Titolo: Back to Innocence, No Need
for a Soul.
Fandom: Bleach
Characters: Grimmjow/Orihime, Ulquiorra
Rating:
PG-13, per riferimenti a temi adulti (ehm… sapete tutti da dove vengono i bambini vero?) e linguaggio volgare.
Tema: Ritorno
a casa (viene svolto, ve l’assicuro, anche se
nell’ultima pagina ^^; )
Warnings: Spoilers fino al cap. 273,
una versione alternativa della storia a partire da
quel momento. OOC da parte di Grimmjow. Sì, lo so, mi
sto autoflagellando già. La mia caratterizzazione di Orihime è pesantemente influenzata dagli ultimi capitoli
(ma si ripiglia, abbiate fede!).
Summary: “Se anche qualcuno è la causa della tua esistenza,
ciò non significa che essa gli appartiene! Noi non appartenevamo ad Aizen, dannazione, nessuno di noi, ci ha risvegliati
per usarci e ci controllava con il suo potere! E che
tu ora non veda l’ora di essere controllato da Hime
solo perché lei ha il potere di distruggerci è pura e semplice idiozia! Cazzo,
persino lei te lo direbbe! Perciò piantala di
aspettare che in lei si risvegli non so che grande leader e trovati qualcosa da
fare!!!”
La colpa di questa fanfiction è di Tite Kubo, che ti sbatte lì
personaggi con poteri troopo grossi per non poterci
far casino!
Grazie a Levyrasputin
per il beta-reading! ^___^
Originariamente scritta per http://community.livejournal.com/mezzadozzinafic/
(andate e partecipate!!!!)
Hueco Mundo non era certo mai
stato un posto rumoroso. Ora era praticamente una
tomba. Grimmjow camminava lungo i corridoi di Las Noches, le mani in tasca, non facendo nemmeno più caso al
modo in cui ogni passo risuonava fragoroso nel vuoto. Non soffriva
certo la solitudine… in quel deserto il reiatsu degli
unici altri tre abitanti di quella casa di bambole morte si stagliava
gigantesco, sempre presente. Era impossibile sentirsi soli.
Svoltato un angolo si trovò faccia a faccia con la presenza di due di essi, appena
dietro una porta. La spinse senza curarsi di bussare, entrò e per poco non inciampò
sulla cosetta vestita del bianco degli arrancar che, accoccolata dietro alla
porta, era saltata su ad abbracciargli una gamba con un gridolino di gioia…
“Che cazzo…
Hime, non riesci a tenerla ferma?!”
La ragazza seduta su un
divanetto nel centro della stanza alzò gli occhi dal quaderno su cui stava
scrivendo e sorrise debolmente alla vista dell’Espada
che aveva sollevato leggermente la gamba a cui la bimba si era saldamente
aggrappata.
“Ti ha sentito arrivare… ” Grimmjow scosse un po’ la gamba, nel tentativo di farla
staccare senza farle troppo male, e per tutta risposta
la piccola gli si abbrancò come un koala. Orihime rise, piano. “Le sei mancato.”
“Non è che
sia stato via un granchè…” bofonchiò Grimmjow, ma vedere Orihime reagire con un minimo di
vivacità a qualcosa era un interessante cambiamento rispetto alla solita,
totale apatia, e valeva la pena tentare di mantenerlo. Prese la bambina per il
dietro della sua maglietta e la tirò via il più delicatamente possibile,
reggendola penzoloni al suo fianco, cambiamento di posizione a cui la bimba
reagì con risolini eccitati, dondolandosi. L’arrancar si avvicinò alla ragazza,
che chiuse il quaderno e lo posò al suo fianco sul divano. Grimmjow
non tentò nemmeno di dare un’occhiata alle pagine
scritte fittamente, non ricordava come leggere la scrittura umana. Anche se,
vista la recente carenza di cose interessanti da fare,
avrebbe anche potuto chiedere ad Orihime di dargli delle lezioni. Tanto prima o poi avrebbe dovuto farle alla mocciosa, no? Vista la velocità con cui stava crescendo, probabilmente il mese
prossimo. Orihime gli rivolse un mezzo sorriso, ed allungò le mani verso
la bambina.
“Scusami. Alia, vieni qui, dai fastidio…” Grimmjow per un istante pensò di dirle che non importava,
ma poi le porse il fagottino, non fosse mai che pensasse lui volesse tenerle
lontana la mocciosa, o farle del male. La bimba emise un’esclamazione
oltraggiata e tentò di rivoltarsi e aggrapparsi a lui, mentre Orihime la
riprendeva in braccio. Alia sembrava pronta a mettere
su uno spettacolo di pianto e Orihime si affrettò a cullarla, cercando di
calmarla con frasi appena sussurrate. Presto sembrò dimenticarsi della presenza
di Grimmjow, scivolando in quello strano mondo
privato in cui solo madre e figlia esistevano.
Quel mondo, pensò Grimmjow, grazie al quale lui esisteva ancora, e non era
scomparso come tutti i suoi fratellastri. Quasi tutti.
