Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: ste87    13/10/2012    18 recensioni
"Sposto ancora lo sguardo e per poco non mi affogo con quello che sto bevendo quando mi accorgo chi è seduto due tavoli più in la. Non posso evitare di agitarmi ogni volta che lo vedo, se poi lo scopro in compagnia di altre donne è anche peggio. Con lui faccio sempre finta che non mi importi con chi si frequenta e che può fare quello che vuole della propria vita, ma non posso negare di sentire una fitta dilaniante alla base del cuore quando ci comportiamo come due estranei. Ma ormai è questo che siamo diventati, due estranei che si fanno costantemente la guerra per non rischiare di far riaffiorare dei sentimenti che ci farebbero solo soffrire. Lo so io, lo sa lui e lo sanno le persone che ci stanno intorno, almeno quelle a cui teniamo di più." Bella e Edward sono divorziati e genitori di una bambina di nome Sophie. Cosa li ha portati alla separazione? E soprattutto riusciranno a ricucire un rapporto lesionato da tempo? Non vi resta che leggere!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Eccomi qua, sono tornata! Sono veramente molto emozionata in questo momento. Postare una nuova ff non è mai facile, ti vengono in mente ventimila complessi: piacerà? Non piacerà? Mi diranno quello che ne pensano? Sarò all’altezza di raccontare per bene ogni cosa senza offendere nessuno? Mi manderanno a quel paese?
Io spero vivamente che non lo facciate, che mi terrete compagnia durante questo viaggio e che soprattutto mi scriviate le vostre impressioni.
Passo e chiudo. Vi lascio alla lettura del primo capitolo.
Ultima cosa prima di andare: a un certo punto troverete una canzone, ASCOLTATELA! Mi ha ispirato a scrivere l’intera storia tanto che le ho dato il suo nome.
Ci vediamo giù!



“…Passa il tempo e non parlare. Passa il tempo e non dire.
Tanto tu sai quello che voleva, quello che ci è successo,
Quello che sento ancora qua.
…E tu se vuoi tornare indietro,
basta che chiudi gli occhi e poi vedrai che mi troverai!”


Mercoledì, 12 Ottobre 2011

-Henry ho detto di no. Non puoi chiedermi di discutere il prezzo di quel vino, lo so che è un prezzo esorbitante ma.. ei? Stiamo parlando del Sassicaia. Un vino che arriva direttamente dalle pianure Toscane, è uno dei vini più pregiati del mondo. Pensa a tutti i ricconi che spenderanno mille e duecento dollari solo per acquistarne una bottiglia!- negli occhi di Henry vedo il simbolo del dollaro lampeggiare ad intermittenza e dentro di me esulto spudoratamente per averla spuntata ancora una volta.  Non è da tanto che faccio questo lavoro ma una cosa è certa, sono diventata fottutamente brava a capire quello che vuole la gente, e la gente di New York amerà questo vino. Gestire dei ristoranti non è per nulla semplice, soprattutto se la crisi che ha colpito l’intero globo si fa sentire pure da queste parti anche se in forma ridotta. Ci troviamo pur sempre a Manhattan, il via vai di gente, di turisti e di ricconi pronti a spendere cifre esorbitanti solo per un pranzo non è mai diminuito. Questo è il cuore pulsante di New York, i soldi da queste parti sembrano cascate verdi nei portafogli della gente o cascate color platino se parliamo di carte di credito. Henry mi guarda e vedo qualche segno di cedimento sul suo viso, il vino che gli ho proposto di comprare farebbe veramente una bella figura nella sua cantina e so che la gente ne andrà matta. Io l’ho adorato, nonostante sia stato il mio ex marito a farmelo assaggiare durante una delle sue stratorferiche cene. E' un cuoco bravissimo. Scuoto la testa cercando di dirigere la mente altrove e mi metto a fissare il ghiaccio che ho nel bicchiere. Dopo pochi secondi sento Henry sospirare.

