Day
Twenty four/ Twenty five –
It's time to begin
Johnny's POV
Tornai
a casa tardi quella notte, erano forse le due o le tre, volevo un
letto, ma una volta arrivato in camera il sonno parve svanire. Mi
allungai nonostante tutto, sfilai via gli scarponcini e lanciai per
terra il cappello. Più mi rigiravo e più mi
tornava in mente Helen.
Erano giorni che non dormivo e credevo fosse ormai ovvio a tutti,
sebbene nessuno azzardava ad accennare alla questione. Nei pochi
giorni in cui Vanessa aveva dormito con me, aveva cercato di
"riconquistarmi" con mezzucci a dir poco ridicoli. Mi aveva
preparato la cena dichiarandosi una bravissima moglie, aveva comprato
vestiti su vestiti a Jack e a Lily proclamandosi una fantastica
madre. Inutile dire cosa provò a fare per dirsi un'ottima
amante.
Diceva che c'era qualcosa di sbagliato in me, che ogni uomo avrebbe
voluto averla nel proprio letto. Le avevo risposto che se per
sentirsi apprezzata doveva passare venti minuti a cavalcare qualcuno,
allora le avrei dato la mia benedizione e le avrei consigliato
qualche attore libero. Lei aveva lasciato la stanza furiosa mentre io
avevo riso per circa dieci minuti senza interruzioni. La
verità non
era che non volevo lei, la verità era che volevo una sola
persona e
nell'ultimo periodo avevo fatto di tutto per allontanarla.
Ciò che
Tracey e Vanessa avevano fatto era disgustoso. Non avevo potuto non
dare ragione a Tim quando diceva che Tracey era solo l'ennesima
persona che voleva provare un po' del delizioso nettare della fama
direttamente dal cuore di John Christopher Depp II, come se fossi un
baronetto dal sangue blu o qualche cazzata del genere. Chiunque
vorrebbe essere agente di un attore che con il denaro ricavato dopo
aver recitato in un film potrebbe comprarsi una casa o due. Ma
ciò
che aveva fatto Tracey era molto di più. Lei aveva preso me,
un
attore sull'orlo del baratro. Nessuno era lì a cercare di
salvarmi,
ma sapeva che l'unica persona su cui facevo ancora affidamento era
lei. In fondo lei era quella che mi aveva fatto diventare famoso,
quindi toccava a lei riportarmi sotto i riflettori. Aveva preso una
casa in rovina, l'aveva rinnovata ed era pronta a rivenderla al
triplo del prezzo originale. Sì, Tim mi aveva avvertito e io
non gli
avevo dato retta.
"Oh, finiscila di piangerti addosso, va' da
lei e riprenditela."
"Sono le quattro di
mattina..."
"L'amore non ha età, né orario per le
visite!"
Avevo provato quella sera a parlarle, a farle capire
la situazione. Le avevo spiegato ogni singola cosa eppure, sebbene
avesse capito, non voleva accettarlo, non volevo ammettere l'ennesimo
sgarro. E forse faceva bene. Forse avevo bisogno di sistemare la mia
vita, mentre lei doveva continuare sulla sua strada senza guardarsi
indietro. Ancora pochi giorni, e l'unico legame tra di noi si sarebbe
rotto per sempre.
Quel giorno aspettai che i bambini si
svegliassero, poi li portai al parco. Pranzammo velocemente con un
panino e li portai in un negozio di arredamento. Negli ultimi giorni
avevano dormito nella stanza degli ospiti insieme, ma quella casa era
talmente grande che avrebbero potuto avere anche due stanze a testa.
Scegliemmo insieme l'arredamento, e quando uscimmo di lì era
già
sera. Mangiammo una pizza, tornammo a casa e guardammo un film
insieme prima di riuscire a convincerti ad andare a letto. Mi
aspettava un'altra notte insonne.
La mattina seguente mi alzai
dal letto, stremato, alle 6 e mezza. Mi buttai sotto la doccia mentre
ricordi che non volevano abbandonarmi tornavano di soppiatto e
rischiavano di rovinarmi la giornata. Perché i ricordi sono
così,
non avvertono, tornano e basta. Si è indifesi in quei
momenti, e
tutto ciò che possiamo fare è cercare di farli
diventare bei
ricordi in qualche modo. Questo a volte può rivelarsi
impossibile.