“Sto andando fuori. Cosa ti serve?” disse alla fine.
“Eh?” Lo sguardo che Orihime
gli rivolse era di nuovo lontano, come se dovesse fare una certa fatica per
ricordarsi chi lui fosse, che avesse a che fare con lei. Grimmjow
imprecò mentalmente. Andata di nuovo. Ma che cazzo
doveva fare?
“Fuori. Nel tuo mondo. Devo
prendervi del cibo.”
“Ah… sì. Alia
ha bisogno…” guardò la piccola, gli occhi dello stesso
castano profondo della madre, ma infinitamente più vivi.
“Quella roba che mangia lei,
sì. E quegli affari che si mette.” Disse in fretta
l’arrancar. La lezione sui bisogni dei neonati, probabilmente il picco di
reattività di Orihime negli ultimi mesi, era rimasta
impressa a fuoco nella mente di Grimmjow: non avrebbe
mai nemmeno lontanamente iniziato a comprendere le dinamiche del tutto, ma il
comportamento da tenere gli si era saldamente impiantato in testa. “Volevo
sapere se ti serve altro. Non so, vestiti, qualunque cosa.”
Orihime non staccò gli occhi
dalla bambina. Grimmjow aspettò, nervoso, sentendo la
solita, inutile rabbia crescere lentamente. Infine la ragazza scosse la testa.
“Niente” disse l’arrancar,
piegando la bocca in una smorfia sconfortata.
Silenzio.
Bene, era il momento di
andarsene, prima che la voglia di afferrare quel bambolotto per le spalle e
scuoterlo urlandogli contro fino ad ottenere qualche reazione o romperlo nel
tentativo avesse la meglio. Non ne poteva venire fuori
nulla di buono, per lui per primo.
Grimmjow si girò ed uscì dalla stanza. Mentre
chiudeva la porta sentì la bimba chiamare, triste, arrabbiata. Siamo in due, mocciosa
pensò.
Si fermò solo per un
istante, concentrandosi per individuare la posizione di Ulquiorra, il suo non certo apprezzato unico compagno in
quel dannato inferno. Era lontano, nel deserto, probabilmente a caccia di Menos Grande abbastanza
potenti da fornire un diversivo. Esattamente quello
che stava facendo lui fino a poche ore prima. Gli shinigami
là fuori dovevano essergli grati… avevano fatto fuori
tanti di quegli Hollow, negli ultimi mesi, che il
loro lavoro doveva essere diminuito parecchio. Del resto, era l’unico
passatempo, a parte combattere tra di loro. Grimmjow sospettava che a furia di scontri quasi all’ultimo
sangue il loro livello fosse diventato abbastanza alto
da superare entrambi quello del vecchio Primera
Espada. Non che ciò servisse a molto… a parte gonfiare il suo
ego dato che ora era davvero molto vicino in forza al fottuto ex-quarto nella gerarchia. E poi sentirli combattere
era una delle pochissime cose a spingere Orihime fuori dalle
sue stanze, oltre alle fughe della bambina, che, pur non sapendo ancora mettere
quattro sillabe in fila, si arrampicava sui muri e saltava da un piano
all’altro dei palazzi come niente fosse. Buon sangue…
In realtà, Grimmjow doveva ammetterlo, la presenza, silenziosa,
semi-nascosta eppure, seppur involontariamente, minacciosa della ragazza era
probabilmente l’unico motivo per cui Ulquiorra non l’aveva ucciso quasi subito dopo quello che
era successo.
Bah, meglio non pensarci.
Grimmjow aprì un varco e lo attraversò, un breve spazio di
buio completo, e poi la semioscurità di un vicolo, in una zona periferica di Karakura.
Istintivamente l’arrancar
ridusse la presenza del suo reiatsu. Fino ad allora non si era mai imbattuto in shinigami,
o altri fastidi, e parte di lui se ne dispiaceva. Un enorme parte di lui. La
stessa che solo due settimane prima gli aveva fatto distruggere un’intera ala
del palazzo a pugni, ed essendo questo fatto di materia spirituale che tendeva
ad autoricostruirsi non era
stato così facile.
Grimmjow voleva combattere contro qualcuno.
Combattere per davvero, fino ad ucciderlo o essere ucciso. Cazzo, a parte le
schermaglie con Ulquiorra non aveva più combattuto
per davvero sin dallo scontro lasciato in sospeso con quel… quell’essere
che faceva la spola tra hollow e shinigami,
quell’umano la cui morte aveva dato origine a tutto…
Si accorse di aver afferrato
e sbriciolato un pezzo di muro, e si costrinse a calmarsi. Con una smorfia
infastidita si cacciò le mani in tasca e uscì dal vicolo, in cerca di un posto
dove procurarsi ciò che gli serviva.
Sì, era
stata la morte di quel Kurosaki-kun, come lo chiamava
Hime, che in un certo senso aveva dato il via a
quella follia. Era stato Ulquiorra a batterlo e a lasciarlo morente, fregandosene
anche delle più semplici regole del combattimento, tipico di quello stronzo.