-e va bene! Hai vinto, mi fido di te. Diamine Bella saresti in grado di mettere fuori gioco chiunque- lo guardo sorridente- sei proprio cresciuta bambina, i Cullen hanno fatto davvero bene ad assumerti cinque anni fa- reprimo la fitta che sento all’altezza dello stomaco e indifferente continuo a guardare il suo viso contornato dai capelli bianchi e i suoi bellissimi occhi azzurri –dimentichi che adesso le cose sono un po’ diverse Henry?-
-come faccio a dimenticarlo..- sussurra dispiaciuto facendo aumentare la morsa che sento allo stomaco. Henry e io ci conosciamo davvero da molti anni e il rapporto che c’è tra di noi non lo considero per niente un rapporto professionale, noi due siamo amici prima che gestore e responsabile dell’Agape, il ristorante dove mi trovo adesso. Henry è il responsabile qui dentro, si occupa della cucina, io invece mi occupo della gestione anche se tutto questo, compresa la sedia dove sono seduta e il ghiaccio che sto facendo titillare nel bicchiere ormai vuoto è proprietà della famiglia Cullen –bambina stai bene?- mi chiede apprensivo come sempre, ed io come sempre gli rispondo con un sorriso- ma certo Henry non ti preoccupare- mi alzo dalla sedia pronta ad andare via, la mia giornata di lavoro non è ancora finita nonostante siano quasi le sei.
-dove vai? Fermati a mangiare un boccone-
Scuoto la testa lentamente – lo sai che non posso, devo correre da Steve- a quelle parole sul suo viso compare subito un espressione di sufficienza e inevitabilmente scoppio a ridergli in faccia – ma certo, come sta il nostro caro e vecchio Steve? Che vada al diavolo..- sussurra pensando che non l’abbia sentito e questo mi fa ridere ancora di più.
-Steve sta bene grazie, gli porterò i tuoi saluti- dico divertita allontanandomi verso la porta d’uscita.

Entro in macchina e molto velocemente mi immetto nel traffico di New York che a quest’ora è diventato spaventoso. Lascio il quartiere di TriBeCA e mi dirigo verso Midtown dove si trova il
Gourmet, il ristorante di Steve, altro locale che dirigevo per conto della famiglia Cullen e che adesso dirigo come socio al 50%. In verità tutti e tre i locali che gestisco sono proprietà della famiglia Cullen, ma se prima ero sotto le loro dipendenze, adesso faccio tutto da sola. Mi spiego meglio… a “causa” di una piccola clausola di matrimonio (clausola voluta fortemente dal mio ex marito che inizialmente avevo considerato superflua e per nulla necessaria) in seguito al divorzio mi sono ritrovata in possesso del 50% dei ristoranti della famiglia Cullen. In definitiva loro sono si i proprietari dei locali che gestisco, ma alla fine i proventi vanno ad entrambi. Io ho assunto la gestione, in pratica mando avanti la baracca  insieme ai miei collaboratori di sala e di cucina, loro alla fine come proprietari ricavano un bel po’ di soldi, ma quei soldi sono anche destinati alla paga dei dipendenti, io invece proprio grazie alla clausola, non devo dividere niente con nessuno. Un bel vantaggio no?  Grazie a tutti i soldi che guadagno posso permettermi la vita agiata che non mi sarei mai sognata di vivere e di questo dovrei ringraziare esclusivamente una persona, ma visti i precedenti sono più tentata di dire che devo ringraziare solo me stessa per avercela messa tutta e per aver raggiunto i risultati impensabili che ho raggiunto grazie a questo lavoro.  