Un paio di jeans, una camicia ed ero pronto ad andare. Ripiegai
le maniche fino al gomito scendendo le scale, e una volta in cucina
eliminai tutti i pensieri preparando la colazione. Mezz'ora dopo il
tavolo era ricoperto di toast, barattoli di marmellata e di
cioccolato, piattino con il burro, di fianco pancakes e waffles, uova
e brioche. Salii al primo piano e rimasi qualche minuto sullo stipite
della porta ad osservare Lily Rose e Jack nei loro letti. Si erano
già appropriati della camera, avevano appeso poster e
svuotato le
valige negli armadi. Per Lily, ormai adolescente, lasciare la Francia
era stato un duro colpo, poi però aveva chiamato delle
amiche a Los
Angeles e le era subito tornato il buonumore. Jack invece era solo
felice di stare affianco al "suo pirata". Avevo riso quando
me l'aveva detto, e poi l'avevo abbracciato. Ora la loro vita era
lì,
perché per nulla al mondo avrei lasciato che Vanessa li
riprendesse
dopo ciò che aveva fatto. Crescerli da solo sarebbe stato
difficile,
avrebbe cambiato la mia vita, lo sapevo, ma per ora mi godevo solo la
loro presenza. Più tardi avrei pensato a cosa avrei fatto
quando mi
avrebbero offerto la parte in un nuovo film che richiedeva la mia
presenza dall'altra parte del mondo, non ora.
« Jack...»
Poggiai una mano sulla sua spalla, ma lui non parve accorgersi di
nulla. « Yo-ho, yo-ho, a pirate's life for me...»
« We pillage
plunder, we rifle and loot. Drink up me 'earties, yo-ho!(1)»
Si risvegliò cantando, e subito sentimmo l'eco di Lily.
«
Finitela di cantare, voi due!»
Mi scappò una risata. « E'
pronta la colazione, vi aspetto giù.» Sapevo della
passione/ossessione di Jack per i pirati, ma era la stessa di molti
altri bambini, e almeno così sapevo sempre come prenderlo.
Lily
invece... lei era completamente diversa ed essere rimasto
così
lontano da lei durante l'adolescenza non era stata una mossa
intelligente. Purtroppo non avevo potuto fare altro dopo il divorzio,
quindi ciò che potevo tentare ora era di recuperare il
rapporto.
Avevo convinto Clive a prendersi un giorno di riposo, così
che potessi manovrare a mio piacimento la macchina. Parcheggiai di
fronte alla scuola privata che avevamo scelto insieme il giorno
prima, ed entrammo mentre suonava la campanella delle 8. L'ufficio
del preside si trovava al secondo piano, e dopo una lunga
chiacchierata sulla protezione della privacy lasciai i bambini e
uscii per tornare a casa. Avevo un paio di cose da fare, come per
esempio trovare un nuovo agente.
Per qualche oscuro motivo, però,
mi fu impedito. Tornato a casa trovai qualcosa di estremamente
sbagliato. Come tutte le finestre e i battenti chiusi. Infilai la
chiave nella serratura della porta e la girai nel modo più
silenzioso possibile. So che avrei dovuto chiamare la polizia, ma in
un certo senso l'idea di sconosciuti che giravano per la casa alla
ricerca di ladri o assassini o maniaci era più detestabile
della
possibilità che, entrando, potessi incontrare un ladro o un
assassino o un maniaco. Dentro regnava il buio. Lasciai la porta
aperta, così che potesse entrare un po' di luce. Una torcia
era
ferma, accesa in salotto. Mi avvicinai in punta di piedi, e
ciò che
vidi mi fece allo stesso tempo sobbalzare e sospirare. Tim Burton era
seduto sulla mia poltrona, con la torcia puntata contro il volto.
«
Non potevi essere più ovvio. Certe incursioni si fanno la
notte, non
in pieno giorno, dovresti saperlo!»