E Grimmjow aveva deciso di
approfittarne. Quando aveva sentito il reiatsu dell’umano,
per mancanza di un termine migliore, affievolirsi fin quasi al punto di
scomparire, era andato a prendere Orihime, eliminando quelle due mosche
fastidiose nel mentre, quello era stato un piacevole diversivo,
e l’aveva trascinata fino al luogo dove giaceva il suo amico, quel compagno che
teneva a lei tanto da affrontare tutte le legioni degli arrancar per venire
salvarla… bè, ecco che poteva ripagarlo. Salvandolo
da morte certa e rimettendolo in piedi… perché finalmente lui e Grimmjow potessero finire una
volta per tutte quel dannato scontro già due volte interrotto. Era un atto di insubordinazione, a dir poco, qualcosa per cui quel
bastardo di Tousen avrebbe potuto avere la sua testa
su un piatto d’argento, ma in quel momento non gliene poteva fottere meno. Era il suo stesso sangue a
urlare perché lo facesse, era il frammento della sua maschera e la cavità dove
un tempo era stata la sua anima… ed erano arrivati giusto in tempo per
incrociare Ichimaru, il sorriso da volpe appena un
po’ più maligno del solito, che se ne tornava ai suoi computer dopo aver dato a
Kurosaki il colpo di grazia.
Perso.
Orihime… Grimmjow era sicuro che
si fosse spezzata, ed il suo urlo l’aveva colto di sorpresa. Certo non
abbastanza da impedirgli di bloccarla, prima che lanciasse uno di quei cosi,
quegli strani esseri che credeva servissero solo a guarire, contro Ichimaru, un attimo prima che
rientrasse nel palazzo. Non l’aveva fatto. E si era
chiesto perché diavolo ciò non gli fosse costato la vita. Forse Aizen-sama aveva già previsto in parte quello che sarebbe
dovuto succedere. Anche se non abbastanza bene.
Una vetrina scura.
L’arrancar l’attraversò e si guardò intorno. Una serie di
scaffalature e alcuni banconi… un minimarket, o come si chiamavano.
Iniziò a frugare tra le scatole ed i barattoli, mettendone alcuni in uno dei
cestini di plastica che c’erano per terra. Prese una serie di scatole che
avevano sopra l’immagine di bambini, sulla fiducia. La mocciosa aveva bisogno
di cibo umano, come quello che serviva a sua madre, eppure era in grado di
assorbire anche le particelle spirituali che riempivano l’atmosfera dello Hueco Mundo.
Probabilmente era a queste che doveva il suo rapido
sviluppo fisico, come del resto molto più breve era stata la sua gestazione,
almeno a detta di Hime. Com’era, quattro mesi al
posto di nove… o erano dieci?
Dopo il piccolo “incidente”,
dopo che gli altri quattro tra esseri umani e shinigami
erano stati tutti eliminati (due di loro erano addirittura riusciti a far fuori Arroniro e Zael, niente male c’era da dire), Aizen-sama
aveva assegnato a Grimmjow la custodia di Orihime,
facendo di lui l’unico Espada non alle prese con le sempre più frequenti
schermaglie sul campo con gli shinigami. Ce n’era
abbastanza per essere infuriati… ma Grimmjow era troppo occupato a meravigliarsi di essere
ancora tutto intero dopo aver lasciato che il secondo di Aizen-sama
venisse ferito, seppur in modo non grave, per lamentarsi. E non c’era certo
motivo, o divertimento, nel rifarsi su quella inutile,
patetica creatura. Si limitava a controllare che mangiasse, eventualmente obbligandola
con la forza, ed a stare intorno alla sua porta, controllando che non tentasse
di uccidersi. Ogni tanto se ne usciva con qualche commento sulla battaglia
imminente, più che altro per vedere le sue reazioni. La osservava, sì, non
c’era niente di meglio da fare, chiedendosi annoiato dove, sotto quell’aria
fragile, fosse nascosto il potere che gli aveva
restituito il suo braccio sinistro. Non pensava però che lei l’avesse notato.
Quando, all’ora
in cui Grimmjow la lasciava da sola per dormire, la
ragazza l’aveva preso per un braccio, trattenendolo senza forza, lui era stato
il primo a stupirsi, ma non aveva certo lasciato che questo impedisse ad un
ghigno di disegnarsi sul suo volto. Non aveva idea di che cazzo le si stesse agitando nella testa, se quello fosse un
assurdo, idiota tentativo di trovare un po’ di conforto, o se molto più
probabilmente la ragazza stesse solo cercando un altro modo per farsi del male
e punirsi. Lui non si sarebbe certo fatta sfuggire l’occasione.
Lei lo attraeva, tutto era logico, ed immediato, ed un po’ si aspettava che,
presentandosi l’occasione, sarebbe andata a finire così, magari per sua propria iniziativa.