Raggiungo il Gourmet in mezz’ora pronta a sorbirmi tutte le lamentele di Steve. Scendo dall’auto stringendo i lembi del cappotto contro il collo, siamo ad ottobre inoltrato e la temperatura ha già cominciato ad abbassarsi, e mi dirigo verso l’entrata. L’aria all’interno del locale è meno pungente rispetto ai 12 gradi esterni e mi lascio sfuggire un gemito di piacere quando entro in contatto con l’aria calda del riscaldamento. Angela, al bancone intenta a servire cocktail, mi saluta con un gesto della mano e noto in quel momento che il locale è quasi pieno.
Steve sarà intrattabile questa sera penso dirigendomi verso le cucine. Già a metà strada sento un odorino sublime darmi il benvenuto. Lui è un bravissimo cuoco, è eccezionale nel suo lavoro, e sarebbe di certo un ottimo responsabile se non fosse per il fatto che è sempre insoddisfatto. Il contrario di Henry in pratica, ecco perché non lo sopporta.
Spingo le porte della cucina e a passo spedito mi avvio verso i fuochi dove trovo Steve immerso completamente nel proprio lavoro.
-buona sera a tutti ragazzi, Steve..-
-oh alla buonora, quel vecchiaccio aveva bisogno che gli attaccassi il catetere?- come non detto! Lascio correre l’allusione non troppo velata che ha fatto su Henry e alzando gli occhi al cielo mi metto seduta al tavolino del break servendomi una tazza di caffè.    
-oh anche per me è un piacere vederti Steve. Siamo più scontrosi del solito stasera, come mai? Il formaggio da 800 dollari che ti ho fatto arrivare dalla Francia non ti è piaciuto? O forse sarà stato il caviale pregiato del mar Caspio? Oh, aspetta ci sono! Lo zafferano DOP della Sardegna era rinsecchito, dovrò chiamare Antonio e dirgliene quattro- dico prendendomi beffe di lui.
Si gira a guardarmi, sul suo viso ha stampata una smorfia scocciata- se non fosse che ti perdono tutto e che senza di te non riuscirei a fare niente qui dentro, ti odierei per quella boccaccia che ti ritrovi- rido sapendo di essere la sola ed unica persona a riuscire a spuntarla ogni volta con lui e affondo la mia “boccaccia” nella tazza colma di caffè. Lui ride di rimando mostrandomi una sfilza di denti bianchissimi. Steve ha 35 anni o giù di li ed è.. molto bello. E’ alto e nerboruto, ha i capelli scuri e gli occhi verdi, sulla sua faccia un pizzetto squadrato gli incornicia le labbra carnose. Devo ammettere che se non fosse la persona più odiosa di questo mondo un pensierino ce lo farei.. ma, come dico sempre, mai mischiare il lavoro con l’amore, si rischia solo di creare un casino di proporzioni megalitiche.
Dopo quasi due ore passate a sorbirmi ogni tipo di impropero da parte di Steve lascio le cucine e corro di filata da Angela. Ho bisogno di qualcosa di forte da bere.
-ciao Bella, cosa ti offro?- mi chiede lei cordiale come sempre.
-un Martini, subito!-
-ti ha fatto sudare eh?- dice divertita sapendo cosa mi aspetta ogni volta che vengo qui.
-non più del Long Island della settimana del Tartufo-  dico divertita facendola ridere.
Due minuti dopo sorseggio il mio Martini guardandomi intorno annoiata in attesa di imboccare di nuovo l’uscita e andare da mio padre. Noto a pochi metri da me una signora mangiare quello che ha nel piatto con un espressione beata dipinta sul viso, sembra che tocchi il cielo con un dito ad ogni boccone. Sono fiera di me stessa quando vedo le persone soddisfatte gustare quello che i miei collaboratori cucinano per loro, vuol dire che ogni cosa è al proprio posto e che sto facendo bene il mio lavoro.  È questa la cosa che conta di più per me, oltre mia figlia Sophie naturalmente.

Sposto ancora lo sguardo e per poco non mi affogo con quello che sto bevendo quando mi accorgo chi è seduto due tavoli più in la. Non posso evitare di agitarmi ogni volta che lo vedo, se poi lo scopro in compagnia di altre donne è anche peggio. Con lui faccio sempre finta che non mi importi con chi si frequenta e che può fare quello che vuole della propria vita, ma non posso negare di sentire una fitta dilaniante alla base del cuore quando ci comportiamo come due estranei. Ma ormai è questo che siamo diventati,  due estranei che si fanno costantemente la guerra per non rischiare di far riaffiorare dei sentimenti che ci farebbero solo soffrire. Lo so io, lo sa lui e lo sanno le persone che ci stanno intorno, almeno quelle a cui teniamo di più.

