.

 

Vorrei essere un estraneo in questo momento.

Invece...non lo sono.

Cosa mi stai facendo maledetto idiota?

 

-          Beh…allora a domani… - mi lancia uno sguardo obliquo, per poi girarsi dall’altra parte, andandosene. Alza una mano in segno di saluto.

Io rimango immobile. Così tanti pensieri che s’intrecciano in un vortice impazzito nella mia mente.

 

Impazzisco.

 

 

O impazzirò.

 

 

 

 

Eccoli i tuoi occhi. Per un attimo…per un solo attimo incrociano i miei. Un lieve sorriso sulle labbra screpolate. Mi passi vicino. Non dici nulla. Ma in fondo perché dovresti dire qualcosa?

 

 

 

 

 

 

 

 

La divisa sgualcita. Il lieve frusciare della manica contro la tua coscia. La cartella poggiata in modo insolente contro la tua spalla, il braccio piegato. La pelle nuda della mano, che fuoriesce dal cappotto. Abbronzata…perché è sempre così scura quella pelle Sakuragi? Lo spostamento d’aria che provochi…m’investe il tuo profumo. I tuoi capelli. Scompigliati. Il tuo passo cadenzato…strafottente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E sei oltre. Oltre il portone. Dentro la scuola. Non ti rigiri. Ed io rimango immobile…chiedendomi se siano davvero passati solo 5 secondi.

 

 

 

Mi passo stancamente una mano sugli occhi.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Siamo da soli negli spogliatoi. Lo osservo distrattamente asciugarsi il corpo con l’asciugamano spugnoso. E a un tratto realizzo che era da mesi che non lo vedevo fare una doccia insieme a noi altri.

 

 

Per non farsi scoprire.

 

 

 

E ora lui sta condividendo il suo segreto con me. Si asciuga senza vergogna. Senza celare la sua debolezza, marchiata in quelle braccia abbronzate…in quella pelle calda.

 

Maltrattata.

Piegata al volere di una lama affilata e insensibile.

 

I tagli sono violacei. Qualcuno ha anche ripreso a sanguinare…vedo Sakuragi prendere un rotolo di garza dal borsone. Sedendosi con un tonfo sulla panchina di legno, incomincia ad avvolgersi la garza intorno alle braccia. I suoi gesti sono precisi. Come di una persona così abituata a compiere un’azione…da non aver più bisogno di porvi attenzione. A tratti delle smorfie di fastidio imbronciano il suo viso da bambino. Socchiude gli occhi, cercando di arginare le ferite.

 

 

 

 

-          Da quanto tempo ti tagli? – non volevo chiederglielo. Anche perché penso non mi risponderà. È recalcitrante a parlarmi del suo passato. In modo quasi paradossale, visto ormai il segreto che condividiamo.

 

 

 

Alza la testa guardandomi per pochi secondi. Indeciso. Poi dopo aver finito di avvolgersi le braccia con quella stoffa immacolata, mi risponde.

 

 

 

 

 

 

-          Un anno.

 

 

 

 

 

 

 

Un anno…non è molto tempo. Ma osservando le sue braccia…la quantità di tagli e di cicatrici che possiedono…avrai scommesso molto più tempo.

 

 

 

 

Si veste, attento a non sfiorare eccessivamente le braccia. Quanta premura…quanta cura per una parte del suo corpo che verrà di nuovo uccisa fra poche ore. Quante volte al giorno si taglierà?

 

 

 

 

 

-          La notte.

 

 

 

 

 

 

Il suo sussurro interrompe i miei pensieri. Lo osservo. Ha la testa china, i capelli gli scivolano lungo la fronte. Scomposti.

 

-          Cosa? – possibile che abbia intuito ciò che stavo pensando?

 

-         La notte. Mi taglio. Perché di notte la mente è sgombra. E il dolore soffoca.

 

 

 

 

 

Mi ritorna in mente la scorsa notte. Tormentata da dei sogni…dove era Lui il protagonista. Che cosa significa tutto questo?

