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Autore: Moonage Daydreamer    28/10/2012    2 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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We can work it out.
 

Appoggiai la testa contro il braccio, scarabocchiando distrattamente qualcosa sul bordo della pagina del libro di chimica.                                                                                                                                              Gli occhi mi si chiudevano e il chiacchiericcio dei miei compagni durante il cambio d'ora mi stordiva; possibile che ogni volta che non c'era un professore in classe dovessero comportarsi come dei bambini dell'asilo?                                                                                                                                              "Fate un po' di silenzio..." implorai mentalmente passandomi le mani sugli occhi arrossati. Trascorrere le notti in bianco e buttarsi giù dal letto alle sei era davvero poco salutare.                                          Come se non bastasse, poi, nelle ultime mattine il mio cervello ero in uno stato di catatonia totale, da cui non riusciva ad uscire prima che le lezioni finissero, a causa del quale non si poteva certo dire che fossi molto attenta alle spiegazioni.                                                                                                                                       Con grande sollievo, tuttavia, constatai che il chiasso prodotto da quella mandria di buoi che erano i miei compagni era finito in fretta, dal momento che pochi minuti dopo il suono della campanella era entrato nell'aula il professore di lettere.                                                                                                                      Non facemmo neanche in tempo ad alzarci in piedi per salutarlo che egli, con un ghigno sadico, ci ordinò di separare i banchi; dopo il consueto trambusto provocato dai banchi e dalle sedie trascinati, tutti i ragazzi all'interno dell'aula sprofondarono in un silenzio angosciato.                                                             Io, da parte mia, cercavo di immaginarmi non senza una certa apprensione quale potesse essere la traccia che l'insegnante aveva deciso di rifilarci quella volta. Fra tutti, quell'uomo era il più odioso e il mio sentimento d'odio incondizionato era ricambiato; in effetti, era da parecchio che avevo cominciato a chiedermi se le orribili tracce fossero scelte apposta per farmi un dispetto.                                                 Un volontario pescato a caso fra i miei compagni cominciò a girare per l'aula distribuendo i foglietti rettangolari preparati per l'occasione.                                                                                                               Strano, in genere il professore scriveva le tracce direttamente sulla lavagna...                                                                                    Rigirai il mio foglio fra le mani, attingendo a tutte le mie fonti di coraggio: fosse stato per me, non avrei mai guardato la traccia, ma i miei compagni avevano già iniziato a scrivere e il professore mi fissava con uno sguardo di sfida.                                                                                                                      Alla fine, posai gli occhi sulla scritta.                                                                                                                 La condanna morale, religiosa, sociale e penale dell'omicidio e del suicidio.                                                 Alzai la testa di scatto, con un'espressione scioccata e gli occhi spalancati; incontrai il sorriso trionfante del professore, che fece scattare in me una reazione che nemmeno lui si aspettava.                      Con gli occhi ormai ridotti a due fessure aprii il foglio protocollo, mentre la sorpresa si trasformava velocemente in furia.                                                                                                                           Se fossi stata in condizione di trovare un po' di autocontrollo, avrei cominciato quel tema e avrei tirato fuori delle tesi che avrebbero fatto diventare quel bastardo alto come un nanetto da giardino, ma la mia mente era completamente stordita dalla rabbia.                                                                              Scrissi un gigantesco  "fottiti!" che occupava entrambe le pagine, quindi mi alzai dalla sedia e afferrai il foglio. Mi diressi verso la cattedra, travolgendo nel frattempo alcuni dei banchi dei miei compagni, facendo spargere sul pavimento numerose penne; sbattei il foglio sulla cattedra e guardai il professore negli occhi.                                                                                                                                                                      - Vada a fare in culo. - ringhiai e feci trasparire in quelle poche parole tutta la mia ira e il mio odio. Uscii dalla classe facendo sbattere la porta e il rumore produsse un'eco impressionante nei corridoi silenziosi.                                                                                                                                     Cominciai a correre a testa bassa, senza nemmeno guardare dove stessi andando.                                                In ogni caso, ormai conoscevo i corridoi a memoria e non fu affatto difficile trovare l'uscita della scuola.                                                                                                                                                          Quando mi ritrovai in strada non mi fermai, ma continuai a correre, sebbene fossi già esausta: volevo allontanarmi il più possibile da quel posto.                                                                                      Accennai a rallentare  soltanto quando vidi intorno a me il paesaggio familiare dei campi da golf.                    Alla fine, mi fermai vicino ad un albero cui mi appoggiai per riprendere fiato. Ero piegata in due dal dolore alla milza, per cui non mi accorsi che qualcuno si era avvicinato senza far particolare rumore e ora mi guardava con un sopracciglio alzato.                                                                                                       - Ti senti bene?- chiese la voce sprezzante di Lennon.                                                                                                      Mi rialzai di scatto, riuscendo a ignorare le fitte, e lo fulminai con lo sguardo.                                                                                                       Non ero dell’umore adatto per sopportare anche lui; tuttavia, una volta che lo ebbi guardato in viso, una piccola parte del mio cervello colse l’occasione per ricordarmi che se ora ero lì a maledire la sua presenza, incazzata nera, ansimante e attaccata al tronco di un albero, era solo grazie a lui.                    - Sì.- risposi allontanandomi di un passo dall’albero.                                                                                         - Come mai qui? Non ti credevo certo tipo da marinare le lezioni.- osservò.                                                     - Ci sono molte cose di me che non sai, Lennon. - replicai.  Il ragazzo rimase in silenzio e io abbassai lo sguardo; sapevo che stava aspettando che lo ringraziassi e io, d’altra parte, non vedevo l’ora di sistemare la questione una volta per tutte.                                                                                    - Senti, Lennon…- mormorai; mi avvicinai di nuovo al tronco dell’albero, come potesse difendermi e aiutarmi a fuggire quella trappola - Voglio che tu sappia che ti sono grata per… quello che hai fatto. -                                                                                                                                                                   Lui scrollò le spalle:- Siamo entrambi abbastanza intelligenti per andare oltre le ipocrisie sociali. E’ inutile che mi ringrazi solo perché ti senti in dovere di farlo. -                                                                           - Io volevo farlo. - replicai di getto, senza stare troppo a pensare a le parole che mi uscivano dalle labbra. Lennon fece un mezzo sorriso.                                                                                                                 - Bene - esordii di nuovo - è ora che io vada. -                                                                                              Non aspettai che il ragazzo aggiungesse altro: avevo troppo timore che riprendesse il suo solito modo di atteggiarsi perché, ora come ora, avrei potuto tirargli un pugno.                                                                                                                          Mi allontanai di qualche passo e cominciai già a pensare a come avrei spiegato ai miei genitori la situazione. - Ehi, Mitchell. - mi chiamò Lennon.                                                                                                Mi fermai e mi voltai; evidentemente, l’insulto che avevo aspettato da quando io e il ragazzo avevamo cominciato a parlare stava per giungere.                                                                                             Invece, Lennon mi lanciò qualcosa che tracciò una parabola in aria producendo uno strano fruscio. Solo quando lo afferrai al volo mi accorsi che era il mio quaderno.                                                        Accarezzai la copertina e lo strinsi al petto.                                                                                                   Ero perfettamente conscia del fatto che Lennon non si sarebbe mai scusato per quello che aveva fatto, quindi decisi che era inutile aspettare che aggiungesse qualcosa al suo gesto.                                           - Grazie. - dissi mentre sentivo il familiare odore delle pagine e dell’inchiostro.                                        Lennon scrollò di nuovo le spalle.                                                                                                                    Stavo già per andarmene quando, finalmente, si decise a dire qualcosa:- Non l’ho mai letto. -                                                                                                                                              Sgranai gli occhi e lo fissai come se non l’avessi mai visto, stupita.                                                                - Grazie.- ripetei, questa volta con maggiore convinzione.                                                                           Sapevo di avere le lacrime agli occhi, ma per una volta non mi vergognai di mostrare al ragazzo la mia gratitudine. Lennon mi rivolse uno sguardo strano, che non riuscii a decifrare, poi fece un gesto della mano e si allontanò.                                                                                                                           Rimasi ferma qualche attimo, stordita da quel colloquio, ma poi ritornò la consapevolezza di quello che era successo meno di un’ora prima.                                                                                                                    Mentre prendevo la strada di casa sentii la rabbia montare di nuovo.                                                        Avrei voluto sfogarmi su qualcuno, ma la mia coscienza si mise in mezzo e mi ricordò che ero una ragazza di buona famiglia e in quanto tale non potevo essere convolta in risse da taverna.                        La ringraziai per avermelo ricordato mentre cominciavo ad accelerare il passo: prima tornavo a casa meglio era.                                                                                                                                                         Mi ritrovai di nuovo a correre fino a che non mi ritrovai in Forthlin Road.                                                Entrai in casa facendo sbattere la porta, ma non feci in tempo a muovere un passo che mi ritrovai Elisabeth davanti.                                                                                                                                         - Ma che…- cominciò. - Io là dentro non ci torno!- gridai, cominciando a fare avanti e indietro per la stanza; mi giunsero i guaiti di Frency, spaventato dalle mie urla e mi passai entrambe le mani tra i capelli.                                                                                                                                                          La furia stava trasformandosi in lacrime di rabbia e odio.                                                          Elisabeth, esasperata, mi prese per le spalle, obbligandomi a fermarmi e a guardarla negli occhi.                - Datti una calmata. - ordinò, pur senza alzare la voce.                                                                                       Cercai di rallentare il respiro mentre mia madre mi portava in salotto e mi faceva sedere sul divano. Afferrai un cuscino e lo abbracciai, sfogando su di esso tutto il nervoso.                                                    Frency si era nascosto sotto il tavolino del giradischi e uscì dal suo rifugio guardandosi intorno con circospezione, poi saltò sul divano e si accoccolò sulle mie ginocchia dopo che ebbe tirato via il cuscino a forza di musate.                                                                                                                                      Gli accarezzai la schiena mentre lui si sedeva e mi guardava preoccupato, percependo il mio disagio. Avvicinò il muso alla mia guancia e mi diede un colpetto con il naso umido.                                     - Mi vuoi spiegare quello che è successo?- chiese Elisabeth quando mi ebbe vista più calma.                                                       Strinsi Frency al petto e lasciai che la rabbia sbollisse ancora prima di cominciare a raccontarle gli eventi di quella mattina; man mano che parlavo vidi il volto di mia madre incupirsi sempre di più e lei, sebbene avesse cercato di controllarsi, strinse i pugni al punto che le nocche le diventarono bianche.                                                                                                                                                                   - Se non vuoi più mettere piede in quella scuola, non sarò certo io ad impedirtelo. - disse con il tono più duro che le avessi mai sentito usare. - Ma dobbiamo aspettare che tuo padre rientri. Nel frattempo, perché non vai a fare un giro con Frency? -                                                                                   Avrei voluto dirle che in quel momento mi sarei sparata all’idea di uscire di nuovo di casa, ma il suo inusuale umore mi convinse a non fiatare.                                                                                                                                    - Forza, palla di pelo: hai sentito il capo. - mormorai al cucciolo sospingendolo giù dalle mie ginocchia.
 Una volta che fui uscita di casa, però, mi resi conto che quella non era stata affatto una brutta idea: non avevo mai visto Elisabeth tanto arrabbiata e non osavo immaginare la reazione che avrebbe avuto James, quando fosse tornato dal lavoro; odiavo trovarmi in mezzo alla gente infuriata, quindi era molto meglio per me godermi l’aria frizzante di quella mattina di fine settembre.                                          Mi lasciai guidare da Frency perché non avevo voglia di pensare alla strada e mi ritrovai a Calderstones Park. Nell’ultimo periodo passavo più tempo in quel parco che a casa, e non avevo mai fatto alcun “incontro spiacevole”, per cui rimasi sorpresa quando Lennon mi si parò davanti all’improvviso.                                                                                                                                                     - Mi stai seguendo, Lennon? - chiesi scansandomi e continuando a camminare.                                                 - No.- rispose tenendomi il passo.                                                                                                             Mi voltai verso di lui: - A me sembra proprio di sì, invece. -                                                                              - Non devo rendere conto a te di quanto faccio. - replicò.                                                                                       - Bene, perché il fatto che tu mi abbia aiutata una volta non significa che adesso sopporterò in silenzio tutto quello che fai! - esclamai perdendo il controllo sia sui miei sentimenti che sulle mie parole.                                                                                                                                                              Lennon mi guardò negli occhi e io mi sentii scrutata nel profondo da quell’intenso sguardo color nocciola.                                                                                                                                                              - Non ti ho mai chiesto di farlo. -                                                                                                                           Quella frase calmò la mia veemenza; non riuscendo più a reggere lo sguardo del ragazzo abbassai gli occhi e osservai Frency mentre annusava la gamba di Lennon e lo implorava di coccolarlo un po’. All’inizio il ragazzo guardò il cucciolo abbastanza freddamente, ma in qualche minuto sospirò e si chinò sul bobtail, che da parte sua ci mise persino meno tempo a sdraiarsi a pancia in su.                         Mentre li guardavo, sentii il bisogno di dire qualcosa, per non restarmene lì impalata come una stupida.                                                                                                                                                                  - Come va il gruppo?- dissi la prima cosa che mi era venuta in mente, ma dopo poco me ne pentii. Lennon spostò lo sguardo su di me:- Bene, anche se non abbiamo trovato un batterista stabile. -  Perfetto: e ora come facevo a trovare qualcosa da replicare?! Dopo una breve, disperata ricerca, parlai di nuovo: - Non conosco nessuno che abbia una batteria, ma se dovessi sentire qualcosa, ti farò sapere. -  Stavo facendo la figura dell’idiota. Lennon, tuttavia, accennò ad un sorriso, poi spostò la sua attenzione di nuovo su Frency.                                                                                                    Avrebbe almeno potuto degnarsi di ringraziare…                                                                                          Quando glielo feci notare senza nascondere un certo disappunto, il ragazzo rimase a lungo a fissarmi negli occhi.                                                                                                                                           - Grazie, Anna. - disse, serio. Era la prima volta che mi chiamava per nome e mi fece correre dei brividi lungo la colonna vertebrale.                                                                                                             Di nuovo fra noi calò il silenzio.                                                                                                                         - Paul mi ha detto che state provando una canzone di Little Richard. - mi curai di distogliere l’attenzione di entrambi (ma in particolar modo la mia) dall’ultimo scambio di battute.                                 Mi sedetti sull’erba e accarezzai la testa di Frency, che ora era l’unica “barriera” che divideva me e Lennon.                                                                                                                                                                 - E’ così, infatti. - rispose Lennon. - Slippin' and Slidin'.-                                                                                                                       Sorrisi perché sapevo che avremmo passato la mattinata a parlare di musica. E infatti la mia previsione si rivelò esatta: passammo delle ore intere a discutere di rock n roll.                                           Ad un certo punto, Lennon tirò fuori un pacchetto di sigarette e se ne accese una.                                         Tirò un paio di boccate, poi si ricordò delle regole della buona educazione e mi porse il pacchetto aperto.                                                                                                                                                                      -No, grazie. - dissi - Non fumo. -                                                                                                                        - Oh, avanti! Sei l’unica ragazza di tutta Liverpool che ancora non fuma. - osservò lui. - Guarda che non ti uccide.-                                                                                                                                            Quella frase non avrebbe fatto in nascere in me una particolare reazione se non fosse stata detta con un tono che la faceva assomigliare in modo impressionante a una sfida, che il mio stramaledetto orgoglio non mi fece rifiutare.                                                                                                                     Presi una sigaretta e la accostai alle labbra mentre Lennon si avvicinava per accenderla, poi il ragazzo tornò a fumare semi-sdraiato sull’erba.                                                                                               Feci un primo, timoroso tiro, ma quando il fumo invase la mia bocca mi sentii quasi soffocare.                                                                                               Mi imposi di non tossire e impiegai tutta la mia forza per perseguire quell’obiettivo, ma mi ritrovai con le lacrime agli occhi. Buttai fuori il fumo fingendo nonchalance, tuttavia aspettai qualche minuti prima di fare il secondo tiro.                                                                                                                    - Non è poi tanto male. - dissi accorgendomi che Lennon si aspettava che facessi un commento.                 Lui sorrise, poi prese da una tasca della giacca un’armonica a bocca.                                                             Mi chiesi quante cose ci stessero in quelle tasche, ma poi il ragazzo cominciò a suonare un motivo che non riconobbi.                                                                                                                                                 Lo ascoltai in silenzio, accarezzando distrattamente Frency, fino al momento in cui, come un fulmine a ciel sereno, mi ricordai per quale motivo ero lì a fumare invece che a scuola.                                   Scattai in piedi di colpo:- Scusa, devo proprio andare. -                                                                             Salutai velocemente il ragazzo e mi allontanai ancor più rapidamente, sebbene Frency si lamentasse dell’andatura troppo sostenuta cui lo spingevo; non ero nella condizione adatta per stare a curarmi della pigrizia intrinseca nel carattere del mio cane.                                                                                            Se soltanto quella mattina qualcuno fosse venuto a dirmi che dopo tanto tempo avrei fatto pace con Lennon, gli avrei riso in faccia ma ancora una volta il ragazzo aveva trovato il modo di ribaltare le mie aspettative.
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Finalmente, dopo aver dovuto fare numerosi riti voodoo per far funzionare il computer che aveva deciso di andare in vacanza, sono riuscita ad aggiornare.
Che dire di questo capitolo? Avevo bisogno di cambiamenti (era da un po’ che veramente ci pensavo) ma prima di iniziare una nuova fase della storia ho sentito la necessità di chiudere alcune cose rimaste in sospeso.
Forse la riappacificazione di Anna e Lennon è stata troppo improvvisa e affrettata, ma non ne potevo più di averli in contrasto. Magari è stato un azzardo, ma devo dire che ne sono molto soddisfatta.
Weasleywalrus93 : non ti preoccupare, anzi, ti ringrazio per aver trovato il tempo di recensire lo scorso!  In effetti, quando ho cominciato a scrivere Getting Better non avevo programmato l’ultimo dialogo fra Paul e Anna: è comparso da solo e non so nemmeno bene come.
Però mi sento in dovere di confessare che mi sto divertendo tantissimo a gettare confusione sui sentimenti di Anna * risata diabolica
Chissà come si evolverà la cosa? ( In verità non ne sono sicura nemmeno io, e la cosa mi preoccupa non poco!!!!)
 
Peace n Love.
