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Autore: lady vampira    24/10/2012    2 recensioni
Cosa succede se una ragazza approdata a Berlino da un paesino di montagna si ritrova coinvolta nell'equivoco più emozionante della sua vita con l'uomo dei suoi sogni? Scegliere tra sincerità e amore non è semplice, e se di mezzo ci si mette anche un coinquilino moooolto particolare con i suoi saggi consigli ... fate voi!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

Quando si svegliò per la seconda volta, non era sera. Era di nuovo mattina … anzi, per l’esattezza, giorno fatto. 
E le prese un colpo. Saltò giù dal letto buttando all’aria il lenzuolo che Kosta doveva averle pietosamente tirato addosso e apparve in cucina, dove il suo coinquilino era tutto intento a rimestare in una pentola che mandava un fortissimo odore di spezie, tra cui peperoncino, cardamomo e qualcosa di aspro non meglio definibile. 
<< Oh santo cielo, Kosta, cos’è questo tanfo? Abbiamo ancora i topi in soffitta? >>.
<< Ma quali topi?! Sto provando a creare una mia personalissima miscela di spezie per il prossimo compito di cucina indiana >>.
<< Ahaaa … e io che credevo stessi testando un nuovo tipo di gas nervino naturale per conto di qualche branca terroristica di Greenpeace… ahahahahahahahahahahahaha! >>, sbottò lei.
<< Fossi in te da oggi in poi farei meno la spiritosa sulla mia crociata per la salvaguardia dell‘ambiente, visto che ieri ti sei scopata la versione gotico -platinata di “Mowgli -il libro della giungla” … >>.
Vera smise di ridere immediatamente. << Kosta te l’hanno mai detto che sei uno stronzo? >>.
<< Sì, ma di sicuro a te non hanno mai detto che non bisogna dormire con addosso indumenti che appartengono ad un’altra persona, a meno che non la si voglia legare a sé? >>.
Lei inarcò un sopracciglio. << Ma chi te le racconta queste cazzate? >>. 
<< Mia zia Bernice >>.
<< Tua zia Bernice >>, ripeté lei in tono accondiscendente. 
<< Già. Da giovane faceva la cameriera in un albergo di Norimberga, ma a tempo perso s’interessava di esoterismo ed era bravissima a leggere le carte, la mano … e sapeva anche sciogliere le fatture >>.
<< Ma dai? Mia zia Katarina invece sa come farle >>.
<< Davvero? >>
<< Certo. Tiene la contabilità in una ditta di passamanerie giù a Lankwitz … >>.
<< Mhhmmm, che spirito. Comunque mi devi un favore, ieri sera ho chiamato la vampira e le ho detto che avevi la febbre, mal di gola e forse ti eri beccata la mononucleosi … >>.
<< Kosta?! Ma che schifo! >>.
<< Guarda che sono stato buono, avrei anche potuto dire che magari ti sei presa la clamidia, o l’herpes zoster … oppure le piattole. Sai, col mestiere che fai non si può mai sapere … >>, ghignò lui, maligno. 
<< Kos, vaffanculo, va’! >>. 
<< Comunque sia il favore me lo devi lo stesso >>.
<< Scordatelo. Te lo sei giocato con la tua battuta sul “libro della Giungla” >>.
<< Ti è andata bene anche su questo. Potevo scegliere un altro libro … come il “Signore degli Anelli”, ad esempio >>.
<< Ah ah >>.
<< Ehi, a proposito, ma è vera la leggenda metropolitana dei tre piercing laggiù? >>.
<< A parte che hai sbagliato gemello, e quella storia riguarda Tom, non Bill, perché lui dice di averne uno soltanto … e comunque non ne ho idea ugualmente >>, fece lei assestando un morso ad una mela presa dal portafrutta di vimini sul tavolo. 
<< Scusa, come sarebbe a dire? >>.
<< Che non me lo ricordo >>, sbottò Vera masticando pensierosa. Poi rinunciò a sputò tutto nel secchio dell’immondizia, con una smorfia; e ne prese un‘altra. 
<< Vuoi dire che hai fatto sesso con l’uomo dei tuoi sogni, e non ti ricordi niente? Cazzo, questa sì che si chiama iella! >>. 
