Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Brooke Davis24    22/10/2012    1 recensioni
1708, Altoona, Pennsylvania.
Sophie, il suo essere indomita, caparbia, fiera, spesso sfrontata ma più di tutto donna, come poche altre riuscivano ad essere a quel tempo. Incastrata da un affetto troppo grande per non essere deleterio, riuscirà a liberare il suo cuore dalle catene che tentano di soggiogarlo?
Tratto dal terzo capitolo:
"Ora che nessuno avrebbe più potuto farle pesare ciò che era, rimpianse di non averlo compreso prima, di aver versato lacrime amare per via del modo in cui era stata guardata. Non avere i genitori era sbagliato, parlare con la gente di colore era sbagliato, correre, inzaccherarsi nel fango, giocare alla guerra con i ragazzetti era sbagliato, rispondere a tono era sbagliato. Esisteva qualcosa nel mondo che, per una donna, non fosse compromettente? La risposta era giunta qualche tempo dopo la sua partenza, quando il suo cuore le aveva suggerito che, qualunque cosa avesse fatto, la gente l’avrebbe additata per il solo gusto di farla sentire fuori posto, arrogandosi un diritto che nessuno avrebbe dovuto possedere su un essere umano. Come poteva un uomo giudicare l’anima di un altro e il modo in cui essa veniva espressa senza mai averne preso visione?"
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mi scuso per il ritardo e per gli eventuali errori, ma, sebbene avessi molta voglia di scrivere, gli impegni me l'hanno impedito e ho tentato di recuperare stanotte. Spero non sia troppo osceno! 
Buona lettura.


7.

La notizia del matrimonio della giovane Sophie con l’avvenente Carter Matthews si era rapidamente diffusa presso la tenuta Woods e, sebbene soltanto in pochi fossero a conoscenza della verità, lo scalpore destato tra gli inservienti era stato tale da rendere l’argomento oggetto di discussione non appena si iniziava una qualunque conversazione. La maggior parte della servitù era stata informata dal padrone che la giovane era diventata moglie dell’uomo al tempo della sua fuga, ma Besede, Betty, Joe e alcuni altri fidati sapevano come stessero andando le cose e avevano tentato in tutti i modi di mantenere il più stretto riserbo a riguardo, limitandosi a nulla di più che qualche cenno rispetto a qualunque tentativo di approfondire l’argomento.
I tre, in modo particolare, si erano impegnati ad evitare che la ragazza fosse scorta prima del tempo e che, in qualche modo, i sospetti su quella relazione venissero alimentati. Benché fosse rischioso, infatti, nessuno era riuscito a dissuadere Betty dal proposito di confezionare l’abito matrimoniale e, con assai scarso entusiasmo ma immensa cautela, Sophie si era recata ogni sera nella cucina di casa Woods per consentirle di prenderle le misure e accostarle al corpo uno svariato numero di tessuti. Tutti si chiedevano con quanta foga la cameriera avrebbe dovuto lavorare per rispettare i tempi previsti e l’opinione unanime riteneva che tre giorni fossero ben pochi per riuscire a dar vita ad un abito che fosse degno di essere chiamato tale.
A dispetto della diffidenza generale, Betty aveva lavorato alacremente e non si era lasciata scoraggiare o corrompere da chi l’aveva supplicata di lasciar perdere – Prima fra tutti la futura sposa! – o chi le aveva offerto un aiuto nell’intento di sbirciare la sua opera. Ad onor del vero, l’unico elemento di disturbo alla sua caparbietà era stata l’assoluta apatia di Sophie e le espressioni cupe che, di tanto in tanto, le aveva scorto sul viso. Non era certa che sposare Carter Matthews fosse un bene per la giovane e, in parte, condivideva la diffidenza nei confronti dell’uomo, ma era altrettanto consapevole che nulla avrebbe dissuaso la sua adorata protetta dal sacrificarsi per il bene di Catherine.
Erano trascorsi tre giorni dalla notte in cui ogni cosa era stata pattuita nel soggiorno della dimora e, per coloro i quali erano stati resi partecipi dell’evento, erano trascorse ore febbrili di preparativi e meditazioni. All’infuori di Besede, che si era dimostrata a dir poco entusiasta all’idea di quel matrimonio, non si poteva dire che il trentenne avesse riscosso grande successo tra i domestici più affezionati alla fanciulla. Joe, Betty, Wyatt lo stalliere, Brian il magazziniere e alcuni altri leggevano nella tristezza di Sophie i risultati della loro impotenza: per quanto lo desiderassero strenuamente, non avrebbero potuto interferire in nessun modo, assicurandole la felicità che meritava, né tentare di portare la ragazza alla ragione. Aveva preso la sua decisione ed era più che decisa a portarla avanti!
