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Autore: lady vampira    24/10/2012    1 recensioni
Cosa succede se una ragazza approdata a Berlino da un paesino di montagna si ritrova coinvolta nell'equivoco più emozionante della sua vita con l'uomo dei suoi sogni? Scegliere tra sincerità e amore non è semplice, e se di mezzo ci si mette anche un coinquilino moooolto particolare con i suoi saggi consigli ... fate voi!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1


 
Una lama di densa luce grigio perla s’insinuò tra le palpebre di Vera, socchiudendole. Il colpo alle retine fu così repentino che immediatamente gli occhi iniziarono a bruciarle e lacrimarle, indispettiti da quella sveglia fuori luogo. 
Doveva alzarsi, prepararsi, andare al lavoro … sì, doveva assolutamente alzarsi. Assolutamente. 
Ancora cinque minuti, dai … E intanto si voltò dall’altra parte, risistemando la testa bionda sul guanciale. 
Fu in quell’istante che spalancò di nuovo gli occhi e realizzò che non era nella sua camera, a meno che una qualche fata madrina non fosse passata nottetempo mentre lei ronfava beata e con un tocco di bacchetta avesse cambiato il suo “ripostiglio” due per tre in quella lussuosa stanza elegantemente ammobiliata con oggetti di design nei toni del grigio ferro e nero lucidissimo, tirato a specchio. L’unica nota delicata erano le tende, bianco panna … e il piumone sul letto sul quale giaceva lei, completamente stropicciato. 
Un attimo dopo si drizzò a sedere di scatto, col cuore in gola. 
Che diavolo è successo?!
Non che ci volesse poi tanto a capirlo. Lei era completamente nuda, e anche decisamente indolenzita in diversi punti … alcuni dei quali insospettabili, e uno in particolare tremendamente inquietante. 
Oh, cazzo … ditemi che è un incubo. 
Sapeva che non lo era. Si lasciò sprofondare di nuovo sul materasso; il comodissimo lattice e le spesse doghe protestarono appena con un lievissimo, elegante cigolio, simile al sussurro timido di una vergine che viene violata dolcemente ... 
Quell’immagine scaturita da chissà dove le diede una fitta di nausea, e sì girò su un fianco. Be’, se non altro era silenzioso. 
Sì, moooolto confortante.  
Aveva un mal di testa lancinante, e le bastò pochissimo ad atttribuirlo alla sbornia bestiale che aveva preso la sera prima. Cinque bicchierini di qualcosa sui quaranta gradi, più un altro paio di cicchetti giusto per spezzare la monotonia della vodka secca con qualcosa di più fruttato, e la frittata era servita.
Dannazione che casino. 
Ricordava vagamente alcuni dei presenti. Donne bellissime, agghindate come alberi di Natale, truccatissime, sensuali e sicure di sé come star del cinema, al cui confronto lei sembrava come un pulcino piccolo, brutto e nero in mezzo ad uno stormo di eleganti cigni e superbi pavoni; e uomini presumibilmente d’affari, età compresa tra i quarantacinque e i sessantacinque, distinti, benvestiti, di varie nazionalità. Ma il meno peggio aveva almeno o la pelata, o il girovita strabordante dalla cintola che cercava disperatamente di nascondere sotto un impeccabile doppiopetto. 
L’assalì l’immagine, un frame tremendo che aveva memorizzato prima di dedicarsi alla sua seduta etilica, di un piccoletto raggrinzito con un baffone enorme nero come tinto con del lucido da scarpe, un nasone bitorzoluto e l’aria da satiro ingrifato che si aggirava guardandosi attorno e si fregava le mani punteggiate di macchie brune … e se fosse stato quello a … 
Il mondo prese a vacillarle davanti agli occhi e sotto di lei. Tutto d’un tratto il suo stomaco fu scosso da una risalita di bile amara, e dopo si chiuse a doppia mandata. 
Non aveva neanche il coraggio di domandarsi se era un postumo della sbronza, o del ripugnante film che si stava proiettando sul suo schermo mentale, horror in due tempi, biglietto ridotto per i neuroni sani e popcorn omaggio per quelli scoppiati. 
Ossignore.   
Poi si domandò oziosamente che ora fosse. Tardi di sicuro. Il suo coinquilino doveva essere in pensiero … Non ricordava ma dubitava fortemente di aver avvisato che faceva l’alba. 
Meglio levare le tende.  
Fece per mettere un piede fuori dal letto. Il contatto con il marmo nero lustro come la superficie di un lago era fresco, pulito; la rianimò appena, ma lo scroscio dell’acqua dietro un pannello grigio scuro nel muro laterale la fece trasalire. 
Era ancora lì. Chiunque fosse, lui era ancora lì. 
Oh no, no, no, nonono …
Vera si bloccò, paralizzata, una gamba ancora sotto le lenzuola che sembrava avessero conosciuto tempi migliori, prima di quella notte di tempesta. 
Decidere fu questione di una frazione di secondo. Meglio un dubbio inquietante, che un’atroce verità. Certo, se andava via subito si risparmiava un trauma, al novantanove per cento. 