Quello che non si aspettava,
era di fermarsi, dopo averla sentita gridare di dolore, di sforzarsi di stare
fermo fino a sentirla rilassare un minimo, di cercare, dopo, di muoversi
lentamente, contento che il piacere che stava comunque
provando impedisse al suo cervello di indagare a fondo cosa diavolo stesse
cercando di fare.
Quello che non si aspettava
era il modo in cui lei gli si era aggrappata, dopo, mentre stava ancora
piangendo, obbligandolo a rimanere e, cazzo, da qualche parte doveva pur mettere
le mani, ad abbracciarla.
Quello che non si aspettava
era che la cosa continuasse, che in qualche modo riuscisse a diventare
fisicamente piacevole anche per lei (e che la cosa gli provocasse un
fortunatamente vago, non ben definito senso d’orgoglio che, se ci pensava su
appena fuori da quella dannata stanza, gli faceva
venir voglia di andare a sventrare qualcuno). Che si ritrovasse ad ascoltare Orihime mentre faceva un discorso assurdo appena svegliata,
partito dal frammento di maschera che aveva sul volto e che in qualche modo era
finito su una cosa che si chiamava rock anni 60 e sulla storia degli alieni di Roswell.
Che un
giorno aprisse gli occhi di scatto, la zanpakuto in
mano, sicuro che ci fosse qualcun altro dentro la stanza. Per poi rendersi conto che quel reiatsu,
debole, e così familiare, proveniva
da dentro la ragazza. Così dannatamente piccolo e fragile… sarebbe bastato un
suo pensiero, il dirigergli contro la
propria energia spirituale, per schiacciarlo, eliminare per sempre quel… quel
casino. Subito, mentre Hime dormiva, mentre, forse,
non se ne era ancora accorta.
Non l’aveva fatto, ed aveva
svegliato la ragazza, per chiederle spiegazioni, in realtà per impedirsi di
agire. Ed aveva pensato di essersi fottuto.
Grimmjow aprì una serie di barattoli, annusandone il contenuto,
finchè non trovò quelli che contenevano la marmellata
di azuki. Uno dei suoi cibi
preferiti, gli aveva detto Orihime durante uno dei suoi voli pindarici. Di
certo non gliene parlava ora… Frugò in giro finchè non trovò anche dei quaderni e delle matite. Anche
quelli, glieli aveva chiesti una sola volta, quando
ancora aveva la pancia gonfia, timidamente “…scusa, se mai ti capitasse di
passare da una cartoleria mentre sei là fuori…”. L’aveva fatto scoppiare a
ridere, quella risata dura che all’inizio la spaventava così
tanto, e che quella volta l’aveva fatta sorridere, quasi a scusarsi. Ora
non ne parlava più, ma continuava ad usarli, e Grimmjow
faceva in modo che la sua scorta su cui scrivere ossessivamente, che cosa poi
non si sapeva, non si esaurisse mai.
Ci poteva giurare, che Aizen-sama avesse pensato
all’eventualità. Dopo la morte dei suoi compagni, di cui Orihime non parlava
mai, se non come vaghi riferimenti quando le capitava di raccontare della sua
vecchia vita, la ragazza non aveva più usato nessuno dei suoi, a detta di Aizen-sama, così incredibili
poteri. Era stata la semplice curiosità che aveva spinto il signore di Hueco Mundo a lasciare che quella
possibilità così assurda, il figlio di una creatura morta e di un’umana dotata
di poteri unici, si realizzasse? O sapeva, supponeva già del quantitativo
incredibile, quasi irreale, di energia spirituale racchiusa in quell’… esserino raggrinzito e urlante che aveva fatto gridare di
dolore Hime per quasi una giornata intera. Al suo
posto, Grimmjow avrebbe preso seriamente in
considerazione l’idea di staccargli la testa appena si fosse degnato di uscire… ma in fondo quello avrebbe un po’ vanificato il
tutto. Una femmina, un cosetto con gli occhi, allora
ancora chiusi, di un castano caldo come quelli di sua madre,
priva della maschera ma con il palmo della mano sinistra attraversato da
un foro, a ricordare il suo lignaggio, e sulla testa qualche sparuto ciuffo
dello stesso color ghiaccio dei capelli di suo…padre.
Grimmjow si fermò, il pugno già alzato per spaccare il
lucchetto interno del negozio, e lasciò andare un sospiro esasperato. Perché
non mandava tutto a quel paese e non andava a cercarsi la sua battaglia finale,
contro gli shinigami o chi altro, a cercare l’unico
modo in cui per così tanto tempo era riuscito a
sentirsi vivo… Lo sapeva benissimo, per quanto la cosa lo infastidisse. Perché in quel pugno di carne che Orihime aveva insistito
per mettergli in braccio, e che lui le aveva restituito dopo meno di cinque
secondi per paura, paura di fargli
male, lui che viveva per infliggere
dolore ai suoi avversari in combattimento, c’era qualcosa di indiscutibilmente
suo. Un arrancar, un’anima divorata, un essere che pensava solo perché
qualcuno, nella fattispecie Aizen-sama, l’aveva preso
insieme ad una quintalata di
altri e fatto rinascere per poterlo usare. Eppure ora
esisteva qualcosa… di solo suo.