<< No, si chiama alto tasso etilico nel sangue >>, osservò buttando via anche la seconda mela, la polpa più marrone che bianca. << Kosta, santo cielo, frequenti la scuola di cucina, non ti hanno insegnato a scegliere la frutta? Queste fanno schifo, sono bucate da tutte le parti >>.
<< Be’, lo è anche il tuo amichetto, ma quello mica l’hai buttato via >>.
<< Divertente >>.
<< E comunque tu dovresti star lontana dalle mele. O vuoi rischiare di fargli venire uno shock anafilattico? >>.
Vera gli scoccò un‘occhiata obliqua. << Sempre più spassoso … Be’, io vado a fare una doccia e poi porto questa roba in tintoria … >>. 
<< Aspetta! Non mi hai ancora fatto quel favore! Che ne pensi della mia innovazione culinaria? >>.
<< Penso che a giudicare dall’odore sembra un kebbabbaro allestito in una baracca di lamiera sotto il solleone, e quindi non l’assaggerò né ora né mai >>.
<< E allora io penso che chiamerò Carol e le dirò che ti sei presa la gonorrea frequentando un ritrovo di camionisti giù alla Potsdamerstrasse >>.
<< Che infame … >>. Vera gli andò accanto e gli tolse il cucchiaio di legno con cui stava mescolando nella pentola. << Dà qua >>. Lo tuffò nella brodaglia rossastra e lo portò stoicamente alle labbra, facendosi forza per assaggiarne un po’. 
<< Allora? >>, fece Kosta, speranzoso. << Certo, magari l’odore potrebbe sembrare un po’ insolito … ma sono sicuro che il sapore è un connubio perfetto >>.  
Lei fece una faccia da fantasmino da anime giapponese, verde livido, prima di tirar fuori un palmo di lingua. << OmmioDDiooo… sai, hai ragione, del sapore direi senza dubbio che è un connubio perfetto tra l‘acqua di sciacquatura dei piatti del kebbabbaro suddetto e i calzini sporchi dei dipendenti a nero che ci lavorano dentro … >>.
<< Ah ah, ha parlato la Meyer dei poveri. A che quota di “calcio editoriale nel sedere” sei? Al secondo? Ah, no, già, il terzo … Be’, comunque, a proposito, se in caso non trovassi nessuno disposto a pubblicarti questo, potresti sempre scriverne uno ispirato alla tua sfrenata notte di passione con l‘”amante degli animali“, sai, una cosa a metà tra fetish e animalista … ho già pronto il titolo:  “ A QUATTRO ZAMPE, la vera storia di una che si è fatta picchiare con una frusta di ecopelle“. Andrà a ruba sicuro! Che ne dici? >>. 
Vera lo fissò a bocca aperta, sconcertata. << Che sono sempre più convinta ch’è stato a causa della tua mente contorta e non per il tuo amore verso i fornelli che hai scelto la facoltà di CUL - IN- ARIA … solo a sentire la parola chissà che cavolo hai pensato! >>. 
Kosta la guardò di traverso. << Ma tu non stavi andando a fare la doccia? Capisco che quella giacca abbia l’aspetto una sacca per cadaveri foderata di piombo, ma non è che tu debba per forza marcirci dentro per fare pendant … >>.
<< Ah. Ah. Ah. Ah. Tutta invidia >>.
<< Sì, certo! >>. 
Vera scosse la testa, e si diresse verso il bagno; ma non fece neanche in tempo a togliere la giacca incriminata, che sentì uno squillo del suo cellulare e poi la voce di Kosta che diceva: <>.
Lei sbuffò, e ciabattando scocciata tornò sui suoi passi. Il suo amico le porse il cellulare, con aria quasi intimorita.
<< Ehm … per te >>.
<< Kosta! Ti avevo detto che se chiamano ancora quelli della batteria da cucina in acciaio inox, di dirgli che non m’interessa! Tanto non te la regalo per la tua laurea, levatelo dalla testa! >>.
<< Shhhhhh! >>.
<< Che è? >>.
Kosta coprì il microfono con la mano. << E’ che sì, all’altro capo del telefono c’è una persona che ha a che fare con l’acciaio, e guarda caso anche con le batterie ma … non da cucina >>.
Vera impallidì, trattenendo il fiato. << Oh, mio Dio >>.