Sì, doveva filarsela, alla svelta. Si costrinse fuori dal letto e infilò lo strizzassimo vestito che le aveva prestato la sua collega, Sylvie, rinunciando a capire dov’era finito quello che indossava sotto quel rettangolo di settanta centimetri scarsi di pregiato raso con tanto di firma che si teneva su in gran parte grazie alla forza di volontà, e per il resto con un cerchietto sottilissimo d‘oro che si chiudeva alla gola e passava in due minuscoli lembi di stoffa scoprendo una generosa porzione di decolletè e tutta la schiena. 
E avevano il coraggio di chiamarlo abito. E avevano anche la faccia tosta di farselo pagare quando tre suoi mensili come barista, come minimo. 
Alta moda un corno, pensò. Recuperò una delle delicatissime scarpine di raso nero dal tacco a stiletto dorato, sempre prestate da Sylvie, e s’inginocchiò un istante a cercare quella mancante: poteva anche andar via senza mutande, ma di certo non con una scarpa sola. Cenerentola hard non era il genere di pellicola per cui voleva fare un provino su un piede, grazie tante. 
Trovata. E assieme ad essa, c’era anche il pezzo mancante del suo ridotto vestiario. Infilò dapprima questi, di corsa, senza neanche alzarsi e poi tornò a piegarsi per la scarpa. L’aveva appena afferrata e stava per tirarsi su, quando uno scatto la raggelò. 
Troppo tardi.
Dannazione. 
<< Ehi, ciao … sei già sveglia? >>. No, idiota, sono sonnambula, sto ancora dormendo, ho fatto tutto nel sonno … te compreso. Una breve pausa. << Ma stavi andando via? >>.
Cazzo. Beccata in flagrante …
Brava, Vera, brava. Neanche squagliartela da una camera d’albergo sai. Aveva ragione la August a dire che stavi meglio in mezzo alle pecore al paese … 
Però se non altro ha una bella voce, fresca, giovane. Almeno … 
Doveva voltarsi, non aveva scelta. Lo fece molto lentamente, ostentando un sorriso e una disinvoltura che non le appartenevano affatto. 
<< In realtà … >>. 
Oh porca miseria ladra e infame. 
Cazzo. 
Cazzo. 
Cazzo. 
Ditemi che è un incubo. Ditemi che adesso mi sveglio. 
Sì, per favore. Ditemi che adesso mi sveglio. 
Il sorriso sul suo volto si spense, cedendo il posto ad una smorfia trasecolata. Se avesse visto il vecchietto raggrinzito, un alieno verde e viscido, Jason Voorhees con tanto di motosega pronto a farla a pezzi forse l’avrebbe presa un tantino meglio. 
L’ultima persona al mondo con cui avrebbe mai potuto pensare di finire a letto era … lì. Davanti a lei. Illuminato dolcemente dall’alone perlaceo proveniente dalle finestre, i grandi occhi bruni immensi come li conosceva lei attraverso foto e filmati anche se senza trucco, i capelli  spettinati e bagnati rispendenti di riflessi iridescenti, quel corpo aggraziato e sottile dalla pelle d’orchidea bianca intarsiato di nero, argento e toni di fiamma lì, in mezzo al petto, vicino dove batteva il cuore … e quei tratti sempre così belli, così delicati nonostante l’ombra di barba sulle guance che segnava la linea di confine tra adolescenza e maturità.  
In quel momento Vera fu grata al cielo solo di una cosa. 
Indossava i pantaloni. Il dorso era nudo, ma almeno grazie a Dio aveva pensato bene di metter su i calzoni appena uscito dalla doccia ... Non che fossero proprio di grande aiuto, considerato ch’erano di sottilissima pelle nera aderente come un guanto alle forme scattanti delle sue lunghe gambe snelle e … non solo a quelle. Ma almeno, il “peggio” era coperto. 
Perché altrimenti era convinta che non sarebbe arrivata a vedere il pomeriggio di quel giorno.
Ma che diamine, probabilmente non sarebbe arrivata a vedere neanche il mezzogiorno, di quella giornata. Ebbe la visione, orripilante, di Hugh Laurie nei panni del famoso dottore zoppo che si affaccendava attorno a lei con la sua equipe di medici televisiva e non riuscendo a rianimarla con le solite adrenalina, noradrenalina e defibrillatore provava a riportarla da questa parte a suon di sante bastonate. 
Lui le sorrise, inclinando il volto. << Ehi, va tutto bene? >>.
<< Io? Ehm … sì, tutto okay … okay >>, ripeté, più rivolta a se stessa che a lui. 
<< Sicura? >>. 
<< Sì >>.
Le si avvicinò, a passo sicuro; e la prima cosa che le venne di notare furono i piedi, nudi sotto l‘orlo dei pantaloni. Sembravano piccole, soffici colombe candide intrappolate tra il nero dei calzoni e quello del pavimento. 