E Aizen aveva cercato di
usare anche lei, la piccola. La stanza di Hime era
vuota, e Grimmjow aveva chiesto a Wyce,
probabilmente l’unico altro arrancar con cui Orihime ogni tanto tentasse di parlare, se sapeva dove fosse finita. Era stato Ulquiorra a rispondergli, dietro le spalle. Aizen-sama aveva chiesto di lei e della bambina, nel
laboratorio. Era stato come se qualcuno annunciasse che il momento era giunto.
Si era trattato di un sogno bizzarro, assurdo, ed era finito. Era il momento di
ricordarsi che niente di tutto questo gli era necessario.
Grimmjow si era girato e si era precipitato verso il
laboratorio, usando il Sonido. I muri nel mezzo non
erano stati un problema.
Non aveva mai saputo quali fossero state le intenzioni di Aizen-sama.
Era però abbastanza sicuro che, qualunque cosa fosse, implicasse
la morte della bambina. Nient’altro avrebbe potuto provocare… quello. Quando
era arrivato, Orihime era in ginocchio, la bimba stretta tra le braccia, lo
scudo luminoso degli Shun Shun Rikka
tra lei e i tre shinigami reietti. I fiori non si
vedevano da nessuna parte però. Doveva aver già pronunciato la frase. Grimmjow era arrivato giusto in
tempo per vedere l’espressione di Aizen cambiare,
rendersi conto di cosa stava per succedere, frantumarsi nel panico…
E poi era scomparso.
A ripensarci, Grimmjow rimpiangeva di non aver avuto due secondi in più
per godersi la sua faccia. Sarebbe stata una soddisfazione incredibile.
Ma sul momento era troppo impegnato a guardare Ichimaru e Tousen scomparire
nello stesso modo, e così stava sparendo il reiatsu
di tutti gli altri, arrancar, espada, fracçiones.
Con il suo potere, con
quell’assurdo, divino potere, Orihime aveva negato l’esistenza stessa di Aizen. E
così facendo anche tutto ciò che da quell’esistenza era stato causato o
influenzato stava scomparendo o tornando nel posto dove sarebbe stato.
Anche…
Orihime alzò lo sguardo,
incrociando gli occhi dell’arrancar. Il suo sguardo era limpido e focalizzato,
come
“No.” Le sue labbra
formarono la parola senza emettere suono.
Ed era tutto finito. L’assenza era così pesante da
sembrare quasi viva, Grimmjow la percepiva sulle sue
tempie, sulle spalle… sentì il rumore di un passo dietro di sè.
Si voltò, e scoppiò a ridere, istericamente, così forte da sentirsi piegare le
gambe e doversi appoggiare con un ginocchio per terra.
Panico sulla faccia di Aizen… ed un espressione
sorpresa, qualcuno potrebbe addirittura spingersi a dire sconvolta, su quella
di Ulquiorra. Quella era una dannata festa.
L’Espada
sembrò sul punto di dire qualcosa, ma si trattenne, ed invece guardò con furia
(furia! Da non crederci!) il suo unico fratellastro rimasto. Finalmente Grimmjow riuscì a frenare le risate sguaiate. Si lasciò
cadere seduto, appoggiandosi sulle mani e scosse la testa. Non era possibile…
tutto… in meno di un secondo. Folle.
Lanciò un’occhiata ad Ulquiorra, che stava recuperando la finta maschera che era
il suo viso, ed in risposta al suo sguardo interrogativo
alzò le spalle. A momenti gli venne da ridere di nuovo.
“E’ salva.” La voce di Orihime li fece voltare e i due furono immediatamente consci
di una presenza, quella sì enorme, insieme a loro. Il viso della ragazza era
contorto nella parodia di un sorriso, mentre le lacrime le scendevano sulle
guancie. Si alzò in piedi, la bimba stretta al petto e si avviò verso l’uscita
del laboratorio. Mentre lo superava, Grimmjow riuscì a vederlo, il modo in cui il suo sguardo si
spegneva e la ragazza si trasformava in quella bambola di pezza che era stata
nei mesi seguenti.
E così si erano ritrovati,
unici signori di un mondo cavo, privato anche della parodia di vita con cui
l’utopia di Aizen l’aveva
popolato. Soli, ed entrambi perfettamente consci di essere in
compagnia di qualcuno che poteva cancellare la loro esistenza con un semplice
pensiero. Era abbastanza semplice capire perché solo loro due fossero
stati risparmiati, almeno a detta del supponente Quarta Espada.
Orihime aveva cancellato Aizen e fatto partire una
reazione a catena che aveva, letteralmente, modificato il mondo, mettendolo
nella posizione che le cose avrebbero ricoperto se lo shinigami
chiamato Aizen Sousuke non
fosse mai esistito. Ma ciò, in definitiva, avrebbe eliminato anche la presenza di Alia… e la ragazza era
intervenuta, appena se ne era resa conto, bloccando il processo e mantenendo
l’esistenza dei due individui che, dopo Aizen, erano
immediatamente responsabili della sua nascita: Ulquiorra
che l’aveva portata nello Hueco Mundo
e Grimmjow che… bè, il suo
ruolo era chiaro.