 

 

 

 

-          Che fai ora? Vai a lavoro? – cambiare discorso…cambiare discorso…

 

-          No…oggi è chiuso. Il lunedì è giornata di riposo.

 

-          Capisco.

 

Vorrei chiedergli di venire da me. Vorrei che per poche ore…non pensassimo al Vuoto. Insieme.

 

 

 

 

 

 

Ma noi non siamo amici.

 

 

 

 

 

 

Ma in fondo…chi se ne frega.

 

 

 

 

 

 

-          Vieni da me.

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ho davvero detto. Riderei di me stesso…ma non possiedo un senso dell’umorismo tale.

 

Sakuragi mi guarda sorpreso. Davvero non se l’aspettava? È lui che sta tessendo questa trama…possibile che non sia consapevole dell’immagine che si sta creando?

 

O forse...non ci sperava nemmeno.

 

 

 

 

 

-          Va bene. Non ho di meglio da fare.

 

E sorride.

 

-          Io sono il meglio…do’hao.

 

E mi giro, uscendo dagli spogliatoi.

E sento dietro di me un sussurro. O forse me lo sono immaginato.

 

 

 

 

“- Lo so…”

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il tragitto verso casa è silenzioso. Il sole è tramontato da varie ore…il cielo è nero. C’è troppa luce artificiale e le stelle non sono visibili. A pensarci…è ingiusto che delle luci fredde create dall’uomo precludano la vista di luci millenarie e calde…e naturali. Bellissime.

 

-          Non ci sono le stelle. Peccato…vero kitsune?

 

 

 

 

Ma come fa? Come è possibile che riesca a leggere nella mia mente? M’innervosisce.

 

Sussurro un imbronciato “Mh” velocizzando il passo. Sakuragi mi raggiunge, incamminandosi vicino a me.

 

Dopo pochi minuti siamo arrivati a casa. Quando infilo le chiavi dentro la serratura sento Micky dall’altra parte miagolare eccitato. L’udito dei gatti è superiore al nostro…Micky sa sempre dove mi trovo quando siamo in casa. Sempre.

 

 

Così sa dove venire a rompere per ottenere un po’ di cibo.

 

 

 

-          Oh...eccola la bestiaccia – avverto il ghigno divertito del do’hao dietro di me.

 

Micky fa capolino da dietro la porta aperta…lancia uno sguardo di sbieco verso Sakuragi. Poi, muovendo lentamente la coda nell’aria, mi salta in braccio, strofinando il musetto contro l’incavo del mio gomito, incominciando a fuseggiare.

 

Lo troverei molto affettuoso…se non sapessi che in realtà ha fame. Tze.

 

 

 

 

-          Gli animali sanno davvero come ottenere l’affetto degli uomini eh?

 

 

 

 

Sakuragi sorride leggermente, avvicinandosi. Fa per accarezzare anche lui il micio quando Micky gli soffia contro, mordendogli le dita della mano.

 

- Ahhhhh…maledetto gatto! – incomincia a soffiare sulla mano “offesa” borbottando qualcosa sul fatto che avrebbe dovuto farlo morire di fame quella volta che era venuto a casa.

 

 

 

-          Ma quanto sei idiota – entriamo in casa. La temperatura è piacevolmente calda…

 

-          Pure il resto! Che colpa ne ho io se quel tuo gatto mi odia!

 

-          Non è vero che ti odia…poggialo lì il tuo cappotto e il borsone…è il suo modo di giocare…se ti odiasse ti avrebbe morso più forte, facendoti uscire il sangue.

 

 

-          Wow…digli allora che non mi piace giocare con lui! – sbuffando si siede sul divano del salotto.

 

 

 

Mi rendo conto che è la prima volta che invito spontaneamente qualcuno in casa. E non so nemmeno cosa fare…come trascorrere il tempo con lui.

 

 

 

 

Sono un caso disperato…devo ammetterlo.

 

 

 

-          Do da mangiare a Micky. Non distruggermi il salone.

 

Vado in cucina, sentendo dietro di me degli sbuffi.

