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Autore: EsseEffe    21/10/2012    0 recensioni
La storia complicata, ma nel contempo struggente, di due ragazzi adolescenti, Greta e Alessandro, impiantata su una semplice, ma essenziale, data: il 6 novembre.
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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UNO
 

6 novembre 2012
Se un giorno mai, un giorno mai 
tu mi riconoscerai 
illudimi che quella sia 
la prima volta che mi guardi e poi 
non ricordare il nome 
e chiedimi il mio nome ancora dai 
nascondi in una mano stretta 
la memoria che hai di noi

 

«Dove scappi, Greta?»
«Non te l’ho detto? Vado a Milano da Alice, andiamo a comprarci qualcosa di carino per stasera. Rimango a dormire da lei.»
«E il permesso chi te l’avrebbe dato?»
«Dai, mamma, scusa me ne sono dimenticata, anzi, credevo di avertelo detto. Scusa, scusa, scusa!» Greta iniziò a baciare la mamma su ogni parte del viso.
«Occhei, occhei, occhei!» Adorava la figlia e non le avrebbe detto mai detto di no per qualsiasi cosa, figuriamoci per una richiesta accompagnata da tanti baci. «Però domani devi essere a casa per pranzo; vengono i nonni  e sai quanto io e tuo padre teniamo al pranzo della domenica tutti insieme.» continuò.
«Sì, certo, non preoccuparti. Era già in programma. Allora io vado, a domani.» concluse Greta strappando dalle mani della madre l’ultimo biscotto rimasto che tanto adorava e stampandole un bacio sulla guancia, che aveva il solito odore di Leocrema.
«Ciao, e grazie!» la salutò ironica.
Greta prese lo zaino nell’ingresso e uscì di casa sbattendo, come di consueto, la porta. Iniziò a camminare senza badare all’ora e al fatto che era in un ritardo esagerato. Di questo passo avrebbe dovuto prendere il treno successivo e ciò significava far aspettare Alice mezz’ora.
«Gretaa! Hai dimenticato le chiavi.» si girò e vide la madre, che, infreddolita, le porgeva le chiavi sull’uscio della porta. «Ma la testa non la dimentichi mai?» ‘Solita frase, rinnovati!’ pensò Greta, prendendo le chiavi e riponendole nello zaino.
«Grazie, mamma.»
«A che ora passa il treno?»
«Alle 4. Che ore sono?»
«Sono le 3 e 57. Sarà meglio che ti sbrighi o lo perderai.» Greta non ascoltò proprio la seconda parte di quello che le aveva detto la mamma. Iniziò a correre senza badare alle persone con le quali si scontrava. La stazione non era molto lontano da casa, camminando normalmente ci avrebbe messo 5 minuti.
Quando arrivò alla stazione, senza fiato, il treno era appena partito.
«Porca paletta!» imprecò la ragazza.
«Cosa c’è, piccola?» sentì una voce dietro di lei e una mano toccarle il braccio. Si girò e vide  il viso di colui che aveva “amato” per un anno. Christian. Non ci poteva credere: lo riteneva bellissimo. Moriva per lui. E’ comprensibile in fin dei conti: primo amore. Ora lo guardava e non provava niente.
«Nulla, ho solo perso il treno per Milano.» rispose distaccata.
«Se vuoi un passaggio, io devo andarci. E poi magari ci andiamo a fare un giro e facciamo pace.»
«Oddio Christian non stiamo più insieme, capito? Quindi niente giro, occhei?»
«Va bene, va bene. Come vuoi.» si voltò e dirigendosi verso un gruppetto di ragazze urlò: «Christian è di nuovo sulla piazza!»
In quel momento il “non provava niente” mutò in un “ma è proprio stronzo”. Potevano essere tutti così? Se lo chiedeva di continuo e non riusciva a trovare una risposta, a venirne capo.
Inizialmente credeva che quello con Christian fosse amore, vero amore. Ma dopo quel mesetto trascorso senza di lui iniziò a rendersi conto che forse quello che provava non era amore. Forse pseudo amore, ma di certo non amore. Comunque non pensava che quello trascorso insieme era un anno buttato all’aria, anzi. Le aveva comunque dato una certa esperienza e lei di sicuro aveva provato un qualcosa per lui.
