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Autore: Berenice88    21/10/2012    6 recensioni
Oscar e Andrè ricevono l'ordine di partire per Parigi, sanno che dovranno sparare sulla folla o combattere con essa,ma soprattutto sanno che rimane loro poco tempo da passare insieme e per decidere del loro futuro... riusciranno i loro ingarbugliati sentimenti, sogni e ideali a venire alla luce e a prendere forma in mezzo alla polveriera della rivoluzione francese?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Bernard Chatelet, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
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“E' venuta stamattina in caserma con il suo ex attendente, Grandier, e ha annunciato ai soldati che non intende sparare sul popolo, come da ordine del generale Bouillé. I soldati le hanno detto che avevano già deciso di unirsi ai ribelli della Bastiglia e le hanno chiesto di continuare a essere il loro comandante durante le operazioni presso la fortezza. Lei ha accettato.” disse secco Dagout, fissando la figura seduta sulla poltrona davanti a lui. I tratti sottili e seducenti di Saint-Just sembravano quelli di un gatto che aspettasse nell'ombra che il topolino corresse da lui, ingannato dai riflessi della luna nei suoi occhi. Occhi verdi con una permanente ombra di divertimento addosso, viso magro, sorridente, e dai lineamenti delicati, capelli di un biondo scuro, perfettamente lisciati e pettinati con olio di rose, sebbene tenuti sciolti, e una figura flessuosa che sembrava riuscire a muoversi senza fare un passo.
“E così il nostro irreprensibile comandante diventa un ribelle... commovente da parte sua. Ha detto perché?” chiese Saint-Just.
Il tono mellifluo della voce era la cosa però più agghiacciante di quell'uomo, una carezza viscida sulla guancia per il colonnello, e lui non riusciva a sopportarla, ma non doveva assolutamente darlo a vedere, si sentiva legato, un topo in trappola, proprio come Saint-Just voleva farlo sentire.
“Sembra che sia innamorata del suo ex attendente,” disse Dagout, superando un nodo alla gola che non gli dava tregua in presenza dell'altro, “quel Grandier che vi ho detto, che è uno dei soldati della guardia metropolitana ora, e che abbia deciso di seguirlo. Lui è un amico di Bernard Chatlet, da quanto so, e condivide da tempo gli sforzi della causa popolare, anche se agisce con discrezione.”
“Oh, una nobildonna innamorata della servitù... una nuovissima Eloisa! Dovremo raccontarlo al nostro amico Rousseau! Aahhahah!” ghignò, mettendosi una ciocca lucida di olio alle rose dietro l'orecchio “Chissà come sarà contento il generale padre... Si sta scavando la fossa da sola, povera, piccola, sciocca nobile, tipico della sua classe essere così avventati e non tenere conto delle conseguenze.”
“Intendete tenderle una trappola?” chiese Dagout cercando di nascondere l'apprensione nella sua voce.
“Non servirà, caro Colonnello, lei combatterà per il popolo con una cascata di capelli biondi e una divisa da comandante delle guardie metropolitane, è un bersaglio mobile; ed anche se non ce la facessimo a farla accidentalmente cadere nelle sommosse, beh, credo proprio che troveremo il modo di farla odiare a morte: seduttrice del suo attendente popolano per avere protezione quando le cose si mettono male per l'aristocrazia, venderà più giornali di Jean Valois e della sua miserabile vita!Ahahahahahah!” la risata di Saint-Just era veleno liquido, “E si sa caro Dagout, quando l'odio nasce basta solo dirigerlo fino a scatenare la violenza.”
Dagout poteva quasi sentire quelle parole rimescolargli lo stomaco, la nausea per quell'uomo era reale, non uno scherzo della sua immaginazione.
“Capisco, signore.” mormorò un attimo dopo, appena ebbe ripreso il controllo della propria voce.

Aveva fatto tutto quello che Saint-Just gli aveva chiesto: da quando era fallito l'attentato al principe Aldelos, Dagout era stato l'ombra del comandante Jearjais, aveva registrato tutti i suoi spostamenti, le sue stranezze, i suoi passi falsi, persino i suoi giorni di permesso e le sue visite mediche senza destare un sospetto e anzi guadagnandosi la fiducia del comandante, e naturalmente aveva riportato tutto a Saint-Just.
Era andato tutto a meraviglia, non avrebbe mai creduto di riuscire ad essere una spia tanto talentuosa. E Oscar, quella donna era un'anima pura, un soldato fortissimo, ma troppo innocentemente fiduciosa e altruista, troppo corretta per ammettere di vedere una scorrettezza in chi le stava vicino. “Ecco perché le donne non dovrebbero entrare nell'esercito” aveva pensato una volta, “le guerre sarebbero così prevedibili e facili da vincere. Il loro non ammettere la falsità le ucciderebbe tutte in poco tempo, proprio come sta condannando a morte quella sciocca...” non lo avrebbe mai mostrato a Saint-Just, ma Oscar quasi gli faceva tenerezza.
“Come sei parco di parole Dagout caro, cosa posso fare per farti sorridere?” Saint-Just si alzò, incedendo flessuoso e fluido fino a Dagout, così ferino da sembrare pronto a graffiarlo, “Forse una lettera dei tuoi figli potrebbe migliorarti l'umore! Dopotutto hai portato a termine il tuo incarico con successo.”
Ecco il motivo di quel gioco di forza.
Saint-Just aveva rapito, un giorno prima di avvicinare Dagout per il suo incarico, i suoi due figli, Marcel e Louis.

