Bene.
Eccomi qua! Per farmi perdonare l’ennesima infinita assenza ho scritto un capitolo lunghino.
In cui Bella
continua la sua nuova vita da zombie
dichiarato.
In cui
conosciamo un po’ meglio Edward Roberts.
In cui Draco
prende di petto la situazione, facendo il piccolo primo passo. Anche se quello
più difficile lo aspetta di certo ‘domani’. ^__-
Buona
lettura!!
A presto e
grazie a todos!
Tess
Capitolo
25
Il
Triangolo…no
LEI.
Tic tac tic
tac.
Alle 5.36 si
svegliò e prese coscienza di sé e di ciò che le stava attorno.
Era ancora
buio. La lieve luce che filtrava dalle finestre, segno che stava albeggiando,
rendeva le sagome appena accennate.
E l’unico
rumore che si sentiva era quello delle lancette della sveglia che, sul comodino,
continuavano a spostarsi regolari, segnando il trascorrere del
tempo.
Alle 5.37 si
voltò dall’altra parte, tornando a sonnecchiare.
Tic tac tic
tac.
Alle 6.38, in
un flash, ricordò brutte cose e fu costretta ad aprire gli occhi, impastati di
sonno.
Brutte, brutte
cose.
Tirò un sospiro
di sollievo e si tranquillizzò, convinta di aver avuto un incubo.
Tic tac tic
tac.
Alle 6.39
realizzò di non aver avuto affatto un incubo.
Rigirandosi nel
letto, sbuffando impercettibilmente, cominciò a pianificare una maniera
convincente per saltare le lezioni.
Tic tac tic
tac.
Alle 7.20
ancora rimuginava. E si rigirava.
E rimuginava,
rigirandosi.
Alle 7.21 si
tirò su a sedere.
Alle 7.23 si
infilò le pantofole, ormai decisa ad alzarsi e affrontare la giornata orrenda
che le si prospettava.
Tic tac tic
tac.
Alle 7.30
ancora non si era decisa a staccare il fondoschiena dal morbido
materasso.
Le costava una
fatica enorme.
L’idea di dover
trascorrere la giornata a scappare da Roberts, a scappare da Draco, a scappare
dalla situazione in cui si trovava, a scappare da tutti quelli che le chiedevano
aggiornamenti, la faceva sentire stanca morta ancor prima di aver imboccato le
scale del dormitorio.
Ed era solo il
secondo giorno di quella tortura.
Benone.
Tic
tac tic tac.
Driiiiin.
Alle 7.35 si
infilò in bagno e ne emerse un quarto d’ora dopo, con le occhiaie più belle che
si fossero mai viste. Di un colorito violaceo in tinta con la moda del momento.
Si vestì
velocemente, in modo da scendere da sola in Sala Grande.
Sperò vivamente
che la giornata finisse in fretta, che nessuno la assillasse di domande e che le
cose non peggiorassero.
Anche se,
peggio di così…
Davvero. Non se
lo sapeva spiegare.
Lo stato di
catalessi e di depressione in cui era caduta. Più che altro si sentiva debole e
fiacca. Non aveva voglia di impegnarsi, di lottare, né di fare alcunché potesse
causarle fatica e stanchezza.
Non aveva fame.
E ciò non era
normale.
Lei, che aveva
sempre schermito e – metaforicamente parlando - guardato dall’alto in basso,
tutti coloro che proclamavano la forza distruttrice dei sentimenti, ora si
trovava infognata in quella situazione.
Io? Ridurmi
così per uno che non mi merita? Mai!
Parole
incoscienti e dettate dall’ingenuità.
Ed era bastato
poco.
Molto
poco.
Forse solo lo
sgretolamento delle illusioni che aveva creato attorno a quella storia. O la
consapevolezza che, forse, da una cotta per l’ideale di un ragazzo, era passata
ad amare un ragazzo in carne e ossa.
Uno che poteva
ferirla. Ferirla bene, a fondo. Anche con una parola. O con un’offesa. O con la
mancanza di rispetto. Per lei e per i suoi sentimenti.
Draco non se ne
rendeva conto. Non ancora, almeno.
Aveva potere
illimitato su di lei. Anche adesso. Sarebbe bastata qualche parola messa lì bene
e lei si sarebbe sciolta come neve al sole. Sarebbe corsa verso di lui
scodinzolando.
Ma lui non
l’aveva capito.
Per lui era
ancora tutto un gioco.
Bella,
trascinandosi giù per le scale, sperò con tutta se stessa che capisse molto in
fretta.
Altrimenti
sarebbe stato troppo tardi per rimediare.
LUI.
Quando Blaise
mise piede nella Sala Comune di Serpeverde, quella mattina, capì subito che
qualcosa di grosso ribolliva nel calderone.