« Cos'avrei dovuto fare,
nascondermi in hotel per il resto della giornata?» Si
alzò ridendo
e mi abbracciò.
Avevo bisogno di lui in quel momento, sebbene
odiassi ammetterlo.
« La prossima volta mi rivolgerò a David
Koep [regista di Secret Window, n.d.s.] per altri consigli. Come
stai?»
« Bene, Tim... sto bene.»
« Sì, le occhiaie
parlano per te. Ho saputo... beh, più o meno tutto. Helena
si è
informata prima di partire.»
« Mi spaventate a volte... a
proposito, dov'è la strega?»
« Non lo so, mi ha lasciato qui ed
è andata via con la macchina. Dovevo ammazzare il tempo,
quindi
eccoti la casa pronta per Halloween!»
« Halloween è passato.»
«
Per Natale.»
« Un Natale alla Nightmare Before Christmas?»
«
Non vorrei sembrare egocentrico, ma sì.»
« O forse potremmo
girare qui il sequel horror dei Puffi.»
« Ci ho pensato in
questi giorni, sai?»
Sorrisi e lo guidai in cucina.
« Prendi
qualcosa da bere?» Chiesi aprendo la bottiglia di whiskey e
versandomene un bicchiere.
« Sì, grazie.» Mi rubò il
bicchiere dalle mani e lo bevve d'un sorso, poi prese la bottiglia e
la rimise al proprio posto. « Tu hai già bevuto
abbastanza, si vede
fin troppo.»
« Sei venuto qui per vedermi o per farmi la
paternale? Ormai con gli anni ti faccio concorrenza, lo sai.»
Tornai
in salotto dove mi lasciai ricadere sulla poltrona dove prima era
seduto Tim, la poltrona di Helen. Lui si sistemò sul divano.
«
Ora hai intenzione di dirmi come stai? L'ultima volta che ti ho visto
eri piuttosto felice.»
« C'era un fattore che ora non esiste
più.»
« Ho sempre odiato la Matematica.»
« Pensavo sapessi
tutto. La rivolta "Agente ft. Moglie" ha allontanato Helen.
Ieri notte mi sono reso conto che Vanessa aveva messo un blocco al
telefono in modo che non ricevessi né messaggi né
telefonate dalla
giornalista, quindi sono passato per il mostro. E' come se l'avessi
ignorata per giorni, senza contare il fatto che Tracey le ha impedito
di avvicinarsi a me per altrettanto tempo.»
« Quindi ora ti
piangi addosso, non dormi e bevi?»
« La vicinanza con Helena ti
ha reso acido. Non riesco a dormire e devo andare avanti con
qualcosa, quindi bevo.»
« Che ne dici di cercare di cambiare la
situazione? Di fregartene di ciò che pensa lei e farle
capire che
ciò che è successo è stato un caso e
che non accadrà più,
dicendole di aver cacciato Tracey e Vanessa dalla tua vita? Dirle che
è l'unica per te aiuterebbe.»
« Non siamo in uno dei tuoi film,
Tim. Lì le persone uccidono ma alla fine vengono sempre
amate da
qualcuno!»
« Tu non hai ucciso nessuno. Il tuo unico sbaglio
è
esserti fidato delle persone sbagliate. Vi ho visti a Londra, e la
scusa per l'articolo c'era, ma io ed Helena eravamo convinti che
servisse a nascondere altro.»
Ricordavo benissimo cos'era
successo quella sera. Tim aveva ragione, Helen era la prima che
detestava le attenzioni dei paparazzi, che avrebbe fatto di tutto per
renderci una coppia "normale", lontana da quel mondo a cui
lei sentiva di non appartenere.
Sapevo che Helen era felice nel
mondo in cui aveva vissuto per così tanti anni. Il giorno in
cui
eravamo andati a trovare i suoi genitori, il padre mi aveva preso in
disparte. Mi aveva mostrato il luogo dove lei era nata, dove era
cresciuta. Mi aveva anche detto che però lei, ovunque si
trovasse,
non si era mai trovata a proprio agio. Non aveva ancora trovato un
luogo a cui appartenere. Mi aveva detto:« Il giorno in cui
troverai
quel posto, la renderai la donna più felice del mondo. E io
sono
sicuro, caro "signor Depp", che lei possa farlo. Quel Logan
non mi è mai piaciuto. Era la sua ancora, ma solo
perché la rendeva
ferma e la tratteneva in basso. Helen deve volare.»