Si chiedeva  quando sarebbe arrivato l’amore. Quello vero, però. Perché ad arrivare doveva per forza. In quel periodo però non voleva impegnarsi, voleva stare un po’ da sola. Voleva conoscersi meglio e ci sarebbe riuscita solo stando da sola. Tuttavia sperava arrivasse come quando esce un nuovo singolo della tua band preferita: inaspettato e tremendamente bello. Sperava arrivasse come quando un mesetto prima era uscito “ti è mai successo?” dei negramaro. L’adorava. Entrambi, sì. Il nuovo singolo lo considerava a dir poco fantastico. Parole e musica si incastravano meravigliosamente. E poi c’erano loro, i negramaro. Per lei erano qualcosa di cui non poteva fare a meno. Una specie di “un po’ di negramaro al giorno leva il medico di torno”. Adorava tesi e musica e ci si rivedeva all’interno.
‘Sii vai via, senza di me tu vai via, non puoi aspettare tanto tempo inutile, e cosi tu vai sola via’La suoneria del telefono la distolse dai suoi pensieri. Alice.
«Oi, scusa ma ho perso il treno e sto aspettando il prossimo. Dovrebbe arrivare tra una ventina di minuti.»
«No, tranquilla. Ti ho chiamata per dirti che faccio un po’ più tardi. Ho avuto un imprevisto.»
«Occhei, allora ti aspetto in duomo. Devo per forza prendere questo treno perché è l’ultimo.»
«Occhei, a dopo.»
«A dopo.» concluse Greta. Spense la chiamata e ripose il cellulare nella tasca del giubbino. Pensò bene di andare a fare il biglietto.
Dietro al bancone c’era una strana signora con un neo enorme tra il naso e la bocca, degli occhiali calati fino alla punta del naso e un’acconciatura raccolta. La guardava dalla testa ai piedi senza badare al fatto che Greta se ne era accorta.
«Un biglietto per Milano, quello delle 4 e mezzo, per favore.» pensò bene però di prendere anche quello per il ritorno e allora aggiunse: «Ah, e anche uno da Milano a qui di domani per le 12.»
«Ecco a te.» rispose consegnandole i due biglietti. Greta le diede i soldi e la salutò educatamente, ma la signora continuava a fissarla. Alla fin fine non era più di tanto stupita, non era una cosa così insolita in un paese così piccolo, nel quale tutti sanno tutto di tutti.
Si sedette su una di quelle sedie attaccate al muro ormai da buttare. Prese l’iPod in una tasca dello zaino e mise le cuffie nelle orecchie. Addio mondo. Amava allontanarsi in questo modo da ogni cosa. Quando era triste o non aveva nulla da fare, come in quel caso, si chiudeva letteralmente in quella sorta di mondo che si era creata col tempo. Le regole erano principalmente due: massimo volume; occhi chiusi. Stette così per un quarto d’ora poi pensò bene di avvicinarsi al binario altrimenti continuando così avrebbe perso di nuovo il treno e proprio non le andava di passare il weekend lì, soprattutto dopo l’incontro con Christian.
Il treno arrivò e lei, ancora con la musica nelle orecchie, si sedette in un angolino vicino a un finestrino. Non ci avrebbe messo molto: Milano era vicinissima ed infatti lei andava a scuola lì. Quindi una decina di minuti e sarebbe arrivata. Pensò a quanto avrebbe dovuto aspettare Alice. Quella ragazza aveva un talento eccezionale per i “macroritardi”. Una volta la fece aspettare due ore! In ogni caso si sarebbe seduta da qualche parte e avrebbe osservato la gente. Le piaceva da morire osservare gente sconosciuta e fantasticare su che lavoro facessero, quanti anni avessero, dove stessero andando. E ormai, avendo avuto tantissimo tempo per cui aspettare, era diventata proprio brava. Almeno lei pensava così.
«Stazione centrale di Milano.» disse la signorina all’altoparlante. Greta prese lo zaino e scese. Si incamminò verso il duomo lentamente. Una volta arrivata si sedette accanto ad una colonna alla destra del mastodontico duomo mentre Giuliano le ripeteva nelle orecchie: «Toccami le mani, toccami le mani amore, toccami le mani.» Dopo circa dieci minuti vide due ragazzi poco lontani che ne spingevano un altro scherzando e ridendo e rivolgendo spesso lo sguardo verso Greta. Quest’ultima però non ci badò e iniziò a fissare una tipa stranissima che passava proprio in quel momento: capelli rossi, neri e verdi; piercing dappertutto; e le borchie da un momento all’altro le sarebbero comparse anche sui capelli. Pensò che stesse andando ad un concerto punk con un fidanzato punk per comportarsi da punk. Sorrise al pensiero.
