Buongiorno
a tutte! Sono
tornata con il nuovo aggiornamento. Prima di tutto volevo ringraziarvi
per come
avete accolto il primo capitolo e per le parole splendide che mi avete
scritto
nelle recensioni. Volevo chiarire, visto che qualcuno me lo ha chiesto,
che il
titolo della storia è proprio ispirato alla musica di
Einaudi che fa da cornice
al primo incontro dei nostri protagonisti. Non fate nessuna congettura,
non
cela nessun altro significato particolare, almeno… non per
adesso! Chissà che vuol
dire? Lo scoprirete più avanti, tranquille.
Un
ringraziamento
particolare va alla mia sorellona che mi ha aiutato in ambito tecnico,
visto
che è laureata in Scienze della formazione Primaria,
perciò tutte le
informazioni e gli esempi che troverete ad un certo punto del capitolo
me le ha
fornite lei. Diciamo tutte un bel grazie a Francesca? GRAZIE FRANCESCA!
E
grazie alla mia
amorosa AnImoR_
7 che mi ha aiutato a correggere l’obbrobrio che vi
apprestate
a leggere…
Buona lettura, ci
vediamo sotto!
Giovedì,
13 ottobre
2011
C’è
un suono nell’aria, una melodia dolce che mi
sembra di ricordare. Una nube fitta si staglia davanti ai miei occhi
impedendomi di vedere bene; sento che sto per soffocare. Ma ecco che la
musica
cresce d’intensità e la nube si leva da terra
dandomi un po’ di sollievo. Ad
ogni accordo percepisco sempre di più la
famigliarità di quel suono e quando mi
rendo conto che è la canzone che mi lega a Edward comincio a
correre per individuarne
la provenienza. Ad ogni passo percorso corrisponde un battito in
più del mio
cuore, sono impaziente, troppo impaziente di trovarmi di fronte a lui.
Si, so
che è lui a suonare, chi altri potrebbe essere? Solo lui
riesce a farmi
fibrillare il cuore schiacciando il nero e l’avorio dei tasti
di un pianoforte.
Quando mi sembra di aver corso per chilometri sussurrando il suo nome
ecco che
all’improvviso vado a sbattere contro una porta. La nube in
quel punto è profumata
di… cosa? Zucchero a velo? E la musica è senza
dubbio più forte. Non mi fermo
neanche un secondo prima di abbassare la maniglia e vedere cosa
c’è dietro.
Quando apro la porta la scena che mi si presenta davanti è
la medesima del primo
incontro che ho avuto con Edward, perciò non mi stupisco di
trovarlo seduto sul
suo sgabello, concentrato a riprodurre quella stessa melodia. Non si
accorge di
me così decido di andargli incontro.
-Edward?- lo
chiamo ma da lui non ricevo nessuna
risposta. Comincio a giragli intorno troppo agitata e frastornata per
quello
che sta succedendo. Non capisco… perché non si
gira? Perché non mi parla?
–Edward- sussurro questa volta proprio
all’indirizzo del suo orecchio, ma
niente. Com’è possibile? Mi sembra di rivivere il
momento peggiore della mia
vita, quando speravo che l’unica cosa in grado di aggiustare
il nostro rapporto
fosse semplicemente parlare. Ma in quel periodo non c’era
posto per le parole.
-cosa ci
è successo?- sussurro quasi
involontariamente sentendo un dolore sordo al petto al solo ricordare.
-abbiamo
dimenticato cos’eravamo l’uno per
l’altra-
mi risponde lui sorprendendomi continuando tranquillamente a suonare.
Sto per
ribattere ma la musica finisce e tutto intorno a me scompare come
risucchiato
da un vortice ed Edward con lui. Adesso c’è solo
il buio, lo sento come una
seconda pelle cercare di stritolarmi e improvvisamente sento
un’orribile
sensazione di terrore. Non voglio rimanere sola, non voglio.
–Edward!- grido
questa volta affinché mi senta e venga ad aiutarmi, ma
niente non mi sente
nessuno. Una mano invisibile mi copre la bocca impedendomi di respirare
e a
nulla valgono le mie urla. Davvero non posso contare più su
nessuno? Chi
sarebbe venuto ad aiutarmi se avessi lanciato il mio S.O.S di soccorso?
Mio
padre? Edward? L’unica persona alla quale avevo affidato
tutto il mio amore e
la mia vita e che non aveva fatto altro che sbriciolare il mio cuore in
mille
microscopici pezzettini? No, ero davvero sola. Una lacrima sfugge al
mio
controllo e per quanto amara sia la verità mi dico che non
posso permettermi di
soccombere. Una risata argentina mi fa drizzare subito le orecchie e in
quel
momento capisco che in realtà c’è una
persona sulla qualche potrò contare per
sempre, la mia unica ragione di vita, il mio angelo… Sophie.
Racimolo tutto il
fiato che ho in corpo e facendomi coraggio comincio ad urlare a
più non posso
fino a che il buio scompare e la sensazione di vuoto non lascia il
posto ai
colori.
E poi mi
sveglio.
Sobbalzo nel
momento in
qui apro gli occhi e mi accorgo di avere le guance umide e il respiro
affannato. Non ho nemmeno il tempo di fare mente locale e capire quello
che è
successo che la sveglia suona puntuale. Sto per girarmi ma subito una
manina si
posa sul bottone e la ferma al posto mio. Sophie è distesa
accanto a me nel
lettone e mi guarda come se avessi tre teste.