Appoggiai la testa contro il braccio, scarabocchiando distrattamente qualcosa sul bordo della pagina del libro di chimica.                                                                                                                                              Gli occhi mi si chiudevano e il chiacchiericcio dei miei compagni durante il cambio d'ora mi stordiva; possibile che ogni volta che non c'era un professore in classe dovessero comportarsi come dei bambini dell'asilo?                                                                                                                                              "Fate un po' di silenzio..." implorai mentalmente passandomi le mani sugli occhi arrossati. Trascorrere le notti in bianco e buttarsi giù dal letto alle sei era davvero poco salutare.                                          Come se non bastasse, poi, nelle ultime mattine il mio cervello ero in uno stato di catatonia totale, da cui non riusciva ad uscire prima che le lezioni finissero, a causa del quale non si poteva certo dire che fossi molto attenta alle spiegazioni.                                                                                                                                       Con grande sollievo, tuttavia, constatai che il chiasso prodotto da quella mandria di buoi che erano i miei compagni era finito in fretta, dal momento che pochi minuti dopo il suono della campanella era entrato nell'aula il professore di lettere.                                                                                                                      Non facemmo neanche in tempo ad alzarci in piedi per salutarlo che egli, con un ghigno sadico, ci ordinò di separare i banchi; dopo il consueto trambusto provocato dai banchi e dalle sedie trascinati, tutti i ragazzi all'interno dell'aula sprofondarono in un silenzio angosciato.                                                             Io, da parte mia, cercavo di immaginarmi non senza una certa apprensione quale potesse essere la traccia che l'insegnante aveva deciso di rifilarci quella volta. Fra tutti, quell'uomo era il più odioso e il mio sentimento d'odio incondizionato era ricambiato; in effetti, era da parecchio che avevo cominciato a chiedermi se le orribili tracce fossero scelte apposta per farmi un dispetto.                                                 Un volontario pescato a caso fra i miei compagni cominciò a girare per l'aula distribuendo i foglietti rettangolari preparati per l'occasione.                                                                                                               Strano, in genere il professore scriveva le tracce direttamente sulla lavagna...                                                                                    Rigirai il mio foglio fra le mani, attingendo a tutte le mie fonti di coraggio: fosse stato per me, non avrei mai guardato la traccia, ma i miei compagni avevano già iniziato a scrivere e il professore mi fissava con uno sguardo di sfida.                                                                                                                      Alla fine, posai gli occhi sulla scritta.                                                                                                                 La condanna morale, religiosa, sociale e penale dell'omicidio e del suicidio.                                                 Alzai la testa di scatto, con un'espressione scioccata e gli occhi spalancati; incontrai il sorriso trionfante del professore, che fece scattare in me una reazione che nemmeno lui si aspettava.                      Con gli occhi ormai ridotti a due fessure aprii il foglio protocollo, mentre la sorpresa si trasformava velocemente in furia.                                                                                                                           Se fossi stata in condizione di trovare un po' di autocontrollo, avrei cominciato quel tema e avrei tirato fuori delle tesi che avrebbero fatto diventare quel bastardo alto come un nanetto da giardino, ma la mia mente era completamente stordita dalla rabbia.                                                                              Scrissi un gigantesco  "fottiti!" che occupava entrambe le pagine, quindi mi alzai dalla sedia e afferrai il foglio. Mi diressi verso la cattedra, travolgendo nel frattempo alcuni dei banchi dei miei compagni, facendo spargere sul pavimento numerose penne; sbattei il foglio sulla cattedra e guardai il professore negli occhi.                                                                                                                                                                      - Vada a fare in culo. - ringhiai e feci trasparire in quelle poche parole tutta la mia ira e il mio odio. Uscii dalla classe facendo sbattere la porta e il rumore produsse un'eco impressionante nei corridoi silenziosi.                                                                                                                                     Cominciai a correre a testa bassa, senza nemmeno guardare dove stessi andando.                                                In ogni caso, ormai conoscevo i corridoi a memoria e non fu affatto difficile trovare l'uscita della scuola.                                                                                                                                                          Quando mi ritrovai in strada non mi fermai, ma continuai a correre, sebbene fossi già esausta: volevo allontanarmi il più possibile da quel posto.                                                                                      Accennai a rallentare  soltanto quando vidi intorno a me il paesaggio familiare dei campi da golf.                    Alla fine, mi fermai vicino ad un albero cui mi appoggiai per riprendere fiato. Ero piegata in due dal dolore alla milza, per cui non mi accorsi che qualcuno si era avvicinato senza far particolare rumore e ora mi guardava con un sopracciglio alzato.                                                                                                       - Ti senti bene?- chiese la voce sprezzante di Lennon.                                                                                                      Mi rialzai di scatto, riuscendo a ignorare le fitte, e lo fulminai con lo sguardo.                                                                                                       Non ero dell’umore adatto per sopportare anche lui; tuttavia, una volta che lo ebbi guardato in viso, una piccola parte del mio cervello colse l’occasione per ricordarmi che se ora ero lì a maledire la sua presenza, incazzata nera, ansimante e attaccata al tronco di un albero, era solo grazie a lui.                    - Sì.- risposi allontanandomi di un passo dall’albero.                                                                                         - Come mai qui? Non ti credevo certo tipo da marinare le lezioni.- osservò.                                                     - Ci sono molte cose di me che non sai, Lennon. - replicai.  Il ragazzo rimase in silenzio e io abbassai lo sguardo; sapevo che stava aspettando che lo ringraziassi e io, d’altra parte, non vedevo l’ora di sistemare la questione una volta per tutte.                                                                                    - Senti, Lennon…- mormorai; mi avvicinai di nuovo al tronco dell’albero, come potesse difendermi e aiutarmi a fuggire quella trappola - Voglio che tu sappia che ti sono grata per… quello che hai fatto. -                                                                                                                                                                   Lui scrollò le spalle:- Siamo entrambi abbastanza intelligenti per andare oltre le ipocrisie sociali. E’ inutile che mi ringrazi solo perché ti senti in dovere di farlo. -                                                                           - Io volevo farlo. - replicai di getto, senza stare troppo a pensare a le parole che mi uscivano dalle labbra. Lennon fece un mezzo sorriso.                                                                                                                 - Bene - esordii di nuovo - è ora che io vada. -                                                                                              Non aspettai che il ragazzo aggiungesse altro: avevo troppo timore che riprendesse il suo solito modo di atteggiarsi perché, ora come ora, avrei potuto tirargli un pugno.                                                                                                                          Mi allontanai di qualche passo e cominciai già a pensare a come avrei spiegato ai miei genitori la situazione. - Ehi, Mitchell. - mi chiamò Lennon.                                                                                                Mi fermai e mi voltai; evidentemente, l’insulto che avevo aspettato da quando io e il ragazzo avevamo cominciato a parlare stava per giungere.                                                                                             Invece, Lennon mi lanciò qualcosa che tracciò una parabola in aria producendo uno strano fruscio. Solo quando lo afferrai al volo mi accorsi che era il mio quaderno.                                                        Accarezzai la copertina e lo strinsi al petto.                                                                                                   Ero perfettamente conscia del fatto che Lennon non si sarebbe mai scusato per quello che aveva fatto, quindi decisi che era inutile aspettare che aggiungesse qualcosa al suo gesto.                                           - Grazie. - dissi mentre sentivo il familiare odore delle pagine e dell’inchiostro.                                        Lennon scrollò di nuovo le spalle.                                                                                                                    Stavo già per andarmene quando, finalmente, si decise a dire qualcosa:- Non l’ho mai letto. -                                                                                                                                              Sgranai gli occhi e lo fissai come se non l’avessi mai visto, stupita.                                                                - Grazie.- ripetei, questa volta con maggiore convinzione.                                                                           Sapevo di avere le lacrime agli occhi, ma per una volta non mi vergognai di mostrare al ragazzo la mia gratitudine. Lennon mi rivolse uno sguardo strano, che non riuscii a decifrare, poi fece un gesto della mano e si allontanò.                                                                                                                           Rimasi ferma qualche attimo, stordita da quel colloquio, ma poi ritornò la consapevolezza di quello che era successo meno di un’ora prima.                                                                                                                    Mentre prendevo la strada di casa sentii la rabbia montare di nuovo.                                                        Avrei voluto sfogarmi su qualcuno, ma la mia coscienza si mise in mezzo e mi ricordò che ero una ragazza di buona famiglia e in quanto tale non potevo essere convolta in risse da taverna.                        La ringraziai per avermelo ricordato mentre cominciavo ad accelerare il passo: prima tornavo a casa meglio era.                                                                                                                                                         