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Autore: Maricuz_M    26/10/2012    5 recensioni
Dopo una delusione amorosa, c’è chi dice “Si chiude una porta, si apre un portone” oppure chi afferma “Meglio soli che male accompagnati”.
Ebbene, Eleonora fa parte di quest’ultimo gruppo di persone.
Le sue giornate, però, la porteranno in situazioni che la convinceranno a cambiare idea e, cosa non meno importante, a non fidarsi delle docce, dei marciapiedi e degli ascensori. O anche di alcuni suoi amici che si divertono a mixare il suo nome con quello dei suoi conoscenti, giusto per suddividersi in team e supportare coppie diverse in cui lei, ovviamente, rappresenta la parte femminile.
Dal secondo capitolo:
“Elle, guardati le spalle.”
“Ci manca pure che la sfiga mi attacchi da dietro.”
“La sfiga attacca dove vuole lei, mica dove vuoi tu.”
“Sennò come ti coglie impreparata? Vuoi una telefonata a casa, la prossima volta?”
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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XI Capitolo


Autonomy
 
Mancano quattro giorni al Natale, ed io ovviamente sono a cercare i regali giusti in lungo e in largo solo oggi. Non è mai capitato che noi del team ci trovassimo per fare regali agli altri, per non so quale ragione. Abbiamo sempre fatto da soli, forse per non esser condizionati, o forse perché siamo tutti amanti delle sfide.
E trovare i regali adatti è una sfida da non sottovalutare.
Mi stringo nel cappotto e mi fermo a guardare una vetrina, cercando anche di sbirciare all’interno del negozio. Dannazione, quanta altra gente c’è in giro a far compere? Non potevano essere tutti efficienti e non ritardatari, così da lasciar via libera a me? Sospiro, una nuvoletta si forma davanti al mio viso, poi riprendo a camminare non avendo ricevuto nessuno stimolo nel vedere la merce esposta. Che bello quando non c’è l’ispirazione, e che bello il sarcasmo!
Cammino e mi guardo intorno mentre rifletto. Devo assolutamente trovare questi maledetti regali entro Natale. Nel pomeriggio del venticinque ci incontreremo tutti a casa di Ginevra per scambiarceli, non posso arrivare lì a mani vuote o, ancora peggio, dare un pensiero a qualcuno e a qualcun altro no. Sarebbe terribile.
Ed io non vorrei mai essere trascurata da qualcuno dei miei amici. Perché dovrei farlo io?
Oltretutto per cinque giorni io ed Azzurra andremo a stare da mio padre, per cui rivedrò il team solo al mio ritorno o, con più precisione, alla festa dell’ultimo dell’anno. Infatti noi tutti abbiamo confermato la nostra presenza all’evento, nessun’escluso. Ho saputo tramite Simon che anche il gruppo di Samuele sarà ufficialmente presente, per mia somma gioia. No, ok, parlando seriamente: mi fa piacere rivedere Filippo, o Jonathan e Sonia che non rivedo dalla famosa cena di inaugurazione dell’appartamento, ma Damiano.. No, che nessuno mi nomini il Damianora, perché è ciò che è più distante dal mondo reale. Solo a pensarci rabbrividisco.
Entro in un negozio di oggettistica giusto per vedere se qualcosa riesce ad attirare la mia attenzione e magari a riportarmi alla mente qualche aneddoto, così da comprarlo anche se fa schifo ma con la giustificazione “mi ha fatto pensare a te”. Sperando non si offenda chiunque riceva il regalo, nel caso riesca nel mio intento.
Sono ferma a guardare un portafoto colorato d’argento a forma di gatto quando sento delle risate alle mie spalle. Curiosa come sono, anche se con discrezione, mi volto lentamente e lancio un’occhiata alla coppia ad un paio di metri da me che sta osservando un portapenne, parlottando –e probabilmente prendendo in giro- l’oggetto a bassa voce.