Il ragazzo ghignò. << Ma non era il fratello, quello? >>, domandò sarcastico; lei gli sventagliò davanti una mano, in un gesto d’impazienza. 
<< Dammi questo telefono, Kosta … Pronto? Con chi parlo? >>.
<< Ehm … Vera? Sei tu? >>.
<< Sì … >>, rispose lei, nonostante non ne fosse troppo sicura. Si era persa … appena aveva sentito la voce argentea di lui riversarsi nel suo orecchio dall’apparecchio. 
<< Ciao >>.
<< Ciao a te >>.
<< Stai bene? >>.
Mica tanto. << Direi di sì. Tu, tutto okay? >>.
<< Sì. Grazie per avermelo chiesto … ecco, spero di non disturbare … >>.
<< No, certo che no. Dimmi pure >>.
<< Io … volevo chiederti se … ti va di … vederci, ecco >>.
<< Ehm … be’, io non … >>.
<< Mi piacerebbe invitarti a cena >>.
Vera sgranò gli occhioni bruni. << Ehm … >>. Sferrò un calcio a Kostantin che si teneva la pancia con le mani per le risate, ed era evidente che soltanto la volontà di non farsi sentire dal chiamante gli impediva di sganasciarsi per un buon quarto d’ora. 
<< Il prima possibile. So che ti sto chiedendo moltissimo, che di sicuro avrai un‘agenda fittissima d‘impegni inderogabili …>>. Kosta urtò col piede Vera, che lo guardò malissimo; e le mimò con le labbra: “TI PREGO FALLO SMETTERE! NON CE LA FACCIO, NON RIESCO A RESPIRARE!”. Lei per tutta risposta gli diede una pedata negli stinchi. << Ma magari possiamo fare in modo di organizzarci. Ci terrei davvero tanto a vederti, Vera >>. 
<< Okay … senti, per te domani sera andrebbe bene? >>.
<< Così presto? >>.
<< Preferisci rimandare? >>.
<< No, no, solo … wow, non mi aspettavo di poterti incontrare già domani sera. Alle nove? >>.
<< Ehm … >>.
“Dì DI Sì, CAZZO!”, mimò ancora Kosta, beccandosi un’altra pedata. << Okay. Alle nove. Domani >>.
<< Perfetto. Ti vengo a prendere io o … >>. 
<< Preferirei se ci incontrassimo direttamente >>.
<< Hai qualche preferenza per il posto? >>.
<< No, fa’ pure tu >>.
<< Okay. Ti mando un sms per confermare, allora … va bene? O preferisci che ti chiami? >>.
<< Basterà un sms, tranquillo >>.
<< Allora … ciao >>.
<< Ciao >>.
Vera si assicurò che la conversazione fosse terminata, e poi guardò Kosta che si aggrappava al tavolo come un gatto sugli specchi, per non rotolare sul pavimento. 
<< Vai, adesso puoi scompisciarti a tuo piacimento >>.
<< Grazie >>. E Kosta si lasciò andare a una sessione di risate irrefrenabili, battendo il pugno sul tavolo e cingendosi lo stomaco col braccio. << Ahhhhhhh! Quel ragazzo è uno spasso! “Un’agenda fitta d’impegni inderogabili …” Certo come no! La lavanderia, la restituzione di due libri in biblioteca e un appuntamento dallo spazzacamino per farsi togliere le ragnatele dalle mutande … anzi quest’ultimo lo puoi annullare, visto che c’ha pensato lui! >>.
<< Kosta, imbecille, la smetti? >>, protestò lei, tutta rossa in volto. 
<< Hai detto tu che potevo scompisciarmi a mio piacimento >>.
<< Okay, ma mò basta però! >>.
<< Io non credo proprio, che gli basti … Penso ti convenga cominciare a prendere un paio di Valium, e poi magari anche due Efexor, se non vuoi ritrovarti a fare un remake della scena di “Harry ti presento Sally” versione DeLuxe … >>.
<< Ma non dire stronzate … è solo una cena. E sai benissimo che se ho accettato è solo perché così potrò restituirgli la giacca, spiegargli l’equivoco e dirgli che appena possibile gli restituirò anche il resto dei soldi >>.