Mi ritrovai di nuovo a correre fino a che non mi ritrovai in Forthlin Road.                                                Entrai in casa facendo sbattere la porta, ma non feci in tempo a muovere un passo che mi ritrovai Elisabeth davanti.                                                                                                                                         - Ma che…- cominciò. - Io là dentro non ci torno!- gridai, cominciando a fare avanti e indietro per la stanza; mi giunsero i guaiti di Frency, spaventato dalle mie urla e mi passai entrambe le mani tra i capelli.                                                                                                                                                          La furia stava trasformandosi in lacrime di rabbia e odio.                                                          Elisabeth, esasperata, mi prese per le spalle, obbligandomi a fermarmi e a guardarla negli occhi.                - Datti una calmata. - ordinò, pur senza alzare la voce.                                                                                       Cercai di rallentare il respiro mentre mia madre mi portava in salotto e mi faceva sedere sul divano. Afferrai un cuscino e lo abbracciai, sfogando su di esso tutto il nervoso.                                                    Frency si era nascosto sotto il tavolino del giradischi e uscì dal suo rifugio guardandosi intorno con circospezione, poi saltò sul divano e si accoccolò sulle mie ginocchia dopo che ebbe tirato via il cuscino a forza di musate.                                                                                                                                      Gli accarezzai la schiena mentre lui si sedeva e mi guardava preoccupato, percependo il mio disagio. Avvicinò il muso alla mia guancia e mi diede un colpetto con il naso umido.                                     - Mi vuoi spiegare quello che è successo?- chiese Elisabeth quando mi ebbe vista più calma.                                                       Strinsi Frency al petto e lasciai che la rabbia sbollisse ancora prima di cominciare a raccontarle gli eventi di quella mattina; man mano che parlavo vidi il volto di mia madre incupirsi sempre di più e lei, sebbene avesse cercato di controllarsi, strinse i pugni al punto che le nocche le diventarono bianche.                                                                                                                                                                   - Se non vuoi più mettere piede in quella scuola, non sarò certo io ad impedirtelo. - disse con il tono più duro che le avessi mai sentito usare. - Ma dobbiamo aspettare che tuo padre rientri. Nel frattempo, perché non vai a fare un giro con Frency? -                                                                                   Avrei voluto dirle che in quel momento mi sarei sparata all’idea di uscire di nuovo di casa, ma il suo inusuale umore mi convinse a non fiatare.                                                                                                                                    - Forza, palla di pelo: hai sentito il capo. - mormorai al cucciolo sospingendolo giù dalle mie ginocchia.
 Una volta che fui uscita di casa, però, mi resi conto che quella non era stata affatto una brutta idea: non avevo mai visto Elisabeth tanto arrabbiata e non osavo immaginare la reazione che avrebbe avuto James, quando fosse tornato dal lavoro; odiavo trovarmi in mezzo alla gente infuriata, quindi era molto meglio per me godermi l’aria frizzante di quella mattina di fine settembre.                                          Mi lasciai guidare da Frency perché non avevo voglia di pensare alla strada e mi ritrovai a Calderstones Park. Nell’ultimo periodo passavo più tempo in quel parco che a casa, e non avevo mai fatto alcun “incontro spiacevole”, per cui rimasi sorpresa quando Lennon mi si parò davanti all’improvviso.                                                                                                                                                     - Mi stai seguendo, Lennon? - chiesi scansandomi e continuando a camminare.                                                 - No.- rispose tenendomi il passo.                                                                                                             Mi voltai verso di lui: - A me sembra proprio di sì, invece. -                                                                              - Non devo rendere conto a te di quanto faccio. - replicò.                                                                                       - Bene, perché il fatto che tu mi abbia aiutata una volta non significa che adesso sopporterò in silenzio tutto quello che fai! - esclamai perdendo il controllo sia sui miei sentimenti che sulle mie parole.                                                                                                                                                              Lennon mi guardò negli occhi e io mi sentii scrutata nel profondo da quell’intenso sguardo color nocciola.                                                                                                                                                              - Non ti ho mai chiesto di farlo. -                                                                                                                           Quella frase calmò la mia veemenza; non riuscendo più a reggere lo sguardo del ragazzo abbassai gli occhi e osservai Frency mentre annusava la gamba di Lennon e lo implorava di coccolarlo un po’. All’inizio il ragazzo guardò il cucciolo abbastanza freddamente, ma in qualche minuto sospirò e si chinò sul bobtail, che da parte sua ci mise persino meno tempo a sdraiarsi a pancia in su.                         Mentre li guardavo, sentii il bisogno di dire qualcosa, per non restarmene lì impalata come una stupida.                                                                                                                                                                  - Come va il gruppo?- dissi la prima cosa che mi era venuta in mente, ma dopo poco me ne pentii. Lennon spostò lo sguardo su di me:- Bene, anche se non abbiamo trovato un batterista stabile. -  Perfetto: e ora come facevo a trovare qualcosa da replicare?! Dopo una breve, disperata ricerca, parlai di nuovo: - Non conosco nessuno che abbia una batteria, ma se dovessi sentire qualcosa, ti farò sapere. -  Stavo facendo la figura dell’idiota. Lennon, tuttavia, accennò ad un sorriso, poi spostò la sua attenzione di nuovo su Frency.                                                                                                    Avrebbe almeno potuto degnarsi di ringraziare…                                                                                          Quando glielo feci notare senza nascondere un certo disappunto, il ragazzo rimase a lungo a fissarmi negli occhi.                                                                                                                                           - Grazie, Anna. - disse, serio. Era la prima volta che mi chiamava per nome e mi fece correre dei brividi lungo la colonna vertebrale.                                                                                                             Di nuovo fra noi calò il silenzio.                                                                                                                         - Paul mi ha detto che state provando una canzone di Little Richard. - mi curai di distogliere l’attenzione di entrambi (ma in particolar modo la mia) dall’ultimo scambio di battute.                                 Mi sedetti sull’erba e accarezzai la testa di Frency, che ora era l’unica “barriera” che divideva me e Lennon.                                                                                                                                                                 - E’ così, infatti. - rispose Lennon. - Slippin' and Slidin'.-                                                                                                                       Sorrisi perché sapevo che avremmo passato la mattinata a parlare di musica. E infatti la mia previsione si rivelò esatta: passammo delle ore intere a discutere di rock n roll.                                           Ad un certo punto, Lennon tirò fuori un pacchetto di sigarette e se ne accese una.                                         Tirò un paio di boccate, poi si ricordò delle regole della buona educazione e mi porse il pacchetto aperto.                                                                                                                                                                      -No, grazie. - dissi - Non fumo. -                                                                                                                        - Oh, avanti! Sei l’unica ragazza di tutta Liverpool che ancora non fuma. - osservò lui. - Guarda che non ti uccide.-                                                                                                                                            Quella frase non avrebbe fatto in nascere in me una particolare reazione se non fosse stata detta con un tono che la faceva assomigliare in modo impressionante a una sfida, che il mio stramaledetto orgoglio non mi fece rifiutare.                                                                                                                     Presi una sigaretta e la accostai alle labbra mentre Lennon si avvicinava per accenderla, poi il ragazzo tornò a fumare semi-sdraiato sull’erba.                                                                                               Feci un primo, timoroso tiro, ma quando il fumo invase la mia bocca mi sentii quasi soffocare.                                                                                               Mi imposi di non tossire e impiegai tutta la mia forza per perseguire quell’obiettivo, ma mi ritrovai con le lacrime agli occhi. Buttai fuori il fumo fingendo nonchalance, tuttavia aspettai qualche minuti prima di fare il secondo tiro.                                                                                                                    - Non è poi tanto male. - dissi accorgendomi che Lennon si aspettava che facessi un commento.                 Lui sorrise, poi prese da una tasca della giacca un’armonica a bocca.                                                             Mi chiesi quante cose ci stessero in quelle tasche, ma poi il ragazzo cominciò a suonare un motivo che non riconobbi.                                                                                                                                                 Lo ascoltai in silenzio, accarezzando distrattamente Frency, fino al momento in cui, come un fulmine a ciel sereno, mi ricordai per quale motivo ero lì a fumare invece che a scuola.                                   Scattai in piedi di colpo:- Scusa, devo proprio andare. -                                                                             Salutai velocemente il ragazzo e mi allontanai ancor più rapidamente, sebbene Frency si lamentasse dell’andatura troppo sostenuta cui lo spingevo; non ero nella condizione adatta per stare a curarmi della pigrizia intrinseca nel carattere del mio cane.                                                                                            Se soltanto quella mattina qualcuno fosse venuto a dirmi che dopo tanto tempo avrei fatto pace con Lennon, gli avrei riso in faccia ma ancora una volta il ragazzo aveva trovato il modo di ribaltare le mie aspettative.