« Era così,
Tim... o almeno credevo. Non so se riuscirò a riprendermela
stavolta.»
Il suono del mio cellulare interruppe la
conversazione. Lo recuperai dalla tasca, studiai lo schermo
illuminato e poi guardai Tim. « E' lei.» Premetti
il testo verde. «
Helen..?»
« Johnny, sono Helena! Mi passi Tim?»
« Ma che
diavolo... perché mi stai chiamando dal telefono di
Helen?»
«
Perché il mio l'ho lasciato a casa sua. Mi passi
Tim?»
« Perché
eri a casa sua?»
« Volevo salutare una vecchia amica!»
« Vi
siete incontrate una volta per 3 ore!»
« Colpo di
fulmine!»
Sbuffando passai il telefono a Tim che quando chiuse la
conversazione aveva uno strano sorriso dipinto sul volto.
« Si
può sapere quante spie avete in giro per
l'America?»
« Un paio.
Vieni, andiamo a mangiare qualcosa, ho fame.»
Rimasi fermo sulla
poltrona. Sapevo cos'avevano in mente lui ed Helena, e non mi piaceva
per nulla.
« Che voleva Helena?»
« Nulla, mi ha detto che è
andata a prendere Helen al Rolling Stone e che tornando a casa hanno
beccato la tua guardia del corpo e la bambolina bionda sul divano.
Quindi sono uscite a prendere un caffé lì vicino.
Andiamo, su.»
«
Tim...»
« Johnny, domani riparto. Vuoi restare qui a discutere
su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato o vuoi sistemare le
cose?»
Salimmo in macchina e ci fermammo sul lato opposto
della strada rispetto al café. Helena ed Helen erano sedute
una di
fianco all'altra ad un tavolino vicino alla finestra che dava sulla
strada, parlavano con i gomiti appoggiati sul tavolo, sorridenti,
come se stessero discutendo del tempo. Mi fermai ad osservare Helen.
Non mi sorrideva da un po'. In realtà l'ultima volta che
l'avevo
vista sorridere era durante la notte che avevo trascorso da lei. Ero
andato all'appartamento per scusarmi, per spiegarle cosa fosse
successo prima che lei entrasse nella stanza d'hotel e mi dicesse
quelle parole. Avevo sentito la porta della camera aprirsi ed ero
rimasto immobile. Avrei potuto fare qualcosa, ma nulla avrebbe potuto
migliorare ciò che era chiaramente visibile. Mi ero andato a
scusare
e l'avevo trovata a letto, e avevo fatto di tutto per trattenermi
dallo stendermi di fianco a lei e abbracciarla, perché
sapevo che ci
sarebbe stato uno schiaffo ad aspettarmi. Era decisamente
più bella
mentre sorrideva. Mi chiesi se per poterla osservare sorridente di
tanto in tanto dovessi lasciarla andare.
Tim mi tirò per un
braccio, attraversammo la strada ed entrammo. Mi chinai per baciare
sulla guancia Helena, poi lei si spostò, quindi mi permise
di
sedermi di fronte ad Helen, mentre Tim prese posto di fianco a lei.
La cameriera arrivò subito. Helen ordinò un pezzo
di torta al
limone, Helena un tortino ai frutti di bosco e, dopo qualche battuta
su Sweeney Todd e i gatti di Los Angeles, Tim riuscì a
ordinare un
sandwich mentre io presi un semplice the. Helen mi scrutò a
lungo,
forse cercando di farmi cambiare idea, poi si arrese e prese a
mangiare la torta.
« Helen e io stavamo giusto parlando del
nuovo numero del giornale. Mi ha detto che ieri mattina l'ha chiamata
un agente, che dalla voce sembrava molto affascinante, che le ha
chiesto se fosse interessata a scrivere un libro, viste le sue doti.