-buongiorno
amore- le
dico prima di stringerla forte tra le braccia.
-mami stai
bene?- mi
chiede subito dopo tornando a guardarmi nello stesso modo di prima.
-certo,
perché?- le
chiedo soffocando in un sospiro la paura che ho provato durante
quell’incubo.
-urlavi poco fa-
mi
dice con aria dispiaciuta e anche un po’ spaventata.
-non
è niente tesoro-
le dico rassicurandola, ci mancava solo
che assistesse alla scena penso tra me e me. Tante volte
durante la notte
corre ad infilarsi nel mio lettone ed io la lascio fare, ma mi dispiace
che poi
debba assistere a situazioni di questo genere.
-hai anche detto
il
nome di papà, tante volte- non posso combattere la
sensazione di sconcerto che
provo in questo momento e neanche i brividi che mi percorrono la
schiena al
solo sentire quelle parole. Dannazione, e adesso?
-emmh…
non è successo
niente. Davvero Sophie sto bene. Vado a preparare la colazione, vieni
con me?-
le dico balzando giù dal letto e indossando una maschera di
pura allegria.
Sophie mi guarda scettica per un momento ma poi accetta la mia mano e
insieme
ci dirigiamo in cucina.
Per fortuna
scorda
presto quello che è successo incollandosi con il muso
davanti al televisore.
Guarda un po’ i cartoni spensierata ridendo di fronte alle
disavventure di
“Manny tuttofare” prima che la prenda, tra risate e
lamentele generali, e la
porti a prepararsi per l’asilo.
Quando usciamo
di casa
la città è già intasata dal traffico,
i negozi sono affollati e le strade piene
di gente, ma di cosa mi stupisco? Questa è New York ed
è logico che le persone
corrano frenetiche da una parte all’altra e che sembra che
non dormi mai
nessuno. Alla svelta ci infiliamo in macchina e con una manovra
azzardata mi
immetto nel traffico newyorkese.
-allaccia la
cintura
Sophie, non voglio ripetertelo due volte- le dico mentre guardo le sue
mosse
dallo specchietto retrovisore. Da brava si siede composta e allaccia la
cintura
proprio come le ho detto di fare. Nel contemplarla mi rendo conto
sempre di più
di quanto sia incredibile la somiglianza con il padre; non posso
ritrovare che
lui nelle sue mosse, nella sua bellezza quasi eterea, nei suoi boccoli
ramati,
nei suoi occhi verdi come i prati si montagna. Dio quegli occhi, sono
la mia
perdizione. Anche nel sogno di stamattina non ho fatto altro che
cercarli. Era
tutto così vero, così reale, e poi le parole di
Edward che sento ancora chiare
nella mente … “abbiamo
dimenticato
cos’eravamo l’uno per l’altra”.
Sospiro pensando che tra poco meno di 10
minuti lo rivedrò per l’incontro con
l’insegnate di Sophie.
Il suono di un
clacson
mi fa rinsavire e capisco di star bloccando il traffico. La macchina
dietro la
mia aspetta impaziente che mi smuovi dal semaforo che intanto si
è fatto verde.
Arriviamo a
destinazione in perfetto orario nonostante il via vai delle automobili
e subito
parcheggio nel primo posto libero. Aiuto Sophie a scendere dalla
macchina e
insieme ci dirigiamo verso l’entrata dell’edificio
scolastico.
-Buongiorno
Sophie,
buongiorno Signora Swan- mi saluta cordiale la maestra di mia figlia
una volta
entrata in aula. Dopo il divorzio ho deciso di ritornare al mio cognome
da
nubile, non aveva senso rimanere ancorate al passato.
-buongiorno
signorina
Blanchard- le risponde subito la mia piccina con tono affettuoso per
poi
correre a giocare con le sue amichette. La signorina Blanchard
è una ragazza
molto solare, avrà si e no 30 anni, è alta
all’incirca quanto me, ha i capelli
scuri e due occhi azzurri da togliere il fiato. È
sicuramente molto bella.
-signorina
Blanchard, è
un piacere rivederla. Se non sbaglio ha riferito a mia cogn…
mi scusi alla
signorina Cullen che voleva parlarmi- dico in fretta riprendendomi
subito dalla
gaffe.
-si, non
sbaglia. Ma speravo
che ci fosse anche il signor Cullen all’incontro- mi dice
rammaricata.
-dovrebbe
arrivare a
momenti- le dico seguendola fuori dall’aula per dirigerci nel
suo ufficio.
-aspettate! Ci
sono
anch’io!- urla una voce alle nostre spalle e sarei
completamente rincoglionita
se non la riconoscessi all’istante.
Mi giro e lo
vedo
avanzare verso di noi con la sua solita camminata fluida e si, lo
ammetto,
anche molto sexy e appena mi si para davanti per un secondo smetto di
respirare.
-volevate
cominciare
senza di me?- il suo tono vorrebbe essere ironico ma in
realtà ha tanto l’aria
di essere seccato. Non mi stupisco infatti che dopo aver stretto la
mano della
signorina Blanchard mi rivolga uno sguardo accusatorio.
-prego
accomodatevi-
dice la maestra indicando le due sedie davanti alla scrivania.
-vi ho invitato
a
venire qui perché dobbiamo parlare di Sophie –
questo lo sapevo.
-e…?-
la incito a
continuare troppo agitata della situazione che si sta creando.
La signorina non
dice
nulla, si limita a tirare fuori dei fogli dal suo portadocumenti posto
sul
tavolo cominciando a fissarli.