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Finalmente, dopo aver dovuto fare numerosi riti voodoo per far funzionare il computer che aveva deciso di andare in vacanza, sono riuscita ad aggiornare.
Che dire di questo capitolo? Avevo bisogno di cambiamenti (era da un po’ che veramente ci pensavo) ma prima di iniziare una nuova fase della storia ho sentito la necessità di chiudere alcune cose rimaste in sospeso.
Forse la riappacificazione di Anna e Lennon è stata troppo improvvisa e affrettata, ma non ne potevo più di averli in contrasto. Magari è stato un azzardo, ma devo dire che ne sono molto soddisfatta.
Weasleywalrus93 : non ti preoccupare, anzi, ti ringrazio per aver trovato il tempo di recensire lo scorso!  In effetti, quando ho cominciato a scrivere Getting Better non avevo programmato l’ultimo dialogo fra Paul e Anna: è comparso da solo e non so nemmeno bene come.
Però mi sento in dovere di confessare che mi sto divertendo tantissimo a gettare confusione sui sentimenti di Anna * risata diabolica
Chissà come si evolverà la cosa? ( In verità non ne sono sicura nemmeno io, e la cosa mi preoccupa non poco!!!!)
 
Peac
Appoggiai la testa contro il braccio, scarabocchiando distrattamente qualcosa sul bordo della pagina del libro di chimica.
Gli occhi mi si chiudevano e il chiacchiericcio dei miei compagni durante il cambio d'ora mi stordiva; possibile che ogni volta che non c'era un professore in classe dovessero comportarsi come dei bambini dell'asilo?  
"Fate un po' di silenzio..." implorai mentalmente passandomi le mani sugli occhi arrossati.
Trascorrere le notti in bianco e buttarsi giù dal letto alle sei era davvero poco salutare.
Come se non bastasse, poi, nelle ultime mattine il mio cervello ero in uno stato di catatonia totale, da cui non riusciva ad uscire prima che le lezioni finissero, a causa del quale non si poteva certo dire che fossi molto attenta alle spiegazioni.
Con grande sollievo, tuttavia, constatai che il chiasso prodotto da quella mandria di buoi che erano i miei compagni era finito in fretta, dal momento che pochi minuti dopo il suono della campanella era entrato nell'aula il professore di lettere.
Non facemmo neanche in tempo ad alzarci in piedi per salutarlo che egli, con un ghigno sadico, ci ordinò di separare i banchi; dopo il consueto trambusto provocato dai banchi e dalle sedie trascinati, tutti i ragazzi all'interno dell'aula sprofondarono in un silenzio angosciato.
Io, da parte mia, cercavo di immaginarmi non senza una certa apprensione quale potesse essere la traccia che l'insegnante aveva deciso di rifilarci quella volta. Fra tutti, quell'uomo era il più odioso e il mio sentimento d'odio incondizionato era ricambiato; in effetti, era da parecchio che avevo cominciato a chiedermi se le orribili tracce fossero scelte apposta per farmi un dispetto.
Un volontario pescato a caso fra i miei compagni cominciò a girare per l'aula distribuendo i foglietti rettangolari preparati per l'occasione.
Strano, in genere il professore scriveva le tracce direttamente sulla lavagna...
Rigirai il mio foglio fra le mani, attingendo a tutte le mie fonti di coraggio: fosse stato per me, non avrei mai guardato la traccia, ma i miei compagni avevano già iniziato a scrivere e il professore mi fissava con uno sguardo di sfida.
Alla fine, posai gli occhi sulla scritta.
La condanna morale, religiosa, sociale e penale dell'omicidio e del suicidio.
Alzai la testa di scatto, con un'espressione scioccata e gli occhi spalancati; incontrai il sorriso trionfante del professore, che fece scattare in me una reazione che nemmeno lui si aspettava.
Con gli occhi ormai ridotti a due fessure aprii il foglio protocollo, mentre la sorpresa si trasformava velocemente in furia. 
Se fossi stata in condizione di trovare un po' di autocontrollo, avrei cominciato quel tema e avrei tirato fuori delle tesi che avrebbero fatto diventare quel bastardo alto come un nanetto da giardino, ma la mia mente era completamente stordita dalla rabbia.
Scrissi un gigantesco  "fottiti!" che occupava entrambe le pagine, quindi mi alzai dalla sedia e afferrai il mio tema.
Mi diressi verso la cattedra, travolgendo nel frattempo alcuni dei banchi dei miei compagni, facendo spargere sul pavimento numerose penne; sbattei il foglio sulla cattedra e guardai il professore negli occhi.
- Vada a fare in culo. - ringhiai e feci trasparire in quelle poche parole tutta la mia ira e il mio odio. Uscii dalla classe facendo sbattere la porta e il rumore produsse un'eco impressionante nei corridoi silenziosi.
Cominciai a correre a testa bassa, senza nemmeno guardare dove stessi andando.
In ogni caso, ormai conoscevo i corridoi a memoria e non fu affatto difficile trovare l'uscita della scuola.
Quando mi ritrovai in strada non mi fermai, ma continuai a correre, sebbene fossi già esausta: volevo allontanarmi il più possibile da quel posto.
