Miss American pie
Una
ragazza invidiabile
Su
dieci ragazze, otto vorrebbero essere me.
Non
giudicatemi una presuntuosa per questa secca affermazione, vi
assicuro che è la pure e semplice verità. Chiedete in giro,
chiedete a chi volete, vedrete che non mento.
Prendere
il mio posto, svegliarsi la mattina con le mie sembianze è la loro
più grande aspirazione. Rubarmi corpo, famiglia e vita. Dare in
cambio le loro, senza alcun rimorso.
Otto
su dieci.
Le restanti due mi detestano. Trovano il mio modo di fare frivolo e inconcepibile, mi considerano un'oca senza cervello. Più o meno segretamente sperano che la mia bellezza svanisca nel nulla così che, come loro, io possa venire giudicata solo per quello che sono. Segretamente anche loro mi invidiano, o provano in disprezzo sincero? Non saprei dirlo.
Otto
mi adulano, due mi detestano. Atteggiamenti diametralmente opposti.
Ma
tutte e dieci le ragazze concordano su un punto.
Tutte
pensano che sia facile, essere me.
Mi
guardano e vedono la ragazza bella e fortunata. Quella con la
famiglia ricca e perfetta e i genitori modello. Con tutti i capricci,
anche i più frivoli, trasformati in realtà – la macchina costosa,
i vestiti firmati, le vacanze a Cabo.
La
cheerleader magra, con i capelli biondi sempre in piega perfetta, la
manicure, il trucco impeccabile. Quella che non deve impegnarsi
nemmeno troppo a scuola per riuscire in modo accettabile – e che
comunque, con un bel sorriso, pensa sempre di sistemare tutto.
Il
mio ragazzo è altrettanto bello, abbronzato e sorridente, secondo la
loro visione, e noi siamo semplicemente una coppia da copertina.
Mi
guardano e vedono la ragazza che ha tutto, che non ha mai dovuto
lottare, che non ha mai perso. Vita facile. Circondata dagli amici e
sempre al centro dell'attenzione.
Splendido
– o terribile –, ma le visioni delle invidiose e delle musone sono
speculari.
Ogni
giorno entro dalla porta della scuola e sento gli occhi della gente
su di me. Passano
a raggi ics i miei vestiti, i miei capelli, il mio viso. Per ogni
dettaglio hanno una interpretazione.
Se
ho un'espressione distesa ieri sera la serata con Mike è andata bene
(“Lo sai no? Sono stati a cena a ***”).
Se
il mio sorriso non è smagliante, se porto gli occhiali con le lenti
scure – orrore! - probabilmente abbiamo litigato e tento di
mascherare il tutto.
Se
sono assonnata e non sprizzo energia da tutti i pori, “ieri deve
avere fatto faville”.
Ogni
giorno è un interrogatorio silenzioso, fin dal primo minuto. La
situazione non cambia con il passare delle ore. Occhi curiosi mi
seguono ogni momento, scrutano le mie espressioni, i miei gesti,
cercando di origliare le mie parole.
E
io non posso sottrarmi. Devo essere pronta. Sempre.
Perché
avrò anche una vita perfetta, invidiabile o disgustosa a seconda dei
punti di vista, ma non mi è concesso interrompere questo circolo
vizioso. Anche se sono la ragazza perfetta, la fidanzata perfetta, o
forse proprio per questo, sono prigioniera della situazione.
È
la mia maledizione.
Mai un momento di debolezza, di stanchezza. Mai
un minuto per me, per essere triste o arrabbiata o semplicemente
stanca.
Le
persone si aspettano che io splenda, che io sorrida, che io sia
bella, fashion e cool.
Ogni
minuto.
E
io non posso sottrarmi.
Non è tutto oro quello che luccica.
Ho
perso la verginità a quindici anni.
È
stato avventato? Ero troppo piccola? Lo volevo davvero?
Da
allora ne sono passati quasi tre.
Il
ragazzo di quella prima sera è lo stesso con cui sto insieme ancora
adesso.
Mike:
giocatore di football, studente svogliato, ma promettente. Bello,
sorridente e... che cos'altro dice la gente? Ah sì, che siamo la
coppia perfetta, predestinati a stare insieme, il re e la regina
designati del prossimo ballo di fine anno.
La
nostra, nemmeno a dirlo, non è la relazione da fotoromanzo che
dipinge la gente.
Tra
alti e bassi stiamo insieme da quattro anni, nessuno dei due sembra
intenzionato a dire basta, ma oltre a questo...
Mike
non è molto profondo, e i suoi interessi principali sono il
football, il football e... Mike.
Non
è quello che si definisce “il mio miglior amico”, non è una
persona con cui posso parlare.
L'ho
accettato senza fare troppe storie – forse perché in parte io sono
come lui. Non sfrutto semplicemente questa storia per essere ancora
di più dentro il mio personaggio? Con chi altro potrei stare, a ben
vedere, se non con la star della squadra di football?
Sopporto
da sempre i suoi difetti, le sue mancanze; non gliele faccio nemmeno
notare. Fingo, o meglio, sorvolo. Col sorriso.