In tutto quel trambusto e in quell’agitazione, la figura di Carter Matthews non era stata avvistata nei paraggi tanto dei piani alti quanto dei piani bassi. Nessuno avrebbe saputo dire se stesse rispettando le tradizioni, mantenendosi volutamente lontano dalla donna che stava per sposare onde respingere qualunque cattiva influenza, o se avesse dovuto sbrigare delle faccende relative all’imminente unione. Che si trattasse dell’una o dell’altra supposizione, a Sophie poco importava, perché era ben contenta di non averlo attorno e di potersi godere, per quanto possibile fosse, gli ultimi giorni in compagnia delle persone cui avrebbe dovuto dire addio.
Il pensiero che più l’angosciava era collegato all’ipotesi che nulla di tutto ciò funzionasse, che, al di là del suo sacrificio, Francis Spencer non credesse ad una parola del signor Woods e riversasse le sue ire sull’innamorato di Catherine. La notte stessa del suo ritorno, dopo essersi frettolosamente allontanata dal soggiorno per non dover subire le occhiatine soddisfatte del trentenne, una preoccupazione era subentrata nella sua mente e, a tarda ora, si era insinuata nelle stanze dello zio dell’amica per strappargli di bocca la promessa che ella non avrebbe mai saputo nulla della sua scelta, che il suo sacrificio sarebbe rimasto nascosto all’unica persona che, forse, avrebbe dovuto saperlo. Conoscendola, si sarebbe opposta, sentita in colpa e avrebbe tribolato all’idea di averla costretta a quel gesto estremo pur di saperla felice; ma, soprattutto, non voleva che tornasse a rivolgerle la parola per qualcosa che andava al di là del volerle essere ancora amica.
A dispetto dei suoi ripetuti tentativi di avere un colloquio con lei, nonostante fosse rimasta per lungo tempo dietro la sua porta col rischio di farsi cogliere in flagrante e mandare a monte tutto il piano, Catherine non aveva voluto saperne. Il fatto che Sophie se ne fosse andata, dopo tutto quello che avevano passato insieme, senza scriverle nemmeno due righe l’aveva sconvolta e ferita, e le notti insonni trascorse a preoccuparsi per la sua sorte l’avevano sfinita e invelenita più di quanto si ci sarebbe potuto aspettare. Si era sentita tradita dalla persona di cui si fidava maggiormente, respinta da colei sulla quale aveva sempre fatto affidamento e, ancora di più, si era sentita sola come mai era stata nella sua vita, come mai da quando si erano conosciute. A nulla erano valse le scuse di Sophie o le intercessioni del signor Woods, perché Catherine era rimasta ferma nelle sue posizioni.
Seduta nella sagrestia della piccola chiesa presso la quale Carter li aveva indirizzati, la giovane si lisciò l’abito con noncuranza ed un sorriso malvagio le increspò le labbra in una smorfia deliziosa. Convivevano in lei due mondi diversi ed opposti che, per quanto si respingessero a vicenda, non riuscivano a spezzare il legame che impediva loro di prendere strade lontane e mai coincidenti; una metà del suo cuore ardeva del desiderio di rivalsa e l’altra teneva gli occhi bassi, avvolta in un manto tenebroso. E  Sophie era vittima ed artefice di quel conflitto come lo è una strega di un incantesimo d’amore: la pozione avrebbe potuto assicurarle la devozione della persona per cui il suo cuore spasimava, ma sarebbe stata in grado di far tacere la vocina che le ricordava la finzione di quel sentimento?
Il pastore aveva ascoltato attentamente le sue parole, quando, pochi minuti addietro, lo aveva pregato di tener conto di una sua umile richiesta e, se possibile, di accettarla, ed era parso così ammirato dalla ragazza che Sophie aveva ottenuto quanto desiderava con più facilità di quanto si fosse aspettata. Voleva che Carter Matthews avesse un assaggio di quanto ben lungi dall’arrendevolezza si trovasse, di quanto fosse disposta a lottare con le unghia e con i denti al fine di rendergli pan per focaccia, e giurò sul Dio in cui credeva e su coloro che l’avrebbero vista sposarsi quel giorno che gli avrebbe reso ogni ingiustizia cui la stava sottoponendo, che avrebbe sofferto, spasimato e desiderato di non aver scambiato nessun voto coniugale con lei con la stessa disperata convinzione di un condannato al patibolo.