Per così
dire.
Draco se ne
stava comodamente seduto sulla sua poltrona preferita: le gambe accavallate, la
divisa impeccabile, perfetta, il cipiglio severo e arrogante, le mani diafane
appoggiate mollemente sui braccioli.
In bella vista
il grosso anello d’argento della casata Malfoy.
Di fronte a
lui, schierati come tanti soldatini, i giocatori della squadra di Quidditch: dal
portiere all’ultimo dei battitori, passando per i
cacciatori.
Tiger e Goyle,
a braccia conserte, spalleggiavano il loro capo, uno a destra e uno a sinistra,
imponenti come due gorilla. Dal cervello piccolo, ma dall’aspetto poco
rassicurante.
Più a lato,
appoggiati alle pareti, gli irriducibili del settimo anno, quelli che da mesi
attendevano in silenzio un minimo segnale della ‘rinsavita’ di Draco
Malfoy.
-Sembra una
cosa seria… - bisbigliò Pansy, facendolo sobbalzare.
Gli era giunta
alle spalle in silenzio, cogliendolo di sorpresa.
Blaise le
rivolse un cenno impercettibile, un gesto che poteva significare tutto e
niente.
Insieme si
unirono al gruppo di Serpeverde assiepati attorno alla poltrona di Draco e, come
tutti gli altri, tesero le orecchie per sentire ciò che aveva da dire ai
compagni di squadra.
I suoi occhi si
posavano alternativamente su uno e poi sull’altro, sfidandoli silenziosamente a
contraddire le sue parole.
Ma nessuno
pareva intenzionato a farlo.
Non quel
giorno.
Piano piano
Pacato, deciso.
Con un tono che non ammetteva repliche.
Si stava
togliendo qualche sassolino dalla scarpa.
Stava mettendo
i puntini sulle i.
Stava
tracciando limiti e ridefinendo posizioni.
Stava dicendo a
chiare lettere: “La mia parola è legge qua dentro”, e nessuno si sarebbe mosso
per protestare: era giusto così.
Qualcuno
annuiva.
I più giovani
sembravano perplessi, riguardo a quel cambiamento
repentino.
Ai ragazzi del
settimo, invece, brillavano gli occhi.
Blaise pensò
che, volenti o nolenti, dopo tutto quello che era successo, tutti sapevano che
Draco, con tutti i suoi pregi e difetti – alcuni dei quali più che evidenti –,
era e restava il loro leader
assoluto.
Al diavolo la
guerra e al diavolo tutto il mondo esterno.
Hogwarts era
tutta un’altra cosa.
Diamine, pensò con
trepidazione, sembra quasi di essere
tornati ai vecchi tempi.
E sorrise
soddisfatto.
Un po’, in
fondo in fondo, era anche merito suo.
L’ALTRO.
Fino al terzo
anno era vissuto nell’ombra.
Un ragazzino
basso e cicciottello, con gli occhiali dalle lenti spesse e la vocina stridula.
Il bersaglio
ideale per gli stronzetti di Hogwarts.
Una preda
troppo succulenta per il Serpeverde D.O.C.
E
certo.
Ne aveva subite
di angherie. Da lui e dalla sua banda di scagnozzi.
Aveva da sempre
provato un’immensa gratitudine per il Cappello Parlante, che aveva scelto per
lui Corvonero. Fosse finito a Tassorosso o, ancor peggio, a Grifondoro, non sarebbe
sopravvissuto per raccontarlo.
Il quarto anno
l’aveva visto letteralmente ‘sbocciare’. Via gli occhiali e i chili di
troppo.
Merito della
crescita e dello sport. Rimaneva solo un po’ di goffaggine, data la sproporzione
tra altezza e corporatura. La nota positiva era che in quel periodo Draco
Malfoy, completamente preso dal Torneo Tremaghi e dallo sfottere Potter,
augurandogli il peggiore dei destini, si era dimenticato di torturarlo come
faceva i primi anni.
Il quinto anno
l’aveva designato come uno dei migliori giocatori della sua squadra di
Quidditch.
E di Draco
Malfoy nessuna traccia sul suo cammino. Troppo impegnato a fare il lecchino
della Umbridge, troppo impegnato a odiare Potter. Viaggiavano ormai su binari
paralleli e distanti.
Il suo successo
era giunto al sesto anno.
Il ragazzino
impaurito e impacciato delle prime classi se ne era definitivamente andato,
lasciando il posto a Edward ‘Ed’ Roberts, attraente, affascinante, sicuro di sé,
atleta perfetto, studente quasi
modello.
Si era quasi
scordato dell’esistenza di Draco Malfoy, una presenza ai margini della sua
vita.
