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Autore: Winry977    26/10/2012    0 recensioni
E se i componenti di una band si interessassero a una ragazza incinta incontrata a un loro meeting dopo un concerto?
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre tornavamo a casa, mi accorsi che Nadia si era addormentata, e per accompagnare il suo sonno avviai il CD “We stitch these wounds” nel lettore della macchina. Mentre guidavo mi lasciai invadere dai ricordi di un passato doloroso e di una gravidanza dalla quale ero uscita più sola che mai. Quando il pensiero dell'uomo che mi aveva messa incinta mi attraversò le tempie, le lacrime cominciarono a rigarmi il viso senza alcun ritegno. Mentre la vista cominciava ad offuscarsi, decisi di accostare la macchina al lato della strada, giusto il tempo di ristabilirmi, e sperai che mia figlia non si svegliasse mentre io ero in quello stato.

Asciugandomi le lacrime con le dita tremanti e soffiando il naso, mi ricordai del biglietto di Andy, che avevo infilato distrattamente in una tasca dei jeans. Lo tirai fuori, e vi trovai scritto sopra solo un indirizzo. I miei occhi si spalancarono dallo sbalordimento e lo rilessi più volte: era il mio stesso indirizzo, e loro vivevano proprio al numero civico davanti casa mia.

“Possibile che non ci siamo mai incontrati??” pensai tra me e me, cercando di mettere a tacere la mia eccitazione, che aveva sostituito lo sconforto. Ragionandoci, mi resi conto che non uscivo spesso, se non per fare la spesa e per accompagnare e recuperare mia figlia all'asilo. Le gettai uno sguardo dallo specchio retrovisore: dormiva ancora, e aveva una faccia serena. Tornai a fissare il pezzo di carta, con meno stupore di prima, ricordando che qualche sera avevo sentito degli schiamazzi dalla casa davanti dalla quale spesso si riuscivano a intravedere le luci accese fino a notte tarda. Era chiaro che non sapevo cosa fare: ricevere quel biglietto mi aveva in parte scioccata, soprattutto perché sembrava un invito ad andare a casa della mia band preferita. Decisi che una volta tornata a casa e messo a dormire la piccola Nadia ci avrei riflettuto.

 

La mattina dopo sembrò non passare mai. Mi recai al lavoro, dopo aver portato mia figlia all'asilo, con una noia tale che i miei collaboratori non ci misero molto per notarla. Eppure non mi dissero nulla al riguardo, perché sapevano che per quanto il mio lavoro potesse scocciarmi, lo facevo bene e con molta costanza. Lavoravo in una casa editrice e avevo il compito di tradurre i libri in lingua straniera nel nostro inglese leggermente americanizzato.

Quella mattina stavo finendo di tradurre una biografia di un noiosissimo politico; e quando le mie sei ore lavorative scadettero io portai in fretta e furia dal mio capo la traduzione completa e, con leggera frenesia, mi congedai gentilmente dai mie colleghi.

Tornata a casa pranzai come al solito da sola in compagnia di un buon CD scelto a caso dal grande porta-CD che tenevo in soggiorno, e rimasi in attesa delle quattro per andare a prendere Nadia all'asilo, perdendomi nelle mie meditazioni su cosa fare e su quando andare a far visita a chi abitava nella casa davanti a me. Mi serviva un giorno libero per potermici recare di persona e senza Nadia. Mi avviai verso l'ingresso dove tenevo la borsa con dentro un foglio sul quale erano segnati i giorni lavorativi. Lo trovai e restai a leggerlo per qualche minuto: l'unico giorno libero che avevo era la domenica che veniva. “E dove la lascio Nadia?” pensai accigliandomi.

Rimasi con quel dubbio per i giorni che seguirono, finché non arrivò il sabato. E quello stesso pomeriggio arrivò l'occasione che cercavo: quando andai a prendere Nadia all'asilo una madre di una sua amichetta mi fermò a parlare, e dopo aver chiacchierato un po' sui progressi delle nostre figlie, lei mi fece la proposta di lasciargliela per tutto il giorno seguente, nonché domenica.