<< E non hai pensato che magari così gli spezzerai il cuoricino perché distruggerai il suo sogno ad occhi aperti di sesso sfrenato, rovente, selvaggio, insaziabile con una call girl altrettanto affamata? >>.
<< Okay, fammi sapere quando ha intenzione di smettere di prendermi in giro >>.
<< Quando smetterai di farlo prima da sola, cara mia … perché sono pronto a metterci la mano sul fuoco, che non gli dirai niente neanche domani >>. 
<< E invece sì >>.
<< La sicurezza è madre della rovina >>, osservò Kosta sospirando. << E tu sei un po’ troppo sicura, Vivvi bella. Significa guai in vista >>.
Vera alzò le spalle. << Dopodomani a quest’ora sarà tutto risolto. Attento alla tua preziosa manina, chef Ramsey … non vorrei ti finisse carbonizzata >>.
Kosta inclinò il volto, inquadrando il mento tra pollice e indice aperti a “L“. << Trooooppo sicura. Molti guai in vista>>. 
Lei sbuffò, serrando i piccoli pugni e spingendoli verso il basso, dai fianchi alle cosce. << Va bene, pensala come ti pare. Io farò quello che dico, dovesse venir giù il mondo >>. 
<< Mhmm mhmm. Okay. Ma come ci vai vestita domani sera? Non certo con quel baby -doll da sciampista >>.  
<< No, tranquillo. Quando lo riporto a Sylvie mi farò prestare qualcos’altro  ... Prima di strangolarla, chiaro. Me lo deve, in fondo, è colpa sua se mi ritrovo in questo casino … ehi, che è? >>, domandò a Kosta che la fissava inorridito. 
<< Va’ a farti questa benedetta doccia, ti prego. E poi metti i tuoi jeans e vieni con me >>.
<< Dove? >>, domandò perplessa lei.
<< A investire una parte del denaro della ditta “Kaulitz and Co.” in qualcosa che sono sicuro gli farà mooooolto piacere guardare … anche se non quanto te! >>, sbottò, strizzandole un occhio. Vera sospirò. Kosta era un bonaccione, ma su due cose diventava una belva se non gli si dava retta: la cucina e gli abiti. E in effetti, quando non era sotto stress aveva un gusto eccellente per entrambi … e quando era sotto stress lo aveva sempre migliore del suo.
Tanto valeva arrendersi subito. 
 
Dopo una lunghissima doccia, un accurato shampoo, una puntata alla tintoria rapida e un giro di shopping e spa con Kosta degno di una puntata crossover di “Extreme Makeover Vera Edition” e “ Germany‘s Next Top Model“,  Vera tornò al terzo punto della lista e ritirò i capi depositati due ore prima, quando ancora non aveva la minima cognizione di cosa fosse una doccia finlandese, o un trattamento ayurvedico, come anche non aveva mai sentito nominare lo shantung di seta color albicocca o Jimmy Sciò, Ciù o come cavolo si chiamava, e andò dritta da Sylvie, nell’appartamento che solo tre giorni prima aveva visitato per la prima volta per portarle lo stipendio dacché si era beccata un malanno e aveva ammirato, domandandosi al contempo come potesse una ragazza col suo stesso stipendio a potersi permettere un tre camere con due bagni, balcone e persino box auto - occupato anche, da una graziosa Smart bicolore edizione limitata - , come pure gli abiti firmati e i costosi accessori con cui li abbinava. 
Ingenua, glielo aveva domandato. E Sylvie aveva risposto, con un sorrisetto enigmatico che non  aveva però intaccato l‘aria congestionata del suo volto da raffreddata: << Quello al bar è soltanto un passatempo. E’ dal mio vero lavoro, che ottengo i maggiori guadagni >>. 
<< Ah ah. Cioè? >>.
<< Intrattenimento. Intrattengo le persone, persone per lo più facoltose, uomini d’affari, gente di spettacolo, ma anche sportivi e personaggi televisivi a volte, ad eventi e party privati. Si guadagna un sacco per poche ore, e ti diverti anche >>.
<< Wow. Cavolo. Sembra fico >>.
Sylvie era scoppiata a ridere. << “Fico”? Ma come parli?! Tesoro, dovresti evolverti un po’ … sei molto carina, hai addosso l’aura della campagnola però se ti sistemassi un pochino, neanche tanto, potrei persino pensare di tirare dentro anche te …  Etciù!>>.  