Ovviamente non poteva essere
così semplice. Grimmjow faceva fatica a concepire un
intero universo che, semplicemente, prendeva atto del vuoto e si spostava a
colmarlo, e si riformava intorno a quattro individui la cui esistenza, o
presenza in quel posto, non aveva altra ragione di essere
che la volontà di una ragazzina. ‘Sti
gran cazzi del potere divino… Inoltre, più ci rifletteva più si convinceva che
se Orihime ci avesse pensato, avrebbe potuto affermare l’esistenza di sua
figlia indipendentemente anche da lui e Ulquiorra,
lasciandoli sparire entrambi. Forse, l’unico motivo per cui
lui era lì, a camminare nell’aria della notte una decina di metri sopra le
strade di Karakura per mancanza di meglio da fare,
era che ad Orihime questo non era ancora venuto in mente.
Si sollevò un altro paio di
metri, lasciando che la percezione del reiatsu si
allargasse senza metterci la propria volontà, cercando pigramente qualche picco
di forza interessante.
Sentì delle voci agitate,
sotto di sé, ma non vi prestò particolare attenzione. Era
invisibile agli umani, e con la debole luce dei lampioni i sacchetti di
plastica sospesi a mezz’aria non si facevano certo notare.
La voce ci mise un po’ a
raggiungere la sua memoria, ma quando le parole mezze gridate riuscirono
finalmente a risvegliarla l’arrancar si bloccò nell’aria, abbassando lo sguardo
in fretta.
-/-/-/-
“Muoviti!!!
Non ci posso credere, sono quasi le dieci! I miei mi ammazzeranno… gran bella idea, eh, la tua!” Una ragazza, sui quindici, sedici
anni, i capelli neri e corti e l’aria infuriata. Correva con una borsa da
ginnastica in spalla, ed un kimono appallottolato sotto il braccio.
“Ma se sei stata tu ad avere
l’idea dell’incontro di lotta dopo le lezioni?!? Ach…” Il ragazzo che la tallonava rischiò di inciampare sul
marciapiede, ma riprese l’equilibrio in tempo e continuò a correrle dietro.
“Che c’entro io con quell’idiota del custode che ci ha chiusi
dentro?!”
“Potevi guardare l’ora,
stupido!” La ragazza svoltò bruscamente in un vicolo, mentre il suo inseguitore
si fermava, ansimando. Evidentemente le strade di casa si dividevano. Un attimo prima di sparire dietro un altro angolo, la
ragazza si girò, e gli fece una boccaccia. Il ragazzo, che stava riprendendo
fiato appoggiandosi con le mani alle ginocchia, sbuffò.
“Sempre colpa mia, eh, Tatsuki?” Fece un respiro profondo e si raddrizzò,
infilandosi l mani in tasca. Alzò gli occhi verso il
cielo, pensando alla discussione che gli sarebbe
toccata anche a lui con i suoi genitori, per il ritardo. Poi notò qualcosa, una
specie di macchia bianca, sfocata, appena in alto a destra. Si sfregò gli
occhi, e li socchiuse, tentando di metterla a fuoco.
Infine sbuffò, passandosi una mano tra i capelli, di un color arancione vivo
sufficiente a renderlo visibile nella notte.
“Hey,
se sei uno spettro farai meglio a lasciar perdere!”
esclamò ad alta voce. “Non riesco a sentirti, né a vederti tanto bene, meglio
se ti cerchi un medium migliore!” Tipo Karin, pensò, ma evitò di dirlo ad alta
voce. Ci mancava solo che arrivassero altri fantasmi a rompere le scatole alla
sua sorellina, già normalmente con i nervi scoperti.
L’ombra bianca tremò per un
istante, come se dell’acqua si fosse improvvisamente frapposta tra loro due, e
poi scomparve. Il ragazzo sbattè le palpebre, con
un’espressione perplessa. Quelli che aveva visto per un istante sopra la sua testa…
non erano sacchetti della spesa, vero?
Fece le spallucce, un’altra
cosa strana da aggiungere alla lista del “perché la vita di Kurosaki
Ichigo è così interessante, se non la devi vivere”, e
si avviò verso casa.
-/-/-/-
Nella sua stanza, nascosta
tra i corridoi di Las Noches, Orihime scrisse
l’ultima parola, chiuse il quaderno e respirò profondamente. Dal punto in cui
era accoccolata per terra, intenta a giocare con gli animaletti di plastica frutto di una delle ultime scorrerie di suo
padre, Alia alzò lo sguardo sulla sua mamma,
incuriosita dal cambiamento che percepiva senza comprendere.
Orihime lasciò che un
sorriso sollevato le si disegnasse sul volto. Li aveva
trovati, tutti quanti. Ognuno era dove doveva essere, e forse era il momento
che si muovesse anche lei.