-Sophie non vive
bene
la vostra separazione- butta lì facendomi ammutolire,
rivolgo un occhiata a
Edward e lo scopro a fissarmi, come me non accenna a dire niente. In
verità è
una cosa che sapevo benissimo, o almeno lo sospettavo. Quale figlio
vive bene
la separazione dei propri genitori? Adesso però la domanda
è come ha fatto lei
a capirlo.
-cosa intende
per “non
vive bene la vostra separazione”? Ha fatto o detto qualcosa
che ci riguarda?-
dico preoccupata.
-
non
direttamente, mi spiego meglio:
apparentemente
Sophie è una bambina come tutte le altre, non dimostra un
disagio marcato, anzi
è molto solare e… ed è per questo che
vi ho invitati a venire qui oggi. Non
vorrei che le cose peggiorassero. Ecco guardate- dice porgendoci dei
disegni
fatti chiaramente da un bambino.
-questi
disegni li ha fatti vostra
figlia. Sapete, la separazione attualmente viene considerata come un
evento
possibile nella relazione di coppia unita o no dal vincolo matrimoniale
ma
costituisce, sempre, una forte esperienza che può influire
sui bambini in vari
modi che dipendono da diversi fattori
-
dice interrompendosi-
Nei disegni di bambini con genitori separati è possibile
rilevare una scarsa
valorizzazione di sé, espressa dall’assenza di
particolari verso gli altri
personaggi- dice indicando nel foglio che tengo in mano la figura mia e
di
Edward ai lati di una bambina dai capelli ramati -
come
ad esempio il colore di occhi e capelli con un utilizzo di colori
più sfumati e
freddi, o addirittura assenza di colore - infatti noto con rammarico le
nostre
figure messe meno in evidenza rispetto alla sua. I miei capelli
risultano
sbiaditi e gli occhi di Edward verdi come i suoi sono in
realtà sul
grigio.
-anche
quando disegnano personaggi
sospesi per aria è indice di instabilità e
insicurezza- dice indicando il
foglio che invece ha in mano Edward. In questo caso è
proprio Edward ad essere
sospeso per aria attaccato ad un palloncino. Vedo il diretto
interessato
irrigidirsi e subito una fitta di insicurezza mi coglie impreparata.
-questo
disegno potrebbe non voler
dire quello che intende lei. Insomma… sono sospeso attaccato
ad un palloncino,
non ci vedo nulla di male- sento in Edward la stessa insicurezza che
sento
dentro di me mista alla volontà di non credere a quello che
la signorina
Blanchard ci sta dicendo.
Lo
vedo deglutire a fatica mentre
serra i denti in una morsa d’acciaio; la sua mascella
è completamente
contratta.
-capisco
la sua reticenza signor
Cullen, ma lasci che le spieghi-
Subito
prende come esempio altri
fogli dalla sua scrivania. I fogli in questione raffigurano
esclusivamente due
figure, la mia e quella di Sophie -
il
bambino instaura un legame unico e totalizzante con il genitore
affidatario,
omettendo l’altro genitore, dal momento che i rapporti con
questo diventano
più scarsi o addirittura
nulli, probabilmente meno significativi per il bambino-
-ma
io passo molto tempo con mia
figlia, non è vero Bella? Diglielo anche tu- il tono di
Edward è molto
allarmato per non dire terrorizzato e le sue parole giungono alle mie
orecchie
come una richiesta d’aiuto. Mi guarda come per dirmi
“avanti passami quella
cima, non lasciarmi affogare” ed io mi sento intimorita da
quello sguardo.
Perché lo conosco molto bene, e non si può
resistere a quello sguardo è sicuro.
Solo che a differenza mia lui non l’ha mai capito, avevo
quello sguardo nel
periodo in cui ci siamo lasciati e non è servito a niente,
io invece l’ho
sempre tirata quella cima, sempre. Comincio a sentirmi soffocare,
vorrei
chiedere alla maestra di aprire la finestra che
c’è alle sue spalle. –Bella?-
mi chiama ancora Edward vedendomi annaspare e questa volta la sua voce
è una
specie di balsamo per i miei nervi tesi. Lo guardo e come capita
sempre, mi
perdo dentro quei pozzi tanto profondi quanto pericolosi. Scuoto la
testa per
tornare con la mente al presente e al vero motivo per il quale siamo
qui, e
comincio a riflettere. Il tempo che Sophie trascorre con Edward non
è
moltissimo ma non è neanche poco se proprio vogliamo essere sinceri. Dopo la
separazione la bambina è
stata affidata a me e come è normale che sia vede Edward
solo su incontri
stabiliti. Trascorre con lui quasi tutti i fine settimana, anche se lui
è molto
impegnato a lavoro e alcune volte si trova costretto a disdire e a
passare con
lei solo la domenica. Di una cosa sono sicura però,
nonostante non sia molto il
tempo che hanno da dedicare l’uno all’altra, il
loro legame è molto forte. Lei
stravede per lui e lui beh, per quanto la nostra vita insieme sia
andata a
rotoli, devo dire che invece gestisce molto bene il rapporto con
Sophie. Ma il
problema qui non è il rapporto che c’è
tra i due, bensì quello che c’è tra me
è
Edward. A quanto ho capito la signorina Blanchard sta prendendo in
esame la
nostra separazione.
