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Autore: Phoebus    28/10/2012    1 recensioni
1287, nel cuore dell'Italia medievale un amore rischia di sconvolgere alleanze politiche e una famiglia intera. Un amore forte, nato per caso, ma destinato all'eternità.
Al tempo delle dame e dei cavalieri, una giovane ragazza bella e splendente come una vera dama e un'aristocratica non proprio nobile come un cavaliere, incroceranno i loro destini per legarsi nell'anima...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Trascorsero tre giorni da quell’incontro nel bosco; casuale o no, sta di fatto che Lena ci pensava spesso.

Ma forse non fu poi così dannoso, perché finalmente poté riavvicinarsi a Ferdinand…

La mattina andava a visitarlo regolarmente a casa per medicargli la ferita, sembrava un bambino!

“Lena piano! Fa male!!” – sempre a lamentarsi e a ritirare la mano ogni volta che la rossa si avvicinava ad essa con un panno caldo e pulito.

“lo so Ferdinand! Ma se vuoi che non ti faccia infezione dobbiamo medicarla così! Non fare tanto il bambino dai!” – le faceva venire proprio da ridere!

“se rivedo quell’essere ignobile la uccido con le mie stesse mani!! – istintivamente Lena premette un po’ di più - …AHI! LENA!!!”

“così la smetti di dire stupidaggini!” – ma forse non era solo per questo.

Ferdinand, intanto, a brutto muso decise di sottostare, anche se continuava a lagnarsi.

 

 

 

Più ci pensava e più Lena si convinceva che quella giovane…che quel “Comandante”, come lo chiamavano timorosamente tutti, avesse qualcosa di buono in fondo. Non è possibile che sia così spietato come ne parlano…

L’aveva colpita insomma, quegli occhi le avevano segnato l’anima; ora doveva capirne il perché.

 

 

“ho finito Ferdinand…tornerò domani…credo che lasciarla cicatrizzare sia la cosa migliore, poi comunque se hai bisogno basta che vieni da me o mandi tua sorella a chiamarmi…” – si alzò dalla sedia e fece per andarsene, quando il giovane prendendola per un braccio la bloccò.

“aspetta…vorrei…vorrei che restassi ancora un po’…” – non se lo aspettava; lui non era certo il tipo che pregava le donne. Ma forse davvero adesso aveva bisogno di lei.

“mi dispiace ma mia madre mi sta aspettando…tornerò presto…” – ma Ferdinand non le diede tempo di riflettere e la baciò d’impeto.

Con passione e voglia…quasi violenza; ma non c’era cattiveria in lui, era fatto così, la voleva semplicemente.

 

 

Anche lei desiderava quel bacio, ma non così, non ora; si sentiva usata e, anche se le piaceva quel ragazzo e tanto, si distaccò.

 

“no…non posso, non ora…dammi il tempo di riflettere…” – e, quasi a consolarlo, gli accarezzò il viso.

“c’è un altro? Non mi vuoi più?” – lui, dal canto suo, non riusciva a spiegarsi questa reazione, da lei che fino a poco tempo fa era innamorata quasi.

“mi sei sempre piaciuto Ferdinand…ma…devo capire se tra noi può funzionare…e poi io…devo pensare anche a mia madre…” – si avviò verso la porta, porgendo le spalle al giovane.

“ti ho chiesto se c’è un altro.” – secco e con voce quasi dura.

“a domani…” – non rispose a quella domanda, e se ne andò davvero stavolta, lasciando il bel ragazzo senza responso.

 

 

 

 

 

 

 

Quasi mezzogiorno ormai, il paese traboccava di gente che si preparava al pranzo…il panettiere felice stava per tornarsene a casa, dopo una mattinata passata a sfornare; le botteghe si fermavano temporaneamente e le povere case si riempivano d’affetto, la ricchezza degli umili.

Scorse anche Anna, che indaffarata tornava a casa dopo aver visto Giacomo nel loro posto romantico, così lo chiamava lei.

Alcuni braccianti stavano sistemando un palchetto, delle sedie e strumenti vari in piazza; la sera pare ci sarebbe stata una festa paesana.

Ne fanno spesso, ed è uno dei pochi momenti in cui tutti si divertono a suon di danze popolari, musiche folkloristiche, allegria e vino; le giovanette mettono l’abito nuovo, perché sanno che saranno invitate a ballare dai ragazzi.

Certo, non sarà un ballo di corte! Ma il popolo si divertiva e sorrideva gioioso!