Stava iniziando ad osservare una signora tutta impettita quando uno dei tre ragazzi visti precedentemente le si avvicinò. «Ciao, piacere, io sono Alessandro.» Il ragazzo le porse la mano. Greta era alquanto sorpresa e, alzandosi maldestramente, si tolse le cuffie dalle orecchie, spense l’iPod e gli diede la mano con lo sguardo rivolto alle due mani sconosciute che si stringevano.
«Greta.» rispose guardandolo per la prima volta in faccia. Due occhi verdi smeraldo spiccavano su una carnagione scura e una barba nera evidentemente trascurata. I capelli neri come la barba normali sulla testa, e più corti ai lati gli davano proprio un’aria da “io sono io, e tu non sei nessuno”. Alto, abbastanza piazzato quel ragazzo, che Greta si era ritrovata di fronte di lì a un secondo ed inaspettatamente, la guardava con un sorriso sghembo stampato in faccia. Dire che era bello era davvero un eufemismo.
«Vuoi portarti la mia mano a casa?» scherzò sorridendo Alessandro.
«Oddio scusami,  stavo pensando che somigli molto ad un mio vecchio amico.» inventò Greta lasciandogli la mano.
«Mmm.. Wow, come si chiama?» la stuzzicò.
«Ehm.. In realtà non ricordo, per questo mi ero “imbambolata”. Mi pare Daniele.» lo fregò Greta.
«In ogni caso, ho fatto una scommessa con quei due miei amici laggiù. Devo convincerti a uscire con me stasera.» disse con quel suo, ormai solito, sorriso.
«Beh, allora digli che l’hai persa in partenza.» rispose prontamente Greta.
«Wowowowo, ci va giù pesante la ragazza. Non ti ho ancora iniziato a convincere, cara la mia Greta.»
«E non ci riuscirai infatti.»
«Vedremo. Piuttosto, a me sembra di averi già vista.» disse prendendo l’iPhone dalla tasca. ‘Classico figlio di papà’ pensò Greta vedendo il cellulare che aveva.
«Non lo so.»
«Ecco dove ti ho vista: l’altro giorno mi hai aggiunto su Facebook. Sembri tanto la tipa sulle sue che snobba tutti i ragazzi che ci provano e intanto poi chiedi l’amicizia a ragazzi sui social network!» Greta, impallidita, ripensò a quanto odiasse il fratello.
«In realtà ti ha aggiunto mio fratello. Io non sono la tipa che lo fa. Ho annullato la richiesta ma a quanto pare non funziona.» si giustificò lei.
«Sì sì, dicono tutte così.» scherzò lui. «Comunque i miei amici pensano che tu sia una figa da paura, ed anche io in realtà, per questo motivo abbiamo scommesso che se stasera uscirai con me loro devono pagarmi due biglietti al concerto dei negramaro di gennaio, in caso contrario potrò andare ad un loro concerto soltanto al prossimo tour.»
«Ti piacciono i negramaro? » gli chiese.
«Li adoro.» rispose lui. Definire Greta sbalordita era davvero poco. Ai ragazzi difficilmente piaceva un gruppo come i negramaro. Forse era il primo ragazzo che conosceva a cui piacevano. Non ci poteva credere.
«Ed io cosa ci guadagno?» lo provocò lei.
«Un concerto dei negramaro con un bel ragazzo.» rispose, tirandosela palesemente.
«Mmm.. A che ora mi passi a prendere?»
«Grazie, grazie, grazie!»
«Ad  una condizione però.»
«Tutto quello che vuoi.»
«Non devi innamorarti di me.» In tutta sincerità e a prima vista, quel ragazzo le piaceva da morire: l’aspetto, l’atteggiamento. Sorriso ed occhi poi tutta un’altra storia! Però in quel periodo non le andava di impegnarsi sentimentalmente, soprattutto perché da poco aveva chiuso con un tipo.
«Ovvio.» rispose lui.
«Alle 9 in via Ajaccio. Non un minuto di più, non uno di meno.»
«Perfetto. A dopo.» disse con quel suo sorriso terribilmente bello e dandole un bacio sulla guancia.
Lui se ne andò insieme agli amici che continuavano a ridere come dei bambini dopo aver visto Babbo Natale, ed un secondo più tardi arrivò Alice, che aveva visto gran parte della scena. «Chi è quel figo assurdo?»
  
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