-il
punto non è questo Edward- mi
ritrovo a dirgli guardandolo scossa- lo sappiamo entrambi quanto tu
voglia bene
a nostra figlia ed anche lei lo sa, fidati-
-
e allora qual è il punto?-
riprende lui agitato portandosi una mano nella massa di capelli che si
ritrova
in testa.
-il
punto è che per Sophie sta
diventando importante vederci insieme. Lei vorrebbe che fossimo una
famiglia,
dico bene signorina?- dico rivolgendomi direttamente
all’unica persona che può
dirmi se il mio ragionamento è giusto o sbagliato.
-non
sbaglia, no-
-si,
ma cosa possiamo fare a questo
punto? Noi siamo separati e Sophie non ha mai dimostrato la sua
necessità di
volerci vedere insieme, dice che è capitato qualcosa che ha
fatto nascere in
lei questo bisogno?- dice Edward dando voce anche ai miei pensieri.
-beh,
la risposta è semplicissima.
E’ una bambina e come tale sta cominciando a sentire dei
bisogni, sta
crescendo. I bambini sono influenzati continuamente da tutto quello che
li
circonda, lei avrà visto qualche cartone in tv di una
famigliola felice in cui
mamma e papà abitano sotto lo stesso tetto, o molto
probabilmente avrà visto
qualche suo compagno insieme ai suoi genitori e si sarà
chiesta perché anche
voi non potete essere così, perché anche i suoi
non la vengono a prendere
insieme a fine giornata. Non so quale sia il fattore scatenante, so
solo che
sta dimostrando questo disagio attraverso i suoi disegni e mi
è sembrato giusto
farvi venire qui per parlarne-
-cosa
ci consiglia di fare? Beh
siamo separati e questa è la realtà, ma sono
sicura che entrambi siamo disposti
a fare qualsiasi cosa per darle sicurezza e farle capire che noi ci
saremo
sempre per lei- dico guardando prima la maestra e poi Edward che mi
fissa come
per dire “si sono con te, mi butterei anche tra le fiamme per
lei” e questa è
una cosa che mi riempie d’orgoglio.
-beh
per prima cosa non fatela mai
sentire come se fosse un peso per voi, e neanche come se fosse una
vostra
proprietà esclusiva, cioè che deve stare
esclusivamente con la mamma o con il
papà. Fatela divertire quando state insieme e se
è possibile fate in modo che
ogni tanto senta uscire dalle vostre labbra le parole
“possiamo chiedere a
mamma cosa ne pensa” oppure “che ne dici di
invitare papà ad unirsi a noi?”, è
questo quello che le serve. Sapere che nonostante non abitiate sotto lo
sesso
tetto per lei ci sarete sempre, per lei sarete disposti a fare una
passeggiata
tutti e tre insieme anche se alla fine le vostre strade si separeranno.
Però il
ricordo di aver passato del tempo piacevole con voi sarà
più forte della
mancanza che invece sente adesso. Io non so come sono i vostri rapporti
e
nemmeno voglio immischiarmi- dice abbassando per un attimo lo sguardo
imbarazzata – ma fate in modo che non vi veda litigare o che
diciate cose
brutte l’una dell’altro in sua presenza-
Mi
trovo ad annuire quasi
inconsapevolmente mentre dentro di me cerco di immagazzinare ogni
informazione
che la signorina Blanchard ci sta dando. Non abbiamo mai inveito
l’uno contro
l’altro quando c’è Sophie nelle
vicinanze e certamente non intendiamo farlo
adesso.
-dunque
suppongo che sia una cosa
che dobbiamo risolvere tra noi, la ringrazio moltissimo signorina
Blanchard.
Adesso se non le dispiace vorrei vedere Sophie, posso salutarla?-
chiede Edward
cordiale quanto impaziente di vedere la bambina.
La
signorina annuisce e dopo aver
abbandonato il suo ufficio ci dirigiamo insieme da nostra figlia.
Quando Sophie
ci vede insieme sull’uscio della porta ci raggiunge per
buttarci le braccia al
collo cogliendoci un po’ impreparati; per poco non casco non
il sedere per
terra. Il suo volto è raggiante quando si stacca da noi.
-allora
piccolina che stavi
facendo?- le chiede Edward accompagnandola verso le altre bambine con
le quali
stava giocando poco prima che entrassimo.
-questo
è il mio papà- dichiara
orgogliosa lei mentre sul viso di Edward vedo spuntare un sorriso di
pura
estasi. È inevitabile a quel punto chiedermi come sia stato
possibile non
accorgermi mai di niente, come non abbia mai avvertito questo tipo di
disagio
in lei. Solo ora che la vedo ridere e giocare con il padre mi rendo
conto di
quanto le faccia bene stare con lui o comunque vederci insieme nella
stessa
stanza. Sento i brividi corrermi lungo la schiena e gli occhi
inumidirsi al sol
pensiero che basta veramente così poco per renderla felice.
Interrotti
dalla maestra siamo
costretti ad andarcene per consentirle di continuare il normale
svolgimento
della lezione. Salutiamo Sophie con un altro abbraccio e poi andiamo
via.
-grazie
infinite per quello che ha
fatto oggi signorina Blanchard…- comincia a dire Edward che
viene subito
interrotto dalla diretta interessata.
-oh
ma la prego mi chiami Mary
Margaret- un momento! A me non l’ha mai chiesto! La guardo
assottigliando gli
occhi quando mi rendo conto che è diventata più
rossa di un peperone. Edward le
rivolge un sorriso e penso che potrei vederla implodere da un momento
all’altro. Questo pensiero mi fa alzare gli occhi al cielo
troppo abituata a
vedere ogni esemplare del genere femminile andare in iperventilazione
quando
c’è Edward nei paraggi, ed è
più che evidente che il mio ex marito ha fatto
colpo anche in questo caso.