Posò il quaderno insieme agli altri, le costine creavano un arcobaleno colorato, e
respirò a fondo di nuovo, concentrandosi.
Non era sicura… di
ricordarsi come si facesse.
Un istante dopo qualcosa, sospettosamente simile ad un calcio volante in
miniatura, la colpì sulla nuca.
“Brutta cretina!!!!” Tsubaki ululò. “Ma quanto ci
hai messo?!?”
-/-/-/-
Grimmjow entrò nello Hueco Mundo, mollò le borse per
terra e restò lì a guardarsi intorno , indeciso sul da farsi e reso ancora più
furibondo dalla sua incertezza
“Grimmjow.”
O, bene, quel che ci mancava… Si voltò, esasperato, incrociando lo sguardo di Ulquiorra, appena entrato nel
salone. “C’è qualcosa che…” L’ex-quarta Espada si interruppe,
scrutando l’espressione di Grimmjow. Diede un’occhiata agli oggetti proveniente dal mondo,
abbandonati per terra.
“Cos’è successo?”
chiese.
Grimmjow scosse la testa, e si lasciò scappare una breve
risata. “Quell’umano. Kurosaki, quello che Ichimaru ha ucciso.
L’ho appena visto.”
“Ah.”
“…Non hai proprio
nient’altro da dire?!” Per poco Grimmjow
non gli saltò alla gola. Che cazzo di reazione era
quella?
Ulquiorra lo guardò con appena un po’ di compatimento. “Anche la sua vita è stata influenzata da Aizen-sama.
E la sua morte. E’ logico che in sua assenza le cose
si siano sviluppate diversamente… non è mai venuto qui
a combattere con me, tanto per iniziare.”
“Ma…”
Grimmjow sollevò le mani, passandosele tra i capelli.
“…non capisco, lei, cosa diavolo sta aspettando?! Se tutto nel suo mondo è tornato alla normalità, di questo
se ne deve essere resa conto, se anche la persona che… che amava è viva e
vegeta… Cosa diavolo ci fa ancora qui, perché non è ancora tornata a casa? Non
è per la bambina, potrebbe vivere tranquillamente anche nel mondo umano, passerebbe per umana… Cosa diavolo ci facciamo noi ancora
vivi?” Iniziò a sogghignare, amaramente. “Cosa ci fai
tu ancora vivo, Ulquiorra, dopo che il tuo padrone,
con tutti i suoi sogni ed i suoi ideali è scomparso? Cosa
aspetti, che qualcuno ne prenda il posto? Sei incapace anche solo di decidere
di andartene da qui e cercare un nuovo scopo per la tua inutile esistenza.”
Ulquiorra non battè ciglio, e quando
parlò le sue parole risuonarono appena di derisione.
“E’ inutile ascoltarti
parlare di significati e scopi… tu che non ti sei nemmeno mai chiesto perché
fossi vivo.”
“Oh, sì che me lo sono
chiesto” Grimmjow gli sputò le parole contro. “Sono
vivo perché una mocciosa per qualche motivo ha deciso che dovevo esserlo… e se
parli di un motivo prima che ci ritrovassimo in questa
situazione di merda, bè, non ce n’erano e non me ne
importava.”
Ulquiorra proseguì come se non l’avesse nemmeno sentito “Non mi interessa sprecare energie in inutili dimostrazioni della
mia esistenza. Se sono sopravvissuto ad Aizen-sama
significa che c’è qualcosa che devo fare, qui, al suo posto.”
“Progetti di riprendere in
mano il cammino verso l’utopia?” Quanto odiava quella stupida parola… “Bè, non ti ho visto darti molto da fare al riguardo… o
forse, aspetta, non dirmelo…” Il ghigno di Grimmjow
gli andava da un orecchio all’altro. “Sei qui che aspetti e speri che sia
Orihime, con tutto il suo potere, a prendere in mano la situazione! Tu hai
bisogno di seguire qualcuno, non sei in grado di decidere da solo da che parte
stare… bè, lascia che ti dica una
cosa dannato idiota.” Di scatto, Grimmjow
attraversò la breve distanza che li separava ed afferrò Ulquiorra
per il bavero del suo vestito, avvicinando il viso al suo.
“Se
anche qualcuno è la causa della tua esistenza, ciò non significa che essa gli
appartiene! Noi non appartenevamo ad Aizen,
dannazione, nessuno di noi, ci ha risvegliati per
usarci e ci controllava con il suo potere! E che tu
ora non veda l’ora di essere controllato da Hime solo
perché lei ha il potere di distruggerci è pura e semplice idiozia! Cazzo,
persino lei te lo direbbe! Perciò piantala di
aspettare che in lei si risvegli non so che grande leader e trovati qualcosa da
fare!!!”
Le parole urlate risuonarono
nel salone, rimbalzarono tra i corridoi vuoti e vi si persero
mentre, esaurito lo sfogo Grimmjow taceva, gli
occhi saldamente piantati in quelli verde scuro di Ulquiorra.
Stava tremando per la tensione e la rabbia.