L’inizio del
settimo anno aveva decretato la caduta e lo sgretolamento dei
Serpeverde.
Draco Malfoy
sembrava essere andato in letargo, come un vero serpente. E con lui fuori gioco, la sua Casa era
andata allo sbaraglio.
Edward Roberts
non approvava l’atteggiamento di alcuni suoi compagni, che si erano dati alla
pazza gioia, emulando in tutto e per tutto gli atteggiamenti da sempre
classificati come ‘Serpeverde’: scorrettezze, angherie di ogni tipo, bullismo.
Lui se ne teneva fuori, per la maggior parte del tempo.
Ma quando si
era presentata l’opportunità di denigrare Draco Malfoy, non si era mai tirato
indietro. Non aveva dimenticato il tormento dei primi anni di
scuola.
Poi,
all’improvviso, ecco spuntare questa ragazza, una Grifondoro del sesto anno, a difendere
il bastardo. A difenderlo a spada
tratta. Inconcepibile.
Dopo tutto
quello che Malfoy aveva fatto passare a lui e a tanti altri studenti, non si
meritava di essere difeso.
Non si meritava
di essere accudito, seguito, coccolato,
viziato e IDOLATRATO in quella maniera. Da nessuno. Non da una Grifondoro.
Men che meno da una come Bella Bothwell. Una ragazza acqua e sapone, genuina, buona come lei.
Edward Roberts
non era innamorato di Bella.
Era solo
invidioso e arrabbiato.
Perché Draco
Malfoy non si meritava niente.
Così erano
arrivati a scommettere. E lui aveva vinto, facendo leva sull’arroganza e la
presunzione di Draco. Quella poteva essere la sua occasione per tormentarlo: la
sua rivincita.
Ma le cose non
stavano andando come aveva progettato: Bella ignorava sia lui che Draco e
sembrava spenta, depressa. Ed Roberts provava dispiacere per averla ferita. Ma
se quella era l’unica maniera per allontanarla da Malfoy, allora il gioco valeva
la candela. Lui agiva anche per il bene della ragazza, nonostante lei non lo
capisse.
Ecco perché,
anche per tutto il secondo giorno della scommessa, aveva pressato Bella da
vicino. Senza risultato.
Quella sera,
però, dopo gli allenamenti di Quidditch, Ed Roberts ricevette una sgradita
sorpresa.
Dalla porta
degli spogliatoi, sbucò improvvisamente un nutrito gruppo di studenti.
Non ci mise
molto a classificarli come Serpeverde.
Anche perché in
testa a tutti loro marciava un ragazzo alto, dal pallido volto appuntito, i
capelli lisci, tanto biondi da sembrare bianchi, e dall’espressione
altezzosa.
A pochi passi
di distanza da lui, Draco Malfoy si fermò a fissarlo, uno strano ghigno dipinto
sulle labbra sottili e, per una frazione di secondo soltanto, Edward Roberts fu
convinto di essere tornato indietro negli anni.
I gorilla
Serpeverde circondarono immediatamente il gruppetto Corvonero, isolando Roberts
dai suoi compagni.
-Roberts –
esordì Malfoy con disgusto, assottigliando gli occhi – sì, ora mi ricordo di te.
Non sapevo come ti chiamassi allora, ma ora ho capito chi sei. Hai fatto
parecchi allenamenti eh? Per smaltire tutta quella ciccia,
intendo.
-Che diavolo
vuoi, Malfoy? Abbiamo da fare qui. Siamo tutti stanchi. Non vi è bastata la
batosta dell’altro giorno? – lo aggredì l’altro, facendo un passo avanti. Ma
Goyle e Tiger furono pronti a bloccarlo, uno da una parte e l’altro
dall’altra.
-Non alzerei
tanto la cresta, fossi in te. Comunque, voglio che tu tenga le tue sporche
manacce lontano dalle mie cose, Super-Cicciolo. – sibilò Draco, a pochi
centimetri dal volto furioso di Edward.
-Non osare
chiamarmi mai più così! – esplose.
Malfoy fece
finta di non averlo sentito.
-Tu stai
lontano dalle mie cose,
Super-Cicciolo, e io non ti chiamerò più così. Anzi, farò proprio finta che tu
non esista.
-Abbiamo fatto
una scommessa, Malfoy. E tu hai perso. Quindi non devi
intrometterti.
Draco, con
l’espressione più innocente che gli riuscì, finse di cadere dalle nuvole.
Un borbottio si
alzò dagli altri Corvonero presenti nello spogliatoio.
-Scommessa?Mmm…io
non ricordo nessuna scommessa, Roberts.
Edward lo
guardò con tanto d’occhi. Sembrava pure sincero, il
bastardo.
-Non fare
l’idiota, Malfoy! Hai promesso!
Goyle gli torse
dolorosamente il braccio.