Non mi lasciai sfuggire quella proposta e accettai con entusiasmo, accordandomi con lei sull'orario in cui avrei ripreso la piccola: alle sette e mezza mi sarei recata nella parte a est della città in una via chiamata Groove Street, mentre di mattina sarebbe venuta la madre a casa mia per prendere Nadia. Era un accordo perfetto, che, con un po' di fortuna, mi avrebbe consentito di appoggiarmi a quella donna in futuro in caso di bisogno.

 

Il giorno dopo alle nove e mezza spaccate la madre -che si chiamava Claire ed era di origini francesi- di quella bambina suonò al mio campanello e Nadia, dopo avermi salutata con un bacio sulla guancia, attraversò saltellando il piccolo pezzo di strada che separava il cancello dalla porta di casa. Non appena sentii richiudere il cancelletto dello spiazzale, mi fiondai in camera da letto a prepararmi, ma mentre cercavo i vestiti realizzai che a quell'ora del mattino, di domenica per giunta, la gente dormiva ancora; e, di certo, se avessi suonato al campanello dei miei vicini e mi avessero aperto li avrei trovati ancora in pigiama o addirittura dormienti. Decisi che di mattina mi sarei semplicemente rilassata, cercando di non pensare alla settimana di lavoro e di traduzioni che mi aspettava, e non fu tanto difficile. La mia testa era soltanto per il gruppo di ragazzi che vivevano davanti a me. Non riusciva a immaginarmi cosa avrebbero fatto non appena mi avessero aperto la porta, se mi avessero rispedita a casa, pensando che fossi una fan sfegatata, se mi avessero fatta entrare come se niente fosse, come mi avrebbero trattata... insomma, passai la mattinata a fantasticare su cosa sarebbe potuto succedere quel pomeriggio. La mia mente rimuginò così tanto su quelle fantasie che a pranzo spiluccai a malapena un'insalata di risa a base di pomodori, peperoni e cetrioli tagliuzzati, olive e mais. Aspettai le quattro per cominciare a vestirmi e per mettermi un minimo di matita sugli occhi. Decisi di non buttarmi su vestiti troppo elaborati: indossai una maglietta viola scuro con tessuto sintetico che era a forma di fascia al livello del seno ma che dalle spalle andava a formare delle pieghe che di fermavano dove iniziava il bacino, stringendosi nuovamente, sotto di essa indossavo dei semplici jeans neri che si stringevano attorno ai muscoli poco accentuati, e un paio di converse.

Quando mi accorsi che si erano fatte le cinque mi diressi a grandi passi verso la porta per uscire, impugnando la borsa, il biglietto di Andy, anche se non ne ebbi bisogno, il cellulare e le chiavi. Mi richiusi il cancello alle spalle, attraversai la strada e suonai il campanello della casa opposta alla mia. La differenza tra la mia casa e quella dei miei vicini di casa era che la mia aveva un cancello e la loro no, quindi dava la possibilità di arrivare direttamente davanti al portone di entrata. Passarono cinque minuti e quando mi stavo già arrendendo all'idea di tornarmene a casa, Andy in persona spalancò la porta.

-Oh, non ci speravamo più! Benvenuta!- si stampò in faccia un sorriso sgargiante che mi riscaldò il viso.

-Uh... ehm... mi aspettavate?