<< Dici sul serio? >>.
<< Ma certo che sì. Anzi, facciamo una cosa? Però deve rimanere tra me e te, perché altrimenti si corre il rischio che si presentino imbucati, o peggio ancora quegli sgradevolissimi paparazzi … >>. 
<< Naturalmente. Sarò una tomba. Dimmi >>. 
<< Domani sera c’è un party, giù a Schoenfeld … un party molto esclusivo, quasi tutti affaristi e imprenditori, e le mie colleghe e colleghi … >>.
<< Ci sono anche ragazzi? >>.
<< Scherzi? Sono richiestissimi! E molto, molto belli … sai, penso che il tuo coinquilino non sfigurerebbe nemmeno lui, col fisico e il volto che si ritrova … >>.
<< Ma chi, Kosta? Quello ha il senso dell’umorismo di un ubriacone da osteria e l’umore più volubile di una diva del cinema, e in testa ha sempre e solo una cosa … meglio lasciar perdere se non vuoi essere licenziata in tronco! >>. 
E Sylvie aveva continuato a sorridere. << Comunque, dicevi? >>.
<< Che domani sera c’è uno di questi eventi e … be’, io avrei dovuto andarci, ma lo vedi da te come sto combinata, no? >>.
<< Sì … >>.
<< Però ormai la mia presenza è confermata, quindi potresti andarci … tu >>.
<< Parli sul serio? >>.
<< Ma certo >>.
<< Ma … io non ho nessuna esperienza di questo genere … >>.
<< Guarda che tante mie amiche hanno iniziato per gioco. Si impara sul campo, come per tante altre cose … l’importante è sapere giocare secondo le regole >>.
<< Regole? >>.
<< Oh, cara, in tutte le cose ci sono regole … questo non fa eccezione >>.
<< Ma … anche ammesso, io non nulla di adatto da mettere. Ho solo jeans, magliette, un paio di tute e un vestito da damigella che sono stata costretta a indossare al matrimonio di mia zia Althea e che non posso buttare via perché altrimenti dice che porta sfiga … >>.
<< Ti presto qualcosa io. Ho tanta di quella roba che potrei vestirci un esercito … ci sarà di sicuro qualcosa di adatto a te >>. 
<< No, non posso accettare >>.
<< Certo che puoi. Dai, fai una prova, cosa ti costa? Non eri tu che ieri ti lamentavi con Stefan della vecchiaccia che ti tormenta con l’affitto e le spese? E del fatto che lavorare al bar non ti lascia tempo per scrivere, quando poi sei venuta fin qui a Berlino dal paese appunto per questo, per essere indipendente e cambiare vita? Non vorresti smettere di avere preoccupazioni? >>.
<< E chi non lo vorrebbe? >>. 
<< Be’, io ti sto offrendo un‘opportunità. Non devi mica firmare un contratto a vita, è solo una prova, per vedere se ti sta bene o no. Consideralo un favore fatto a me e a stessa, se vuoi. Non devi fare altro che dire di sì >>. 
E lei, come un’idiota l’aveva detto. Più per fare un favore a Sylvie, che per il resto, in realtà. 
E i risultati si erano visti. 
Come si dice, fai del bene … e prendilo in quel posto. 
Già. 
Si stava ancora sforzando di convincersi che si trattava solo di un brutto pasticcio, un complicato intreccio di equivoci culminati nell’assurdo … Ma ormai la pulce nell’orecchio che le aveva messo Kosta era cresciuta a dismisura e occupava tutto lo spazio nel suo cervello. Non poteva credere di essere stata così cieca … così ingenua. Lei, così diffidente di solito, che si era lasciata sfuggire tutti quei sottintesi lanciati a manate, così, come petali di fiori dai balconi al passaggio della statua di Sankt Rudolf, il patrono del suo paesino natale. 
Giove offusca il senno di coloro che vuole perdere. E’ proprio così, non c’è altra spiegazione, pensò. L’unica consolazione era che in fondo, a lei il fato voleva bene; altrimenti non sarebbe andata così. 