Il cigolio della porta la distolse dai suoi propositi di vendetta e, piano, la sua fronte e le sue labbra si distesero. Gli occhi verdi di Joe, così diversi dai suoi, la osservarono mentre si alzava e sottoponeva al suo sguardo e colsero di lei tutto ciò che un uomo innamorato avrebbe potuto scorgere, al di là delle apparenze: benché la sua bellezza togliesse il fiato e la sua bocca si atteggiasse a ridente, quando le loro mani si toccarono, Joe la sentì tremare in tutto il suo essere e istintivamente strinse la presa sulle dita affusolate che giacevano tra le sue. Entrambi sapevano come quel momento, in un’altra vita, con un’altra donna, in un’altra storia, avrebbe dovuto essere diverso, più lieto, meno gravoso, ma, allo stesso modo, convennero che, nella sua imperfezione, la perfezione di quell’istante rasentava i limiti dell’assolutezza.
Joe non era il padre di Sophie, nelle sue vene scorreva un sangue diverso e nessuno dei diritti che gli erano stati concessi spettavano alla sua persona; nessun altro uomo, tuttavia, l’amava allo stesso modo, con quel delicato trasporto che di rado aveva visto la luce del giorno e del quale ella sapeva molto di più di quanto non le fosse stato rivelato. Le braccia gracili di lui non l’avevano mai stretta o cullata, le sue dita callose non l’avevano mai sfiorata con una carezza, né le sue labbra avevano schioccato un bacio sulla sua epidermide; ma Sophie aveva visto i suoi occhi sussurrarle le nenie più soavi, avvolgerla nel calore di un’affezione che l’uomo non avrebbe saputo comunicarle, amarla come se da un suo sorriso dipendesse la vita intera dell’altro. Avrebbe avuto senso domandare di più?
«So che non dovrei essere io a…» cominciò, ma la giovane lo interruppe con un cenno della mano e l’uomo tacque, chinando il capo verso il basso. Temeva che la sua voce tradisse l’emozione che provava dentro e che parte del suo dispiacere le rovinasse uno dei giorni più belli della vita.
«Non potrebbe esserci nessun altro, Joe, neanche se esistesse.» lo rassicurò e, teneramente, sistemò il suo braccio sotto quello di lui, mentre con la mano libera si calava il velo sul viso.
Ad ogni passo che compirono nel lungo corridoio, riecheggiò nella sua mente un monito che l’invitava a tornare indietro, a fuggire, a non oltrepassare la porta che l’avrebbe condotta alla sua rovina, ma Sophie non vi diede ascolto. Più forte era la voce del cuore che le intimava di salvare Catherine e fare in modo che almeno una tra loro due potesse essere felice e coronare i suoi sogni; non la sfiorò nemmeno lontanamente il pensiero che, da quando si conoscevano, fosse stata proprio lei a non aver avuto nulla tanto da perdere quanto da guadagnare.
Una luce accecante li investì una volta entrati nella parte della chiesa dedicata al culto e, all’infuori dei singhiozzi trattenuti di Besede e Betty, la ragazza non udì nient’altro all’infuori dei suoi passi che percorrevano la navata. Carter la osservò sfilare con la grazia di un angelo, avvolta in un abito di pizzo color avorio che, adornato da una fascia rosa antico al di sotto del seno, scendeva morbido fino in terra, e senza quasi accorgersene la sua postura si fece più rigida e la fermezza dei suoi pensieri parve assuefatta da quella visione. Si era riproposto di mantenere un contegno deciso tanto in chiesa quanto al di fuori di essa, ma non aveva tenuto conto di diversi elementi nel partorire un simile pensiero.
Decisi e dolci, gli archi cominciarono a suonare ed una melodia quasi divina imbevette le mura del piccolo, rustico edificio in pietra scelto per l’occasione. L’interno, illuminato dalla luce di alcune torce e candele, era avvolto nella penombra e, sebbene fosse spoglio e i partecipanti alla cerimonia altrettanto esigui, nessuno parve notare la mediocrità degli addobbi floreali. C’era qualcosa di maestoso nella figuretta che, accompagnata dalla voce quasi divina di una suora che cantava amorevoli parole in latino, avanzava tra i banchi della chiesa e l’atmosfera, per un istante, si fece così suggestiva che nessuno dei presenti ebbe materiale percezione della situazione vissuta: nella solitaria intimità dei loro cuori, ognuno di essi convenne che, se mai gli angeli avessero avuto sembianze umane, non sarebbero stati dissimili da quello che avevano davanti.