Erano bellissimi, perfetti e delicati. E come una stupida non poté fare a meno di domandarsi perché lui avesse dichiarato che erano la parte di sé che gli piaceva di meno … Un vano stratagemma per concentrarsi su qualcosa che non fosse lui di fronte a lei, tanto più alto, che la sovrastava come un promettente virgulto destinato a diventare uno splendido, frondoso albero dai rami flessibili, carico di foglie fresche e fragranti … se chiudeva gli occhi e respirava a fondo le sembrava quasi di sentirne il profumo di verde e di linfa esalare dalla sua pelle ancora umida e calda … 
Okay, dai, Vera, ce la puoi fare, continua  a distrarti … dai, non mollare adesso …  
Sì, col cavolo … 
Aiutoooo … 
Per fortuna durò poco. Le dita sotto il mento di lei, che l’avevano rialzato perché lui potesse baciarla tornarono presto giù, ma non tanto; quanto bastava per insinuarsi tra le onde agitate dei suoi capelli sfuggiti allo chignon. 
E a provocarle un mezzo infarto miocardico. 
<< Accidenti, di mattina sei persino più bella. Sono pronto a scommettere che senza trucco e con i capelli sciolti lo saresti ancora di più >>, osservò studiandole il volto. << Non ti va di fare la doccia? >>.
Qui? 
Con te nella stanza accanto?
O magari nella stessa? 
O magari … direttamente con me? 
E senza neanche un goccio d’alcol in vena? 
Naaahh, preferirei gettarmi dal balcone sperando di prendere a colpo la metro sotto l’asfalto per tornare a casa. 
Non ci sperare. 
<< Ehm … per la verità sono di fretta. Molto di fretta >>.
<< Mhmm. Capisco >>, fece lui quasi afflitto, e per un istante Vera si sentì in colpa per quel bellissimo giovane che le stava davanti e le aveva appena detto qualcosa per cui migliaia, forse milioni di ragazze, lei compresa fino al giorno prima si sarebbero tagliate le vene col sorriso sulle labbra pur di sentirselo dire … da lui. 
Ma se avesse accettato poi si sarebbe sentita in colpa per il suo sistema circolatorio, il suo stomaco, cuore, polmoni e frattaglie varie. 
Non si sarebbe ripresa mai più. Su questo era pronta a scommetterci lei. 
<< Allora te ne vai >>.
<< Devo >>.
<< Speravo di convincerti almeno a fare colazione assieme a me … >>.
<< Spiacente >>, disse, alzando le spalle, non troppo per evitare che quel bastardo di vestito risalisse il limite consentito dalla decenza. Ora che ci pensava, non riusciva a credere di essere uscita con quella roba addosso. 
Ma d’altronde, quella era l’ultima delle cose a cui non riusciva a credere quel mattino. 
La prima era lui che le teneva la mano nella propria, ricamata di nero, azzurro e un tenuissimo arancio oltre al biancore naturale della pelle e la portava alle sue labbra posando un lento bacio sulle nocche, come se la stesse lasciando andare via a malincuore. 
<< Mi daresti almeno il tuo numero di cellulare? Ti lascerei volentieri il mio ma poi David chi accidenti lo sente … >>, disse lui semplicemente. Mamma mia, quanto sembrava giovane … oh, diamine, era davvero giovane. Giovanissimo. Ventiquattro anni o giù di lì, mese più, mese meno … appena quattro più di lei.  
Quasi non riusciva a parlare. Ma riuscì a sputar fuori un dimesso: << Okay >>, quindi lui le posò davanti, sul piano della specchiera, una penna e un blocnotes.
<< Deformazione professionale. LI porto sempre con me … e li uso spessissimo >>, spiegò vagamente imbarazzato nel vedere che lei lo sfogliava frustrata perché non c‘era quasi un angolo libero, tra schizzi, cancellature, frasi che sembravano più stralci di antichi linguaggi dimenticati, per quanto era complessa e minuta la calligrafia in cui erano vergate. Trovò un trafiletto bianco sul retro di una pagina coperta di minuscoli fiori tracciati in biro blu e iniziò a scrivere le cifre; ma alla terza, già le fu impossibile continuare. 
Una presenza incombente, anzi, per la verità aderente alla sua schiena le aveva spezzato il respiro e fatto perdere la concentrazione. E la mano che delicatamente seguiva le linee dell’abito glielo fece apprezzare per la prima volta da quando lo aveva indossato quel giorno. Giù per la “V” dello scollo, la profonda e larga “U” sotto il braccio, la lenta “S” allungata del fianco, la morbida “L” tracciata a metà coscia destra e risalente ad angolo retto nell’interno della sinistra … fino a centrare l’”o” minuscolo nascosto tra le pieghe della sua carne con la punta appena di una delle sue lunghe dita affusolate. 
Vera avrebbe voluto protestare ma … tutto il suo corpo, dall’epitelio alle cellule della corteccia ungueale fino alle poche ancora funzionanti in quella cerebrale saltarono su a ribellarsi e la obbligarono ad una resa senza condizioni contro il dorso di lui … sentiva sulla schiena nuda tutti i delicati rilievi dei muscoli, la serica perfezione della pelle, i piccoli punti freddi dei piercing sul petto e all’ombelico … e la delicata pressione esercitata dalla sua bocca contro il suo collo. 
