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Autore: __lesbianquinn    24/10/2012    1 recensioni
Una storia originale tutta inventata da me, ispirata da telefilm che trattano la famiglia, che purtroppo non fanno più telefilm del genere. Spero che possa piacere.
Dal primo capitolo: E' da anni che tutto accade così, all'improvviso. La separazione dei miei genitori e il cambiamento improvviso di mia madre; il litigio dei miei fratelli e il loro continuo chiedermi favori senza mai fare qualcosa per me; la grave malattia del nonno; il brutto rapporto che ho con la maggior parte dei membri della mia famiglia. E' stato tutto improvviso.
Dal quinto capitolo: Per quanto in questi anni ci sia successa una cosa brutta dopo l'altra, riusciamo sempre a dare una parvenza di normalità. Dan e Gabriel sono essenziali per me e papà [...] -- Sospiro pesantemente e porto la testa all'indietro, chiudendo gli occhi. «Cerchi l'ispirazione?» -- «Papà, lei mi ignora!» [...] «Vorrei poter fare lo stesso anche io», borbotta uno dei gemelli [...] «Chi ci vieta di farlo?» -- «Tu non potresti piacere mai ad un ragazzo, figuriamoci ad uno bello e popolare come lui»
Tutti i personaggi sono frutto della mia invenzione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Y o u - m a k e - m e - s m i l e
 
14
«Non puoi ignorarmi a vita, Eveline!», la voce acuta e dal tono leggermente isterico di mia sorella mi segue, mentre io, come se non ci fosse una pazza che mi urla dietro, scendo le scale con un grosso sorriso. «Buon giorno papà», saluto, avvicinandomi a lui e baciandogli la guancia, passando una mano tra i suoi capelli mori. Ieri abbiamo parlato, io e lui, e ho chiarito sulla questione della festa, spiegando a papà che mi ero presa la colpa per una cosa che aveva fatto Katy. Forse è stato da meschini, ma non mi va di perdere la fiducia di mio padre a causa di una stupida oca. Lui accenna un piccolo sorriso, non è fatto per le dimostrazioni d'affetto, ma, a suo modo, mi dimostra sempre quanto bene mi vuole. Mi siedo e do un morso alla fetta biscottata che è già pronta nel piatto, per poi bere un sorso di caffè. Mi volto verso sinistra, dove trovo uno dei gemelli intento a prepararsi lo zaino, cosa che avrebbe dovuto fare ieri. Mi mordo il labbro, indecisa, poi sorrido. Il modo migliore per distinguerli? Mi alzo di scatto e corro verso di lui, abbracciandolo da dietro e facendolo sobbalzare. Lui si rilassa non appena si rende conto che cosa è successo, poi si volta e mi stringe a se, accarezzandomi i capelli. Sorriso ancora, chiudendo gli occhi e godendomi quell'abbraccio. «Grazie per la colazione», sussurro, senza muovermi di un centimetro. Lo sento ridere e così apro gli occhi, puntando il mio sguardo su di lui, confusa. «Veramente la colazione te l'ha preparata Gabriel», mi risponde tranquillo, facendo poi un cenno con la testa verso le scale, dalle quali sta scendendo giusto adesso il suo inseparabile gemello. Sorrido ironica. «Mi sembrava, infatti, che il caffè fosse troppo acquoso», dico ad alta voce, guadagnandomi così un occhiataccia e un grugnito da parte di mio fratello, cosa che mi fa ridere. Per quanto in questi anni ci sia successa una cosa brutta dopo l'altra, riusciamo sempre a dare una parvenza di normalità. Dan e Gabriel sono essenziali per me e papà, ovvero le due persone in famiglia che più soffrono di questa situazione. Lui, per quanto bene possa volere a Fannie, ha amato profondamente la mamma ed essere lasciato su due piedi è stato davvero distruttivo per lui. Io, essendo la più piccola, ero quella più legata a mia madre ... vederla allontanarsi all'improvviso da tutta la famiglia, anche da me, non è stato per niente facile. I due gemelli ci tirano su di morale con i loro scherzi e il loro buon umore sempre presente, ma io so che dietro quelle risate, dietro quegli scherzi, si nasconde una grande sofferenza anche per loro. «Vado a scuola», annuncio tranquilla, mettendomi di poco sulle punte e baciando la mascella a Dan; a passo svelto raggiungo Gabriel, non prima di aver accarezzato velocemente la spalla di papà, e lo prendo per un braccio, trascinandolo verso la porta; con pochi passi anche il primo ci raggiunge, prendendomi sotto braccio. E' diventata una bella abitudine, quella di essere accompagnata da loro, così come è diventato semplice ignorare Katy ... questo non vuol dire che non sia doloroso, ci soffro molto, ma mi sono stufata di stare ai suoi comandi.
 