-si,
la ringrazio davvero tanto.
Ora dobbiamo andare, grazie mille per la sua disponibilità-
mi intrometto io
per nulla contenta di fare da spettatrice a due pavoni intenti a fare
la danza
dell’amore. Spingo Edward ad andarcene, si può
dire che quasi lo trascini verso
la porta d’uscita e quando siamo fuori all’aria
aperta mi guarda quasi male.
-che
c’è?- gli chiedo stupita.
-niente-
mi risponde lui con
tranquillità scrollando le spalle.
-ah
mi sembrava. Ti pare il caso? È
la maestra di tua figlia!- questa volta il mio tono è un
filino tagliente.
-Bella
ma non stavo facendo niente,
davvero-
-okay,
se lo dici tu-
-ma
la signorina Blanchard non
aveva detto che dovevamo evitare di litigare?-
-si,
evitare di farlo davanti a
Sophie e guarda un po’, adesso Sophie non
c’è-
Restiamo
fermi a sbuffare e
soffiare aria dal naso come due tori incazzati per un po’
prima che uno dei due
si decida a parlare, e lo fa lui.
-senti,
ti andrebbe di andare a
prendere qualcosa in quel café che ti piace tanto?
Così possiamo parlare
tranquillamente della situazione- mi dice tornando improvvisamente
serio.
Guardo l’orologio, sono a malapena le 9.45 del mattino. Okay
decido che si può
fare, ho ancora tempo prima di andare al lavoro, ciò che mi
stupisce è che ce
l’abbia lui il tempo.
-ma
non devi andare al lavoro tu?-
gli chiedo incrociando le braccia al petto.
-dovrei,
ma ho detto a Mike che mi
serviva la mattinata libera per questioni di famiglia. Lo raggiungo in
ufficio
dopo pranzo-
-okay-
acconsento a quel punto – ma
io vengo con la mia macchina-
Alza
le braccia al cielo in un
gesto di resa e ridendo si allontana verso la sua auto. Io salgo nella
mia e
diligentemente quando si immette nel traffico mi accodo dietro al suo
posteriore. Improvvisamente scoppio a ridere come una cretina
chiedendomi se le
cose cambieranno mai tra noi due. Sono sempre stata io quella a
inseguirlo,
sempre e per una volta, una volta soltanto mi concedo di fare il
contrario
(anche se si tratta di una stupidaggine). Lo sorpasso proprio quando
giungiamo in
una strada abbastanza larga da permettermi di farlo e mi lascio andare
a un –
vediamo CHI insegue CHI adesso- mentre vedo nello specchietto
retrovisore un
sorriso illuminargli il volto.
***********
Il tragitto
dalla scuola di Sophie al café non è
tanto lungo perciò non ci mettiamo niente ad arrivare.
Parcheggio proprio di
fronte al Café Boulud sulla 76th Street/ Madison e scendo
aspettando che Edward
mi raggiunga prima di entrare dentro. Adoro questo café
è incantevole e non
sembrerebbe a giudicare dalla facciata esterna di semplici mattoni
bianchi e
dalle tende verdi con il nome del locale stampato sopra. In
realtà è dentro che
il Cafè Boulund ti stupisce. È dotato di una
comoda sala interna in stile un
po’ retro con le sedute in legno bianco e grandi tavoli dalla
forma rotonda.
Anche il bancone è una delle caratteristiche che mi
piacciono di più. Sempre in
stile retrò ha quel qualcosa di carismatico e di vissuto che
sembra uscito
direttamente da un film di Fellini. Ma al suo interno cela anche
qualcos’altro,
qualcosa di molto prezioso. Attraversando una porta finestra ci si
ritrova
all’aria aperta in un terrazzo con al centro una fontana
bellissima e un
giardino con mille fiori colorati. Un pergola scende dal soffitto
completamente
rivestita da una bouganville rossa e tu ti senti subito catapultata in
un
terrazzo della costiera amalfitana. Oh, quanto vorrei visitare quei
luoghi e
l’Italia in generale. Forse un giorno…
-eccomi,
possiamo entrare- la voce di Edward mi
arriva così vicino all’orecchio che sobbalzo dallo
spavento presa com’ero dal
mio viaggio pindarico.
-oh, si andiamo-
mi guarda perplesso per un attimo
per poi distendere le sopracciglia inarcate.
-Bella? Non ci
credo! Come stai? È da un po’ che non
ti vedo- esclama subito il padrone di casa quando varco
l’ingresso del café.
Lascia dei clienti agli altri camerieri e viene nella nostra direzione.
-ciao James- lo
saluto calorosamente lasciando che
mi abbracci forte. James è una persona veramente adorabile,
lo conosco da tanto
tempo. Ci siamo conosciuti grazie ad amici in comune e da allora non ci
siamo
più persi di vista. Gestisce questo locale da parecchi anni
ormai, l’ho aiutato
io ad inserirsi in questo mondo quando da semplice cameriera mi sono
ritrovata
con un libretto degli assegni in mano. Svolge il suo lavoro
egregiamente
nonostante i grattacapi siano tantissimi, ma in quanto a pazienza lui
è super
fornito, ne ha da vendere. Non lo vedrai mai con il broncio o incazzato
nero,
come qualcuno di mia conoscenza. Rido tra me e me pensando che potrei
proporre
a Steve di venire a prendere lezioni di autocontrollo da lui.