Stava ardendo contro il suo palmo; avvertiva la misurata, instancabile carezza circolare del polpastrello in un punto esatto:  tuttavia ogni tanti giri in tondo si allungava a descrivere un otto, girando attorno all’accesso alla grotta sommersa sotto il suo ventre, ma lambendolo soltanto, quasi non osasse varcarne la soglia … 
Ma di certo l’aveva già fatto, quella notte … e anche più d’una volta, in diversi modi. Mentre si abbandonava al richiamo del piacere nelle sue viscere, avvertì la solidità di quello che indubbiamente era il suo membro - oh, mamma mia … santo cielo, non … posso pensarci - sfregare contro il suo fondoschiena e dal modo in cui reagì il suo sesso, riversando una doccia di fluidi roventi sulle dita di lui, comprese che si stava preparando ad accoglierlo ancora … e alcuni flash le lampeggiarono davanti agli occhi, di lui che immerso tra le sue cosce spalancate seguiva con la punta delle dita e della lingua i contorni della conchiglia al centro di esse, e poi vi si addentrava a fondo come stava facendo adesso … uno schiocco chiaramente percettibile le fece velare le guance di rosa intenso; non era mai stata così bagnata e quasi se ne vergognò … ma sentendo il fremito di quella verga pulsante contro le sue natiche, dimenticò il suo pudore e si premette ancora più addosso a lui, per permettergli di spingersi più a fondo; il ragazzo infilò anche l’altra mano sotto l’orlo del vestito e prese ad accarezzarle il fianco e la pancia con quella, muovendola prima in un senso e poi nell’altro, intrecciando e slacciando le dita all’elastico degli slip; allo schiocco seguente lei si leccò le labbra, come se invece di un rumore nelle sue orecchie si fosse trattato di un sapore nella sua bocca, e quando aprì gli occhi, incrociando il riflesso di loro due nello specchio, la testa biondissima di lui china sulla sua spalla, i capelli come una cascata di luce pura sulla sua pelle, non riuscì più a star dietro al susseguirsi di fitte nel suo ventre e si lasciò sommergere, annegando nei flutti di un piacere acuto, eppure morbido e diffuso. 
Non sapeva né come, né perché, ma appena lui la fece voltare, ancora scossa da un leggero tremore Vera era già pronta e gli allacciò le dita ai fianchi sottili, attirandolo a sé mentre allargava le ginocchia per fargli spazio; ma il ragazzo si limitò a baciarla profondamente, e la liberò senza curarsi della propria eccitazione che reclamava a gran voce urgente sfogo tendendosi allo stremo contro la lampo dei pantaloni. 
<< Penso sia meglio che tu vada adesso, se sei di fretta >>, disse, e Vera si distrasse da quella poco opportuna contemplazione per soppesare il suo tono, cercando di capire quanto sarcasmo vi fosse, in quelle parole. 
Nemmeno una traccia. Era sincero, e anche un po’ dispiaciuto. La voleva eppure stava anteponendo le condizioni di lei al proprio bisogno impellente.     
E non solo. Mentre lei infilava l’altra scarpa e recuperava quella che doveva essere una stola, ma non era più di una striscia di finissimo tessuto trasparente di organza nera, e una pochette grande quanto il palmo della sua mano chiuso a pugno, lui raccolse un lungo strascico scuro dal tavolino nell’angolo e glielo porse. 
<< Tieni. Hai un corpo bellissimo e non devi nasconderlo, ma non è il caso di rischiare di buscarsi un malanno andando in giro a quest’ora senza giacca indosso >>. 
Vera quasi non poté prenderlo. Era … stralunata, scioccata, non le pareva reale tutta quella gentilezza, quella premura. 
Ma da dove spuntava fuori, lui? Vera avrebbe quasi potuto prenderlo per il suo angelo custode, se quello che le aveva fatto appena un minuto prima non fosse stato degno di un incantevole demone tentatore. 
<< Sicura di stare bene? Vuoi che ti accompagni? >>. 
<< Io … no, grazie, hai già fatto troppo per me. Chiamerò un taxi giù alla reception … grazie. Grazie davvero. Di tutto >>.
Reggendosi a stento sugli affilatissimi tacchi, uscì; e si ravvolse nella lunga giacca di lui raggiungendo l‘ascensore.
L’impiegato ebbe la decenza di non dire nulla, oltre a domandare a che piano andasse la signora. Era evidente che quello era un albero di prim’ordine, dove tutti erano abituati a vedere di tutto e a farsi sempre e comunque gli affaracci loro mostrando la massima impassibilità e affabilità. Arrivò giù in reception e pregò gentilmente il portiere di notte di chiamarle un taxi; al che lui replicò sorridendo che era già stato contattato dalla camera e lei doveva semplicemente attendere qualche minuto. 
Vera sospirò. Non riusciva a togliersi dalla mente le immagini di quello che era appena successo. Le tremavano ancora le gambe, dall’orgasmo che le aveva appena dato; e le bruciavano le labbra, per quel bacio così intenso … l’ultimo di quelli che l’avevano preceduto. Erano gonfie, tumide, riarse; al minimo tocco pulsavano dolorosamente facendola trasalire, e considerando che la stessa sensazione proveniva anche da un’altra parte del suo corpo, Vera non ebbe alcuna difficoltà nell’immaginare che non valesse soltanto per quelle del suo volto. 