15
Il professore di canto ci ha dato un compito per domani, ovvero portare una canzone a nostro piacimento che esprimi un sentimento profondo. Picchietto la matita contro le labbra, giocando nervosamente con il laccetto della mia felpa grigia, muovendo il piede della gamba accavallata, ovvero quello destro, in modo circolare. Non so proprio che canzone preparare, per come sto ora ne farei una deprimente o una sull'odio tra sorelle - ne esiste una su una sorella che odia un'altra sorella? -, sono disperata. Sospiro pesantemente e porto la testa all'indietro, chiudendo gli occhi. «Cerchi l'ispirazione?», una voce maschile, stranamente familiare, mi distrae dai miei pensieri. Apro gli occhi e, sempre in quella posizione, lo osservo. E' molto alto, ha un bel fisico; i capelli corti sono neri e due splendide pietre azzurre sono puntate su di me. Arrossisco leggermente nel rendermi conto di cosa sto pensando e anche del fatto che sto ancora in questa stupida posizione. Mi alzo di scatto dal gradino e mi volto verso il ragazzo, il quale mi sorride cordialmente. «Ti conosco per caso?», chiedo senza riuscire a trattenermi. Purtroppo sono fatta così, non rifletto prima di parlare. Il suo sorriso si allarga e porta la mano destra dietro la nuca, sfregandosela appena. «Non proprio», risponde piano. Alzo un sopracciglio, guardandolo in silenzio, aspettando una sua spiegazione. Lui sospira, poi sorride ancora e mi porge la mano. «Sono ... », inizia, ma non fa in tempo a presentarsi perché qualcuno si avvicina a noi. Sospiro e alzo gli occhi al cielo, vedendo mia sorella e le sue amiche. «Eve cara», la voce falsamente dolce di mia sorella mi da il voltastomaco. Arriccio il naso e trattengo, non so come, un verso disgustato. Mi volto verso il ragazzo e accenno un piccolo sorriso. «Ora devo andare, magari parliamo un'altra volta», dico tranquillamente, poi lo saluto con un cenno della mano e mi allontano, ignorando completamente l'esistenza di mia sorella.
 
16
«Papà, lei mi ignora!», la voce acuta di mia sorella mi raggiunge in soggiorno, seppure lei si trovi in camera sua. Sbuffo sonoramente e porto la matita sulle labbra, mordicchiandola poi appena, cercando di concentrarmi. «Vorrei poter fare lo stesso anche io», borbotta uno dei gemelli, passando da dietro di me e raggiungendo la cucina. «Chi ci vieta di farlo?», ed ecco che spunta anche l'altro gemello, con un tono di voce più allegro e spensierato; rido appena, scuotendo la testa, poi torno al mio foglio ... bianco. Non riesco a trovare una canzone per il compito di domani. Il campanello mi distrae ancora una volta e, sbuffando, mi alzo dalla sedia e trascino i piedi sino a raggiungere la porta, per poi aprirla. I miei occhi sono puntati dritti in quelli del ragazzo di fronte a me; le mie labbra sono serrate e formano quasi una linea sottile. Butto fuori l'aria con il naso, cercando di calmarmi e di non desiderare di prendere a schiaffi lo scimmione d'avanti a me solo per cancellargli quell'insopportabile ghigno. Mi volto dandogli le spalle. «Dan, Gabriel, chiamate la principessa sul pisello, c'è qualcuno che la cerca», dico ad alta voce, subito dopo aver visto sbucare le teste dei miei fratelli dalla cucina. «Chi ti dice che sono qui per Katy?», chiede il ragazzo dietro di me con quella sua insopportabile voce; mi volto nuovamente, guardandolo, e noto con orrore che - oltre al fatto che il suo stupido ghigno è rimasto - è troppo vicino a me. Senza riuscire a trattenermi storco le labbra e faccio un passo indietro, disgustata dalla sola idea di averlo tanto vicino. «Per l'ennesima volta, Erik ... », inizio, incrociando le braccia sotto al petto e guardandolo seria negli occhi. « ... tu non mi piaci», concludo, marcando con forza tutte e quattro le parole. Se lo deve mettere in testa: io non lo sopporto; per me è un viscido, arrogante, presuntuoso e per niente attraente, gorilla del quarto anno. Sento dei passi e, in poco tempo, mia sorella mi supera e butta le braccia al collo del ragazzo, sorridendo in modo troppo stucchevole. «Ciao», gli sussurra con voce che dovrebbe essere sensuale, e poi lo bacia. Non riesco a trattenere un verso disgustato e mi giro dall'altro lato, per poi allontanarmi da quella scena da incubo.
 