Lei gli ha ovviamente risposto che ha già delle idee in
mente e che
ci penserà.»
« Voglio lasciare il Rolling Stone dopo aver
pubblicato l'ultimo numero.»
« E noi siamo felicissimi per te...
vero Johnny?»
Annuii forzatamente. « Felicissimi.» Mormorai
guardandola negli occhi. Dovevo essere contento per lei, dovevo dirle
che le auguravo di essere felice per sempre, ma non potevo, non senza
mentire. Perché sapevo in cosa l'avrebbero fatta diventare.
Sarebbe
diventata un oggetto nelle mani di agenti e speculatori, ma non
potevo dirglielo, non ora che sembrava così felice. Non
aveva mai
pubblicato un libro, aveva solo scritto in forma di romanzo "Le
avventure di Johnny Depp", il che significava che l'avevano
scelta solo per il modo in cui scriveva, non per cosa scriveva. Come
un cantante scelto per la bella voce e la bella presenza a cui danno
un testo e una valigetta piena di soldi.
« Chi era questo tipo?
Ti ha dato un nome?»
« No, mi ha detto che mi avrebbe
richiamato.»
« Dovresti aspettare...»
Sembrava che Helena e
Tim stessero seguendo una partita di tennis.
« Cosa dovrei
aspettare?»
« Dovresti prima scrivere un libro, poi cercare di
pubblicarlo. Sei brava, non ti serve un agente, e ora ti
presserebbero inutilmente, senza contare che, nel momento in cui si
faranno un'idea di te, non accetteranno nient'altro.»
« Quindi
stai dicendo che dovrei rifiutare e mandare all'aria probabilmente
l'unica occasione della mia vita di diventare qualcosa di
più di una
semplice ragazza inglese di campagna?» Posò la
forchettina sul
piatto e incrociò le braccia.
« Non sto dicendo questo, sto
dicendo che avrai altre occasioni!»
« Il fatto che la tua agente
ti abbia "tradito" non significa che tutti ora debbano
diventare sospettosi nei confronti delle persone da cui vengono
aiutati!» Alzò la voce quel tanto che bastava da
spingere la
cameriera ad avvicinarsi.
« Va tutto bene?» Chiese mentre
sorrideva. Sorriso che a quanto parve sembrò far innervosire
ancora
di più Helen.
« Benissimo! Helena, grazie mille di tutto, ci
sentiremo senz'altro.» Prese la borsa, si alzò e
uscì dal
locale.
L'attrice mi guardò. Sì, probabilmente avevo
appena
mandato all'aria l'unica occasione di far pace con la donna che
amavo, ma non avevo altre possibilità. Dovevo avvertirla,
sebbene
sapevo che l'avrebbe presa decisamente male. Mi alzai e la seguii
all'esterno.
« Helen!»
Il suo appartamento era poco distante
da lì, ed era diretta proprio in quella direzione.
« Finiscila,
Johnny! Finiscila d'inseguirmi! Ti credi così bravo,
così
superiore, quando sei uguale a Logan. Esattamente uguale.»
"No...
io non sono la tua ancora, non sono la tua ancora..."
La
raggiunsi di corsa, afferrandole un braccio la costrinsi a voltarsi e
poi l'abbracciai e la strinsi così forte che per lei fu
impossibile
allontanarsi.
« Dimmi ciò che vuoi, e ti aiuterò ad
ottenerla.
Questo è il mio ruolo qui, il mio unico scopo. Renderti
felice.
Voglio vederti sorridere, ma come posso farlo quando non riesci a
guardarmi negli occhi senza ricordare ogni cosa sbagliata che ho
detto? Ti amo e continuerò a ripetertelo fin quando non mi
dirai di
smetterla, fin quando non mi dirai che queste parole ti nauseano.
Voglio essere ogni secondo di ogni minuto di ogni ora nella tua vita,
ma voglio anche consigliarti e voglio farti capire che se ti dico
qualcosa non è solo perché voglio tenerti ferma
al mio fianco.»