Lena partecipava spesso a queste feste, ma raramente si divertiva fino in fondo; anzi, forse non si divertì mai, come vorrebbe.

Guardava Anna stringersi a Giacomo in quei balli sfrenati, dove non ci sono passi precisi ma è la complicità che conta, e un po’ li invidiava…perché anche lei sognava di sentirsi così, di provare quelle emozioni, di sentirsi girare la testa per i giri e la musica.

E l’amore…

Quello le mancava più di tutto.

 

 

 

 

 

“come sta il vostro amico?” – si destò a quella domanda, era momentaneamente su un altro pianeta, distante anni luce da quell’angolo di mondo.

“come…” – e ancora una volta quella ragazza misteriosa si trovava sul suo cammino, senza saperne perché.

 

 

 

 

 

Rimase incantata…

 

 

 

 

 

 

“vi ho chiesto come sta il vostro amico. – guardò Lena che sembrava riprendersi da un sogno - …non sono mica un fantasma!” – il Comandante portava con se il suo cavallo nero di razza, tenendolo per le redini, non cavalcava quasi mai per il paese.

“ma si può sapere perché vi fate sempre viva quando sto sovrappensiero!” –si accorse di aver detto qualcosa di troppo.

“come? Sono io che non capisco ora…” – Julia le camminava tranquillamente a fianco.

“no, lasciate stare… - guardava a terra, importandosene poco della sua vicina di viaggio, o almeno così voleva dare a pensare alla gente che li osservava increduli…-…comunque Ferdinand sta un po’ meglio, la ferita si deve cicatrizzare e gli ha fatto molto male…soprattutto quando hanno dovuto estrargli la freccia, potevate anche evitare di colpirlo così!”

“lo avevo avvisato, io non colpisco mai a tradimento.” – la mora, invece, guardava l’altra mentre camminavano; poi si fermò improvvisamente.

Anche Lena smise di camminare e stava per salutarla…

“beh io sono quasi arrivata, quella laggiù è casa mia…vi ringrazio per avermi difeso dalle intemperie di paese, ora posso fare anche da sola.” – naturalmente la stava prendendo in giro, molto aspramente. Non gli aveva certo perdonato l’uccisione della lepre, senza motivo, e il ferimento dell’amico, anche questo senza una particolare causa.

“vi aspetto stasera in piazza.” – a Lena si gelò un attimo il sangue. Che intendeva?

“come…- Julia stava già tornando indietro tenendo sempre le redini del suo cavallo-…che vuol dire che mi aspettate in piazza stasera?” – non capiva davvero.

“vuol dire quello che vuol dire, credo che parliamo la stessa lingua. I miei saluti.” – e accennando un saluto col capo, con il suo classico sorriso beffardo, si voltò definitivamente per tornare verso palazzo Volkova.

 

 

 

 

Ripresero ognuna la propria strada; la stessa, ma in direzioni diverse.

 

 

 

 

“che prepotente! Arrogante…e insolente pure direi! – mentre tornava a casa Lena continuava a non capire e a benedire amorevolmente quella giovane! – chi si crede di essere?! Non è altro che una viziata aristocratica…”

Eppure, per quante maledizioni le mandasse, quello era il suo pensiero fisso; il pomeriggio non portò novità…la sua testa si chiedeva se quella sera sarebbe dovuta scendere in piazza, come fosse una festa come un’altra.

Come le altre centinaia che aveva già vissuto, come qualcosa di normalissimo. Ma non ci riusciva a rispondersi. O forse conosceva già la risposta, ma aveva paura…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Palazzo ducale Volkova.

Per i lunghi corridoi lussureggianti di drappi e arazzi, decine guardie, in segno di saluto, si portano la mano tesa alla fronte per il passaggio del loro Comandante; è rientrata da poco, e già il suo viso è tornato duro, inespressivo, i lineamenti contratti, quello che tutti conoscevano.

“Julia! Fermati ti devo parlare!” – una voce maschile si insinuò tra i pensieri della giovane.

E seguendola con lo sguardo vide il padre, il Duca Erman, venirle incontro.

“padre! – si inginocchiò come conviene ad un soldato, per poi rialzarsi -…dite vi ascolto.”

“Julia, in quanto Comandante delle guardie devi organizzare un manipolo scelto di uomini. I migliori, quelli che porteremo al nostro seguito in caso di necessità.” – parlava in maniera severa alla figlia, senza mai addolcire lo sguardo.