Torno immediatamente a fissare il gatto argentato senza prestarvi una particolare attenzione. Quei due li ho già visti da qualche parte. Mi ricordo particolarmente il ragazzo, forse perché un viso del genere non si dimentica facilmente, vista la bellezza.
Solo dopo un’attenta ricerca nei cassetti del mio cervello mi ricordo che è il chitarrista della band di Enrico, quella di cui siamo andati a vedere l’esibizione al Take it easy nemmeno un mese fa. Quasi scoppio a ridere ripensando al modo in cui Manuela non riusciva a distogliere lo sguardo dalla sua figura.
“Gabriele, smettila.” Sento dire dalla ragazza, che sta rischiando di morire di soffocamento per il troppo ridere.
“Non sto dicendo niente di male! Solo che un maiale insieme ad una mucca mi fa pensar male, ecco. Manca solo che si prendono a parole. Vedi qui? Immaginati due fumetti: ‘Sei un porco!’, ‘E tu una vacca!’.” risponde l’altro, storpiando anche la voce per facilitare l’interpretazione dei due animali. A sentire la risata spontanea e sinceramente divertita della ragazza quasi non riesco a trattenermi neanche io. Prendo un respiro profondo e mi allontano, rendendomi conto che mi sono ritrovata ad origliare una conversazione come una vecchietta che non sa più come trascorrere le proprie giornate.
Mi fermo per vedere un portachiavi con una piccola chitarra classica di plastica e poco dopo la coppia mi supera, tenendosi per mano, con ancora i sorrisi sulle labbra.
Sorrido anche io intenerita, forse un po’ malinconica. Non sono mai stata felice insieme a qualcun altro. Con Giacomo c’ero andata vicina, prima di scoprire il suo gioco, ma mai ci sono riuscita. Da una parte sto bene così. Nessuna preoccupazione, nessuna gelosia, nessun fastidio immotivato per qualche tipa che ci prova con il mio ragazzo, nessun pensiero fisso che mi distrae da qualunque cosa.. Ma se mi fermo a pensarci mi sento come.. incompleta. No, anzi: è come se una parte di me, che non è mai venuta fuori, spingesse per uscire.
Svegliarsi la mattina con la voglia di alzarsi dal letto per vedere quella persona, abbracciarla, stringerla, baciarla, parlarle, ascoltarla e guardarla negli occhi per vedere se la felicità che provi tu standole accanto la prova anche lei stando accanto a te. Andare in giro per mano, incrociare il proprio sguardo con l’altra da lontano, cercarsi inconsciamente.. Ma anche litigare, discutere, buttarsi in faccia pensieri, sentimenti, sensazioni. Come si dice? A cuore aperto. Sì, mi piacerebbe avere qualcuno con cui aprire il cuore.
Sospiro, rendendomi conto che sono uscita dal negozio e che adesso sono davanti ad una libreria, in cui entro dopo un paio di secondi di indecisione.
Ma alla fine, di cosa mi lamento? In fondo non ho neanche qualcuno a cui pensare la sera prima di addormentarmi. Più che volere un ragazzo in particolare con cui condividere tutto ciò di cui ho parlato prima, vorrei un rapporto come quello. Sono innamorata dell’idea che mi sono fatta dell’amore grazie a storie raccontate nei film, nei libri, su internet. Probabilmente Gabriele –così si chiama il chitarrista, da quanto ho capito- e la sua amata hanno suscitato in me questa voglia di distruggere il principio su cui mi sono basata negli ultimi mesi, o forse è colpa dei miei amici che cercano di accoppiarmi con qualsiasi forma vivente di sesso maschile.
Meglio soli che male accompagnati. Forse una brutta compagnia non è così pessima, messa a confronto con la solitudine. Perlomeno qualcuno da incolpare per il tuo male ce l’hai.
Vedo le scritte “Filosofia” e “Psicologia” sopra degli scaffali e trattengo un sorriso, pensando che molte domande esistenziali di Marco riceverebbero risposta grazie ad un libro. Non ritenendomi però una grande esperta dell’argomento, abbandono a malincuore l’idea e inizio a girellare per altri generi.