-è
bello ritrovarti, non far passare così tanto
tempo prima che veda di nuovo te e il tuo culo rinsecchito nel mio
locale,
chiaro?- rido della sua battuta mentre sento qualcuno schiarirsi
debolmente la
voce.
-sei sempre il
solito, non cambierai mai- dico
divertita.
-e chi ha
intenzione di farlo!- esclama
scandalizzato facendomi ridere ancora più forte.
-bene
perché potrei rinnegarti come amico se solo lo
facessi- gli punto l’indice alla faccia in segno di minaccia.
Questa volta è il
suo turno di ridere e di abbracciarmi nuovamente. Continuerei a
scherzare
all’infinito con James ma il gracchiare di Edward mi fa giare
completamente
nella sua direzione. È rimasto fermo e impalato, con le mani
in tasca a
fissarci con uno sguardo torvo per tutto il tempo.
Improvvisamente
mi sento avvampare.
“finiscila
cretina!” mi ammonisco
mentalmente.
-emmh,
James… ti ricordi di Edward, il mio… il mio
ex marito?- dico mentre lo tiro da un braccio per fargli vedere che non
siamo
soli.
-oh, si che mi
ricordo. Ciao Edward è un piacere
rivederti- esclama il mio amico porgendo una mano ad Edward che gliela
stringe
forte. Per un attimo penso che potrebbe rompergliela.
-il piacere
è mio. Anche io mi ricordo di te, “il
mio amico impiccione e cazzone” non è
così che lo chiamavi Bella?- per poco non
mi affogo con la mia stessa saliva quando sento quelle parole. Lo
guardo di
sbieco e mi dico che ci penserò dopo a strigliarlo per bene,
sempre che non lo
uccida prima. Sto per replicare soprattutto per non creare malintesi
con James
che è proprio lui ad intromettersi.
-muhaha si, sono
io. Bella può chiamarmi come vuole,
non è vero scheggia?-
Anche questa
volta il mio sguardo non è dei più
pacifici e ammonisco con gli occhi James per come mi ha chiamata.
È un botta e
risposta che mi sta mettendo in agitazione, sembrano due galli che
combattono
nell’aia. Così decido di prendere in mano la
situazione, non voglio vedere
spargimenti di sangue.
-si, va bene.
James vorremmo un tavolo fuori in
veranda ci accompagni?-
-naturalmente,
seguitemi-
Come se stessimo
giocando a fila indiana ci
dirigiamo uno dietro l’altro verso il terrazzo sul retro e
per poco non vado a sbattere
con la faccia sulle spalle del mio amico quando si ferma di botto.
-come sta
Charlie? È da un po’ che non lo vedo, si
sta riprendendo?- mi chiede affiancandomi e insieme riprendiamo a
camminare.
Dietro di me sento Edward sospirare.
-sta un
po’ meglio-
mento – gli porterò
senz’altro i tuoi saluti-
Quando arriviamo
nel terrazzino ci fa accomodare al
mio tavolo preferito e non posso che apprezzare il gesto. È
nell’angolo
illuminato dal sole e neanche troppo vicino alla fontana, è
perfetto.
-cosa vi porto?
A te il solito Bella? Caffè
macchiato con panna e una spolverata di cannella? – lo guardo
stupita, è
incredibile che se lo ricordi! Ormai è parecchio tempo che
non vengo qui e
adesso che ci penso non so nemmeno perché.
-si per me va
benissimo quello- dico entusiasta.
-fanne due-
aggiunge subito dopo Edward e
immediatamente lo guardo aggrottando le sopracciglia.
-okay, arrivano
subito- dice James allontanandosi
con le ordinazioni.
Il mio
sopracciglio non accenna a distendersi e
Edward lo nota subito.
-che
c’è?- mi chiede indispettito.
-tu odi la
cannella- gli dico come se stessi
parlando con Sophie. Lui mi guarda sbuffando e in questo momento le
somiglia
tantissimo, anche lei fa così quando dico qualcosa che non
le piace.
-beh, adesso mi
piace-
-ma…
ma falla finita Edward. Non ti credo, cos’è una
specie di sfida?-
-ma quale sfida?
Di cosa stai parlando?- mi chiede
agitandosi sulla sedia.
-parlo del tuo
comportamento di poco fa, era solo un
modo per far incazzare me o volevi provocare James?-
-beh si certo
perché lui non ha fatto niente, ma hai
sentito quello che ti ha detto? Il modo poco signorile con il quale ti
ha
invitata a tornare? E poi che vuol dire scheggia? Scheggia di cosa? E
perché io
non ne so niente?- mi urla tutte quelle domande una dietro
l’altra e in maniera
così veloce che quasi mi sembra di non capirle. La vena del
collo gli pulsa
vistosamente e il suo respiro e affannato, ma questo non giustifica il
suo
comportamento, questo… questo attacco. Che diavolo importa a
lui cosa mi dice
James o come mi comporto io!
-e a te che
diavolo importa?- replico io altrettanto
agitata, sento il cuore in gola.
Fa per
rispondermi ma alla fine si tira indietro.
Muove la bocca in cerca delle parole giuste da dire ma in
realtà sembra più un
pesce fuor d’acqua. Veniamo interrotti dal cameriere che ci
porta le nostre
ordinazioni e una volta che se ne va il gelo scende su di noi.