17
«Ed io non solo mi ritrovo la regina delle oche sotto il mio stesso tetto, ma devo anche vedere ogni giorno il padrone delle scimmie. Aiutami, Mar», la mia voce è sottile, bassa; mi volto verso la mia amica, guardandola quasi disperata. Lei mi sorride dolcemente, poi mi abbraccia, accarezzandomi i capelli. Lei sa quanto mi fa male questa situazione, ma non perché mi piace Erik - cosa che non potrà mai accadere -, perché non posso ancora crederci di quanto sia egoista mia sorella; a lei importa solo di quello che può allietare la sua già perfetta vita, non le interessa di me o degli altri membri della famiglia. Ci stacchiamo dall'abbraccio e noto il gruppo dei palloni gonfiati passarci vicino, subito dopo vedo quel bel ragazzo che mi si è avvicinato ieri. Deve aver notato che lo sto guardando, perché si volta verso di me e si apre in un sorriso smagliante. Arrossisco leggermente e ricambio il sorriso, per poi distogliere lo sguardo, imbarazzata. Marie ha notato tutto, infatti fa per parlare, ma l'arrivo dell'oca capo e delle sue seguaci la blocca. Mia sorella gioca distrattamente con una ciocca di capelli, sorridendo ironica e guardandomi negli occhi. «Ti devo parlare», mi dice. Non so perché, ma questa volta non la ignoro. La mia amica, insieme a quelle di Katy, si allontana e ci lascia da sole. Sospiro e mi siedo sui gradini, subito seguita da lei. «Cosa vuoi dirmi?», le domando, girando di poco la testa e puntando i miei occhi nei suoi. «Ti ho vista: guardavi Alexander», risponde accennando uno strano sorriso, un sorriso che non promette nulla di buono. Alzo un sopracciglio. «Chi sarebbe Alexander?», chiedo, confusa. Lei, semplicemente, mi indica il ragazzo di prima con un cenno della testa. Ah, quindi si chiama così. Sorrido appena, ironica, tornando a concentrarmi su mia sorella. «Quindi?», la incito a continuare, sono curiosa di capire dove vuole arrivare. «Devi stargli alla larga», dice semplicemente, alzando le spalle. Il mio sopracciglio si alza sempre di più. «E perché?». Giuro, non riesco davvero a capire dove vuole arrivare. «Piace a me», la sua risposta mi spiazza. Non riesco a trattenermi, mi alzo di scatto e la guardo stupita. «Se ti piace quel ragazzo perché allora stai con Erik?», le domando a bassa voce; anche se sono sconvolta, non voglio che altri sentano la nostra conversazione. Lentamente si alza anche lei, sorridendo divertita. «Perché mi annoio». Questo è troppo. Stare con un ragazzo perché ci si annoia, tra l'altro quando si è convinti che quel ragazzo piace alla sorella - anche se non è vero -, è assurdo. «Oh e quindi combatti la noia facendoti ficcare la lingua in gola da quel dolce gorilla?», chiedo sprezzante, senza riuscire a trattenere l'ironia e l'acidità. «Non deve interessarti», risponde forse più acida di me. Prendo un respiro profondo e incrocio le braccia sotto al seno. «Comunque non so perché mi stavo preoccupando», parla tranquillamente, sorridendo ironica e aggiustandosi i vestiti. «Tu non potresti piacere mai ad un ragazzo, figuriamoci ad uno bello e popolare come lui», conclude, poi si allontana, lasciandomi sola con un grosso peso allo stomaco e tanta rabbia.
 