 

Dopo aver cibato la “belva”, ritorno in salone. Sakuragi ha accesso la tv…osserva divertito un film straniero. Rimango sulla soglia della stanza…osservandolo. Sembra un bambino. Entusiasta.

 

-          Non hai mai visto un televisore do’hao?

 

Sobbalzando sul divano (evidentemente era troppo concentrato sul film per accorgersi della mia presenza), si gira verso di me.

 

-          Ma quanto sei simpatico… - mi mostra la lingua.

 

Mi siedo accanto lui, seguendo distratto il film.

Dopo pochi minuti sento già il capo farsi pesante e il sonno avvinghiare i miei occhi.

 

 

 

 

 

 

-         Perché non ci sono i tuoi genitori?

 

 

 

 

 

 

Il suo tono grave e serio interrompe la mia lenta e inesorabile caduta verso il sonno.

 

-          Partiti – non ti dirò la verità. Non ancora. È così difficile fidarsi di un’altra persona Sakuragi.

 

-          Sono spesso fuori casa. Eh? – mi guarda con attenzione con la coda dell’occhio. Che cosa cerchi in me?

 

-          Già – e tronco la conversazione alzandomi di scatto dal divano.

 

 

 

Meglio cambiare argomento.

 

 

 

 

-          Hai fame?

 

-          Un po’ – e a sottolineare la sua frase imbarazzata, dal suo stomaco proviene uno strano gorgoglio.

 

Arrossendo leggermente, poggia le sue mani grande sulla pancia, come a volerla trattenere.

 

-          Senti io non so cucinare…ma se vuoi ci sono delle confezioni di pesce surgelato nel frigo.

 

-          Se vuoi posso cucinare io…

 

-          Sai cucinare do’hao? – ammetto che sono sorpreso. Non me lo vedo davanti ai fornelli…ma in fondo ci sono così tante cose che non pensavo di lui.

 

 

 

Mi guarda sorridendo enigmatico. Poi abbassa lievemente il capo, alzandosi. Si dirige in cucina, superandomi.

 

-          Dimmi cosa hai in casa e dove posso trovare padelle e pentole e vedrai che cenetta ti preparo! – si gira verso di me, allargando le braccia con fare espansivo.

 

 

 

 

 

Mmm…e io dovrei fidarmi di questo pazzo?

 

 

 

 

 

 

-          Do’hao tu mi distruggi la cucina – incrocio le braccia osservandolo scettico.

 

-          No no…fidati di me…

 

 

 

 

Non so se è il suo sguardo…o la sua espressione.

 

Ma sembra rilassato.

 

Oserei dire quasi felice al pensiero di dover cucinare.

 

 

 

 

 

-          Questo è il frigo no? – senza aspettare una mia risposta lo apre, ficcandoci la testa dentro.

 

Sbuffando mi avvicino…è da giorni che non faccio la spesa. Non ho idea di che cosa ci sia dentro. Non amo mangiare. E da quando mia madre è morta nessuno mi ha più cucinato nulla di decente.

 

 

Forse è per questo che non ho voluto imparare a cucinare.

 

 

-          Mmm…ti piace la satsurna-jiru (nota 1)? – Sakuragi si volta verso di me, tenendo in mano una confezione di petto di pollo (quando l’ho comprata?) e del miso.

 

-          Sì…penso di sì – è da anni che non la mangio.

 

-          Bene! – incomincia a tirare fuori dal frigo tutti i vari ingredienti – sai preparare il dashi (nota 2)?

 

-          No…utilizzo normalmente i dadi già pronti.

 

-          Sei proprio un caso disperato… - ridacchiando richiude l’anta del frigo, sorreggendo in mano il pollo e le verdure – hai le patate?

 

-          Sì… - le prendo dalla credenza, osservandole critiche….sono già usciti i germogli…era da mesi che non le mangiavo – vanno bene lo stesso? – gliele porgo.

 

-          sì…

 

Sakuragi si accosta al tavolo osservando il tutto.