Non c’è molta gente, stranamente, ma svoltando a sinistra riesco ugualmente a scontrarmi con qualcuno, sicuramente un uomo visto che non si è scomposto di molto, e a fargli cadere a terra il libro che aveva tra le mani. Mi piego immediatamente per raccoglierlo, mentre l’altro a malapena si è reso conto della collisione, probabilmente colto alla sprovvista. Mi tiro su porgendo l’oggetto e chiedo scusa mentre punto lo sguardo sul viso del malcapitato, rimanendo spiazzata e con la bocca aperta quando realizzo la sua identità.
“Ciao, Eleonora.” Dice lui senza una particolare intonazione nella voce.
Chiudo la bocca, sbatto un paio di volte le palpebre e rispondo, come una persona educata di solito fa “Ciao!”
Io mi chiedo come mai, dal nostro primo incontro, lo stia vedendo ovunque. Quando davanti al palazzo di Simon e Samuele, quando in pasticceria, adesso anche in libreria.. Per non parlare delle imbarazzanti e inverosimili situazioni in cui mi sono ritrovata in sua presenza! Giusto per nominarle due: l’ascensore bloccato e il dietro le quinte del film porno. Tra l’altro si è svolto tutto in quell’edificio, dev’essere maledetto o qualcosa del genere.
“Scusami se ti sono venuta addosso.” Mi scuso ancora imbarazzata, mentre lui afferra il libro e lo rimette nello scaffale senza neanche guardarlo, ma continuando a fissarmi. Solo in quel momento noto che sta tenendo anche una scatola perfettamente impacchettata, e ringrazio la mia immane sfiga per aver risparmiato almeno lei.
“Non preoccuparti.” replica “Ti sei fatta male?”
“No, no!” nego subito, muovendo anche le braccia, poi abbozzo un sorriso “Coma va?”
Fa una lievissima smorfia e inclina la testa “Insomma.. Sono in difficoltà. Odio fare regali. Tu?”
“Stessa identica cosa. Sono in giro da un’ora e ancora non ho comprato niente.. Sono venuta qui” perché ero presa da pensieri depressi e non me ne sono resa conto “per fare una pausa prima di tornare a lavoro.”
“Anche io.” Un sorriso impercettibile si forma sulle sue labbra carnose e perfettamente disegnate, che per qualche secondo mi fanno perdere la ragione. Ma gliel’hanno modellate? Sono perfette, porcaccia misera. Il momento di totale adorazione viene interrotto proprio dal loro proprietario, che riprende a parlare “Mi ha detto Samuele che verrai anche tu alla festa.”
“Già.” Dico stupidamente, ancora frastornata “Ehm..” dì qualcosa, cretina “Ti va una cioccolata?” sparo a raffica. Poi cerco di rimediare, fallendo “..O un caffè.”
Oddio, no. Ci mancava anche questa. Il Natale mi fa decisamente male.
Per un momento anche lui sembra sorpreso da quella richiesta, anche se non quanto me, ma poi si riprende e annuisce calmo “Perché no? Magari dopo collaboriamo anche per trovare qualcosa di decente da regalare.” Ma cosa fa, mi dà corda? No!
Nonostante i pensieri sul mio viso spunta un’espressione allegra “Potremmo tornarci utili.”
 
Una tazza fumante tra le mani, un sorriso ebete e immotivato che non riesco a cancellare dalla mia faccia e un instabile, incontrollabile e del tutto indipendente stato mentale. Chi me l’ha fatto fare di chiedergli una cosa del genere?
“Allora..” mormoro incerta, cercando di non prolungare troppo quel momento di silenzio incredibilmente imbarazzante “Almeno tu hai comprato qualcosa.” Affermo, riferendomi al pacchetto che adesso è appoggiato al lato del tavolino.
“Sì, a mio fratello. Però sono partito da casa già sapendo cosa comprargli, quindi non conta.” Dice, facendomi ridacchiare.