In un religioso silenzio carico di rispetto ed ammirazione, lo sposo, il prete e gli invitati tacquero e Sophie proseguì il suo cammino con minor fermezza d’animo. I suoi occhi non avevano abbandonato il pavimento per un solo istante e, tacitamente, si beò della protezione offertale dal velo in pizzo ricamato, lo stesso che, molti e molti anni prima, aveva indossato per le sue nozze la trisavola di Betty e, insieme a lei, tutte le discendenti. Non era pronta all’idea di osservare la mestizia, l’aspettativa ed il dispiacere dei loro volti, né era certa che il suo ardimentoso temperamento non sarebbe venuto meno alla vista dell’espressione vittoriosa dell’uomo che stava per sposare con la consapevolezza che avrebbe dovuto vivergli accanto e privarsi della libertà d’una scelta di cuore.
Non era una persona sentimentale, non amava i piagnistei, le dichiarazioni d’amore melense, l’idea di donarsi ad un altro in maniera incondizionata, ma non aveva mai rinnegato l’idea di poter contare, un giorno non troppo lontano, sull’affetto di qualcuno che si fosse dimostrato pronto ad accettarla, se non per amore, almeno per trasporto. Non era l’idea di rimanere da sola per il resto dei suoi giorni a spaventarla, poiché, in fondo, aveva sempre saputo di non appartenere a nessuno che non fosse se stessa: chiunque l’avesse messa al mondo doveva aver ben ritenuto che fosse meglio disfarsi di un simile fardello, prima che fosse troppo tardi, e, benché quell’idea la tormentasse e le facesse dolere il petto, era essa stessa la ragione per cui era diventata la persona che era, per non dipendere da nessuno, per non lasciarsi ferire, per non soffrire l’evenienza di un distacco ulteriore.
Come qualunque creatura abbandonata e tralasciata lungo la via, Sophie non aveva mai completamente debellato la sensazione di inappropriatezza che la sopraffaceva di tanto in tanto, l’impressione di poter risultare un aggravio di insostenibile pesantezza per le spalle di chiunque ne fosse stato dotato. E, spesso, al cospetto di un’allegra famigliola riunita attorno ad una tavola, imbandita o povera che fosse, aveva provato al tempo stesso una grande invidia ed una grande vergogna: l’una per non aver mai goduto della piacevolezza di un clima simile, l’altra per aver permesso ad un livore così torbido di toccarla. Sapeva, aveva sempre saputo che quella battaglia non avrebbe mai smesso di impazzare nel suo intimo.
Con un sospiro silenzioso, poggiò la propria mano su quella che Carter le tese e lasciò che le dita calde di lui si stringessero attorno a quelle gelide dalla sua. Aggraziata, aggirò l’ostacolo costituito dallo sgabello e affiancò l’uomo, chinando il capo non appena la voce del pastore annunciò l’inizio della celebrazione nuziale. Un improvviso gravame si stanziò nel suo torace e, prima che potesse liberarsene, una serie di calde lacrime venne giù dai suoi occhi, librandosi nel vuoto in un salto coraggioso; la sua vista parve offuscarsi, mentre calava le palpebre sugli occhi e lasciava che le guance le si rigassero di un dolore fino ad allora inespresso.
In quegli istanti, alcuni tra i momenti che più l’avevano segnata scorsero come un fiume in piena dinanzi alla sua mente e si rivide, in breve tempo, bambina, fanciulla, donna. Un sorriso stentato sorse sulle sue labbra e, nel tentativo di reprimere un singhiozzo, si soffermò sul giorno in cui aveva incontrato Tuono per la prima volta, sul sentimento che li legava, sul tempo che avevano trascorso insieme, ma l’esperimento fallì miseramente e dovette portare una mano al di sotto del velo e premerla all’altezza del cuore per impedirsi di crollare. Serrando labbra e denti, si scusò  per avergli provocato così innumerevoli affanni, lo carezzò, cullò e, infine, rasserenò; di frangente in frangente, il suo animo ritrovò quella parvenza di quiete che si era imposto e, cancellati i segni del pianto dal viso, tese la mano sinistra a Carter perché la inanellasse, imitandolo poco dopo.