Il suo unico rimpianto era invece di non ricordare granché. Ma forse, non era poi un gran male … non era troppo sicura della sua eventuale reazione, una volta srotolata quella pellicola a mente fredda. 
Prima di doverlo rivedere. 
Oh, mamma. 
Fino alla porta dell’appartamento della collega era ancora indecisa se strozzarla subito, sulla soglia oppure aspettare di entrare e pugnalarla alla schiena, un po’ come aveva fatto Sylvie con lei. Ma quando la ragazza aprì, mostrandosi in vestaglia, capelli unti e appiccicosi, faccia sudaticcia e pallida e occhi cerchiati, capì che la giustizia divina l’aveva preceduta ed era già stata lì. Il raffreddore si era evoluto in un’influenza bestiale. 
<< Ma è solo influenza, o qualcosa che ti ha lasciato come mancia qualcuno dei tuoi clienti? >>, fu il saluto, pesantemente sarcastico, di Vera, che sputò fuori seguendo quel pensiero. 
Sylvie strabuzzò gli occhi rossi e gonfi, quasi pesti. Il bruno delle iridi quasi non si vedeva. << Cosa? >>, sbottò.  
<< Scusa, non fai la puttana? >>.  
La poveretta trovò ancora la forza di mettere un dito davanti alle labbra pallide e prodursi in un: << Shhhhh! >>, per poi scostarsi e farla entrare.
<< Ma che diavolo ti prende, sei andata fuori di senno? Ti pare modo, urlare una roba del genere sul pianerottolo di casa mia? Qua abitano persone tranquille, vuoi che mi buttino fuori a calci? >>, sbottò Sylvie, soffiandosi il naso rosso e screpolato in un kleenex. << E poi, io non faccio la puttana. Sono una escort >>. 
<< Sì, certo, e io sono una Golf >>, dichiarò sarcastica Vera. << E comunque ringrazia che non ti prendo a calci io. E’ questa la tua idea di intrattenimento? Scopare col miglior offerente, senza preoccuparti se è più vecchio di tuo padre, se porta la pancera sotto il doppiopetto, o se la sera mette i denti a mollo in un bicchiere sul comodino … e soprattutto, senza provare il benché minimo sentimento a parte l‘affetto per il suo portafoglio? >>.
<< Ehi, datti una calmata. Io non ti ho obbligata a fare niente. Sei stata tu ad accettare di andarci >>.
<< Certo, Sylvie, perché tu mi hai dato a intendere che si trattava di tutt‘altra roba! >>.
<< Macché, io sono stata esplicita. Sei stata tu a fraintendere, cara la mia Heidi … cosa credevi, che mi pagassero fior di quattrini per scambiare quattro convenevoli? Era abbastanza ovvio no? >>.
<< No, non lo era >>, 
<< Non mi dire che sei proprio la campagnola che sembri, con tutti questi pregiudizi del cavolo … >>, borbottò Sylvie. << Anzi neanche, perché quelle come te sono le più affamate, che si gettano sui “migliori offerenti”, come dici tu, come avvoltoi sulle prede … >>.
<< Io non sono così. Non lo sarò mai >>. 
<< Ah, già, tu sei una di quelle che scopano solo per amore … col principe azzurro dei loro sogni. Povera Vera, ancora non l’hai capito che l’unico azzurro ch’entra in camera da letto al giorno d’oggi è quello delle pasticche di Viagra? >>.
Per un istante a Vera venne voglia di ridere, ripensando ad un qual certo problemino che aveva passato una persona con quelle pasticche …  ma riuscì a trattenersi per un pelo. 
<< No, non l’ho capito. E se lo vuoi sapere, neanche m’interessa >>.
<< Okay. Fa‘ niente. Dimentichiamo tutta questa storia … siamo amiche in fondo, no? >>. 
<< No, Sylvie >>, fece Vera. << Noi non siamo amiche. Io non avrei mai mandato consapevolmente un‘amica al macello delle convinzioni, neanche fosse un animale alla fiera del bestiame di cui tutti possono esaminare i quarti anteriori e posteriori e uno alla fine se lo porta a casa. Grazie del vestito, a proposito >>, disse, posando con cura la stampella avvolta nel cellophane sul tavolino laccato all‘ingresso e voltandosi per andare via. << Spero tu guarisca presto dal tuo … malanno, qualunque sia >>.