“Hai un fratello?” chiedo sorpresa subito dopo. Lo facevo più un tipo da figlio unico, se devo esser sincera, forse per il suo essere statua.
“Sì, più grande.” Annuisce, poi dà qualche pacca leggera sulla scatola “E’ un fotografo, gli ho comprato un obbiettivo.”
Sorrido “Anche mia madre è una fotografa.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Casa tua allora sarà piena di tue foto più o meno a tutte le età, roba da gita scolastica.” Scherza, ma con espressione seria. Annuisco sospirando, poi rispondo con tono rassegnato “Se è per questo, è illustrata anche tutta la vita di mia sorella. Se aggiungiamo anche i disegni che fa lei puoi ben capire che le pareti manco si vedono.”
Riesco a strappargli una risata, cosa che mi riempie il petto di soddisfazione, poi concentro la mia attenzione sulle sue parole “E anche tu scatti o disegni o sei l’unica donna di casa con altri interessi?”
“Penso di essere l’unica donna di casa con altri interessi, sì.” Sorrido imbarazzata.
“Se non sbaglio canti e suoni, giusto? Ti concentri sull’udito, più che sulla vista.” si sporge in avanti portandosi alle labbra la tazzina di caffè ancora caldo, inchiodandomi con quegli occhi ammalianti per natura. Mi sento un attimo a disagio, forse per il suo sguardo, forse per il movimento del suo corpo che dimostra un certo interesse, o forse perché si è ricordato di una mia passione venuta fuori per caso circa un mese fa. Ma del resto di cosa mi stupisco? Si ricordava di me dopo avermi visto una sola volta dopo un sacco di anni!
“S-sì, precisamente..” abbozzo un sorriso notando che ho balbettato leggermente, ma subito mi impegno nell’osservare il liquido marrone che mi appresto poco dopo a bere. Cioccolata. Mi sento molto un Homer Simpson che pensa ad una ciambella, in questo momento.
“E’ da tanto che sei interessata alla musica?” domanda, per poi tornare a sorseggiare la sua bevanda.
“Beh, sì. Da sempre, più o meno. Mio padre mi ha insegnato a suonare il piano quando ero una bambina, poi alle medie mi sono avvicinata alla chitarra e al canto. Ora non seguo più corsi, ma continuo a strimpellare qualcosa, quando trovo il tempo.” Spiego, alzando via via le spalle. Eccola la timidezza. Non balbetto tanto con lui, ok, ma rimane il fatto che parlare di me mi mette una certa ansia. Cercando di deviare la conversazione su altro, faccio io una domanda “Tu cosa fai?”
“Bevo il caffè.” Ghigna.
“Che scemo.” dico istintivamente, ridendo. Cristo, quanta confidenza! Quando me ne accorgo me ne pento immediatamente, ma notando che non gli ha dato un particolare fastidio, ma che, anzi, ci scherza pure sopra, mi rilasso.
“Lo so, lo so.. Non sembra, ma lo sono.”
“No, non sembri il tipo da queste uscite, effettivamente. Senza offesa.” Mi affretto ad aggiungere.
“No, no. Lo pensano tutti. Sei la prima che me lo dice, escludendo Samuele, ma è esattamente ciò che tutti pensano. C’è quest’idea che la persona non incline all’esibizione delle proprie emozioni non è in grado di scherzare, allora tutti si sorprendono se dico una stronzata.” Una scrollata di spalle “Direi che gli ultimi anni si possono riassumere così, sì.” Conclude, abbozzando un sorriso e non distogliendo mai –e dico mai- lo sguardo.
Annuisco, comprendendo il concetto, e mi ritrovo a pensare che gli sono apparsa come l’ultima di una serie di persone che campa di stereotipi e che l’ha giudicato proprio come.. una statua. Sembra intercettare i miei pensieri, quando assume un’espressione ulteriormente seria a quella precedente e riprende il discorso “Non volevo dire che sei l’ennesima, sarebbe una specie di offesa. Quando ho detto la cazzata di prima hai riso, non ti sei scandalizzata perché ho fatto una battuta.” Sembra voler aggiungere anche altro, ma poi rimane in silenzio.