Questo pensiero mi fa balzare giù dallo sgabello e mi ricorda che ho un appuntamento con mio padre. Saluto Angela e trafelata esco dal locale cercando di fare in modo di non essere vista. Non sopporterei di reggere lo sguardo di Edward questa sera. Anche se non posso fare a meno di scontrarmi con in suoi smeraldi quando lo vedo fissarmi attraverso la parete di vetro del locale un secondo prima di infilarmi nella macchina. Sbuffo pensando a quanto sia stressante ogni volta dover sopportare tutto questo: le gambe di gelatina, il cuore che batte, le guance arrossate. Eppure non posso semplicemente godere di queste sensazioni, no.. non posso, non dopo quello che mi ha fatto.
Spingo affondo l’acceleratore per arrivare nel Queens il prima possibile,  non vedo l’ora di raggiungere mio padre, se sto troppo tempo da sola non posso fare a meno di pensare alla situazione in cui ci troviamo: divorziati e con una bambina da crescere. E pensare che il nostro era una amore così bello, così forte e siamo stati in grado di rovinare tutto.
 


Spinta da una forza incontrollata comando la mia mano a cercare nella playlist della mia macchina LA canzone, la nostra canzone. Quella che ci ha fatto incontrare. L’ascolto sempre quando ho nostalgia della nostra vita insieme e contemporaneamente mi do della stupida perché ogni volta scoppio a piangere come una bambina.
È stato il suo suono a condurmi da lui quando un giorno di tanti anni fa mi sono trovata a lavorare a casa sua. Io non ho mai vissuto nel lusso e per potermi mantenere sono stata costretta ad abbandonare l’università e a cercarmi un lavoro. 
Ricordo che da Catering & Banqueting cercavano personale per una mega festa che si sarebbe svolta nella villa di un magnate dell’industria petrolchimica, e così mi sono presentata per il posto di cameriera. Mai avrei creduto che da quella sera tutta la mia vita sarebbe cambiata per due occhi verdi e dei capelli color del rame. Mai avrei creduto che fosse possibile innamorarsi perdutamente di una persona solo dopo poche ore, eppure a me era successo. Ero solo una ragazzina che ha lasciato che l’amore la travolgesse con la stessa forza di un uragano e oggi, guardando indietro lascerei che ciò accadesse ancora.. e ancora.. e ancora. Ricordo di essermi appartata per riposarmi un po’ a fine serata, ma ovviamente il mio scarsissimo senso dell’orientamento mi  condusse praticamente nella zona opposta a dove erano andati tutti gli altri camerieri; dovevo raggiungere Janet una ragazza che avevo conosciuto quella sera stessa e che come me cercava di tirare avanti tra un lavoro e un altro. Ero pronta per tornarmene da dove ero venuta ma una musica mi fece bloccare. Come un cane da tartufo annusai quelle note dolci scivolare in quei corridoi bellissimi, finché non raggiunsi la stanza da dove proveniva quel suono in grado di toccarmi le corde del cuore; per quanto ne sapevo io poteva essere anche il suono di un CD ma la mia curiosità voleva essere accontentata. Mille brividi percorsero la mia schiena quando scostai di poco la porta per sentire meglio e in quel momento mi diedi della stupida perché sapevo che la cosa più giusta da fare sarebbe stata andarmene, raggiungere gli altri e concludere il mio lavoro. Ma no, non lo feci e naturalmente non potei sfuggire al suo sguardo(ancora oggi mi chiedo se non ci sia una qualche calamita che gli fa alzare gli occhi e cercarmi ogni volta che siamo vicini). Quando Edward si girò e i suoi occhi si posarono per la prima volta sul mio viso pensai di poter prendere fuoco. Non si interruppe, come invece pensavo che facesse visto che l’avevo disturbato, ma continuò a suonare rimanendo fisso a guardarmi. Solo dopo mi disse che non aveva smesso perché era incantato nel guardare tutto ciò che quella musica riusciva a trasmettermi attraverso le espressioni del viso.


Scuoto la testa per ritornare con la mente al presente e mi accorgo che manca veramente poco per raggiungere la casa di mio padre. Come succede sempre anche questa volta non riesco a reprimere un moto di tristezza e di malinconia quando penso a lui. Mio padre fa il poliziotto, o meglio.. lo faceva. Da quando una terribile e disgraziata notte di sei anni fa ha commesso l’errore di togliere la vita ad un uomo innocente che si trovava a passare di lì durante uno scontro a fuoco con alcuni malviventi.


Da quella sera non è più lo stesso.