Intanto che attendeva il taxi chiese al portiere di regolarle il conto. Sulla ricaricabile aveva solo trecento euro, che le servivano a pagare la sua parte di spese per l’appartamento che divideva con il suo coinquilino; e l’atmosfera minimalista e raccolta del posto non lasciava ben sperare sul fatto che non fosse molto dispendioso. Tuttavia, era ben decisa a pagare almeno la sua parte, e insisté con il portiere; ma l’uomo, cortese in massimo grado, le rispose che era già stato tutto regolato e le augurò una buona giornata, raccomandandosi di tornare presto a trovarlo. Vera arrossì, stavolta di un imbarazzo differente, anzi due. 
Sì, sicuro. Prima ch’io possa tornare dovrei mettere all’asta un rene su E-Bay, come minimo. 
Salutò con un cenno del capo, raggiunse la porta girevole e, prima d’imboccarla e mettere fine a quel sogno - incubo che si protraeva anche ad occhi aperti, si voltò un istante ad abbracciare con lo sguardo il luogo dov’esso si era consumato, farfalla di carta di riso nella fiamma di una candela alla ninfea, tanto per rimanere in tema orientaleggiante. 
E subito dopo, da brava geisha, uscì senza più guardarsi indietro, sommessa, in silenzio, nella realtà della fresca mattina di Berlino che iniziava a rischiarare. 
 
Naturalmente, con l’autista del taxi si ripeté la stessa scena del portiere: era stato chiamato per conto dell’albergo e il signore aveva ordinato espressamente di mettergli in conto anche quel servizio supplementare. Vera decise di rassegnarsi, ringraziò l’uomo e scese in strada, entrando nell’androne furtiva come un ladro, animata dalla speranza di non incrociare nessuno in giro per le scale. Fu fortunata, perché era giusto il quarto d’ora di tregua in cui tutti coloro che vanno a lavorare presto sono già usciti e per gl’impiegati d’ufficio e i bambini in età scolare è ancora presto. Tolse le scarpe, le prese in una mano e tenendo ben chiusa la giacca con l’altra, salì i gradini a quattro a quattro, strizzando gli occhi ad ogni passo. 
Giunta finalmente davanti alla porta di casa sua, frugò in quella pochette microscopica e dopo averla tirata fuori, infilò la chiave nella toppa. Appena la girò venne aggredita da una tigre scatenata. Kostantin, il suo coinquilino nonché migliore e unico amico “uomo“, almeno per quello che poteva ricordare in tutta la sua vita le saltò addosso con l’aria di volerla ridurre in brandelli sottilissimi. 
<< Era ora! Ma ti sembra modo? Sai che stavo per cominciare a chiamare le centrali di polizia e gli ospedali? Potevi almeno avvertirmi che restavi a dormire fuori! >>, esplose, sommergendola con un fiume in piena di preoccupazione e sollievo che Vera però non era proprio in grado di affrontare, dopo quella scoperta. 
E aveva ancora l’emicrania. Si portò una mano alla tempia e d’un tratto, tutto si fece sfocato, pulsante, nebuloso e distante, come le stelle a grande distanza dalla Terra che sono quasi invisibili ad occhio nudo. 
Stava cominciando il processo di elaborazione. Con lo sguardo vitreo, la bocca spalancata, d’un tratto inerme, incapace di proferire una parola, formulò in modo completo il pensiero che si stava sforzando di ricacciare in quella nebbia assieme a tutto il resto. 
Io … ho fatto sesso … con lui.
Santo cielo. 
Kosta se ne accorse, e inclinò il volto bello e virile, dai grandi occhi azzurri e il profilo greco, circondato da un’aureola di capelli castano scuro spettinati. << Ehi, tesoro, va tutto bene? >>.
Lei lo guardò, almeno in apparenza, perché il suo sguardo sembrò passargli attraverso. << Eh? >>.
<< Vera, tesoro, ti ho chiesto se va tutto bene. Ehi, non ti avranno mica drogata no? >>.
<< No … almeno non credo >>.
<< Hai bevuto qualcosa? >>, le chiese lui in tono indagatore, e lei scosse la testa. << Solo … della vodka e … del gin, credo >>.
<< Credi? E basta così? Nient’altro? >>, fece il ragazzo passando al sarcastico. 
<< No. E poi … ho fatto sesso >>.
Lui storse le labbra delicatamente arcuate. << Ah, bene … >>.
<< Con Bill Kaulitz >>.
Kosta smise il suo tacito rimprovero tra le righe per fissarla stranito. << Che?! Con chi? >>.
<< Già >>.
<< Vuoi dire un sosia? >>.
<< No, no, voglio dire proprio Bill Kaulitz >>.
<< Ahaa, ho capito >>, disse, incrociando le braccia e scrollando la testa con fare sapiente << Un omonimo >>.
<< Cazzo, Kos, la pianti di prendermi in giro?! >>, fece lei uscendo di colpo dal tunnel del trance, la voce che s’alzò di diversi toni. << Era proprio lui, né omonimi, né sosia, né niente. Era lui e basta, e credimi, questo non mi fa sentire per niente meglio … >>.