Sospiro e annuisco un po’ imbarazzata “Non mi sono offesa.”
“Lo so, però ti stavi facendo dei problemi che non esistono. Stai rilassata.” Ridacchia, tendendosi anche lui leggermente. Un gesto in contrasto alle sue parole, tra l’altro.
“No è che..” oh, vabè, glielo dico, chi se ne frega “I tuoi occhi.”
Lui aggrotta la fronte confuso e fa un lieve cenno col capo per chiedere spiegazioni “Sono.. Scrutano, costantemente. Non so se te ne rendi conto, magari non lo fai neanche apposta ed è un’abitudine, ma sembra che studi ogni cosa, ogni gesto, ogni movimento, ogni parola guardando fisso negli occhi dell’altra persona.”
“Sembra perché lo faccio.” Dice semplicemente, bevendo l’ultimo sorso di caffè e appoggiandolo sul tavolino. Rimango spiazzata dalla sua uscita, ma poi mi scappa da ridere.
“Ah.” Sghignazzo, divertendo anche lui.
“Ti spiego, così torniamo anche al discorso di prima..” incrocia le braccia, sempre appoggiate sulla superficie, e con lo sguardo ovviamente puntato sul mio prende a parlare “Osservo le persone perché mi piace farlo. Mi piace da così tanto tempo che non ci faccio caso lì per lì, ma comunque me ne rendo conto. So che, magari, potrebbe dar fastidio a qualcuno, ma purtroppo non riesco a farne a meno. E’ affascinante capire l’essenza di una persona e dei suoi pensieri in base ad uno sguardo, che sia ricambiato o meno, o da un movimento preciso delle labbra, delle sopracciglia.. Non dico di essere un genio che interpreta tutto alla perfezione, ma mi illudo di saperlo fare.”
Senza che possa accorgermene pienamente, mi ritrovo a pendere dalle sue labbra. A parte il fatto che è il primo discorso lungo che fa, o almeno riguardo a se stesso, la sua intonazione calma è riuscita ad intrappolarmi già dalla prima frase. Appoggio il viso alla mano, avvicinandomi a lui inconsciamente, tanto che ormai siamo più o meno a trenta centimetri di distanza.
“In realtà qualche anno fa non immaginavo neanche che sarei finito a lavorare in una pasticceria, ma in qualche modo dovevo pagarmi l’università e aiutare mio fratello con l’affitto, visto che abitiamo insieme. Pagano piuttosto bene, è un bel posto, ogni tanto mi porto a casa dei dolci gratis e la proprietaria mi tratta come un figlio. Intanto studio lettere e filosofia, cosa che ho sempre voluto fare. Ne ho visti molti ai corsi che venivano tanto per fare qualcosa, per darsi un tono e rinunciare neanche quattro mesi dopo. Ecco, sappi che io non sono tra quelli. Il fatto è che mi è sempre piaciuto scrivere. Ho scelto il classico perché sapevo che avrei avuto una certa cultura in ambito letterario e non, e perché già a quattordici anni sapevo cosa volevo conoscere, e ciò che volevo conoscere volevo trasmetterlo attraverso la scrittura. Non mi sono pentito di questa scelta, così ho continuato per la mia strada anche dopo il diploma.”
Chiudo la bocca, che pian piano si socchiudeva sempre di più. Sento qualcosa espandersi nel petto, qualcosa simile all’ammirazione. Per cosa? Perché gli piace studiare e sapere? Perché sa cosa fare della sua vita? Perché riesce a far capire quanto adora quello che fa solo con l’utilizzo della propria voce? Non lo so, e alla fin fine manco mi interessa. So solo che lo sto stimando.
“..Ti ho ammutolita?” chiede, sorridendo.
“Io.. Io..” No, non balbettare “Ehm, sì. Però.. Cioè..”
“Sei confusa perché non capisci il collegamento tra le cose che ti ho detto?” chiede, riferendosi al suo osservare la gente e al suo corso di studi. Annuisco un po’ imbarazzata.