<< E’ comunissima influenza >>, dichiarò la ragazza, irritata. << Non potrei prendermi altro, dacché una delle regole fondamentali del mestiere è “Mai dentro senza”, se capisci di cosa sto parlando … >>.
<< Certo, sarò anche ingenua, ma non cretina >>. Un dubbio le attraversò la mente come un lampo; ma lui … 
La luce emanata dal lampo stesso rischiarò il cono d’ombra sopra quel ricordo. Una sensazione strana … estranea, ma non sgradevole. In fondo, era un atto di cura, di protezione quello … verso se stesso ma principalmente verso di lei, e non solo per il rischio di una gravidanza indesiderata … anche se questo lui non poteva saperlo. 
E poi tanto era così bagnata che non le aveva dato fastidio. La cosa che contava più di tutto era averlo … dentro di sé. 
Fino in fondo al corpo ma soprattutto allo spirito. Una breccia dritta al centro del suo essere. Dove non avrebbe mai creduto potesse giungere anima viva.
Figurarsi lui.  
Ma questo poteva anche evitare di rammentarlo.
<< Mhmm. Be’, buon per te, allora. Ma questo non cambia comunque la mia opinione >>, disse Vera, con l‘aria di chi si teneva stretta al petto la propria dignità. << Io non sarò mai così >>.    
<< Sei proprio una ragazzina noiosa >>, esplose allora Sylvie, amara. << Una di quelle che gli uomini sposano come garanzia e poi tradiscono con noi perché gli diamo quello che cercano … e scommetto quello che vuoi che sei una di quelle verginelle frigide che alla tua età se ne stanno ancora coi poster del loro idolo appeso in camera a sospirare immaginando come potrebbe essere incontrarlo sul serio! >>.
Vera rimase in silenzio, ma non certo perché non avesse pronta la battuta adatta a replicare. Solo, stava ascoltando la melodia che quella che nelle intenzioni di Sylvie avrebbe dovuto essere un’offesa aveva risvegliato dentro di lei, facendola vibrare come le corde di un’arpa angelica e che era il perfetto sottofondo a quello che tirò fuori in risposta. 
<< La sai una cosa, Sylvie? E’ vero, c‘hai azzeccato. Sono una di quelle, io. E non mi vergogno di ammetterlo. Però non hai ragione proprio su tutto … almeno su un paio di cosette non c‘hai preso >>. 
<< Ah sì, e quali sarebbero? >>.
Vera tornò indietro di qualche passo e la guardò dritta negli occhi. Com‘erano spenti … ma forse era solo colpa dell‘influenza. O forse no, erano proprio così e basta. << Che innanzi tutto, non ho nessun bisogno d’immaginarlo sospirando e secondo … >>. Si fermò un istante e sorrise … ma rivolta più a sé stessa, che a Sylvie. Anzi, per la verità, stava sorridendo al suo ricordo; socchiuse gli occhi e avvampò leggermente, sciogliendosi nel calore che la pervase improvviso ma timido, come il primo raggio di sole che non annienta di colpo il nero della notte, ma lo sfuma di rosa e azzurro soltanto. << Be’, non sono frigida. Stammi bene, Sylvie. Ci vediamo >>. Detto questo, raggiunse l’uscita e chiuse con cura la porta alle spalle, lasciando la ragazza di sasso, col kleenex stretto in mano a mezz’aria e la bocca spalancata. 
E forse, con un rimpianto inespresso. 
Appena fuori respirò a fondo, riempiendosi i polmoni del profumo dolcissimo di fronde e fiori scaldati dal sole agostano … come aveva fatto a invidiare Sylvie, anche solo per un attimo? Non era a quel prezzo che voleva ottenere una vita diversa. No, proprio no. Avrebbe continuato a servire caffé in eterno e lavare piramidi di bicchieri e tazzine alte quanto quelle di El- Gizah, ma quello proprio … no. 
Scosse le mani come per liberarle dalla polvere di un lavoro faticoso, e annuì a se stessa. Il più era fatto. Adesso, bisognava soltanto spiegare a quel ragazzo che si era trattato di un disdicevole equivoco e … 
Certo che però … mah, più di qualche conto non tornava. Okay, Sylvie aveva sbagliato a mandarla al fronte senza dirle ch’era in corso la guerra, ma da un lato le doveva qualcosa. 