Strigo forte le mani attorno al volante per sopprimere la rabbia e mi correggo mentalmente appurando che sono ormai dieci anni che non è più lo stesso. Tutto è cominciato quel giorno di settembre…quel giorno che ancora oggi tutti ci portiamo nel cuore. Mio padre ha smesso di vivere da quel giorno. Dal giorno in cui mia madre è morta negli attentati dell’11 settembre. La sorte degli occupanti della Torre Nord che si trovavano sopra i piani colpiti dall’aereo fu segnata fin dal primo momento. L'impatto centrale del Boeing contro il nucleo dell'edificio aveva precluso ogni possibile via di fuga, tagliando tutte le scale di evacuazione e lasciando senza speranze i sopravvissuti, tra questi c’era anche mia madre. Mai nessuno sarà in grado di immaginare l'inferno che hanno vissuto nei loro ultimi momenti, consapevoli della loro atroce fine. E lui era li, come poliziotto ha cercato di fare al meglio il suo lavoro e ha visto la torre cadere e sbriciolarsi davanti ai suoi occhi. Ha visto la fine di mia madre e la morte di alcuni dei suoi compagni. Mi porto una mano ad asciugare gli occhi e mi rendo conto che abbiamo commemorato tutte le vittime di quel giorno soltanto un mese fa. Nonostante il dolore ha continuato a lavorare lo stesso, si è rimesso in piedi anche se con la morte nel cuore e ha lavorato sodo per riuscire a darmi il meglio. Ma quella notte di sei anni fa è stata il colpo di grazia per lui, da allora non si è più ripreso sprofondando in una sempre più dilaniante sofferenza. Non esce più, non ride più.. è diventato lo spettro di quello che era il mio amorevole e dolce papà. Solo mia figlia Sophie riesce a farlo sentire un po’ meglio. Lei con la sua allegria e spensieratezza spazza via brevemente le nubi dal suo cuore e dal suo animo, ma poi tutto torna come prima quando è ora di tornarcene a casa.


Metto la freccia per svoltare a sinistra e parcheggio l’auto nel vialetto di casa. Le luci sono soffuse e come sempre il volume del televisore troppo alto; sento David Letterman ridere sguaiato sin da qui. Prendo il sacchetto che ho fatto preparare da Steve dal sedile accanto al mio e scendo dall’auto. Quando apro la porta di casa la scena che mi trovo davanti è sempre la stessa: Charlie seduto sulla poltrona intento a guardare la punta delle sue scarpe e lo show televisivo che scorre senza degnarsi di dargli nemmeno un occhiata. Subito afferro il telecomando e abbasso il volume, stupendomi come mai Sue non l’abbia fatto prima. Sue è la vicina di casa di papà, ogni tanto lo affido a lei quando gli impegni mi impediscono di venire a fargli visita.