“perché dovrei farlo, mio signore?” – del resto la figlia aveva pur ripreso da qualcuno.

Il Duca esitò un attimo a rispondere, quasi come se non avesse mai voluto dire quelle cose alla sua primogenita, a colei che anche se non l’abbracciava mai, era la cosa più cara al suo cuore.

“perché ci attaccheranno presto e voglio…voglio portare al sicuro la nostra famiglia se questo accadrà…” – per un momento sembrò quasi vacillare dal timore.

Ma Julia rispose ferma e decisa, sicura di quello che diceva.

“nel caso di bisogno richiederò l’intervento dell’esercito vaticano, non ci verrà negato un aiuto dal Santo Padre.” – e così pensava chiusa la questione.

“non abbiamo pagato gli ultimi tributi…non credo proprio che ci aiuteranno.”

La ragazza davanti a lui sgranò gli occhi, incredula e frastornata.

“ma…ma questo…questo significherebbe lasciare la nostra gente al loro destino, senza difenderli, senza…senza permettere che si salvino…”

“prima la nostra famiglia Julia, ricorda cosa ti ho insegnato. Prima dobbiamo tenere al sicuro Victor, perché sarà lui a garantire la nostra discendenza.”

 

La ragazza rimase impassibile, quelle parole la offendevano ogni volta; avere una discendenza, questo era l’unico scopo di vita di suo padre e questo odiava di lui.

Era lei la primogenita, ma secondo le leggi del maggiorascato, in quanto donna non avrebbe ottenuto nulla dopo la morte dei genitori e sarebbe dovuta andare in sposa a qualche signorotto locale, portando in dono una buona dote; ma Julia non era così.

 

Fin da piccola fu istruita dall’allora Comandante ducale; imparò ad usare la spada, a maneggiare trappole, cavalli, curare ferite ed elaborare strategie offensive per attaccare le fortezze nemiche e tattiche difensive; cavalcava con forza e decisione, comandava i suoi uomini con serietà e disciplina.

La cosa che però, sicuramente, le riusciva meglio era manovrare l’arco.

 

Sembrava fosse nata per questo.

 

 

Riusciva a mirare bersagli lontanissimi; i suoi occhi azzurri erano micidiali e colpivano sempre ciò che puntavano.

L’eleganza e la freddezza della sua infallibilità convinsero il padre a cambiare il suo destino, a fare di lei un soldato.

Il migliore che potesse mai avere: fedele, capace e nobile.

 

“va bene padre, provvederò. Con permesso.” – salutò con fretta e indifferenza come suo solito, e si incamminò per le sue stanze.

 

 

 

 

 

Il palazzo era diviso in tre piani, con scalinate mastodontiche e sfarzose, porte alte e intaccate con simboli vari, sale affrescate e dotate di grandi finestre; le stanze della primogenita erano nell’ala ovest, per volere di lei stessa.

Quella era una zona solitaria di palazzo, a tratti meno illuminata, ma preferiva così; non avrebbe incontrato spesso sua madre e i vari rappresentanti delle famiglie amiche alla sua, che quotidianamente venivano a far visita, per ribadire trattati diplomatici e alleanze.

Nel lungo corridoio si udivano solo i suoi passi sicuri.

 

 

“Bernadette! Bernadette! Maledizione, dove sei???” – iniziò a chiamare a gran voce, che tutte le stanze in un attimo rimbombarono d’eco.

Una giovane serva, minuta e sua coetanea, salì di corsa le scale, rischiando anche di inciampare per la fretta.

“devo correre, devo correre! – si ripeteva tra sé, salendo più veloce che poteva - …quando la padrona chiama devo correre…”

Arrivò davanti alla mora, la quale sciogliendosi il mantello nero e lungo glielo lanciò con forza.

“quante volte devo dirti che quando ti chiamo devi scattare! Sei stata affidata a me, questa è la tua zona. Che sia l’ultima volta che devo ripetertelo.”

“vi chiedo scusa mia signora…” – facendo un inchino.

“e non chiamarmi mia signora! – stavolta la giovane serva non rispose proprio. – preparami un bagno caldo e…-si fermò un attimo-…e prendimi il vestito più bello…”

“sarà fatto mia sign…ehm duchessa comandante!” – Bernadette si avviò con gran fretta al suo lavoro; a Julia scappò quasi da ridere, ma anche se con difficoltà si trattenne, sforgiando solo un delizioso sorriso.

 
 
  
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