La
sola cosa che mi disturba davvero, quello che mi fa dubitare della
sensatezza della nostra relazione e che mi fa considerare l'ipotesi
di mandarlo a quel paese, e chi se ne importa del personaggio, è il
fatto che neppure con lui io possa essere me stessa a 360°. Devo
fingere. Ancora. E questo è duro da mandare giù. Il tuo ragazzo non
dovrebbe forse essere il tuo porto sicuro? Qualcuno con cui aprirsi,
che sai non ti giudica? Questo è quello che si dice in giro, la
realtà è un'altra cosa.
Mike
dice di amarmi – me lo ripete di tanto in tanto, a intervalli
fissi, quasi fosse una formalità da espletare. O peggio,
un'abitudine del fine settimana, del dopo-sesso: “Ti amo, baby” e
io che annuisco e mi sistemo i capelli.
Non
presto molta fede alle sue parole. A dirla tutta, penso che lui ami
l'idea che ha di me.
Lui
sta con la ragazza perfetta, la cheerleader bella, sorridente, sempre
fashion e divertente. È fiero della sua “dolce metà”, la
esibisce con orgoglio davanti al mondo.
Con
chi altro potrebbe fare coppia fissa il quarterback
della squadra di football? Siamo un duo predestinato – ecco che
tornano le voci della gente.
A
volte penso che mi abbia scelta per quello che rappresento agli occhi
del mondo (la futura reginetta della scuola), non per quella che sono
(Maya). Per quello mi ha scelta, e ora, chiaramente, è solo quello
che vuole vedere.
Una
me meno raggiante o anche solo meno magra... non credo che lo
lascerebbe così tanto soddisfatto. Mi “amerebbe” ancora, dopo?
Non posso dire di esserne certa.
Mike
non vede oltre la superficie, e non ne sente nemmeno la necessità.
Perché dovrebbe volere altro, quando ha accanto a sé la ragazza che
tutte vorrebbero essere?
Non
importa se, quando siamo insieme, io non sono altro che l'ombra di me
stessa.
Questo
ragionamento può estendersi a tutti: le mie pseudo-amiche - magre,
in tiro e sempre truccatissime-, le persone che mi invidiano, quelle
che mi odiano.
Cosa
sanno di me? Cosa amano/odiano/invidiano?
Dal
primo giorno alla St. Jude mi hanno etichettata come la “reginetta”,
la ragazza bella e bionda, con poco sale in zucca e un sacco di
regali avuti in sorte da madre natura.
Non
ho mai fatto molto per ampliare la loro visione, per far cambiare
loro idea - lo ammetto! -, ma non credo che alla fine le mie azioni
avrebbero potuto fare la differenza.
Il
liceo è così.
Tutti
quanti veniamo catalogati, appena entriamo dalla porta. Dal primo
giorno ti cuciono addosso un nome, una descrizione, e non puoi fare
altro che portartela dietro. Tutto il tempo, fino alla fine.
Sei
un secchione oppure uno sportivo. Sei una reginetta oppure uno
sfigato.
Ogni
giorno, tutti i giorni.
Non
tutte le categorie sono brutte allo stesso modo – visto che
qualcosa dovevo pur essere, meglio oca scema che sfigata triste o
nerd impasticcata – ma resta il fatto che non è facile.
Anche
perché questi nomi dicono così poco di noi...
Se
qualcuno provasse a guardare oltre la maschera, oltre la bellezza,
vedrebbe che nella mia vita non c'è niente di perfetto e che io sono
una persona con pregi e difetti, come tutti. Ho sogni e paure,
momenti buoni e altri meno buoni. Ho un cervello, delle idee e delle
speranze per il futuro.
Ma
niente di questo trapela all'esterno. Nessuno si sforza di vedere.
Per questo, anche quando cammino per i corridoi con il mio codazzo di
amiche sorridenti, mi sento sola. Anche quando a mensa sono
circondata da centinai di persone, mi sento sola. Perché nessuno
conosce davvero chi sono. Nessuno mi vede per quella che sono.
Ma
non puoi fare niente.
Non
conosco nessuno che abbia cambiato nome, che sia riuscito a staccarsi
di dosso il proprio cartellino – anche per questo ho evitato
accuratamente di fare azioni estreme.
Reginetta
sono e reginetta resterò, con buona pace del mio cervello, delle mie
speranze per il futuro e delle mie incongruenze interne.
Non
faccio niente. Vado avanti con la mia etichetta appuntata bene in
vista sul vestito firmato. Aspetto come tutti che la high school
finisca e con questa si esaurisca il tempo dei soprannomi e delle
classificazioni troppo facili.
* * * * * * * * * *
NdA:
La storia è un'originale. Ho voluto lasciare una certa incertezza
su ambientazione e tempo. Potete ambientarla dove preferite, oggi
come dieci anni fa.
Io
avevo in testa una high school americana, californiana probabilmente.
Mi sono ispirata ai personaggi delle “belle” - e a mio avviso
incomprese - di alcuni celebri telefilm (prime tra tutte Kelly di
Bevrly Hills e Naomi di 90210) e alle loro storie per il mio
personaggio Maya e anche per l'ambientazione.
Il titolo l'ho preso da una canzone di Madonna. Mi è venuta in mente prima di scrivere la storia e l'ho trovata appropriata (anche se non si parla di una Miss in senso stretto, nella mia storia, ma di una “reginetta”).
Le due frasi sulla destra possono essere considerate come 2 sotto-partizioni del capitolo, diciamo i titoli di 2 paragrafi a sé.