 

-          Va bene…mi serve uno dei dadi che usi tu, per fare il dashi, un trita-tutto per triturare le carote e macinare il sansho (nota 3), delle scodelle, un tagliere, un coltello, piatti e…basta penso.

 

-          Mm…pensavo avessi imparato dove sono riposte le stoviglie visto che l’altra volta mi hai preparato la colazione.

 

-          Beh… - arrossisce… - oggi è diverso.

 

 

 

 

 

Perché non sei da solo in cucina Sakuragi?

O perché il cucinare per me, per noi, ora ha un significato diverso?

 

 

 

 

 

 

Ripensando a quella colazione così semplice ma allo stesso tempo così piacevole, comprendo che avrei già dovuto comprendere l’interesse di Sakuragi per la cucina. Un ragazzo di 17 anni…e per di più un teppista come lui, normalmente non è avvezzo a tali attività.

 

 

 

 

 

Senza aggiungere altro al suo evidente imbarazzo, tiro fuori dalle varie credenze ciò che gli serve.

In pochi secondi la tavola è un tripudio di colori e vasellami vari.

 

-          Che bei piatti. Sono di un’ottima fattura – lo vedo passare delicatamente le dita sopra la porcellana colorata.

 

-          Come? – il mio tono esprime la perplessità e il mio stupore. Ma da dove esce questo ragazzo?

 

-          Sono dei bei piatti. I tuoi genitori devono amare molto la cucina…non è vero?

 

 

 

 

 

Mia madre amava cucinare. Spendeva yen su yen per comprare le stoviglie e le pentole e tutti gli accessori più utili e ricercati. Ore e ore in cucina…

 

 

 

 

 

 

 

-          Sì. Molto.

 

 

 

 

 

 

 

Scende per un attimo il silenzio. Sakuragi avverte la mia tensione e la mia reticenza a parlare dei miei genitori. Ma in fondo anche lui non mi ha svelato molto riguardo il suo passato.

 

 

Sorride scuotendo la testa, allontanando pensieri a me preclusi.

 

 

 

 

 

 

 

-          Ok...aiutami a tagliare le carote e il sansho. Io nel frattempo preparo il brodo.

 

-          Mh. Questa sarà la prima e unica volta che eseguo delle tue direttive do’hao.

 

-          Invece vedi di abituarti…- e sorride rilassato mentre si pone davanti ai fornelli.

 

 

 

 

 

 

 

In pochi minuti la cucina torna ad essere quella di un tempo.

 

 

 

 

Odori conosciuti e invitanti si intrecciano al rumore ritmico del coltello che incide le verdure e la carne sul tagliere;

i colori delle cibarie all’interno della pentola si mescolano in nuvolette soffici di vapore sopra il coperchio;

il ribollire della minestra profuma la camera.

 

 

 

 

 

 

 

 

Accendiamo la radio e senza parlare, senza aggiungere parole stupide e scontate, ci lasciamo trasportare dalle note di canzoni melodiche e dall’atmosfera calda e familiare che si è creata fra di noi.

 

Micky ci osserva.

 

 

 

 

 

E io per la prima volta, mi sento tranquillo con me stesso. E penso che in queste ore io sto davvero scacciando il Vuoto con lui al mio fianco.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Era davvero buono.

 

Depongo le bacchette sul tavolo, guardando con un sorriso accennato Sakuragi.

Lui sorride apertamente, osservandomi trionfante.

 

-          Cosa ti avevo detto? Il Tensai è un grande cuoco! – e si scimmiotta sarcastico, rendendo ridicolo il suo normale modo di parlare con gli altri.

 

-          Già…chi ti ha insegnato?

 

Vedo il suo viso rabbuiarsi. Per un attimo sembra che stia per dire qualcosa ma poi si blocca. Scuote la testa leggermente.

 

-          Mio padre.

 

Non accenna altro.

 

 

 

 

Suo padre…allora possedeva una famiglia. Forse è diventato orfano dopo la sua morte.

 

 

 

 

Vorrei chiedere altro, ma la sua espressione malinconica mi desiste dal farlo.