-ciao papà, come stai oggi?- gli dico mentre mi abbasso per depositagli un bacio sulla fronte e corro in cucina sapendo che non riceverò nessuna risposta. Prendo le posate e i piatti, li porto in salotto e li appoggio sul tavolino proprio davanti a lui. Apro il sacchetto con il cibo e deposito nel suo piatto un abbondante porzione di riso ai funghi( per fortuna l’appetito non gli manca) e il resto lo metto nel mio. Gli porgo la forchetta e riempio il suo bicchiere con dell’acqua – avanti papà, mangia su- lo incito mentre lo vedo rivolgermi la prima occhiata da quando sono entrata. Si sforza di farmi un sorriso tirato e comincia a mangiare. Passiamo il resto del tempo a sfamarci senza dire niente, lui è di poche parole ed io sono troppo stanca per intavolare una conversazione che alla fine porterò avanti da sola.
Dopo aver finito tutto quello che ha nel piatto mi chiede di Sophie – dov’è la mia dolce nipotina? Sta bene?-  dice con quel tono che mi ricorda tanto i tempi passati.
-oh benissimo grazie. È a casa di sua zia, voleva passare un po’ di tempo con lei. Vado a prenderla prima di tornare a casa-
-bene- mi dice e soltanto in quel momento mi rendo conto che forse non gli faccio passare abbastanza tempo con lei se arriva a chiedermi come sta. Capisco che la conversazione è finita quando si gira a guardare la tv, perciò mi alzo e vado in cucina per riordinare. Quando finisco corro subito nella sua camera da letto e do una sistemata anche li, poi mi dedico al bagno. Faccio tutto in fretta in modo d’impedirmi di pensare a questa tremenda situazione. Sono le 21.30 quando torno giù nel salotto e lo trovo nella stessa posizione in cui l’ho lasciato. A questo punto non riesco più a trattenermi e una fitta allo stomaco mi procura una crisi di pianto. Per non farmi vedere mi chiudo in cucina e aspetto che finisca, che lo sconquasso che sento dentro si affievolisca e che torni a respirare normalmente. Succede ogni volta che penso a mia madre e mi rendo conto di quanto mi manca, di quanto mi è mancata nelle tappe più importanti della mia vita e quanto mi mancherà in futuro. Penso a come si è ridotto papà e a come le sue condizioni mi hanno costretto ad abbandonare gli studi per cercare un lavoro. Vorrei essere arrabbiata con lui per non avermi dato la possibilità di studiare come tutti gli altri, ma poi le immagini di me e di Edward durante il nostro primo incontro mi passano davanti agli occhi e dimentico tutto. Passa almeno un'altra mezzora prima che mi riprenda completamente e mi rendo conto che devo rimettermi in piedi e dimostrarmi forte. Lo devo a mio padre, ma soprattutto lo devo all’angelo che mi aspetta per tornare a casa dai suoi giochi e dal suo lettino.  
-papà è tardi, sono le dieci passate. Vai a letto- gli dico inginocchiandomi per terra davanti a lui. Si volta a guardami e mi stupisce alzando una mano ad accarezzarmi la guancia sinistra.
- sei così bella..- dice in un sussurro procurandomi un po’ di batticuore. Sono rare le occasioni in cui si lascia andare a dimostrazioni d’affetto nei miei confronti e ogni volta che succede penso di riuscire a toccare il cielo con un dito.
-grazie papà, ma ora vai a letto è tardi. Devo andare a prendere Sophie- annuisce alla mia richiesta e quasi a rallentatore si alza dalla poltrona per incamminarsi verso le scale che portano al piano superiore. Per fortuna è autosufficiente, non penso che sarei riuscita a sopportare l’idea di lui che ha bisogno di qualcuno per andare in bagno o anche solo spogliarsi. Prima che me ne dimentichi lascio sulla mensola del camino la solita somma di denaro che gli lascio quasi tutte le sere e dopo aver spento la tv esco di casa e salgo in macchina.

Il tragitto dal Queens all’ Upper East Side non è tanto lungo e contro ogni mia previsione non ci metto troppo tempo ad arrivare sotto casa di mia cognata, emmh scusate, volevo dire ex cognata. Lascio la macchina proprio davanti al portone del suo palazzo ed entro dentro correndo. Saluto Fred (il custode) e salgo su. Quando suono alla porta dell’appartamento che in verità ha tanto l’aria di una reggia, sono ormai le dieci e trenta passate. Dopo una serie di urletti e rumori concitati un tornado dai capelli ramati mi salta addosso cogliendomi impreparata e per poco non cadiamo a terra.

-mamma sei arrivata!- mi urla nell’orecchio stordendomi un po’.
-scusa ho fatto tardi. Pensavo che stessi già dormendo- dico guardando di sbieco mia cognata, oh pardon ex cognata.
-non arrabbiarti Bella stavamo guardando la Sirenetta e non ci siamo accorte del tempo che passava- mi dice Alice dall’alto del suo metro e sessanta. La ignoro e mi volto subito verso Sophie- davvero? Ancora?- avrà guardato quel cartone almeno 200 volte da quando gliel’ho fatto vedere per la prima volta.
-si mamma. Non arrabbiarti con la zia- per carità penso tra me e me e chi la ferma poi.
-ok, va bene. Ma adesso corri a prendere le tue cose, andiamo a casa- la metto giù ed insieme entriamo dentro per recuperare la sua borsa.
-ha fatto la brava?- chiedo ad Alice quando ci troviamo nel salotto da sole.
-si, lo sai che è un angioletto. Sta proprio venendo su bene. Ah prima che me ne dimentichi, la sua maestra mi ha dato questo per te- dice passandomi un foglio gli orari disponibili ad incontrarla- Vuole che passi a trovarla il prima possibile, anche domani se non hai impegni. E..-
-e..?-
-ha detto di far venire anche Edward- sento una morsa allo stomaco solo a sentirlo nominare e tra noi si crea subito dell’imbarazzo. Odio questa situazione, prima del divorzio io ed Alice eravamo diventate quasi sorelle.
-non preoccuparti. Lo chiamo appena arrivo a casa- fantastico adesso mi tocca fargli anche da segretaria penso.   
Per fortuna Sophie è veloce e mi toglie dall’impaccio.
La prendo in braccio e prima di uscire di casa ringrazio Alice e le chiedo di salutare Jasper da parte mia. Sul suo viso vedo la solita tristezza e me ne rammarico, ma è meglio così. Edward è suo fratello e se voglio riuscire ad andare avanti, freddare i rapporti con tutta la mia vecchia famiglia è l’unica soluzione per non rimanere ancorata al passato.