Accennai a rallentare  soltanto quando vidi intorno a me il paesaggio familiare dei campi da golf.
Alla fine, mi fermai vicino ad un albero cui mi appoggiai per riprendere fiato. Ero piegata in due dal dolore alla milza, per cui non mi accorsi che qualcuno si era avvicinato senza far particolare rumore e ora mi guardava con un sopracciglio alzato.
- Ti senti bene?- chiese la voce sprezzante di Lennon.
Mi rialzai di scatto, riuscendo a ignorare le fitte, e lo fulminai con lo sguardo.
Non ero dell’umore adatto per sopportare anche lui; tuttavia, una volta che lo ebbi guardato in viso, una piccola parte del mio cervello colse l’occasione per ricordarmi che se ora ero lì a maledire la sua presenza, incazzata nera, ansimante e attaccata al tronco di un albero, era solo grazie a lui.
- Sì.- risposi allontanandomi di un passo dall’albero.
- Come mai qui? Non ti credevo certo tipo da marinare le lezioni.- osservò.
- Ci sono molte cose di me che non sai, Lennon. - replicai.  Il ragazzo rimase in silenzio e io abbassai lo sguardo; sapevo che stava aspettando che lo ringraziassi e io, d’altra parte, non vedevo l’ora di sistemare la questione una volta per tutte.
- Senti, Lennon…- mormorai; mi avvicinai di nuovo al tronco dell’albero, come potesse difendermi e aiutarmi a fuggire quella trappola - Voglio che tu sappia che ti sono grata per… quello che hai fatto. -
Lui scrollò le spalle:- Siamo entrambi abbastanza intelligenti per andare oltre le ipocrisie sociali. E’ inutile che mi ringrazi solo perché ti senti in dovere di farlo. -
- Io volevo farlo. - replicai di getto, senza stare troppo a pensare a le parole che mi uscivano dalle labbra. Lennon fece un mezzo sorriso.
- Bene - esordii di nuovo - è ora che io vada. - 
Non aspettai che il ragazzo aggiungesse altro: avevo troppo timore che riprendesse il suo solito modo di atteggiarsi perché, ora come ora, avrei potuto tirargli un pugno.
Mi allontanai di qualche passo e cominciai già a pensare a come avrei spiegato ai miei genitori la situazione.
- Ehi, Mitchell. - mi chiamò Lennon.
Mi fermai e mi voltai; evidentemente, l’insulto che avevo aspettato da quando io e il ragazzo avevamo cominciato a parlare stava per giungere.
Invece, Lennon mi lanciò qualcosa che tracciò una parabola in aria producendo uno strano fruscio. Solo quando lo afferrai al volo mi accorsi che era il mio quaderno.
Accarezzai la copertina e lo strinsi al petto.
Ero perfettamente conscente del fatto che Lennon non si sarebbe mai scusato per quello che aveva fatto, quindi decisi che era inutile aspettare che aggiungesse qualcosa al suo gesto.
- Grazie. - dissi mentre sentivo il familiare odore delle pagine e dell’inchiostro.
Lennon scrollò di nuovo le spalle.
Stavo già per andarmene quando, finalmente, si decise a dire qualcosa:- Non l’ho mai letto. -
Sgranai gli occhi e lo fissai come se non l’avessi mai visto, oltremodo stupita.
- Grazie.- ripetei, questa volta con maggiore convinzione.
Sapevo di avere le lacrime agli occhi, ma per una volta non mi vergognai di mostrare al ragazzo la mia gratitudine.
Lennon mi rivolse uno sguardo strano, che non riuscii a decifrare, poi fece un gesto della mano e si allontanò.
Rimasi ferma qualche attimo, stordita da quel colloquio, ma poi ritornò la consapevolezza di quello che era successo meno di un’ora prima.
Mentre prendevo la strada di casa sentii la rabbia montare di nuovo.
Avrei voluto sfogarmi su qualcuno, ma la mia coscienza si mise in mezzo e mi ricordò che ero una ragazza di buona famiglia e in quanto tale non potevo essere convolta in risse da osteria.
La ringraziai per avermelo ricordato mentre cominciavo ad accelerare il passo: prima fossi tornata a casa meglio sarebbe stato.
Mi ritrovai di nuovo a correre fino a che non mi ritrovai in Forthlin Road.
Entrai in casa facendo sbattere la porta, ma non feci in tempo a muovere un passo che mi ritrovai Elisabeth davanti.
- Ma che…- cominciò.
- Io là dentro non ci torno!- gridai, cominciando a fare avanti e indietro per la stanza; mi giunsero i guaiti di Frency, spaventato dalle mie urla e mi passai entrambe le mani tra i capelli.
La furia stava trasformandosi in lacrime di rabbia e odio.
Elisabeth, esasperata, mi prese per le spalle, obbligandomi a fermarmi e a guardarla negli occhi.
- Datti una calmata. - ordinò, pur senza alzare la voce. 
Cercai di rallentare il respiro mentre mia madre mi portava in salotto e mi faceva sedere sul divano. Afferrai un cuscino e lo abbracciai, sfogando su di esso tutto il nervoso.
Frency si era nascosto sotto il tavolino del giradischi e uscì dal suo rifugio guardandosi intorno con circospezione, poi saltò sul divano e si accoccolò sulle mie ginocchia dopo che ebbe tirato via il cuscino a forza di musate.
Gli accarezzai la schiena mentre lui si sedeva e mi guardava preoccupato, percependo il mio disagio. Avvicinò il muso alla mia guancia e mi diede un colpetto con il naso umido.
- Mi vuoi spiegare quello che è successo?- chiese Elisabeth quando mi ebbe vista più calma.
Strinsi Frency al petto e lasciai che la rabbia sbollisse ancora prima di cominciare a raccontarle gli eventi di quella mattina; man mano che parlavo vidi il volto di mia madre incupirsi sempre di più e lei, sebbene avesse cercato di controllarsi, strinse i pugni al punto che le nocche le diventarono bianche.
- Se non vuoi più mettere piede in quella scuola, non sarò certo io ad impedirtelo. - disse con il tono più duro che le avessi mai sentito usare. - Ma dobbiamo aspettare che tuo padre rientri. Nel frattempo, perché non vai a fare un giro con Frency? -
Avrei voluto dirle che in quel momento mi sarei sparata all’idea di uscire di nuovo di casa, ma il suo inusuale umore mi convinse a non fiatare.
- Forza, palla di pelo: hai sentito il capo. - mormorai al cucciolo sospingendolo giù dalle mie ginocchia.

Una volta che fui uscita di casa, però, mi resi conto che quella non era stata affatto una brutta idea: non avevo mai visto Elisabeth tanto arrabbiata e non osavo immaginare la reazione che avrebbe avuto James, quando fosse tornato dal lavoro; odiavo trovarmi in mezzo alla gente infuriata, quindi era molto meglio per me godermi l’aria frizzante di quella mattina di fine settembre.
