Anime & Manga > Ranma
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Autore: S t r a n g e G i r l    29/10/2012    4 recensioni
Niente magie, niente maledizioni in queste storia.
I nostri amati personaggi tutti calati in vesti mai viste. Una Au dai contorni scuri e gotici.
Lui, vittima sacrificale. Lei, la sua carnefice.
Esiste anche in un universo di assassini il lieto fine?
Questa storia era stata postata tempo addietro sotto il nome di ''Fighting for a chance''.
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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You see all my light and you love my dark.

Second. Fearless.



Dimentica le armi e dimentica le munizioni perché li sto uccidendo tutti nelle mia piccola missione.
Adesso non sono una santa ma non sono una peccatrice.
Non so più cosa sia giusto e cosa sia reale.
Non so più come debba sentirmi e quando pensi che diventerà tutto chiaro?
Perché sono stata sovrastata dalla paura. [Lily Allen.]


La sua presa si serrava di attimo in attimo sempre di più sulla mia gola, fino ad ostruirmi le vie respiratorie.
Sbarrai gli occhi, incredula, artigliandogli le braccia con le unghie, graffiandolo come una tigre inferocita.
Haranobu mi aveva addestrato abilmente ed io avevo appreso con facilità, fino a diventare la sua prediletta, l’arma migliore al suo arsenale: un sicario praticamente imbattibile.
Com’era possibile, allora, che quel pivellino riuscisse a tenermi testa senza mostrare troppo sforzo?
La rabbia animò il mio corpo d’istinto, prima ancora che potessi ragionare su una strategia per liberarmi.
Sollevai una gamba e sferrai un calcio all'indietro con quanta più potenza mi permise la scomoda posizione.
Gli colpii uno stinco e lui mi imprecò nelle orecchie, mentre si piegava dal dolore, lasciandomi andare.
Mi sfilai dal suo abbraccio mortale, scivolando verso il basso con una mossa fluida, ma forse non sufficientemente veloce.
Sentii il cappuccio che scivolava via dalla testa, rimanendo in mano a Ranma.
Mi allontanai da lui con rapidità, portandomi nella porzione di stanza scarsamente illuminata dai raggi lunari che filtravano dalla finestra, e che, invece, accarezzavano dolcemente la sua figura, facendo rilucere i suoi occhi come zaffiri grezzi.
Si rialzò, reggendosi alla scrivania alla sua destra, e sollevò il mio cappuccio come un trofeo, ghignando.
< Fatti vedere in faccia. > mi sfidò, alzandolo di più.
Brandii la spada con entrambe le mani e la lama riverberò di luce, illuminando quasi a giorno la stanza.
Serrai i denti, sperando che l'oscurità fosse ancora tale da nascondermi.
< Stavolta non riuscirai a sottrarti al tuo destino. > sibilai, ricordando con stizza la forza della sua presa sul mio collo già provato.
< E sarebbe morire per mano tua? Chi ti manda? > Ranma allargò le braccia, in un gesto altezzoso e spavaldo, che sapeva di ironia.
Rimasi interdetta: era la prima volta che mi capitava di uccidere qualcuno che non era spaventato all'idea di morire.
Osservai i suoi occhi e non vi lessi alcuna traccia di supplica o terrore.
Quello spettro inquietante io lo conoscevo bene. Negli angoli bui delle mie iridi aveva dimorato davvero a lungo. Forse talmente tanto da essersi cibato di tutto ciò che vi avevo nascosto quando ero nient’altro che una ragazzina spaventata.
Un brivido mi scosse il cuore, ma lo ignorai.
Ero una guerriera ed ero in grado di mantenere il sangue freddo anche in situazioni spinose come quella.
Soltanto che la spavalderia che quel Ranma dimostrava...mi confondeva.
Io avrei tremato come una foglia di fronte alla mano di quello che si dichiarava il mio boia.
Lui, invece, mi veniva incontro a braccia spalancate, come se volesse accogliermi in un abbraccio.
< Non sono tenuta a dirtelo. > gli risposi con tono scostante.
Devo tenermi a distanza dalle emozioni che quel suo comportamento suscitava.
Dovevo agire prima di commettere qualche stupido errore che mi costasse caro.
Saggiando il pavimento con un piede, mi avvicinai a lui di un passo e la lama gli toccò di nuovo la gola.
< Dimmelo e poi avanti, uccidimi! > esclamò, allargando ancora di più le braccia, come se la sua sorte non lo riguardasse.
Il cappuccio dondolò, pendendo dalle sue dita.
< Chi ti manda? > ringhiò e nello stesso tempo avanzò, fino a farsi scivolare la lama a lato del collo. Il metallo tagliente gli incise la carne, provocandogli una ferita profonda che prese a vomitare fiotti copiosi di sangue.
La sua camicia si inzuppò presto ed il rosso cremisi che ne macchiava il candore mi attrasse, tuttavia mi trovai ad indietreggiare intimorita di fronte alla spavalderia che lui dimostrava.
La mia mano mi tremò impercettibilmente, ma Ranma dovette sentirlo, poichè fece un altro passo.
< Chi ti manda? > ripetè alzando la voce.
Assottigliò gli occhi e prese la lama della spada a mani nude e la gettò a terra.
Sfoderai fulmineamente il pugnale, ma arretrai fino a sbattere contro il muro.
Deglutii più volte, ma mi sembrava di ingoiare manciate di ghiaia.
Ranma arrivò ad un soffio dal mio viso, incurante della lama corta che gli premeva contro l'addome.