 

I ricordi e le ferite verranno da sé. Sia le mie…sia le sue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di comune accordo ci alziamo e incominciamo a riordinare la cucina. In pochi minuti. In silenzio.

 

Dopo ci dirigiamo in salone. Guardo di sfuggita l’orologio appeso alla parete…le 10 di sera.

 

-          Sakuragi non abiti lontano da qui?

 

-          Perché? – si gira verso di me, sedendosi con un tonfo sul divano.

 

-          È tardi. Non ci sono treni dopo le 10 e mezza…in inverno.

 

Sbuffa, per poi sorridere sarcastico.

 

-          Vuol dire che tornerò con i miei piedini… - e imita con le dita il gesto del camminare.

 

-          Do’hao. Hai la possibilità di tornartene a casa seduto su un sedile! – perché fa l’idiota?

 

-          Non m’importa. Ci sono abituato.

 

E per chiudere la discussione accende la tv.

 

-          Prego…fai come se fossi a casa tua…

 

-          Grazie – e sorride al mio evidente sarcasmo…

 

-          Insopportabile.

 

-          Cambia disco Kitsune.

 

Battibecchiamo per qualche altro minuto. Ma a poco a poco la stanchezza incomincia a farsi sentire e rimaniamo in silenzio, rilassandoci contro i cuscini.

 

 

 

Sento la testa divenire pesante.

 

Gli occhi socchiudersi, a fatica rimanere aperti.

 

Il corpo divenire molle, cedevole.

 

 

Scivolo nel sonno lentamente, cullato dal suono basso della televisione e dal respiro regolare di Sakuragi vicino a me…già addormentato.

 

 

 

 

Dovrei spegnere la televisione. Svegliare Sakuragi. Ma non ho voglia di alzarmi. In fondo non succede nulla se dormiamo poche ore…

 

È l’ultimo pensiero prima di sentire Micky accoccolarsi vicino ai miei piedi.

 

Sorrido…e mi addormento.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Sento un peso all’improvviso sopra il mio stomaco. Apro di scatto gli occhi, raddrizzandomi sullo schienale del divano. La stanza è al buio. Dalla finestra filtra debolmente la luce giallastra di un lampione. In pochi secondi i miei occhi si abituano all’oscurità, fissandosi sulla pallottola di pelo che con molta “grazia” è saltata sul mio stomaco. Stupido gatto!

 

Micky mi osserva con sguardo innocente, fuseggiando…la sua bella coda nera si muove lenta nell’aria. I suoi occhi chiari diventano argentati nell’oscurità…la mia piccola belva.

 

Prendendolo per le zampine anteriori mi porto il suo musetto all’altezza del viso.

Sussurrando gli dico che è il gatto più stronzo che ci possa essere a Kanagawa. Miagola debolmente per poi graffiarmi di scatto il naso…con un balzo si libera dalla mia presa e camminando sinuosamente si allontana dal divano.

 

 

 

Odioso…ha ragione Sakuragi.

 

 

 

 

Mi giro verso di lui e mi accorgo con stupore che l’altra parte del divano è vuota. Ed io che pensavo dormisse. Che se ne sia andato? Porto una mano sopra la parte in cui era semidisteso…la pelle del divano è tiepida.

 

Mi alzo scansando Micky. Non ho bisogno di accendere la luce, conosco a memoria la posizione dei mobili. Mi dirigo in cucina e con la poca luce che filtra dalla finestra guardo l’orologio appeso alla parete…le 2 di notte.

 

Forse se n’è andato. In fondo è molto tardi. E domani si va a scuola. Ma dando un’occhiata alle varie camere mi accorgo che non ha lasciato un biglietto o una qualsiasi cosa che mi potesse indicare che se ne sia andato. E visto il comportamento precedente del do’hao mi sembrerebbe una mancanza da parte sua molto evidente.

 

Mi dirigo alla porta di ingresso e accendendo la luce del corridoio noto le sue scarpe e il suo cappotto.

