Ritratto di famiglia
5. 1979
È da un paio d’anni che Dorcas non mette piede nella villa in cui ha trascorso l’infanzia e parte dell’adolescenza e non ci ritorna volentieri.
Le stanze sono sempre così grandi e l’ambiente così triste; sembra un mausoleo - un mausoleo in cui invecchiare e morire lentamente.
C’è della gente, parenti e amici. Alcuni non la riconoscono, altri le fanno le condoglianze, scambiando l’aria stanca di chi ha combattuto contro un Mangiamorte per il dolore di una perdita.
Non sa perché è lì.
Sua madre è morta senza rimpianti nell’aver dimenticato di avere una figlia, quindi lei non è davvero tenuta a presentarsi al cospetto di un cadavere verso cui non nutre alcun tipo di sentimento positivo.
Però ormai è davanti a quel corpo freddo e bianco, quindi forse Astrid Meadowes, nel suo disperato tentativo di renderla una perfetta signorina come si conviene a qualcuno della sua classe sociale, è riuscita per lo meno a inculcarle l’attenzione per le apparenze e le etichette.
Dorcas per questo si odia. Se n’è andata di casa perché non voleva aver a che fare con quel mondo frivolo e ipocrita, però poi è tornata per le esequie di una persona che non sopportava in vita e che non sopporta nemmeno ora che è morta.
Stringe i pugni e i lineamenti si induriscono.
Guarda sua madre, la donna che ha reso la sua infanzia un deserto senza amore, e vede solo un ammasso di carne e ossa destinati a decomporsi: non riesce a perdonarla.
Dorcas scrolla le spalle come per liberarsi da una sgradevole sensazione, poi si alza sulle punte e lo bacia.
Il lieve fastidio provocato dalla barba di Sirius si trasforma in solletico, infine nella via risuona la risata davvero fuori luogo della ragazza (proprio quella risata tanto disdegnata da sua madre).