Dissi in un sussurro. Lei, che prima aveva cercato di ribellarsi, ora
era inerme. Sciolsi l'abbraccio, la guardai negli occhi e lei
ricambiò lo sguardo, sconvolta. « Scrivi. Scrivi
di ciò che vuoi,
senza limiti, e poi inizia a cercare. Tutto avrà un sapore
diverso
quando saprai di aver avuto successo per qualcosa che ami e non per
uno stupido articolo su un attore che odi.»
Rimase ad osservarmi,
in silenzio, poi lentamente mi prese il volto tra le mani e si
avvicino. « Io non ti odio. Non riuscirò mai a
odiarti.» Mormorò
sulle mie labbra prima di baciarmi. Sorrideva.
Avevo lasciato
Helen a casa promettendole di tornare presto, poi ero andato a
prendere i bambini. In macchina mi raccontarono il loro primo giorno
di scuola, di come avessero subito fatto amicizia e di come tutti
avessero riconosciuto Lily da alcune foto su internet. Fortunatamente
nessuno aveva chiesto foto insieme o autografi da portare a scuola,
specialmente perché molti erano figli di
celebrità. Una volta
arrivati davanti casa, mi voltai verso di loro.
« Dovrei
avvertirvi... c'è una persona lì dentro che forse
non vi piacerà
vedere...»
« E' la giornalista, vero?»
Annuii
silenziosamente a Lily.
« A me piaceva.» Esordì Jack d'un
tratto. « Sembrava simpatica!»
« Ho letto i suoi articoli su
internet.»
« Lily...»
« Sì, lo so, lo so, non dovrei
leggere cose su internet che riguardano te o la mamma,
però... posso
provarci, con lei. Ti avverto: nel momento in cui inizia a chiamarci
"bimbi" o mi costringe a chiamarla "matrigna", la
caccio di casa.»
« Affare fatto.»
Il primo
"incontro-scontro" andò piuttosto bene. Jack si
affezionò
subito e passò tutta la serata di fianco a Helen, mentre
Lily
rimaneva un po' più fredda, ma sapevo che con il tempo si
sarebbe
abituata alla sua presenza. Certo, lo speravo perché questo
avrebbe
significato avere Helen intorno ancora per un po' di tempo.
«
Domani dovete andare a scuola, lo sapete...»
Jack si avvicinò e
si posizionò di fronte a Helen. « Ci vediamo
domani,
giornalista?»
« Certo. A domani, signorino Depp.» Gli
schioccò
un sonoro bacio sulla guancia prima che mio figlio facesse il giro
del divano e mi abbracciasse. Lily mi baciò sulla guancia e
sorrise
a Helen prima di seguire il fratello in camera.
« Che dice, miss
Chester, andiamo anche noi in camera?»
« Decisamente.»
«
Dopo di lei.» Lei salì i primi scalini, ma mi
avvicinai e
interruppi la sua corsa sul pianerottolo, dove la spinsi lentamente
contro il muro e la baciai.
« Con calma, signor Depp!» Sussurrò
e indicò con lo sguardo la camera dei bambini poco distante.
Mi
prese per mano e mi guidò in punta di piedi fino alla stanza
più
lontana, alla fine del lungo corridoio, dove una vecchia camera
conteneva a malapena il necessario per dormire.
A terra c'era un
grande materasso, e contro la parete un armadio nero era l'unico
verso segno di arredamento. Quando avevo comprato quella villa nel
'95 avevo ripulito tutte le stanze per poi comprare lo stretto
necessario per arredarle. Quel materasso era ancora protetto dalla
plastica. Helen si accucciò sui talloni e la
strappò via.
« Hai
una coperta?» Chiese sorridendo.
Mi allontanai mentre gettava la
plastica di lato. Andai nella mia camera e presi un lenzuolo bianco
dal cassettone, quando tornai da lei lo aprii e lo stesi sul
materasso.
Helen si sfilò le scarpette basse senza staccarmi gli
occhi di dosso, poi si liberò della maglietta e infine dei
jeans. Fu
solo in quel momento che mi girò intorno e mi
circondò il collo con
le braccia, facendo aderire il suo corpo contro il mio.
«
Rilassati.» Sussurrò, e rise leggermente.