<< E ci credo! Dovresti denunciarlo, si è approfittato di una ragazza che non era in grado né di opporsi né di difendersi! >>, strillò lui come un’aquila. Al che Vera tornò ad un tono sommesso. 
<< Forse avrei potuto farlo prima che … >>.
<< Che? Che, cosa? >>.
<< Che … mi facesse venire con le dita, in piedi davanti allo specchio >>, ammise lei, arrossendo come una ladra al ricordo di quel tocco delicatamente devastante. Era la prima volta che si esprimeva in termini tanto espliciti davanti al suo coinquilino … non che temesse nulla da parte sua: era gay, quindi in pratica era un po’ come confidarsi con un’amica.   << E ti assicuro che sarei stata più che in grado di oppormi … se l’avessi voluto >>.
Kosta restò di sale, le pupille come due capocchie di spillo appena visibili nel mare azzurro delle iridi, sconvolto da una violenta mareggiata d’incredulità. 
<< Cazzarola >>, sbottò infine. 
<< Già >>.  
<< Ma come diavolo è successo? >>. 
<< Non ne ho idea. Mi pare un pochino assurdo che con tante stupende donne che c’erano lì si sia preso il disturbo di venire ad abbordare volontariamente una come me che si stava allegramente sbronzando per giunta, quindi credo di averlo mosso a compassione o qualche cazzata del genere, e che poi le cose siano precipitate … >>.
<< Lui non ti ha detto nulla? >>.
<< Per la verità no. Ed è stato meglio così >>.
<< Perché? E’ stato così male? >>.
<< Ma no, se stanotte è stato come è stato stamattina, è stato grandioso. Solo, non penso avrei retto ad un racconto dettagliato delle circostanze che ci hanno condotto … lì >>. Continuava ad avvampare ogni minuto secondo: a quel punto era certa di avere le guance viola e il resto della faccia bordeaux. << Faccio ancora fatica a pensarci >>, Non gli raccontò del numero che lui le aveva chiesto: aveva capito che si era trattato di un atto di gentilezza, ma che non l’avrebbe mai chiamata. Forse era un po’ ingenua, ma non cretina. Era vecchia abbastanza per sapere che quello per un uomo era il culmine della conoscenza con una donna, non l’inizio; e che una volta giunti lì, l’interesse può solo scemare per poi dissolversi del tutto. 
A meno che lei non sia una maga del sesso e non lo avvinghi a sé ancora di più, così.
Ma non era certo il suo caso. Lei prima di quella sera non aveva mai neanche indossato biancheria di pizzo … accidenti, però, che fastidio. Approfittando del fatto che Kosta stava preparando il caffé, infilò una mano sotto il vestito per grattarsi dove l’elastico del sensuale capo di biancheria la stava irritando e …
<< Porca puttana! >>, sbottò, tirando fuori dal sottile laccetto sul fianco un qualcosa di rettangolare, sottile e duro. Era stato legato con maestria, in modo che non potesse scivolare via per sbaglio; e doveva averlo messo lì mentre la accarezzava, per questo non se ne era nemmeno accorta, tutta presa com’era dall’intenso, morbido piacere che le stava dando. 
<< Che c’è? >>, fece Kosta accorrendo; e puntato immediatamente lo sguardo sul trio di biglietti viola che Vera stava sfogliando tra le dita, assunse un’espressione scioccata, prima di recuperare il suo solito aplomb sarcastico. 
<< Ah sì, mi sa che stavolta l’hai detta proprio bene, Vivvi bella … santo cielo, mi sa che ti ha preso per una di quelle! >>.   
Vera si lasciò cadere sulla sedia, mordendosi un labbro quando il colpo le risuonò nella carne ancora sensibile per l’intrusione di lui, e arrossì di nuovo. Cazzo, ancora un po’ e sarebbe rimasta così a vita, di un bel color lampone a chiazze violette, come un frutto di bosco maturato male. O come quelle banconote che teneva ancora sospese a mezz’aria, tra incredulo e inorridito. 
<< Ma com’è potuto succedere?! >>, sbottò passandosi una mano tra le ciocche color oro scompigliate.  
Kosta le scoccò un‘occhiata obliqua. << E a me lo domandi? >>.
<< Non capisco … come accidenti si è permesso … solo perché ci sono stata, automaticamente mi ha preso per una … una … >>.
<< Troia? >>, le venne in soccorso Kostantin, armeggiando con la caffettiera. 
<< Sìììì! >>, esclamò lei assumendo un’espressione infelice. 
Lui sospirò. << Be’, io non voglio pensare male, ma due sono le cose: o è così insicuro che tutte le donne che frequenta sono di quel genere, o chissà che accidenti gli hai fatto sotto l‘effetto dell‘alcol … >> .
Vera riemerse dallo sconforto per trafiggerlo con un‘occhiataccia killer. << Cretino! >>. 
Lui rise, poi tornò a guardare quelle banconote, perplesso. << E adesso, che facciamo? >>.
<< Glieli restituisco, è chiaro. Tanto devo riportargli anche questa … >>, mormorò Vera stringendosi addosso la giacca, ch’emanava un’eco di quello stesso odore che impregnava le lenzuola in albergo e la sua stessa pelle … e Vera decise che doveva fare immediatamente una doccia.