 

Allora…è ancora qui. Deve essere di sopra.

 

Con una strana inquietudine incomincio a salire le scale che portano al piano superiore. Perché ho questa strana agitazione in corpo?…sento l’aria calda appiccicarsi al corpo. E la mia mano scorre velocemente sul corrimano.

 

 

 

Sto per dirigermi verso le camere da letto, ma mi blocco, osservando la luce del bagno filtrare da sotto la porta lungo il corridoio.

 

Sento l’agitazione aumentare. Dall’interno non sento provenire nessun rumore.

 

 

 

Perché mi sto agitando così tanto? Cosa c’è di male a chiudersi in bagno?

 

 

 

 

Eppure non mi calmo. Da quanto tempo Sakuragi è chiuso lì dentro? Non si starà…

 

Eppure la frase di questo pomeriggio…

 

 

 

“ - Di notte…

 

 

 

 

Mi avvicino lentamente alla porta. Sono indeciso…forse mi sto sbagliando. Forse sono solo paranoico….

 

 

 

 

Paranoico un cazzo Kaede. Sakuragi si taglia…non fare finta che tutto vada bene.

 

 

 

 

 

-         Sakuragi…

 

 

 

 

 

 

 

La mia voce calma e non troppo alta s’infrange contro il legno della porta. Da dentro sento provenire solo un mugolio.

 

-          Sakuragi va tutto bene? – ma che domanda del cazzo.

 

Sento una risata dall’altra parte. E mi sentirei rassicurato se fosse una risata…normale. Gaia.

 

 

Invece è intrisa di sarcasmo. E soffocata…come dal dolore.

 

 

 

 

Allora lo sta davvero facendo…

 

 

 

 

 

Sento l’ansia e l’agitazione amalgamarsi con l’irritazione. E la rabbia…una rabbia che serpeggia lungo il mio corpo che mi ottenebra la mente…unirsi a un sentimento che non posso non identificare con la disperazione.

 

 

 

 

 

Lui è a pochi metri…e si sta ferendo.

 

 

 

 

 

 

Perché? MALEDIZIONE PERCHE’?

 

 

 

 

 

-          APRI QUESTA CAZZO DI PORTA SAKURAGI! APRILA SUBITO!

 

 

 

 

 

 

E non riconosco la mia voce. Distorta nella mia gola, non abituata a gridare da anni. E anni. E lui in pochi giorni è riuscito a distorcermela in più momenti.

 

-          Vai via Kitsune. Fra un poco…esco.

 

Il suo tono è calmo. Eppure posso immaginare i suoi ansiti. Le sue braccia.

 

 

 

 

-          APRI LA PORTA DEFICIENTE! – e incomincio a tempestarla di pugni. E non mi rendo conto di cosa stia facendo. Sento solo rabbia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Rabbia per una giornata che non meritava di concludersi in questo modo.

Rabbia per la sua debolezza.

Rabbia per me stesso che mi sono addormentato su quel divano e mi ero invece ripromesso di stargli accanto, di aiutarlo.

Rabbia per la mia ingenuità, per la mia stupidità che mi ha fatto pensare di aver risolto qualcosa in una giornata.

Rabbia…cieca.

Insensibile al legno duro.

E alle mie mani che picchiano con violenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          VUOI SPACCARE LA PORTA? EH? MA COSA CAZZO STAI FACENDO? SMETTILA! TI HO DETTO CHE STO USCENDO!

 

-         ORA! ESCI ORA!

 

 

 

 

E con uno scatto violento la porta si apre. E Sakuragi si staglia nitido sulla soglia. Il viso un po’ pallido. Senza la felpa. A petto nudo. Senza le garze alle braccia. Il sangue che scorre in piccole e lascive scie lungo le sue mani.

Rimango immobile. Bloccato. Il fiato in gola.

 

-          Sei contento ora? – e la sua voce dura e fredda si attorciglia nell’aria.

 

E mi giunge opaca. Come la prima volta che mi rivolse la stessa frase. La volta che lo scoprii.