18
Il professore è stato gentile, con me: mi ha dato la possibilità di pensarci un altro giorno, ma per domani il compito deve essere assolutamente pronto, se no mi metterà un brutto voto ... ed io non posso avere un brutto voto. Sbuffo sonoramente, spostando con un gesto seccato della mano gli spartiti sul pianoforte, ma così facendo alcuni di essi scivolano a terra. Scendo dallo sgabello e mi piego sulle ginocchia, raccogliendo velocemente quei fogli caduti, quando sento dei passi e nel mio campo visivo spuntano delle scarpe. Aggrotto le sopracciglia e alzo lo sguardo, trovando subito quello di un ragazzo, o meglio del ragazzo che piace a Katy. Mi sorride e mi prende per mano, per poi aiutarmi a tirarmi su. Sento che sono arrossita appena, come al solito, odio questa mia timidezza. «Grazie», dico piano, passandomi una mano tra i capelli e posando gli spartiti sul pianoforte. Lui mi sorride ancora, poi si siede sullo sgabello, spostandosi verso la fine e facendomi segno di sedermi vicino a lui. Mi mordo il labbro inferiore e lo imito; le nostre spalle si sfiorano, sento il tessuto della sua camicia sfregare contro quello della mia maglietta. «Qualcosa non va?», mi chiede a voce bassa, guardandomi dritta negli occhi. Ricambio lo sguardo, anche se sono un po' imbarazzata per via della situazione. «Ho un compito importante per domani e non ho idea da dove iniziare», gli spiego, poi sospiro e gioco distrattamente con una ciocca di capelli. «Andrà a finire che domani porterò la sigla di un cartone animato, anzi no, la canzoncina sulla droga del cartone di Pollon, il professore mi metterà un due, mio padre mi rinchiuderà in casa per sempre ed io invecchierò non riuscendo a superare il secondo anno». Non riesco a frenare, le parole vorticano velocemente fuori dalle mie labbra e solo quando sento il ragazzo ridere mi rendo conto della cavolata che ho appena detto. Il risultato? Arrossisco ancora di più, ovviamente. Sento la sua mano sfiorare la mia, per poi prendermela con decisione e rivolgermi un sorriso sereno, ma anche divertito. «Sai ... mi fai sempre sorridere», mi sussurra con una tenerezza che mai nessuno - al di fuori dei componenti della mia famiglia - ha mai usato con me. Inizialmente mi sento arrossire sempre più, poi però sgrano gli occhi e, infine, sorrido ampiamente. «Ma certo!», esclamo e, in preda all'eccitazione del momento, lo abbraccio con uno scatto, portando le braccia dietro il suo collo. «Sei un genio!», dico ancora, per poi staccarmi dall'abbraccio e guardarlo negli occhi, sorridendo entusiasta. «Grazie», concludo, poi mi avvicino a lui e gli bacio la guancia. Forse sono troppo esaltata, ma non ci posso fare nulla. Mi alzo velocemente e, dopo avergli sorriso un ultima volta, esco velocemente dalla stanza, decisa a tornare a casa e a trovare il testo di quella canzone.
 
 
 
 
Spiegazioni:
 
Il titolo del capitolo è il titolo di una canzone, la stessa che Eve sceglie di cantare per il compito del professore.

Ciao gente. In questo capitolo spero di aver reso un po' più chiara la posizione dei due gemelli, ma saranno molto più presenti mano a mano. Ecco che arriva ancora il ragazzo dolce che avrà molto a che fare con Eve, ovvero Alexander. Nei prossimi capitoli vedrò di dare più spazio anche ad altri personaggi.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se non capite qualcosa basta dirlo.

 
Distinti saluti.
LesbianQuinn.
   
 
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