Altrimenti dava fuori di matto. 
<< Mhmm mhmm. E dimmi una cosa, sai dove abita? >>.
<< Ehmmmm … no >>.
<< Lo sospettavo >>.
Restò un attimo a meditare, mentre Kosta versava il caffè. 
<< Però gli ho dato il mio numero. Magari, se mi richiama … >>.
<< No, ma ti ha chiesto il numero? Accidenti, allora devi essere stata DAVVERO brava! Cavolo, tesoro, per la prima volta nella mia vita sto quasi rimpiangendo di essere gay … ma forse potrei fare un’eccezione per testare il tuo talento! >>.
<< La pianti, imbecille? >>, sbottò lei seccata, mentre Kosta ridacchiava sotto i baffi, nascondendosi dietro la tazzina. Vera inchiodò il gomito sul tavolo, e la giacca si aprì rivelando il taglio del vestito al di sotto. 
<< Pffffiuuu! Cazzo, ha avuto ragione però a prenderti per una mignotta! Ma chi te l’ha dato quel vestito? >>.
<< Sylvie >>.
<< Sempre lei? Senti, ma non è che lo è lei, la escort, no? Perché questo vestito è proprio in quel genere … costoso e osceno, un triangolo di stoffa con un collarino d’oro come chiusura … >>.
<< Ma dai, che dici >>, sbuffò lei. 
<< Dico, dico. Non m’intenderò di donne ma di certo m’intendo di vestiti! E datosi che anche il tuo amichetto ha un certo qual occhio per lo stile … ha tirato le sue conclusioni! >>.
<< Kosta? >>.
<< Dai, accidenti, Vera! Ma non vedi che è proprio il tipo di abito che porta scritto sull’etichetta “Scopami bene e pagami meglio“? Solo una campagnola come te poteva non accorgersene >>.
<< Che prevenuto, proprio da uno come te non me l’aspettavo un commento simile. Ma non lo sai che l’abito non fa il monaco? >>.
<< Sì, ma so anche che di certo se il monaco vedesse quest’abito si farebbe la croce, o si leverebbe il suo, mia cara >>.
In quel momento bussarono alla porta. 
<< Sì? >>.
<< August! >>, risposero da fuori, con un tono degno dei peggiori caposquadra SS. 
<< Oddio no … la vecchia cornacchia nooo … che giornata del cavolo! >>, sbottò Vera abbandonandosi esausta sul tavolo. Kosta sospirò e andò ad aprire. 
<< Salve signora August … come va? La trovo bene oggi … è dimagrita? >>, la salutò cordiale, cercando di trattenere la “vecchia cornacchia” sulla soglia per impedirle di guardare in cucina; ma la donna allungava il collo, tentando di sbirciare lo stesso oltre l’alta statura e il fisico possente del ragazzo.
<< Poche chiacchiere, risparmia la lingua per ungere i tuoi amichetti, ragazzino. Dov’è il mio affitto?  >>, gracchiò la vecchia dalla faccia rugosa e le dita adunche, un incubo che sembrava uscito direttamente da Biancaneve versione horror nel ruolo della matrigna. 
<< Ehm, sì … lo so, lo so … >>.
<< Lo sai, ma quando ti decidi a pagarmi? Mia figlia è troppo buona, o troppo stupida, e lei non ha cuore di venire a sbattertelo in faccia, ma io sì invece però, perché curo i suoi interessi … Sono già due settimane di ritardo! >>.
<< Be’ … pensi al lato positivo >>, biascicò Kosta, portando una mano alla nuca. << Se non altro è garantito che questo è l’unico genere di ritardo cui possa mai andare incontro sua figlia con me! >>. 
Ma la vecchia arpia non abboccò. << Ah, fai lo spiritoso? Vedremo quanto avrai ancora voglia di ridere, quando ti ritroverai a vivere in un cassonetto, tu e quell’altra scansafatiche della tua coinquilina! Perché non se n’è rimasta al suo paese, a mungere le vacche e tosare le pecore, se non è in grado di pagare un affitto ragionevole! E siete arretrati anche sulle spese dell’acqua corrente, della luce e del gas! >>.
Vera sentì il sangue salirle alla testa. Balzò in piedi, si tenne stretta la giacca addosso e raggiunta la porta, con un gesto eloquente, ficcò in mano alla donna improvvisamente azzittita due delle tre banconote che stringeva ancora tra le dita. 
<< Ecco qua, razza di avvoltoio. Affitto più la parte delle spese sulle forniture, sono ottocento euro. Il resto lo tenga come anticipo sull’affitto del prossimo mese. Le auguro buona giornata e quando torna giù nel suo girone non si dimentichi di salutarmi i condannati ai suoi eterni tormenti. Arrivederci >>, e le sbatté la porta in faccia, senza lasciarle il tempo di esaminare il suo abbigliamento, né il trucco leggermente sbavato, i capelli sfatti o l’aria da reduce di un’orgia hard-rock. Poi afferrò Kosta ch’era allibito per un gomito e lo riportò in cucina. 
<< Wow … senti, qualsiasi cosa ti abbia fatto quel ragazzo, è un mito! C’è la minima speranza, piccina piccina, che sia almeno bisex? >>. 