Non una traccia rimase sul viso a testimonianza del suo tormento, quando il velo venne issato e le sue iridi incontrarono quelle scure dell’altro. Pur puntando fermamente in quegli occhi con lo scopo di non tradire la sua reale debolezza, Sophie non lo guardò nemmeno e, perciò, non poté cogliere la tenera, vivida ammirazione con cui lo sguardo dell’uomo sfiorò ogni suo lineamento. Quella stessa ammirazione, tuttavia, venne ben presto rimpiazzata dallo stupore e, mentre una smorfia fintamente timida increspava la bocca della giovane, Carter rivolse la propria attenzione al pastore, che, in tutta risposta, ammiccò con benevola confidenza all’indirizzo della novella sposa.
«Come avete detto, prego?» chiese conferma il trentenne e la foschia che aveva ottenebrato la sua capacità di raziocinio nel corso della celebrazione parve diradarsi ancor prima di ricevere una risposta.
«Potete baciare sulla fronte vostra moglie, ragazzo!» ripeté l’uomo canuto con un sorriso soddisfatto. Quando gli occhi di Carter tornarono sulla donna e scorse in quelli chiari di lei la più dolce delle soddisfazioni, comprese quale fosse la ragione di quella stranezza e per quale ragione gli fosse stata negata l’opportunità di prendersi il bacio sul quale aveva lungamente fantasticato in tutti quei giorni, assaporandone il gusto col solo ausilio della mente. Doveva aver persuaso il prete ad evitare qualunque effusione in pubblico e, facendo leva su una pudicizia che nulla aveva a che vedere con ciò di cui la sapeva capace, fatto breccia nel cuore dell’anziano.
«Non volete baciarmi, signore?» lo stuzzicò lei e, con falsa modestia, gli mostrò i denti candidi in un sorriso tra i più innocenti che avesse mai visto. Dannazione!, si disse e dovette riconoscerne la bravura, ignorando volutamente gli sghignazzi di una Besede a metà tra l’angosciato ed il divertito. Pur malvolentieri, avanzò di un passo e fece per posare le sue labbra sulla fronte di lei, non prima, però, di averle fatto una solenne promessa col solo ausilio del silenzio: qualunque fossero i suoi piani, quel bacio gli era dovuto e se lo sarebbe preso, che lei volesse o meno, anche a costo di affrontarne la furia.
Un applauso si levò dai presenti, quando, con uno schiocco sonoro, la bocca di Carter sancì materialmente il loro legame, e Sophie fu lesta ad allontanarsi da lui. Con insistenza, la osservò farsi vicina al pastore, carezzargli la guancia rugosa e stringergli le braccia attorno con una dolcezza tale che quasi dubitò si trattasse della stessa ragazza schiva e tendenzialmente acida con cui aveva trattato. Un amico di vecchia data, testimone insieme al suo avvocato della regolarità delle nozze, gli venne incontro con aria baldanzosa e, stringendogli la mano con vigore, sorrise radioso.
«Fratello, ora ho capito per quale ragione sei stato così misterioso sulla ragazza: nemmeno se ci avessi provato, saresti riuscito a renderle giustizia. E’ un incanto!» gli disse Fred, battendogli una pacca sulla spalla e seguendo con lo sguardo l’indirizzo verso cui era rivolta l’attenzione dell’altro. Silenziosamente, entrambi si soffermarono sull’affascinante donna che vestiva un abito da sposa tra i più belli che fossero mai stati confezionati, la ammirarono e stettero a lungo a rimirarla, mentre evitava senza troppe cerimonie le manifestazioni d’affetto dei presenti. «E’ una bella gatta da pelare, Carter. Ti darà un gran filo da torcere!»
«Non ho intenzione di dargliela vinta.» tagliò corto e la sua mascella vibrò di risentimento, strappando una risatina a Fred, che, in tutta risposta, diede di gomito e lo infastidì più del dovuto.
«Non ti è andata giù la storia del bacio, eh?» domandò, ma entrambi sapevano quale fosse la risposta a quel quesito.
Carter Matthews era uno tra gli uomini più orgogliosi e testardi che si potessero conoscere a quell’epoca; tale caparbietà, benché non avesse nulla a che vedere con l’ostentazione e l’altezzosa eccentricità di cui i nobili erano capaci, gli era spesso costata l’attribuzione di aggettivi che lo descrivevano come una persona dura, intrattabile e addirittura capricciosa. Chi lo conosceva realmente, tuttavia, non poteva ignorare come, al di là di tanta cocciutaggine, si nascondessero lealtà, audacia, generosità e bontà e Fred sapeva dell’amico il buono ed il cattivo e aveva imparato ad accettarlo così com’era, elogiandone i tratti positivi e disapprovandone apertamente quelli negativi. Era per questo loro conoscersi bene a vicenda che litigavano di rado: l’uno sapeva quando fosse il caso di evitare la reciproca compagnia, l’altro quando non intromettersi in questioni su cui non era richiesto un suo parere.