“Ti ho riempito di informazioni inutili, forse è per quello che non hai collegato.” Ridacchia, adesso un po’ a disagio. Si è appena reso conto di aver parlato tanto, mi sa.
“No, non sono informazioni inutili. Io, cioè, insomma.. Ti ho ascoltato, mi ha fatto piacere sapere qualcosa.” Ma che..? Dio, che schifo di uscite, che faccio. Cerco di rimediare “Spiegami.”
Mi fissa in modo strano, studiandomi ancora, poi prende un sospiro e ricomincia “In teoria.. Il mio sogno è quello di.. Non ridere.”
“No, figurati.”
“Vorrei diventare uno scrittore.”
Rimaniamo qualche secondo in silenzio. Probabilmente lui si aspetta una mia qualche reazione, io invece aspetto che prosegua.
“..Continua.” dico, incerta.
“..Non ridi?”
“Dovrei? E poi mi hai detto tu di non ridere.”
“Quei pochi a cui l’ho detto hanno riso.”
“E io no. Continua!”
Dopo un po’ di esitazione, riprende “Dicevo.. Che vorrei diventare uno scrittore.” Ripete e si ferma per controllare, ma ricomincia quasi subito “E mi piace osservare perché ritengo che per scrivere qualsiasi cosa, anche ciò che di reale ha poco, bisogna conoscere, e siccome sono fissato con le sfaccettature dei personaggi delle storie che leggo e creo, mi concentro molto sulle persone anche nella vita. Poi la mia buona memoria mi aiuta.” Termina ufficialmente, mentre io sorrido.
“Adesso si spiega tutto.”
“Visto? Sono illuminante.”
“Sarei un personaggio interessante, io?” chiedo curiosa. Lui, preso alla sprovvista, sbatte le palpebre un paio di volte, poi ci pensa su.
“Sei strana.”
“..Quindi è un sì o un no?”
“Quindi è un: sto cercando di scoprirlo.”
 
“Però, dai. Direi che alla fine ci siamo tornati utili davvero.” Afferma, mentre camminiamo per la strada l’uno affianco all’altra.
Annuisco convinta. Lui ha il regalo per suo fratello nella mano destra, mentre la sinistra è piena di sacchetti di varie misure con dentro altri pacchetti. La mia situazione è identica, solo che non ho nessuna scatola da portare.
Teoricamente, Filippo ha finito di comprare pensieri a destra e a manca, ma si è offerto ugualmente di accompagnarmi in un negozio di musica per  aiutarmi con la scelta dell’ultimo acquisto, programmato per Simon. Dove comprargli qualcosa, se non lì?
Entriamo nel negozio, con un clima decisamente più gradevole rispetto a quello esterno, e cominciamo a gironzolare ovunque. Al contrario di quello d’oggettistica, questo è molto più frequentato, specialmente da gruppi di ragazzi più piccoli di noi o coetanei.
Sia io che il modello alla mia sinistra stiamo setacciando con lo sguardo uno scaffale pieno di cd usciti recentemente, con un gruppo di adolescenti sghignazzanti alle nostre spalle. Non parliamo, tanto siamo presi dallo studio dei dischi, ed entrambi sussultiamo quando sentiamo la suoneria di un cellulare, proveniente dalla sua tasca destra.
Sospira e mi porge il pacchetto “Reggimi il pacco.”
Gesù.
Non poteva dire cosa peggiore.
I ragazzi dietro di noi, che si erano voltati sentendo anche loro la suoneria di Filippo, cominciano a ridere sguaiatamente. Il loro cervello deve avere la stessa massa di una nocciolina, e di questo sono consapevole, ma non riesco comunque a frenare l’afflusso di sangue verso il mio viso, che diventa più rosso del costume di Babbo Natale, giusto per rimanere in tema. Faccio quello che mi dice mentre lui sta fulminando con lo sguardo i bambocci, poi risponde al cellulare con tono brusco.