Dagout era un vero nobile, nato e cresciuto in una famiglia di duchi assai conservatori. Essendo terzogenito, non aveva avuto altra eredità che una ferrea educazione che lo rendesse orgoglioso delle sue origini aristocratiche, senza mai metterne in dubbio la correttezza.
La scarsezza di denaro e di titoli a lui lasciata dalla famiglia, lo aveva costretto alla carriera militare di basso livello (quella di alto livello fu riservata al fratello secondogenito, ovviamente, come era tradizione da secoli), che aveva percorso con difficoltà, fino al grado di colonnello. Teneva ben nascosta la sua spocchia sotto un'area imperturbabile, era il suo modo di mostrare disprezzo per il lavoro, indegno del suo rango, che gli era toccato.
Aveva sposato circa quindici anni prima una ricca ereditiera, che era morta dando alla luce il suo secondogenito. I suoi due figli erano la sua vita. Marcel Thomas e Louis Pierre Dagout avevano rispettivamente quattordici e undici anni. Il padre si era adoperato fin da prima della loro nascita, fin dalla scelta di quella donna non bella ma sicura di sé e potente come moglie, affinché i suoi posteri avessero un futuro assai più radioso del padre, ed era stata un'ottima scelta.
Gli averi di una vita da colonnello, per quanto modesti, sarebbero stati loro, assieme ad una buona posizione sociale legata al nome del ferreo Dagout. Ciò che più interessava il padre era poterli vedere a capo delle proprietà materne, che avrebbero acquisito alla maggiore età. Avrebbero avuto con quelle il titolo di Duca, che a lui era stato negato, in quanto riservato al primogenito della sua famiglia, una grande fortuna economica e, con quella e con i legami parentali materni (che lui curava con impeccabilità fin dalla nascita dei bambini), molta più influenza di quanta lui ne avesse mai avuta.
Dagout non poteva permettere che un plebeo poco più che pazzo come Saint-Just rovinasse tutto quanto, non tutti gli sforzi di una vita.
Aveva fatto metodicamente tutto quello che l'altro aveva chiesto, conosceva i metodi violenti dell'uomo, sapeva che un qualsiasi sgarro sarebbe costato un pugnale nel cuore dei suoi figli.
Ogni settimana, dopo il rapporto, Saint-Just gli dava una lettera dei suoi figli, per fargli sapere che stavano bene. Sapeva che erano ancora in vita, analizzava con cura la scrittura delle lettere, era proprio quella di Marcel, il più grande, a stendere sempre il corpo della lettera e i poscritti erano della grafia poco meno decisa di Louis.
Saint-Just aveva promesso di restituire i ragazzini a lavoro finito, ovvero fino a quando il comandante Jearjais avesse fatto un passo falso, e il suo lavoro era decisamente finito.
Una carrozza era pronta in un'ala di una locanda a pochi metri dalle mura di Parigi, appena uscito con i suoi figli, sarebbero partiti per la Bretannia, verso i possedimenti della defunta moglie, al sicuro da qualsiasi sommossa parigina.