«Non mi va giù che cominci ad usare dei trucchetti per venir meno agli accordi.» fece Carter seccamente, ma la risposta suonò incompleta e, in quanto tale, poco credibile persino alle sue orecchie. Aveva ardentemente bramato di impossessarsi di quella bocca dal momento in cui Sophie aveva acconsentito a diventare sua moglie e, al di là delle ragioni alla base della loro unione, si sentiva nel pieno diritto di pretendere quel bacio.
«Non puoi recriminarle qualcosa che non puoi provare, amico mio.» gli fece notare Fred e Carter sorrise della schietta veridicità di quel ragionamento che tanto apparteneva al modo di fare dell’altro. Da che si conoscevano, la sua era stata una filosofia spicciola e concreta, priva di quegli inutili ghirigori e rigiri di cui la imbellettavano sovente le persone del loro rango; ed era per questa semplicità – E per il fatto che gli era sempre stato fedele! – che Carter aveva imparato a trarre grandi pregi dalla sua compagnia e dai suoi consigli.
«Posso farti le mie congratulazioni, zucchero?» gli chiese Besede, una volta avvicinatasi col suo passo ondeggiante, e l’uomo gli concesse un sorriso ampio, annuendo e accogliendone piacevolmente la stretta calorosa con lo stesso trasporto che era solito riservare a chi conquistava la sua simpatia. «Quando partirete?» inquisì ancora la negra, stavolta con un tono assai meno gioviale e con una nota di preoccupazione nella voce. Quasi le si spezzò il cuore, quando Carter le rispose.
«Tra poco, signora mia. Giusto il tempo dei saluti e ci metteremo in viaggio…» Sebbene la sua espressione fosse rimasta impassibile nella sua fermezza, il trentenne dovette ammettere di mal sopportare quella sensazione di sconforto che pareva emanasse dalla persona intera di Besede.
«Ma potrete fare visita alla signora Matthews quando vorrete, ovviamente.» intervenne improvvisamente Fred e Carter gli fu grato per quella salvifica intromissione, che distrasse appena la domestica dall’afflizione che le colmava l’animo. «Perdonate la mia maleducazione, signora. Sono Frederich Ludlow, amico di famiglia dei Matthews e di vecchia data del qui presente.» aggiunse, prendendole la mano ed esibendosi in un galante baciamano che fece colorare le guance di Besede di roseo compiacimento. In fondo, si disse la donna, se le persone al servizio del suo beneamato fossero state premurose e buone quanto lo era lui, Sophie sarebbe stata felice e rispettata in un modo che pochi altri avrebbero potuto assicurarle. «Potrei scortarvi all’esterno?» le domandò e, quasi senza aspettarne la risposta, se la mise sottobraccio, conducendola attraverso la navata con una cadenza che ben si adattava alla fisicità dell’altra.
Carter, dal canto suo, rimase ad osservare il duo per qualche istante con aria divertita, sicché portò il proprio sguardo sulla moglie: alla sua mente tornò la sensazione di freddo che lo aveva pervaso non appena le sue dita si erano strette attorno a quelle gelide di lei e al tremore quasi impercettibile che le aveva scosse, prima che ella ritirasse la mano e gli impedisse di stringerla per infonderle calore e coraggio. I suoi propositi di vendetta avevano trovato completo soddisfacimento quel dì e, con essi, persino le sue smanie sulla figura che aveva tormentato i suoi desideri per più di un anno; eppure un insolito sentimento di tenerezza era germogliato nel suo animo al pensiero di quale grande sacrificio fosse stata disposta a compiere Sophie per il futuro di una persona che, probabilmente, non l’avrebbe mai saputo e apprezzato.
Quando il suo avvocato lo raggiunse, augurandogli ogni bene e assicurandogli di essersi occupato di tutto il necessario affinché la loro unione fosse legale, la sua attenzione fu ben poca e si scusò per la poca cortesia, ma dovette liquidarlo. Sophie aveva silenziosamente imboccato la navata e raggiunto il portone d’ingresso e Carter era più che intenzionato ad impedirle di architettare qualunque altro piano ai suoi danni. Stringendo la mano dell’esile omino e promettendogli un colloquio più approfondito per l’indomani pomeriggio, raggiunse rapidamente l’esterno e scese gli scalini d’ingresso alla ricerca della figuretta in bianco. Non dovette cercare molto, tuttavia, e la scorse poco più in là della carrozza, nei pressi della quale sostavano Besede, Betty, Joe, Wyatt e altri insieme a Fred.