Vera lo fulminò con uno sguardo degno di Hannibal the Cannibal, o perlomeno di Stallone in Rambo, quando dice al suo nemico: “Sarò il tuo incubo peggiore“. 
<< Okay, okay, scherzavo! >>, rimediò in fretta lui, alzando le mani. << Ma adesso, come fai a restituirglieli? >>.
<< Be’, l’hai detto tu che tanto non sappiamo il suo indirizzo no? Possiamo rimetterli da parte finché non lo rintraccio, e poi glieli restituisco >>.
<< Già, ma tu hai detto di avergli dato il tuo numero >>.
<< Sì, ma non ho detto che ho la speranza che mi chiami! Potrebbe averlo fatto per pura cortesia. E‘ un ragazzo molto educato >>, disse lei sedendosi sul divano. 
<< Mhmm mhmm … si vede. Scommetto che ha bussato prima di entrare, o sbaglio? >>, sbottò Kosta ghignando, e Vera gli lanciò un cuscino, che lui scansò scoppiando a ridere evidentemente. 
<< Magari ha anche chiesto: “ E’ permesso?” e la nostra tenera piccola “Heidi dai Vosgi con furore di certo ha risposto: “ Certo ch’è permesso … ti permetto tutto quello che vuoi, Bill …” con un sospirone degno di Giulietta in persona … >>.
<< La smetti, cavolo?! >>, 
<< E come minimo, in quel momento deve aver davvero visto i monti che le sorridono e le caprette che fanno ciao … ho i miei dubbi sulla neve bianca, che penso debba essersi sciolta con quelle temperature bollenti … ahi! Ahhahahahahahahahahahahahaha! >>, sbottò beccandosi una cuscinata in piena faccia; ma anche Vera stava ridendo.   
<< ‘Fanculo, Kosta, sei proprio un pervertito >>, osservò scuotendo la testa tra le risate ormai incontenibili.   
<< Senti chi parla, cara la mia escort … >>. Kosta infilò il leggero giubbotto di jeans slavato sulla maglietta celeste, e prese le chiavi. << Vattene a dormire, va’, e vedi di riprenderti, altrimenti stasera a Carol le viene un accidente quando ti vede ridotta così >>.
<< Su questo non so darti torto, mi sento come uno spaventapasseri … che c’è? >>, sbottò di colpo notando l’espressione sulla faccia del suo coinquilino. 
<< Niente, niente, lascia perdere … >>.
<< E no, dai cavolo, adesso mi dici >>.
<< Ma niente, solo stavo pensando che come spaventapasseri non devi valere un granché, visto che quello che il tuo amichetto ha tatuato sulla mano non sei riuscita a farlo scappare, anzi! >>, dichiarò, prima di scoppiare a ridere per l’ennesima volta e beccarsi anche l’ultimo cuscino dritto sul naso. 
<< Vattene, fuori, forza, sparisci! Depravato di un maniaco di un maiale di un … grrrr! >>.
<< Ci vediamo a pranzo! >>, disse lui, chiudendosi la porta alle spalle ma rimanendoci dietro; Vera se ne accorse dal fatto che non sentì i passi delle sue Oxygen risuonare sul linoleum del pianerottolo.  
<< Non ci sperare! Se torni a mangiare a casa come minimo ti metto il Ddt nella feta, contaci! >>     
<< Il Ddt è fuori commercio da vent’anni! >>.
<< Allora ti metto l’acqua alla lavanda della August! >>.
<>.
<< Va’ al diavolo, Kosta! >>.
<< Okay, poi te lo saluto! Senti, giacché vuoi che gli dico di tenerti un posto nel girone dei lussuriosi? >>.
<< KOOOOOOOOSSSSSSTTTAAAAAAAAAAAAA! >>, urlò lei correndo ad aprire la porta, ma il suo coinquilino era già in fondo alla tromba delle scale, che rideva come un matto. 
Vera richiuse la porta, e sospirò. 
Be’, se non altro Kosta era riuscito a sdrammatizzare un po’ la situazione. Era tutto un enorme equivoco, si sarebbe sistemato, in un modo o nell’altro. 
Forse. 
Dopo un istante di riflessione, decise di seguire il consiglio di Kosta e andare a dormire … ma senza fare la doccia. Le piaceva troppo tenersi addosso quell’odore, vago e tenue ma percettibile di muschio ed erba alta e folta sferzati dalla pioggia; e le sarebbe piaciuto anche sapere se era qualcosa di distillato in alcol o proprio la sua pelle di seta, ad avere quell’aroma spettacolare.   
S’infilò sotto le coperte e … subito venne presa da una tentazione irresistibile. Le occorse qualche secondo per vincere la vergogna, ma tanto non c’era nessuno, sarebbe stato un segreto tra sé e sé … fece scivolare una mano tra le cosce, sfilò quel maledetto strumento di tortura di pizzo che le stava segando fianchi e fondoschiena e nel farlo, indugiò con la punta delle dita nel lievissimo strato di peluria sul monte di Venere, avvicinandole poi al volto. 
Sorrise, avvampando. 
Era la sua pelle. Poco ma sicuro. 
  
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