 

 

 

Il mio sguardo non riesce a distogliersi dai tagli.

 

 

 

 

Lui si gira. Rientra nel bagno e incomincia a lavarsi le braccia nel lavandino. L’acqua si mischia al sangue in vortici caldi e rossi. L’odore metallico del sangue invade lentamente la stanza.

 

In silenzio. L’unico rumore è l’acqua che scorre sulle sue braccia e nella porcellana chiara del lavandino.

 

Ed io con le mani doloranti strette a pugni ripenso alla sua frase.

 

 

 

“Sei contento ora?”…

 

Sono contento ora? Sono contento ora??? SONO CONTENTO ORA???

 

 

 

 

 

Con uno scatto entro dentro il bagno afferrandogli la spalla nuda con violenza. Lo giro verso di me e con tutta la forza che mi rimane nel braccio gli mollo un pugno contro il viso.

 

 

 

E come a rallentatore vedo la carne della sua guancia cedere contro il mio pugno.

E i suoi occhi posarsi sopra il mio viso sorpresi.

E la sua testa girarsi per il contraccolpo.

 

 

 

E in pochi secondi sbatte contro lo specchio.

La superficie si rompe in migliaia di pezzetti lucenti.

 

Le lampadine sopra lo specchio si spaccano.

 

Ho il tempo di vedere il suo corpo accasciarsi contro le mattonelle della parete prima che cali il buio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si sentono solo i nostri respiri affannati. E mi sembra di essere in uno di quei sogni dove tutto è oscurità e tu, nonostante ti sforzi, non riesci a vedere nulla. E il sentimento di angoscia è dentro le tue vene.

 

 

 

 

 

E ti da alla testa.

 

 

 

 

 

 

Mi porto la mano al petto, cercando di non pensare al dolore che mi serpeggia lungo tutto il braccio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-         Vaffanculo Kaede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E la sua voce squarcia l’oscurità e il silenzio.

 

E lo sento il suo sorriso rassegnato sulle sue labbra. Lo immagino. E il suo respiro affannoso incomincia a calmarsi…e diventa solo un respirare grave.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-         Vaffanculo tu…Hanamichi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sorrido nell’oscurità. Il suo nome. Per la prima volta il suo nome sulle mie labbra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altro silenzio. Poi un suo sussurro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Scusami per averti deluso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E il mio sorriso si trasforma in una piega amara sul viso.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Rukawa Kaede…interrogato. Venga.

 

 

Il brusio accompagna il mio lento avvicinarmi alla cattedra.

Il professore mi osserva…uno sguardo scettico. Effettivamente non ho studiato nulla di Letteratura giapponese…e per di più stanotte ho dormito davvero poco.

 

 

 

 

-          Sakuragi. Alzati da lì…è meglio medicarci…soprattutto i tuoi tagli.

 

Sento uno spostamento…e poi il suo calore vicino a me. Siamo di fronte.

Ma l’oscurità non ci permette di osservarci davvero.

I nostri sguardi ciechi si rincorrono inutilmente.

E a un tratto sento un peso sulla mia spalla.

Rimango immobile.

La sua testa.

La sua fronte poggia contro la mia spalla.

E l’aria separa i nostri corpi.

Provo calore. Serpeggiare nelle ossa nelle vene nella pelle.

 

Che cosa mi fai Sakuragi? Perché mi fai provare sensazioni così violente?

La rabbia…e ora...

Questo.

 

-         Io non ce la faccio più.

 

 

 

 

-          Rukawa legga il passo che c’era per casa e me lo commenti. Dopo vedremo…

 

Il passo che c’era per casa? Sì certo…non ho nemmeno il libro. Sento tirarmi la manica e una mia compagna di classe mi porge sorridendo il libro di testo. In questi momenti mi ritengo fortunato per la mia bellezza…

 

Scorro gli occhi velocemente sul passo notando che la ragazza (di cui non ricordo il nome) mi ha anche segnato il punto da cui dovrei incominciare a leggere…oltre naturalmente al suo numero di cellulare a fondo pagina…

 

Sempre le stesse…

 

E’ un passo del “Genji Monogatari” di Murasaki Shikibu (nota 4). Cerco di riportare alla mente qualche nozione studiata in passato…ma la mente è sgombra da qualsiasi tipo di pensiero coerente. Ho solo sonno.