Prendo la mia
tazzina in mano pronta a gustarmi il
contenuto in religioso silenzio ma quando vedo la faccia disgustata di
Edward
avvicinare il cucchiaino alla bocca, assaggiare la cannella e fare una
smorfia
ancora peggiore di quella precedente non riesco a trattenermi e scoppio
a
ridergli in faccia.
-nof
è diverfenfe- mi dice mentre cerca di mandare
giù quello che ha in bocca senza troppi risultati. Alla fine
mi trovo costretta
ad allungargli un fazzolettino affinché metta fine a
quest’agonia.
-smettila di
ridere, è una cosa disgustosa- mi dice
mortificato trasferendo con il cucchiaino la panna con la cannella
nella mia
tazzina. “E allora
perché l’hai presa?”
vorrei dirgli ma qualcosa mi trattiene dal farlo.
-muhahah dovevi
vedere la tua faccia!- esclamo
invece non riuscendo a trattenermi dal ridere tanto che alla fine si
unisce
pure lui alle mie risate. Da quanto tempo non trascorrevamo dei momenti
così
spensierati? Dal giorno del divorzio? No, da prima mi correggo
mentalmente,
molto prima. Una
fitta al petto di pura
malinconia mi fa sentire come se potessi rompermi da un momento
all’altro. Se
solo allungasse una mano o anche solo soffiasse nella mia direzione mi
ridurrei
in cenere davanti ai suoi occhi. E allora addio, Bella!
Mi ricompongo
immediatamente e mentre lo faccio vedo
scomparire il sorriso dal suo viso. Ci guardiamo negli occhi cercando
di
regolarizzare il respiro mentre nell’aria sento una specie di
elettricità che
va da me a lui. Dio, non mi sentivo così da troppo tempo, il
cuore che batte
forsennato nel mio petto non accenna a calmarsi. Vorrei dire qualcosa
per
stemperare la tensione ma è come se la sua risata avesse
schiacciato il tasto
reset del mio cervello, la sento ancora chiara nella testa.
-dovremmo
parlare di Sophie- dice all’improvviso
facendomi sussultare.
-si, lo credo
anch’io- prendo un’ abbondate
cucchiaiata di panna e me la infilo in bocca giusto per non stare con
le mani
in mano, la tensione che si è creata tra di noi è
così palpabile che potremmo
tagliarla con un coltello.
-se per te va
bene, vorrei passare più tempo con
Sophie. Lo so che abbiamo stabilito gli incontri e gli orari con i
nostri
avvocati, ma preferirei non metterli in mezzo questa volta. Che ne dici
di
organizzare noi stessi altri orari per stare con nostra figlia?- lo guardo sbigottita e un
po’ sorpresa dalla
sue parole. Sarebbe un bellissimo gesto quello di non voler mettere gli
avvocati di mezzo ma quello che mi chiede è praticamente
impossibile.
-Edward, lo sai
che non si può fare- dico
continuando a ingozzarmi di panna.
-ma
perché? Andiamo Bella, non ti ho mai chiesto
niente da quando ci siamo separati-
-si…
no, cioè non è per questo. Per me andrebbe
anche bene risolvere la faccenda tra di noi, ma è alquanto
impossibile che tu
riesca a ritagliarti del tempo dal lavoro per stare con lei, e non
voglio che
mi chiami all’ultimo minuto per disdire un incontro e farla
stare male- quello
che mi chiede è veramente molto bello, assicurare la sua
presenza ogni qual
volta Sophie ne ha bisogno è un altro paio di maniche. Un
bambino ha delle esigenze
che sicuramente un uomo in
carriera non
può soddisfare. Lui non può lasciare una riunione
e scappare a prenderla perché
ha il mal di pancia. Io invece posso farlo, posso correre da una parte
all’altra della città senza dovermi scusare con
nessuno.
-no Bella, posso
farcela, posso delegare anche io
qualcuno, posso disdire anche io un appuntamento come fai tu se fosse
necessario- dice assennato neanche avesse letto i miei pensieri!
- Ti prego,
dammi la possibilità di…-
-di cosa?-
capisco subito che le sue parole non mi
piaceranno per niente.
-di dimostrarti
che di me ti puoi fidare- dice con
reticenza. “che
cazz…” comincio a
pensare scuotendo la testa. Ma parla sul serio o cosa? “Di me
ti puoi fidare”
ha fatto la stessa fine di “io non ti tradirò
mai” e adesso dovrei credere alle
sue parole?
-lo so che con
te non sono stato un buon marito e
che le mie parole possono sembrarti poco convincenti…-
-poco dici? Io
dico per nulla convincenti!-
-ma lo sai che
con Sophie è diverso. Non puoi
tradire un figlio, quello che hai con lui è un legame
indissolubile ed io ti
prometto che non le farò mai del male- mi dice guardandomi
intensamente negli
occhi e sembra che abbia appena giurato sulla Bibbia tanto le sue
parole
risuonano forti, ma soprattutto convincenti; percepisco ad ogni sillaba
la sua
voglia di farmi cedere. Gesù, fare la madre è un
lavoro veramente frustrante,
devi decidere qual è il bene di tua figlia e non puoi mai
tirati indietro, mai.
Anche se delle volte vuoi solo
comprarti una fottuta isola e scomparire!