Se aveva smesso di immaginare soltanto come avrebbe potuto essere incontrare il suo idolo era merito suo. E se non era più una di quelle … verginelle frigide, be’, in teoria era grazie a lui ma in pratica, era sempre merito di Sylvie. 
E se lui non soltanto c’era andato, aveva pagato senza discutere e l’aveva anche invitata ad uscire … be’, era evidente che quel genere di donna non gli spiaceva. 
Vera sospirò. Non che di quest’ultima cosa fosse proprio contenta ma … nessuno è perfetto. Nemmeno lui. In fondo era un essere umano come tutti gli altri e se proprio doveva scegliergli un difetto o un vizio, meglio quello in confronto alla droga o l’alcol o … be’, qualsiasi altra cosa potenzialmente autodistruttiva. 
Forse avrebbe potuto essere meno bacchettona. Se donne come Sylvie andavano forte era perché gli uomini le cercavano: e lei non faceva né più né meno di quei furboni che coglievano le occasioni al volo speculando sulle umane debolezze. Forse era meno condannabile di tanti di quei tipacci che mandavano i ragazzini a spacciare anfetamine a scuola, che gestiscono traffici tremendi come organi ed esseri umani, o peggio ancora i pescecani benvestiti che avevano fatto del furto legale la loro missione e guadagnavano sulle spalle di bambini e donne sfruttati senza pietà. Perché si esponeva in prima persona, “sporcandosi le mani”, e non sfruttava altri che se stessa, in fondo. Anche lei, ad ogni letto che cambiava, ci rimetteva qualcosa. 
La sua umanità. La capacità di dare al sesso un valore che fosse qualcosa di più di quello del denaro che riceveva in cambio delle sue prestazioni, e un significato che fosse più di una semplice connessione a caso tra due corpi animati da desideri diversi. 
Per qualche strana associazione d’idee si ritrovò a pensare a “Human connect to human”, con una sorta di difficoltà respiratoria inspiegabile. Ricominciò a camminare ma quella cosa, quel senso di oppressione al petto non voleva andarsene via. 
Poi si fermò, si diede della stupida e si mise a ridacchiare, di sollievo. 
Quella non l’aveva scritta lui. Sì, l’aveva cantata, è vero, ma era la stessa cosa del vestito che aveva appena riconsegnato a Sylvie. Lei l’aveva messo, ma questo non aveva cambiato il suo modo di essere, di pensare, di sentire. Chiunque può indossare un abito che non gli appartiene, e poi toglierlo senza nessun problema. Può benissimo essere un gioco, una scommessa, uno scherzo, una mascherata per Halloween. Tutti, almeno una volta nella vita sono stati qualcosa che non sono, o hanno fatto qualcosa che non rientrava nelle loro corde, nelle loro abitudini. 
Un attimo di follia non cambia una persona. Human connect to human non poteva cambiare l’anima di chi aveva scritto Pain of love, Hurricanes and Suns, e naturalmente Durch den monsun; e la sua preferita, Hilf mir fliegen. 
Oh Oh. Forse, non era stato un gran colpo di genio, pensare a quella canzone. 
Non per nulla, ma il verso finale non era per nulla rassicurante in quel frangente. 
Ma in fondo, lei non gli aveva raccontato nessuna bugia, no? Era stato un semplice fraintendimento, un qui pro quo. Un “misunderstood”, per dirla all’inglese che faceva tanto cosmopolita. 
Già. Un cavolo di casino che doveva finire lì, insomma. Il prima possibile. 
Se non altro per indispettire Kosta che non le credeva, che gliel‘avrebbe detto. 
Bip bip. Sms ricevuto. Trasse di tasca il cellulare e aprì il messaggio … brevissimo, solo due righe. 
“Scusa la brevità ma il mio mastino da guardia sta per requisirmi il cell e mi sta squadrando con un’occhiataccia. Ci vediamo al “Lilieblumen“, spero che per te vada bene …  Grazie ancora per aver accettato. 
B.”. 
Domani sera. Vera serrò le dita attorno al cellulare. 
Okay. Ce la posso fare. 
Domani sera … 
  
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