“Scherzavo caro Dagout,” sorrise Saint-Just, vedendo che la sua affermazione non aveva riscosso la minima reazione dal colonnello. Tirò fuori la mano vuota dalla tasca della blusa, facendogliela mulinare davanti agli occhi, “Ovvio che non c'è alcuna lettera oggi, vedendo la tua fretta nel volermi parlare e conoscendo la tua diligenza ho pensato di portare direttamente i tuoi cari ragazzi in persona, ti stanno aspettando, pronti per la partenza in una carrozza nelle mie stalle... bene, penso che non abbiamo nulla più da dirci. Ti auguro ogni bene lontano da Parigi!”
Saint-Just batté le mani con un gesto languido che a Dagout sembrò più rivoltante degli altri. Un uomo piazzato, coperto fino ai piedi da un mantello marrone infangato, entrò da una porta nascosta nella parete della sala, gracchiando “Da questa parte.”
Dagout non guardò nemmeno Saint-Just uscire dalla stanza per andare a prepararsi agli scontri, seguì l'uomo dal mantello infangato nella porta a scomparsa, attraverso un corridoio stretto e non illuminato che portava alle stalle. C'era una carrozza pronta per partire, di un nero anonimo con due bai attaccati. Scorse le teste dei figli accoccolate ad occhi chiusi sul finestrino, probabilmente addormentati o storditi dai carcerieri per il viaggio.
“Vi porterò fino alle mura di Parigi, poi ve la vedrete da solo.” Borbottò l'uomo avvolto dal mantello, aprendogli la porta della carrozza.
Dagout non fece in tempo a salire sull'ultimo gradino del predellino. Vide che le teste accoccolate contro il finestrino erano quelle dei suoi bambini, solo che erano state barbaramente staccate dai loro corpi e penzolavano da due stecche appoggiate al sedile... quella belva assassina di Saint-Just lo aveva ingannato... il pensiero degli occhi limpidi di Oscar gli riempì la mente e si chiese se sarebbe finito all'inferno per quel che aveva fatto, se Iddio lo avrebbe separato di nuovo dai suoi figli, si disse di sì e che probabilmente se lo meritava... questo fu l'ultimo suo pensiero quando l'uomo scostò il mantello da sé. dietro di lui, rivelando un pugnale che gli trapassò la schiena fino al cuore. Un cuore che, senza lottare, smise subito di battere.

Oscar stava attraversando un sottopassaggio militare per arrivare sotto la torre ovest della Bastiglia, dove Bernard li attendeva. Dall'ombra dell'arcata d'uscita riusciva a vedere una sentinella con la divisa delle guardie di Bouillé appena fuori, nel camminamento al di sopra delle scale. Un colpo di pistola l'avrebbe messa fuori combattimento. “State all'erta,” disse ai suoi uomini “appena lui cade, dovremo correre.”
Si accostò al muro, Andrè era al suo fianco col fucile pronto. Con uno strano istinto lo spinse con una mano contro la parete, dietro di sé, al sicuro, e sparò.
Anche la sentinella la vide appena in tempo per sparare un colpo, che però andò a vuoto venti centimetri accanto alla spalla di Oscar.
“Via!” gridò Oscar, e tutti insieme corsero per il camminamento in superficie fino alla linea di tiro delle barricate, al sicuro. Oscar scorse Bernard e Rosalie e li chiamò in fretta.
I due videro i soldati e Bernard disse agli altri assedianti di aprire i ranghi e farli passare, annunciò a gran voce che quei soldati della guardia, figli del popolo, si erano rifiutati di obbedire agli ordini di difendere la Bastiglia, e che ora combattevano con loro. Gli assedianti li accolsero con cenni di consenso e grida di giubilo.
Quando ebbero sistemato i cannoni che avevano a disposizione contro la parte alta della fortezza e si furono sistemati tra gli altri, i soldati della guardia aspettarono in silenzio. Non uno sparo era volato ancora dalla Bastiglia quel giorno, benché da due i cannoni della fortezza fossero puntati contro la città e varie sparatorie fossero intercorse tra sentinelle armate e dimostranti, anche se di breve durata.
Oscar era pronta a far tuonare i cannoni, un passo avanti agli altri soldati, la mano sinistra sulla spada preparata per dare il segnale.
Si voltò un istante verso Andrè alla sua destra, anche lui aveva il fucile puntato, sapeva che da un momento all'altro il grosso dello scontro li avrebbe travolti. Andrè la guardò in risposta, l'iride verde la trafisse, lei non poteva scappare dal loro tacito patto. Insieme, fino alla fine. Nessun compromesso, da soli sarebbero morti come stava per accadere prima che confessassero d'amarsi, prima che capissero di poter essere liberi solo se combattevano insieme per la libertà, la loro, personale, di stare insieme, e quella di tutta la Francia di poter sopravvivere e governarsi come desiderava.
Oscar si trovò a sorridere. Era crudele da parte sua volerlo accanto nel pericolo ed esserne felice, avrebbe dovuto farlo mettere in salvo, avrebbe dovuto legarlo da qualche parte finché la battaglia non fosse finita... ma sarebbe stato solo inutile. Si era fidata tutta la vita di Andrè, si fidava anche ora. Anche se menomato dall'occhio cieco, lui non avrebbe rischiato niente che compromettesse la sua vita, così avrebbe fatto anche lei.
Andrè le sorrise a sua volta, e tornò a fissare la torre della fortezza, alle cui feritoie erano posizionati i soldati armati e pronti a sparare. Oscar anche tornò a fissare la fortezza, come richiamata all'ordine.
Notò un moto stizzito da una grande finestra, doveva essere il comandante della fortezza.
Una palla di cannone esplose poco lontano da lei, verso il centro della piazza, lanciandole la prima zaffata di polvere, senza ferirla, le barricate tremarono, le sparatorie cominciarono a rimbombare senza tregua. Oscar raccolse tutto il fiato che aveva in gola e sguainò la spada:
“Fuoco!!!”

  
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