Una folata di vento più invernale che primaverile attraversò la boscaglia che circondava la chiesa, facendo rabbrividire i presenti, tutti eccetto Sophie. Pur con le spalle scoperte e con un vestito che, nella sua delicata eleganza, non l’avrebbe protetta dalla rigidità di quel soffio, ella stentò a percepirne le reali fattezze; i suoi occhi verdi parvero incatenarsi alle sagome che, al limite della radura, attendevano immote un avvenimento qualunque che permettesse loro di farsi avanti. Un uomo mulatto, vestito di pelli, teneva la mano di un bambino dai lineamenti così diversi da quelli dei coloni che la sua bellezza stupì coloro i quali lo videro per la prima volta. Checché il rapporto con i nativi si fosse fatto confidenziale, costoro evitavano che i piccoli del villaggio entrassero in contatto con le brutture di quel mondo che, per quanto affascinante, li spaventava più della furia delle loro divinità.
Sophie condusse le mani all’altezza del pettine sistemato tra i capelli e, con esso, tolse il velo, poggiandolo su una roccia a lei vicina. Lentamente, prese ad avanzare in direzione del duo, la folta chioma mossa dal vento, e l’aggravio di cui aveva patito il peso opprimente tornò a farsi sentire in tutta la propria presenza. Il cuore prese a batterle al ritmo di un’inquietudine che, oramai, conosceva e con la quale temette di dover tornare a convivere, e, per la prima volta dopo anni, si morse la lingua per le sciocchezze che aveva detto e pensato: non era sempre stata sola, non si era sempre sentita di troppo. In quell’ultimo anno, i nativi erano stati la sua famiglia molto di più di quanto Catherine e gli altri non fossero mai stati in quei lunghi diciannove anni.
L’avevano accolta con gentilezza e si erano stretti attorno a lei, quando li aveva resi partecipi delle ragioni che l’avevano costretta a fuggire; avevano condiviso il loro cibo, le loro vesti, i loro insegnamenti, le loro esperienze con lei, benché non fosse stata che un’estranea, e le avevano trasmesso il valore di una fratellanza e di un rispetto che nessun altro uomo bianco avrebbe mai compreso. Le avevano concesso di intraprendere una via di conoscenza alternativa, le avevano fornito l’accesso a ciò che aveva ignorato fino ad allora senza mai ridere della sua ignoranza. Le avevano spiegato e mostrato l’anima del fuoco, dell’acqua, della terra, degli alberi, degli animali, del cielo e le avevano rivelato il valore della riconoscenza e della compassione, nel tentativo di farle vedere ciò che non le era giunto palesemente.
Lo Spirito del Villaggio, un’anziana donna che aveva la padronanza delle più arcane magie, le aveva confessato, un giorno, di aver previsto il suo arrivo e di aver conversato con la sua anima molto tempo prima che le tribolazioni la portassero a cercare il loro aiuto; le aveva raccontato di aver visto, in lei, molto più di quanto ella stessa non conoscesse di sé  e di essersi ripromessa di renderla edotta di ciò che, in germe, il suo cuore già sapeva. Quella diversità per cui l’avevano additata, quelle stranezze per cui si era sentita sbagliata e che l’avevano portata a versare lacrime amare non avevano i contorni dell’errore ma della bellezza, di una bellezza che la cecità del mondo in cui viveva non era il grado di percepire. Nessuna erba, nessun arma, nessuna medicina sarebbe mai riuscita a guarire l’ottenebramento del cuore delle persone che popolavano la sua triste realtà.
Ad un paio di metri di distanza dall’uomo e dal bambino che i suoi occhi e il suo animo avevano riconosciuto prima che apparissero alla vista, Sophie si arrestò e sorrise nel constatare che, alle spalle dei due, era presente il villaggio intero. Il muscolo nel suo petto prese a contrarsi con maggiore vigore e, quando il piccolo mulatto avanzò verso di lei, mancò poco che si piegasse su se stessa, inerme. Muovendosi piano, invece, si piegò sulle ginocchia e attese che la raggiungesse; gli sorrise con gentilezza, nel momento in cui osservò le sopracciglia di lui contratte nell’usuale espressione turbata, e il suo cuore perse un battito o due nel vedere quelle rughe d’espressione sciogliersi in un enorme, genuino sorriso e le guance ambrate colorarsi, mentre le piccole mani le porgevano una rosa cremisi come il sangue.