-Ohhh. Tsk tsk.
Roberts, non ci siamo.
-Malfoy!
-Noi non abbiamo fatto nessuna
scommessa.
-Cosa?! Certo
che l’abbiamo fatta! Negli spogliatoi! Prima della
partita!
-Negli
spogliatoi? Mmm. Ragazzi, voi ve la ricordate questa
scommessa?
-No,
capitano.
-No.
-No.
-Nemmeno
io.
Nessuno. Guarda
un po’ che strano.
Roberts passò
in rassegna tutti i Serpeverde.
Draco lo stava
fissando, invece, e pareva parecchio divertito.
-Vedi, Roberts?
I miei compagni non se la ricordano questa scommessa. Te la sarai
sognata.
-I tuoi magari
no, Malfoy, ma i miei se la ricordano eccome!
-Certo che ce
la ricordia-!Ouch! – tentò di dire un Corvonero magrolino e dal naso lungo. Fu
messo a tacere da un pugno nello stomaco ben assestato. Qualcun altro tentò di
ribellarsi, ma venne subito zittito. E non tanto
piacevolmente.
-Davvero,
Roberts? Davvero se la ricordano? – chiese serafico Draco, guardandosi intorno,
come se non fosse successo nulla. Godendosi le facce impaurite che lo
attorniavano.
-Oppure stai
cercando un modo per salvarti la pellaccia, eh? Perché io, onestamente, Roberts, questa
scommessa non la ricordo proprio. E,
bè, se non la ricordo io, vuol dire
che chi afferma il contrario sta raccontando palle. Su di me. E, sai, amico, io non tollero che si raccontino
palle su di me. Come non tollero che qualcuno tocchi le mie
cose.
Edward stava
ribollendo di rabbia. Si guardò alle spalle. I suoi, messi con le spalle al muro
dai Serpeverde, non sembravano tanto convinti di volerla ricordare quella
scommessa.
Affrontare
Malfoy, solo e in letargo, era una cosa.
Affrontare
Malfoy, spalleggiato da tutti i Serpeverde, era un altro paio di
maniche.
Non ne valeva
la pena.
-Che diavolo
vuoi che faccia, Malfoy? Finiamola qui e subito.
-Ma come,
Roberts? Mi togli davvero tutto il divertimento? - Draco sembrava realmente
dispiaciuto come un bambino, ma si vedeva che in realtà stava gongolando. Poi,
cambiando repentinamente espressione, gli si avvicinò ancor di
più.
-Stai lontano
da Bella, Roberts. Non so che strani pensieri affollino la mente bacata che ti
ritrovi, ma lei mi appartiene.
-Lo capirà che
sei un verme dentro e fuori.
Draco
sorrise.
-Ti rode, vero?
Sghignazzò.
-Oh, Roberts,
Roberts…ma lei sa già chi sono.
Davvero non l’hai capito? È così difficile per te da accettare? Lei mi vuole
così come sono – continuò con la sua voce strascicata, tutto d’un tratto
assorto.
Aggrottando le
sopracciglia, decretò:
– Lei mi
accetta così.
Il perché una
come Bella si fosse incaponita per
uno come lui, non era chiaro nemmeno
a Draco. Ma quelli erano misteri insondabili.
Intanto,
durante tutta la giornata trascorsa, Bella aveva continuato a evitarlo come la
peste. Con quella faccia da funerale che lo metteva in agitazione e non lo
faceva dormire bene.
Era ora di
darci un taglio.
Tornò a
concentrarsi sul ragazzo che gli stava di fronte.
Serio come non
mai, ribadì:
-Stai lontano
da lei, Roberts. È l’unica cosa che puoi fare, se vuoi mantenere le ossa
intatte. Non me ne frega niente del resto, fai quello che vuoi. Ma non ti
azzardare ancora a metterti tra me e lei.
Respirò
profondamente, prima di sorridere ancora.
-Non esiste
nessuna scommessa, a quanto pare. E ciò mi autorizza a scagliarti addosso tutti
i malefici che conosco, se tocchi ancora la mia ragazza.
E detto questo,
Draco Malfoy fece la sua uscita trionfale dagli spogliatoi, con il mantello che
svolazzava dietro di lui.
Si sentiva
sollevato e, una volta fuori, respirò a pieni polmoni l’aria
gelida.
Il primo passo
era stato fatto.
-Sei stato
grande, capo!
-Già!
Tutti
entusiasti per quella retata, i suoi compagni.
-E adesso?
Adesso che si fa? – chiese Tiger, trepidante.
Ma Draco non
rispose.
Si limitò ad
alzare lo sguardo, tentando di individuare, tra le innumerevoli torri illuminate
di Hogwarts, quella dei Grifondoro.