 

-          Se non le dispiace stiamo aspettando solo lei Rukawa…

 

Che stronzo….

 

Incomincio a leggere lentamente…

 

-          “Non mi lamento di un destino che condivido con i fiori, con gli insetti, con gli astri. In un universo dove tutto passa come un sogno, non ci perdoneremmo di durare sempre. Non mi addolora che le cose, gli esseri e i cuori siano perituri, dal momento che una parte della loro bellezza è fatta di questa sciagura. Ciò che mi affligge è che siano unici……Saranno in fiore altre donne, sorridenti come quelle che ho amato, ma il loro sorriso sarà diverso….”

 

 

 

 

Le sue parole risuonano nelle mia mente.

Sento il suo respiro grave sul collo, sul mio orecchio.

Mi stai chiedendo aiuto…ora…davvero.

 

-          Non ti abbandono.

 

E con un movimento impacciato, passo le braccia intorno al suo torace.

Esitando lo stringo verso di me. Contro di me.

Le mani si posano lentamente sulla sua schiena.

Timorose di provare calore sotto i loro palmi.

Pelle nuda. Tiepida. Setosa.

Sakuragi rimane immobile. Sento solo il suo respiro bloccarsi…forse per la sorpresa.

E in questo momento penso…

 

Kaede…lo stai abbracciando.

 

E mi sento così fuori luogo. Inesperto.

Da anni…non abbracciavo.

E ora ho il corpo di un altro ragazzo contro di me.

Di Sakuragi.

E a un tratto…sento le sua mani risalire lungo la mia schiena.

Brividi.

Si posano leggere sulle mie spalle…poi prendono sicurezza.

Si stringono contro il mio maglione.

Lui…si stringe contro di me.

 

 

 

 

-          “Altri cuori si spezzeranno sotto il peso di un amore insopportabile, ma le loro lacrime non saranno le nostre lacrime. Mani umide di desiderio continueranno a intrecciarsi sotto i mandorli in fiore, ma la stessa pioggia di petali non si sfoglia mai due volte sulla felicità umana”.

 

-          Bene fermati qui. Commenta.

 

Guardo il professore. E poi il libro. Ripenso alle parole di questa cortigiana del XII secolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“…ma la stessa pioggia di petali non si sfoglia mai due volte sulla felicità umana”

 

 

 

 

 

 

 

Sakuragi.

 

È sua l’immagine nella mia mente.

 

 

 

La felicità umana…e dei petali di mandorlo.

 

 

 

 

 

 

 

La mente confusa.

 

I ricordi della notte scorsa.

 

 

 

Il calore del suo corpo contro il mio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La felicità umana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Non sono preparato professore.

 

E senza dire altro lascio il libro sopra la cattedra. Mi dirigo verso la porta sentendomi gli occhi sconvolti dei miei compagni seguirmi. I loro sussurri.

 

Voglio uscire di qui.

 

La terrazza.

 

La porta si chiude lentamente dietro di me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-        Aiutami…Kaede aiutami.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

 

Nota 1: E’ una minestra con pollo, miso e verdure. Se volete leggere un esempio della ricetta potete vederlo presso questo sito: http://www.cookaround.com/cucina/japan/confro-1.php?ID=820

Nota 2: Il dashi è il brodo di pesce, che è una componente base nella cucina giapponese.

Nota 3: Il sansho è una pianta utilizzata per accompagnare le minestre e le zuppe.

Nota 4: Il “Genji monogatari” di Murasaki Shikibu è edito in Italia dalla casa editrice Einaudi…è uno dei libri appartenenti alla letteratura classica giapponese…un’opera magnifica. Ne consiglio la lettura a chiunque si voglia cimentare, nonostante la mole.

 

 

   
 
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