Arriviamo a casa in un battibaleno, visto che abitiamo quasi vicine, nel frattempo mia figlia non ha smesso un attimo di parlare. Come faccia ad essere così sveglia e attiva anche alle undici di sera è un mistero per me, forse i cromosomi di Edward erano in gran forma la sera che l’abbiamo concepita e hanno vinto la battaglia contro i miei facendola assomigliare sempre di più a quello scricciolo di mia cognata, emmh volevo dire ex cognata.

La porto di filata nella sua stanzetta e le metto subito il pigiama ringraziando mentalmente Alice per averle già fatto il bagnetto. Non passano più di cinque minuti da quando ho cominciato a raccontarle la favola della buona notte, che la sento sospirare pesantemente e mi accorgo che è già crollata nel modo dei sogni. Mi giro ad osservarla e ogni volta mi perdo a contemplare la sua bellezza. Il visino tondo, i capelli pieni di boccoli ramati, la sua pelle chiara e liscia come la seta, il suo profumo inconfondibile rimasto immutato dal giorno della sua nascita; sospiro pensando che sono già passati quasi quattro anni, il più bel regalo di Natale che abbia mai ricevuto.  Si perché è arrivata infiocchettata a festa dopo nove ore di travaglio il 25 Dicembre 2007. Ricordo ancora la felicità di quel giorno e l’amore incondizionato sul viso di Edward.

Le lascio un bacio delicato sulla fronte ed esco dalla sua stanzetta. Corro in bagno a farmi un doccia veloce e appena finisco indosso subito il pigiama. Asciugo un po’ i capelli e poi mi avvio in cucina. Facendomi coraggio prendo il cellulare e compongo il numero di Edward. Non mi faccio problemi che sia quasi un orario indicibile per fare telefonate o che possa interrompere qualcosa proprio sul più bello… solo a pensarci un fiotto di bile mi sale nella bocca raschiandomi la gola.