Mi lasciai guidare da Frency perché non avevo voglia di pensare alla strada e mi ritrovai a Calderstones Park.
Nell’ultimo periodo passavo più tempo in quel parco che a casa, e non avevo mai fatto alcun “incontro spiacevole”, per cui rimasi sorpresa quando Lennon mi si parò davanti all’improvviso senza che io riuscissi a capire da dove fosse sbucato o se fosse stato già lì quando ero entrata nel parco.
- Mi stai seguendo, Lennon? - chiesi scansandomi e continuando a camminare.
- No.- rispose tenendomi il passo.
Mi voltai verso di lui: - A me sembra proprio di sì, invece. -
- Non devo rendere conto a te di quanto faccio. - replicò.
- Bene, perché il fatto che tu mi abbia aiutata una volta non significa che adesso sopporterò in silenzio tutto quello che fai! - esclamai perdendo il controllo sia sui miei sentimenti che sulle mie parole.
Lennon mi guardò negli occhi e io mi sentii scrutata nel profondo da quell’intenso sguardo color nocciola.
- Non ti ho mai chiesto di farlo. -
Quella frase calmò la mia veemenza; non riuscendo più a reggere lo sguardo del ragazzo abbassai gli occhi e osservai Frency mentre annusava la gamba di Lennon e lo implorava di coccolarlo un po’. All’inizio il ragazzo guardò il cucciolo abbastanza freddamente, ma in qualche minuto sospirò e si chinò sul bobtail, che da parte sua ci mise persino meno tempo a sdraiarsi a pancia in su.
Mentre li guardavo, sentii il bisogno di dire qualcosa, per non restarmene lì impalata come una stupida.
- Come va il gruppo?- dissi la prima cosa che mi era venuta in mente, ma dopo poco me ne pentii.
Lennon spostò lo sguardo su di me:- Bene, anche se non abbiamo trovato un batterista stabile. - 
Perfetto: e ora come facevo a trovare qualcosa da replicare?!
Dopo una breve, disperata ricerca, parlai di nuovo: - Non conosco nessuno che abbia una batteria, ma se dovessi sentire qualcosa, ti farò sapere. -
Stavo facendo la figura dell’idiota.
Lennon, tuttavia, accennò ad un sorriso, poi spostò la sua attenzione di nuovo su Frency.
Avrebbe almeno potuto degnarsi di ringraziare…
Quando glielo feci notare senza nascondere un certo disappunto, il ragazzo rimase a lungo a fissarmi negli occhi.
- Grazie, Anna. - disse, serio.
Era la prima volta che mi chiamava per nome e mi fece correre dei brividi lungo la colonna vertebrale.
Di nuovo fra noi calò il silenzio.
- Paul mi ha detto che state provando una canzone di Little Richard. - mi curai di distogliere l’attenzione di entrambi (ma in particolar modo la mia) dall’ultimo scambio di battute.
Mi sedetti sull’erba e accarezzai la testa di Frency, che ora era l’unica “barriera” che divideva me e Lennon.
- E’ così, infatti. - rispose Lennon. - Slippin' and Slidin'.-
Sorrisi perché sapevo che avremmo passato la mattinata a parlare di musica.
E infatti la mia previsione si rivelò esatta: passammo delle ore intere a discutere di rock 'n' roll.
Ad un certo punto, Lennon tirò fuori un pacchetto di sigarette e se ne accese una. Tirò un paio di boccate, poi si ricordò delle regole della buona educazione e mi porse il pacchetto aperto.
-No, grazie. - dissi - Non fumo. -
- Oh, avanti! Sei l’unica ragazza di tutta Liverpool che ancora non fuma. - osservò lui. - Guarda che non ti uccide.-
Quella frase non avrebbe fatto in nascere in me una particolare reazione se non fosse stata detta con un tono che la faceva assomigliare in modo impressionante a una sfida, che il mio stramaledetto orgoglio non mi fece rifiutare.
Presi una sigaretta e la accostai alle labbra mentre Lennon si avvicinava per accenderla, poi il ragazzo tornò a fumare semi-sdraiato sull’erba.
Feci un primo, timoroso tiro, ma quando il fumo invase la mia bocca mi sentii quasi soffocare.
Mi imposi di non tossire e impiegai tutta la mia forza per perseguire quell’obiettivo, ma mi ritrovai con le lacrime agli occhi.
Buttai fuori il fumo fingendo nonchalance, tuttavia aspettai qualche minuti prima di fare il secondo tiro.
- Non è poi tanto male. - dissi accorgendomi che Lennon si aspettava che facessi un commento.
Lui sorrise, poi prese da una tasca della giacca un’armonica a bocca.
Mi chiesi quante cose ci stessero in quelle tasche, ma poi il ragazzo cominciò a suonare un motivo che non riconobbi.
Lo ascoltai in silenzio, accarezzando distrattamente Frency, fino al momento in cui, come un fulmine a ciel sereno, mi ricordai per quale motivo ero lì a fumare invece che a scuola.
Scattai in piedi di colpo:- Scusa, devo proprio andare. -
Salutai velocemente il ragazzo e mi allontanai ancor più rapidamente, sebbene Frency si lamentasse dell’andatura troppo sostenuta cui lo spingevo; non ero nella condizione adatta per stare a curarmi della pigrizia intrinseca nel carattere del mio cane.
Se soltanto quella mattina qualcuno fosse venuto a dirmi che dopo tanto tempo avrei fatto pace con Lennon, gli avrei riso in faccia ma ancora una volta il ragazzo aveva trovato il modo di ribaltare le mie aspettative.

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Finalmente, dopo aver dovuto fare numerosi riti voodoo per far funzionare il computer che aveva deciso di andare in vacanza, sono riuscita ad aggiornare.
Che dire di questo capitolo? Avevo bisogno di cambiamenti (era da un po’ che veramente ci pensavo) ma prima di iniziare una nuova fase della storia ho sentito la necessità di chiudere alcune cose rimaste in sospeso.
Forse la riappacificazione di Anna e Lennon è stata troppo improvvisa e affrettata, ma non ne potevo più di averli in contrasto. Magari è stato un azzardo, ma devo dire che ne sono molto soddisfatta.


Weasleywalrus93 : non ti preoccupare, anzi, ti ringrazio per aver trovato il tempo di recensire lo scorso!  In effetti, quando ho cominciato a scrivere Getting Better non avevo programmato l’ultimo dialogo fra Paul e Anna: è comparso da solo e non so nemmeno bene come.
Però mi sento in dovere di confessare che mi sto divertendo tantissimo a gettare confusione sui sentimenti di Anna * risata diabolica
Chissà come si evolverà la cosa? ( In verità non ne sono sicura nemmeno io, e la cosa mi preoccupa non poco!!!!)

 
Peace n Love.

 

  
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