Non ascolto una parola della sua conversazione, troppo presa dal racimolare tutto il mio autocontrollo per donare alla mia faccia il reale colore della mia carnagione. Intanto quegli imbecilli continuano a divertirsi lanciandomi occhiate ambigue. Resisti, Elle.
Quando Filippo riattacca, mi guarda come se volesse scusarsi. Abbozzo un sorriso e gli porgo il regalo “Eccoti il tuo pacco.” Ripeto, giusto per fare le cose fatte bene.
Quei cretini ridono ancora più forte, non capendo che quelle parole le ho dette volontariamente. Sbuffo infastidita, ma mi ritrovo a spalancare gli occhi quando il castano mi afferra il braccio e mi allontana da lì senza dire una parola.
Quando ci fermiamo, mi guarda e sbotta “Scusa, ma stavo per dirgli cose poco gentili.”
“Ah. No, vabè, meglio. Stava diventando imbarazzante.”
“Scusa per l’uscita. Non l’ho detto volontariamente. Cioè, non per imbarazzarti. Se volessi farlo, troverei ben altri modi.”
Scoppio a ridere “Ah, beh, questo mi consola. Comunque non fa niente, davvero.”
“Bene, meglio..” sospira sollevato, e dopo una breve pausa in cui mi analizza, parla ancora “Ad un certo punto ho pensato che avresti preso fuoco.”
E di nuovo divento rossa. Grazie per avermelo fatto notare.
“Ecco, vedi? Di nuovo.”
“Basta!” scoppio, sempre più simile ad un pomodoro. Inizia a ridere di gusto, come non l’avevo mai visto, probabilmente, poi è il mio cellulare a squillare. Sbuffando, gli ammasso tutti miei acquisti addosso, per vendetta, poi rispondo al cellulare dopo aver visto che la chiamata parte da mia sorella.
“Pronto?”
Tu, maledetta!
“..Che ho fatto?” chiedo, dubbiosa.
Hai dato il mio numero a Michele! Sei una bastarda! Stronza!” urla, di là dalla cornetta. Spalanco gli occhi, ricordandomi del messaggio di una settimana prima. Strano che si sia fatto vivo solo adesso.
“Ops.” Dico solamente, ridacchiando soddisfatta.
 
 


Appunti sul capitolo:
Perché proprio “Autonomy”? Perché significa autonomia, e Elle ne ha due. Una razionale e l’altra no. Questo capitolo è dedicata a quella non razionale. Ciao, parte non razionale autonoma di Eleonora. *Saluta*
Questo è importante: la parte del “Reggimi il pacco” mi è stata raccontata da un mio amico. L’ho riadattata con  il suo permesso, LOL. Mi aveva fatto troppo ridere, scusatemi.
 
Insomma, insomma.
Questo capitolo, ragazze (o ragazzi, se è presente qualche maschietto, ma dubito ._.), è stato mooolto impegnativo, specie per quanto riguarda la parte centrale, quella in cui il nostro Filippo spiega un po’ di cosette di sé e del suo comportamento.
Qualcuno si aspettava una cosa del genere?
E inoltre, voi team Filinora, siete rimaste soddisfatte da questo capitolo? Non ditemi di no, eh. Non lo accetto. <3
 
Per il prossimo capitolo faremo un salto temporale di qualche giorno, ma inizia ufficialmente una parte parecchio intensa. Anche per me. Credetemi, sarà difficile. I miei propositi di una “storia senza troppe pretese” stanno andando un po’ a.. sciacquette.
Anyway, voi preparatevi, così siamo sicuri che nessuno morirà il 31 Ottobre! (Tra l’altro il caso è stato pessimo. E’ Halloween. :’D)
 
Ok dai, vi saluto e vi ringrazio come al solito. :’)
Sapete dove trovarmi: o qui su EFP, o sul Blog, o su
Twitter (dove qualcuno mi contatta, e mi fa molto, mooolto piacere!)
 
A Mercoledì!
 
Maricuz
   
 
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