Okay, parliamoci
chiaro, non è che devo decidere se affidare mia figlia
all’orco cattivo. Stiamo
parlando di suo padre, del sangue del suo sangue. Dovrei affidargliela
ad occhi
chiusi sapendo che nessuno potrà mai amarla quanto la ama
lui, però perché è
così dannatamente difficile? La
verità è che ho paura. Paura che anche lei possa
soffrire quanto ho sofferto
io. Paura che lo possa vedere con un'altra donna e cominciare a farmi
domande
alle quali non saprei come rispondere. Gli occhi di Edward mi stanno
ancora
fissando ed io non vorrei farmi intimorire, davvero. Ma è
inevitabile.
“smettila
di guardarmi così” vorrei
urlargli. Ma invece mi limito ad
annuire. Quando capisce che gli ho dato la mia benedizione diventa
così
raggiante che penso di avergli appena fatto il regalo più
bello della sua vita.
-ma.. ho delle
condizioni!- dico subito puntandogli
il dito contro.
-tutto quello
che vuoi- risponde all’istante.
-Sophie
continuerà a stare da me ovviamente, perciò
dovrai chiamarmi ogni volta che hai intenzione di vederla. Dovrai
avvisarmi e
dirmi dove andate e soprattutto se mai volessi portarla a casa con te,
dovrai
farle trovare tutto quello che le piace. Ti farò fare anche
una replica esatta
della sua stanza se necessario, ma non voglio che si senta a disagio. I
fine
settimana come stabilito sono i tuoi, ma visto che ti sto concedendo di
portarla a casa anche quando non ti spetta, vorrà dire che
qualche weekend lo
passerà con me. Per cominciare mi sembrano delle concessioni
abbastanza
ragionevoli, non trovi? E poi potremo fare come ci ha suggerito la
maestra,
uscire ogni tanto noi tre insieme -
-okay,
farò come vuoi tu. Ma non togliermi tutti i
weekend…-
-ah queste sono
le mie condizioni. Prendere o
lasciare- mi guarda per un momento e senza esitare mi risponde
– si, va bene,
ci sto-
-e un'altra
cosa. Sophie non dovrà mai e in alcun
modo venire a conoscenza o entrare in contatto con qualsivoglia...
donna – per
non dire sgualdrina – avrai intenzione di portarti a casa,
sono stata chiara?-
se fossi Superman uscirebbero lambi infuocati dai miei occhi in questo
momento;
odio parlare delle questioni amorose del mio ex marito se non
l’aveste capito.
-non
c’è nessuna…- comincia a dire ma si
interrompe
bruscamente come se stesse per dire troppo. Nei suoi occhi vedo un
lampo che
non mi piace per niente. Cos’era? Delusione?
-non
c’è nessuna… cosa?- lo incalzo io
peggio del
migliore degli avvocati.
-niente…
no, niente. Okay, hai la mia parola- dice
deglutendo a fatica. Perché tutta questa tensione adesso?
Allunga una mano
verso di me per sigillare il patto che abbiamo appena stipulato e
istantaneamente sento una scia di brividi percorrermi tutta la schiena.
“avanti Bella che ti prende? Neanche
ti
avesse offerto di fare un patto di sangue” no ma
non è questo, è la paura
di toccare di nuovo la sua pelle ad intimorirmi. Che diavolo mi prende?
Dovrei
odiarlo, dovrei provare solo disgusto nei suoi confronti dopo quello
che mi ha
fatto e invece ho paura di stringergli la mano per il terrore di quello
che
potrò provare. Sono proprio senza speranza.
Allungo anche io
la mia mano e piano la appoggio
sulla sua. Succede tutto talmente in fretta che non ho neanche il tempo
di
abituarmi alla sensazione di avere la sua mano calda nella mia che una
scia di
brividi parte dal collo per arrivare giù, sino alla punta
dei piedi; il calore
che sento alla mano mi fa tirare indietro di colpo e il cuore comincia
a
battermi forsennato. Deglutisco; lo sapevo che sarebbe successo questo,
lo
sapevo. A fatica faccio oscillare le nostre mani e subito dopo mi
stacco da lui
quasi scottata.
-bene allora-
dico buttando giù il contenuto nella
mia tazzina in una volta sola; se fosse stato più caldo mi
sarei ustionata le
tonsille.
Mi alzo pronta
ad andare via e a lasciarmi alle
spalle il nostro incontro che lui mi ferma per un braccio.
-aspetta Bella,
ti prego-
-no Edward devo
andare- gli rispondo io ancora
girata.
-okay, come vuoi
tu. Buona giornata- mi dice
lasciandomi il braccio ma nella sua voce sento una nota di dispiacere.
-buona giornata
anche a te- mi limito a dirgli per
poi imboccare l’uscita.
Mentre
percorro i metri che mi allontanano da lui mi
rendo conto solo adesso perché non sono più
venuta in questo posto. Mi ricorda
troppo quello che siamo stati l’uno per l’altra e
che, proprio come Edward
stesso mi ha ricordato nel sogno, abbiamo ormai dimenticato.
Bene, eccoci
quà. Che ne pensate? Oddiooo non mi piace per niente! u_u"
Non
voglio chiedervi nulla di specifico, voglio solo
leggere le vostre impressioni. Sempre che decidiate di lasciarmi una
recensione.
Volevo
dirvi ancora grazie per aver letto il primo
capitolo e per essere arrivate fin qui. Siete state fantastiche nelle
recensioni, davvero. Tra poco risponderò a tutte.
Bene non mi resta che augurarvi
buona domenica e
darvi appuntamento alla prossima settimana! BACI!!!!