Risponde al terzo squillo segno che non stava affatto dormendo.
-Bella? È successo qualcosa a Sophie?- mi chiede subito allarmato.
-no, non è successo nulla sta tranquillo- lo sento sospirare dall’altra parte della cornetta – ti ho chiamato per dirti una cosa riguardo tua figlia- dico calcando l’accento sulla parola tua, odia quando lo tratto con così tanta indifferenza e infatti non mi stupisco di sentire uno sbuffo dall’altra parte, inconsapevolmente mi spunta un sorriso sulla faccia.
-Bella non fare così-
-così come?-
-come se non me ne importasse niente-
Non ti è importato niente tre anni fa, perché dovrebbe interessarti proprio adesso vorrei rispondergli e invece mi limito a dirgli -beh è quello che penso Edward perciò non puoi farci nulla-
-lo sai che non è vero-
-certo, certo- rispondo con sufficienza e anche questo so che gli da fastidio da morire.
-Sophie è la persona più importante della mia vita e questo lo sai-  
-peccato che quando avresti potuto fare qualcosa non l’hai fatto, hai preferito tradirmi e perdere la tua famiglia- dico risoluta soltanto per il gusto di ferirlo e fargli provare un minimo del dolore che ha fatto provare a me. Esco dalla cucina e mi rifugio nella nostra ormai ex camera da letto.
-non è stata tutta colpa mia, e lo sai- si lo so, ma non sono stata di certo io a correre tra le braccia di un’altra. Avrebbe potuto fare la differenza e invece…
- non ero io quella a spingere il tuo attrezzo in mezzo alle gambe  di quella stronza Barbie siliconata! Perciò per favore risparmiami i sensi di colpa, tanto non ti credo- lo sento sbuffare dall’altro lato –senti basta, ogni volta è sempre la stessa storia. Tu che mi rinfacci i miei errori ed io che faccio altrettanto con te. La differenza tra me e te però è che io stavo lottando per cercare di non perdere me stessa mentre tu non ti sei fermato un attimo a pensare a quello che stavi facendo, alle conseguenze delle tue azioni- stanca morta mi sdraio sul letto e cerco di regolarizzare il respiro.
-lo so, maledizione! Lo so!- dice esasperato. Passano diversi minuti prima che uno dei due torni a parlare.
-cosa volevi dirmi?- mi chiede questa volta più pacato.
-la maestra dell’asilo di Sophie vuole vederci-
-come mai?-
-non lo so, ha parlato con Alice oggi pomeriggio. Mi ha lasciato la lista degli orari per un incontro. Ti va bene domani mattina? Voglio sapere subito cosa ha da dirmi...dirci- mi correggo subito. Ogni volta litigare con lui è sfiancante ma mi rendo conto che per il bene di Sophie devo cercare di comportarmi giustamente.
-si ok, non c’è problema. A che ora ci vediamo?-
-la porto all’asilo verso le otto e trenta. Ce la fai a raggiungermi per quell’ora?-
-si, certo. Ci vediamo lì-
-bene-
-bene- finisce lui e visto che non aggiunge altro faccio il gesto poco signorile di chiudergli il telefono in faccia.

Non sono rare le volte che mi concedo di pensare a quello che è successo tra di noi tre anni fa, anzi se devo essere sincera è un pensiero così fisso che sta diventando una specie di tortura, come la “goccia Cinese” è sempre lì che a ritmo cadenzato mi fa ripiombare nel passato. La mia mente vorrebbe diventare insensibile ma il mio cuore torna sempre a quel dolore, forse perché fondamentalmente non l’ha mai abbandonato.
“È ancora troppo presto” mi dico delle volte, “non te lo leverai mai dalla testa” mi ripeto delle altre. So solo che devo fare il meglio per Sophie e il meglio per la mia bambina è che i propri genitori non si facciano la guerra a vicenda e che soprattutto non le facciano mancare mai la loro presenza e il loro amore.

Sospiro posizionandomi per bene sotto le coperte e lascio che la stanchezza della giornata mi conduca tra le braccia di Morfeo, non prima di rendermi conto che domani dovrò rivedere l’amore della mia vita che allo stesso tempo è diventato il mio incubo peggiore. E come si dice… se il buongiorno si vede dal mattino allora domani sarà sicuramente un'altra sfiancate e stressante giornata di  merda.  

 

Emmh emmh… ok, che ve ne pare?
Avete letto di una Bella forte, lavoratrice, figlia, moglie e madre soprattutto. La sua storia non è delle più felici ma in qualche modo si sta riscattando. Questo del divorzio è un argomento molto particolare, non ho mai vissuto in prima persona quello che si prova e ne tanto meno aspiro a viverlo. Spero di essere all’altezza di saperne raccontare per bene ogni aspetto. Non sarà facile, però vi giuro che ce la metterò tutta.  
Chi è curiosa di sapere cos’ è successo al rapporto con Edward? Come mai si sono lasciati?  Non vi resta altro che restare sintonizzati e lo scoprirete! Ringrazio già da adesso chiunque deciderà di lasciarmi un commento, anche solo per dirmi “fa schifo”, almeno saprò comportarmi di conseguenza. E grazie immensamente a te ciùciù che mi supporti sempre. Per chi se lo stesse chiedendo sto parlando della magnifica 
AnImoR_7 (se non avete letto le sue storie correte subito nella sua pagina!) mi ha fatto una capoccia per convincermi a postare almeno il primo capitolo di questa storia.  
Alla prossima, spero! Su facebook mi trovate qui
Ste 87 Efp
   
 
Leggi le 18 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: ste87