Le dita candide della ragazza sfiorarono la guancia paffuta del bambino con una delicatezza tale da muovergli l’animo e il suo stesso intimo vibrò, quando le braccia del piccolo si strinsero attorno al suo collo per un fugace momento e la sua piccola bocca sfiorò le labbra vermiglie di lei con un bacio innocente, prima di fuggire al riparo dal suo sguardo dietro le gambe del padre. Sophie rimase immobile qualche istante, osservando mestamente la rosa che giaceva sul sentiero sterrato, e, quando infine la raccolse, ne percepì la fragilità come se le appartenesse. Il vento, lo stesso di poco prima, le mosse ancora i capelli ma non più di quanto quel gesto le avesse mosso l’anima.
Alzandosi, attese qualche istante e sorrise, quando lo Spirito del Villaggio, con la sua andatura claudicante, le si fece incontro. In quegli occhi grigi e battaglieri con cui aveva riscoperto nozioni che non aveva neppure saputo di possedere in sé, rivide i tormenti di una vita di lotte e rinunce che non sempre le avevano concesso il dono della felicità, e, istintivamente, Sophie si chiese se le sarebbe spettato lo stesso destino, se le dita della sua mano prevedessero per lei un cammino irto che, soltanto molto più in là con gli anni, si sarebbe spianato dinanzi ai suoi occhi. Immobile, ristette nella medesima posizione, quando la donna le avvolse attorno alle spalle un mantello rosso all’esterno e blu all’interno o viceversa, a seconda del modo in cui l’avrebbe usato. C’era qualcosa di selvaggio e, al contempo, pregiato nel taglio quanto nel tessuto e la giovane lo sentì suo prima ancora di averlo tastato con le mani.
«Qualunque cosa accada, qualunque cosa gli altri dicano di te, non smettere mai di essere te stessa. E che lo Spirito della Terra ti protegga sempre, figlia mia!» le disse, carezzandole la guancia con la mano rugosa. Nelle iridi verdi della donna più bella che avesse mai visto in tutte le sue vite, lo Spirito del Villaggio vide una miriade di sentimenti contrastanti tra loro ma non la paura: c’erano malinconia, rabbia, tristezza, tenerezza, desiderio di rivalsa, tenacia, forza, ma non timore, non arrendevolezza, non subordinazione. Rimirò divampare, in quell’animo, un fuoco che nulla avrebbe spento e, sebbene voltarle le spalle e tornare alla vita di tutti i giorni fosse doloroso, ne fu rincuorata.
Sophie osservò i nativi indietreggiare, a poco a poco, nel folto della foresta e, a sua volta, s’incamminò verso la vita che l’aspettava. Ignorò gli sguardi di chi avrebbe voluto sapere, di chi avrebbe voluto capire e strinse tra le dita il gambo della rosa, le cui spine la punsero fino a ferirle la carne e a farla sanguinare; ella sorrise, consapevole che quel dolore fosse l’esatta testimonianza del suo essere viva, della sua capacità di sentire e percepire, e comprese cosa si celasse al di là di quel dono. Benché la bellezza del fiore contrastasse con l’asperità del suo gambo, ciò non aveva impedito al bambino di protendersi e coglierlo; lo stesso sarebbe accaduto con lei a tempo debito, con la persona giusta, con l’ardimento sufficiente.
Docile, lasciò che Joe le avvolgesse le dita lese attorno ad un fazzoletto bianco e permise ai presenti di salutarla un’ultima volta. Quando il rituale fu terminato e molte lacrime furono versate da buona parte dei domestici, Sophie si resse alla mano del marito e, senza troppe cerimonie, prese posto all’interno della carrozza. In quell’esatto frangente, ebbe l’impressione che una parte di lei fosse rimasta fuori dall’abitacolo, che avesse seguito i nativi e avesse deciso di rimanere nei pressi di Altoona, ma non se ne crucciò, né tentò di costringerla divenire parte di quel viaggio.
Carter salì qualche istante dopo, seguito dal giovane uomo con cui Sophie aveva visto ciarlare Besede, ed entrambi sedettero nel divanetto di rimpetto al suo. Il primo batté un colpo sul tetto della vettura, urlando un ordine secco, e, poco dopo, la carrozza partì. L’ultima cosa che gli occhi di Sophie videro fu il signor Woods scendere dalla sua cavalcatura e guardarli sfrecciar via senza poter fare nulla per fermarli: era arrivato tardi persino per un ultimo saluto.
 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Brooke Davis24