-Eccome!- urlò una voce dall'interno della casa. -Da quando i nostri tour sono stati sospesi, Andy è rimasto ad aspettarti per tutta la settimana. Ogni volta che suonava il campanello saltava sulla sedia!- Andy si passò una mano tra i capelli, in notevole imbarazzo. Mi fece entrare e mi condusse in un salotto ben ordinato, dal quale si distaccava una specie di scomparto semi esagonale in legno con delle sedie e un tavolo. Il soggiorno era abbastanza spazioso, con dei quadri moderni dai colori scuri attaccati alle pareti, un divano nero in pelle era posto proprio sotto uno di quei quadri e accanto ad esso erano poste delle chitarre dai temi diversi, su delle asticelle che le reggevano. Le distinsi tutte: a partire dal basso bianco a strisce nere di Ashley fino alle chitarre di Jake e Jinxx. In un angolo della stanza erano posizionati un microfono e la batteria di CC, sulla quale spiccava la scritta “Black Veil Brides”. Ai piedi del divano c'era un tappeto con delle frange blu scuro e sopra di esso un tavolino in vetro trasparente sul quale erano poggiate due bottiglie di birra mezze piene e un posacenere. Agli angoli del salotto erano poste delle lampade ancora spente nonostante la luce esterna stesse già calando. Attorno al tavolino erano poste altre due poltrone e un divanetto delle stesse dimensioni dell'altro, dove notai, però, una testa dormiente appoggiata al bracciolo destro.

-Jinxx!- lo richiamò la stessa voce che aveva urlato al mio arrivo, che si distinse in quella di Jake. Il richiamato sobbalzò sul bracciolo e si alzò di scatto, guardandosi attorno con aria confusa. Andy mi rivolse un sorriso, mentre il resto della band si riuniva.

-Beh sono dell'idea che tu conosca già i nostri noi, ma noi non conosciamo il tuo.- mi fissò con i suoi occhioni azzurri, nei quali mi persi per un decimo di secondo, poi risposi.

-Samantha, ma mi faccio chiamare Sam da tutti... non mi piace il mio nome.

-Uh, quindi possiamo chiamarti Sam?- domandò CC, sedendosi su una poltrona.

-Ehm... ok...- poi calò un breve silenzio, interrotto poi da me: -Come mai mi avete chiesto di venire qui?- mi rivolsi in particolare ad Andy.

-Oh, diciamo che quando ti abbiamo vista la prima volta ci hai sorpresi... cioè... ci sei sembrata una tipa interessante..- notai un leggero rossore sul viso di Andy, mentre Ashley gli lanciava un'occhiata di sbieco. Ashley mi invitò a sedermi su una poltroncina, nonché quella all'opposto di CC, e mi fece una domanda riguardo Nadia. -Ho notato che tua figlia ha una certa passione per me...- sorrise, accarezzandosi il mento liscio con soddisfazione. Sorrisi, pensando al mio piccolo esserino che saliva in braccio a quel famoso bassista.

-Si, ha una passione innata per te. E adora il tuo tatuaggio sulla pancia, anche se non sa leggere. Ti adora. Perciò, quando ti sei auto proclamato “zio Ash” si sarà sentita al settimo cielo. Ha proprio sognato di incontrarvi.- ripensai al meeting dopo il concerto.

-Se ti va...- cominciò CC. -... ogni tanto potresti portarla.. ci farebbe piacere rivedere quella bimbetta.. era molto dolce.- annuii, contenta di aver ricevuto una specie di secondo invito a tornare in quella casa. Passammo diverse ore parlando, finché non mi ricordai che dovevo andare a prendere Nadia dalla sua amica.

-Scusate, che ore sono?

Jinxx guardò il suo orologio da polso. -Le sette meno cinque.

-Uh! Devo andare a prendere mia figlia!

-Non è a casa tua?

-No... l'ho lasciata a giocare da una sua amichetta e mi ci vorrà mezzora per arrivare a casa sua. Scusate, devo andare!

-Figurati...- ci alzammo e io indossai la mia giacca.

-Se vuoi ti accompagno alla tua macchina...- propose Jake.

-Non preoccuparti, è davanti casa mia.

Si accigliò. -In che senso?

Sorrisi e gli feci cenno di avviarsi con me verso l'uscita, Quando aprirono il portone e gli dissi che quella davanti a loro era casa mia, rimasero sbalorditi. Indicai la mia macchina verde-acqua parcheggiata lì davanti.

-Aspetta, ma tu sapevi che vivevamo qui già da prima che ti dessi il biglietto?- domandò Andy stupito.

-Oh, no.- ridacchiai io, osservando i loro volti dalle bocche semi aperte. -Non so perché, ma non ci siamo mai incontrati, stranamente.

  
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