< Dimmelo, Akane! > ordinò imperioso, flettendo, però, dolcemente la voce nel pronunciare il mio nome.
Il mio cervello tagliò i ponti con la bocca e così mi ritrovai a rispondergli, senza realmente volerlo, ammaliata dall'intensità del suo sguardo cristallino.
Aveva lo stesso colore delle acque del fiume in cui da piccola avevo lavato decine di volte i capelli alle mie bambole di stoffa.
< Il tuo capo villaggio. > mormorai, mentre il solito conato di nausea mi assaliva.
Mi succedeva sempre quando l'odore pungente di sangue mi aggrediva prepotente le narici.
Non mi ci ero mai abituata del tutto. O forse era colpa dei sentimenti che la presenza di quello strano ragazzo col codino resuscitava.
Arricciai il naso, ma serrai la presa sull'elsa del pugnale.
Alla luce della luna i suoi denti brillarono come diamanti e mi resi conto che stava sorridendo.
Lo fissai sconcertata, ritrovandomi a pensare che aveva un bel sorriso, dopotutto.
< Daisetsu. > sibilò con veleno, ghermendomi il polso della mano con cui reggevo l'arma.
< Non uccidermi, Akane. > disse, ma il suo tono non era affatto una supplica. Era una imposizione.
Involontariamente rabbrividii quando il mio nome fuoriuscì di nuovo dalle sue labbra piene, così vicine alle mie.
< Dammi un motivo. > risposi, cercando di divincolarmi dalla sua stretta.
Ranma alzò una mano e mi sollevò il mento con due dita.
< Non ne hai bisogno. Non ho commesso alcun crimine per cui debba pagare. Lasciami vivere. > mormorò con una semplicità disarmante.
Non c’erano parole suadenti o doppi fini in ciò che aveva detto.
Nuda e cruda verità.
Da quando qualcuno, nel mondo, si era eretto così in alto da guardare gli altri suoi simili con disgusto e innalzarsi a Dio, decidendo della loro sorte?
E perchè io mi inginocchiavo di fronte a questi uomini, ponendo i miei servizi a loro vantaggio?
Qual’era la ragione?
Ce n’era una? O davvero era come insinuava Ranma? Non ve ne era alcuna.
< Non sono io a deciderlo, mi spiace. > sussurrai, togliendo le sue mani dal mio viso con sdegno.
< Allora lasciami più tempo per sistemare le cose. > propose lui, deciso, cercando di dissuadermi con quegl'occhi blu intenso.
Mi sentii smarrita come quando fuggii dal mio villaggio e Haranobu mi trovò in fin di vita.
I demoni che lui mi aveva donato si agitarono inquieti nel mio corpo, bramando sangue.
Ciò che restava di Akane Tendo, invece, cercava di ribellarsi e di abbassare il pugnale.
Era come se ognuna delle due parti tirasse la mia anima, diventata improvvisamente un lenzuolo rattoppato le cui cuciture non reggevano più.
Se non avessi preso posizione mi sarei strappata a metà.
Guardai Ranma negli occhi e, chiudendo i miei, affondai la lama nel suo addome.
Il suo sguardo si fece stupefatto e subito si accasciò a terra, reggendosi il ventre con entrambe le mani, dalle cui dita filtrava sangue vermiglio che stava formando rapidamente una pozza ai suoi piedi.
I miei demoni esultarono e finalmente si acquietarono, smettendo di tirare.
Sospirai di sollievo, costringendomi ad ignorare sia loro che i rantoli di Ranma, riverso a terra in stato di semi-incoscienza.
La difficoltà che avevo incontrato nel portare a termine la missione mi aveva reso inquieta.
Non mi era mai successo di provare rimorso o di sentirmi lo stomaco aggrovigliato dalla paura.
Ero io, solitamente, che ne incutevo agli altri, non viceversa!
Ma il modo in cui quel ragazzo mi aveva osservato, aveva azionato di nuovo quel cuore che a lungo avevo dimenticato e aveva intaccato la corazza che avevo eretto con così tanta fatica attorno a me per essere protetta da qualsiasi emozione.
Quella notte, tornando ai sotterranei sapevo che avrei dovuto ricostruirla pezzo dopo pezzo o non sarei stata più in grado nemmeno di reggermi in piedi.
Ero un'assassina...e gli assassini non avevano né coscienza né indugi, come ne avevo avuti io quella sera.
Potevo ancora definirmi tale?
C’era un’esistenza a cui far ritorno oppure avrei dovuto ricominciare daccapo di nuovo?
Saltai sulla finestra, gettando un'ultima occhiata al corpo di Ranma disteso a terra, bagnato dal suo stesso sangue.
L'aria frizzante della sera mi sfiorò la pelle delicata del viso, ma non andai a riprendere il cappuccio.
Se l'avessi fatto non sarei più uscita da quella casa.
Sarei rimasta a curare una ferita che io stessa avevo inferto.
Perciò balzai a terra, senza produrre il minimo rumore, e mi lanciai in una folle corsa diretta al rifugio e decisa ad ignorare quella goccia di dolore che mi colò sulla guancia mentre mi allontanavo.

E' incredibile quante delle lettrici originarie siano ancora qui, ad accogliermi calorosamente e ad incoraggiarmi a proseguire e non mollare.
La voglia di finire questa storia cresce esponenzialmente col vostro sostegno, perciò vi ringrazio con tutto il cuore.
Il vostro calore, per me, è tanto.
Sono emozionata, non vedo l'ora di leggere altre vostre recensioni e di riabbracciare strada facendo tutte coloro che ho perso.
Vi abbraccio forte con le lacrime agli occhi. Piango troppo spesso ultimamente.

Strange.
   
 
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