“E
tu?” La voce dell’arrancar tradiva appena la minima irritazione, come sempre.
Sollevò una mano e afferrò il polso di Grimmjow, che
mollò la presa sul suo vestito e fece un paio di passi indietro. “Qual è la tua
scusa per non essertene ancora andato e-” Si interruppe,
come se avesse percepito qualcosa. Poi fece il più piccolo accenno di un
sospiro rassegnato e si rimise le mani in tasca. “Certo” mormorò. E poi: “Farai meglio a non attaccare.”
Grimmjow aprì la bocca per chiedergli spiegazioni, ma prima
che potesse farlo la botta di reiatsu in movimento lo
colpì dietro la testa, mozzandogli il fiato. E fece
appena in tempo a bloccare il suo istintivo contrattacco, che qualcosa di molto
più solido gli atterrò sulla schiena, aggrappandosi al collo della giacca.
“DA-DAH!!”
strillò Alia, trionfante, e scoppiò a ridere. Alzando
gli occhi al cielo e soffocando un quantitativo di
imprecazioni sufficiente a far crollare il tetto, Grimmjow
acchiappò la bambina e la resse davanti a sé, fulminandola con gli occhi.
“Ma che diavolo ci fai qui?”
le sbraitò contro, e per tutta risposta la piccola, deliziata al surplus di attenzione che riceveva così di rado da suo padre, fece
un sorrisone ed allungò le manine per toccargli la maschera. “E piantala, stupida… e tu non ti azzardare a dire niente!”
aggiunse rivolto ad Ulquiorra, che stava osservando
la scena con un’aria vagamente sconsolata.
“Ah… siete qui!”
Entrambi gli arrancar si
voltarono allo stesso momento, per trovarsi a guardare Orihime che faceva
capolino da dietro la porta, con un sorriso incerto. C’era
qualcosa di diverso in lei, si percepiva immediatamente. Qualcosa di più
vivo. Sopra e intorno a lei sfrecciavano le macchie colorate degli Shun Shun Rikka.
“Quei cosi… sono tornati.” Grimmjow non cerco di nemmeno di nascondere la sua
sorpresa, mentre inconsciamente avvicinava sua figlia
al petto, per reggerla meglio. In un secondo una delle macchiette gli sfrecciò
davanti, e si fermò a due centimetri dalla sua faccia, rivelandosi un esserino simile ad un folletto con il volto coperto da un
fazzoletto.
“Certo che siamo tornati! E
non credere che te la farò passare liscia, con tutto quello che hai fatto ad
Orihime, qua non c’è nessuno che può permettersi di trattarla male, oltre a m-UFF!” Il discorso di concluse con un verso strozzato quando la mano di Grimmjow
scattò su, il movimento abbastanza veloce da essere invisibile, ed afferrò
l’insetto fastidioso. Lanciò appena un’occhiata di sottecchi ad
Hime, che si stava facendo avanti con aria
preoccupata, poi sospirò, e fece un ghigno.
“Alia?
Giocattolo nuovo.” E mise l’insetto tra le mani della bambina che, felice, si affretto a testarne le capacità snodabili. Gli altri Shun Shun si avvicinarono svolazzando, le fatine più intente a commentare tra loro la somiglianza tra padre e
figlia che a preoccuparsi delle esclamazioni oltraggiate del povero Tsubaki. Grimmjow fece una
smorfia divertita, poi rivolse di nuovo la sua attenzione a
Orihime. Si rese conto che stava ancora tenendo sua figlia in braccio, e per un
attimo si chiese se non fosse il caso di ridargliela. Ma
la piccola sembrava essersi accoccolata comodamente, ed era proprio della
misura giusta per stare seduta nell’incavo del suo gomito, e Hime non aveva ancora detto niente al riguardo.
C’era solo da sperare che
non lo facesse, o il fatto che stava tentando di tenersi un po’ in braccio sua
figlia poteva risultare evidente.
“I tuoi poteri sono
tornati?” chiese Ulquiorra, con la sua solita
capacità di tagliare fuori dalla sua linea di
percezione tutto ciò che riteneva irrilevante al problema in primo piano.
Orihime annuì, e per un
attimo sembrò imbarazzata. “Non… non è che se ne fossero
andati. Ero io che li stavo tenendo lontani… Per tutto questo tempo,
dopo…” La ragazza alzò le mani davanti a sé, come a chiedere scusa e pazienza,
per delle spiegazioni che le veniva difficile dare a
parole.
“Li hai sigillati.” Ulquiorra le venne in aiuto. “Avevi paura?”
“Sì. Ma
c’era dell’altro… c’era una cosa che dovevo fare…” Un altro sorriso, triste.
“Scusatemi se ci ho messo tanto…”
Grimmjow avrebbe voluto darle della cretina… scusarsi… ma
cosa c’era da scusarsi, e con loro soprattutto?!
Invece si ritrovò ad andarle vicino, non abbastanza da toccarla, certo, ma la
ragazza alzò lo sguardo e gli fece un sorriso appena un po’ più sicuro lo
stesso.
“Cosa
dovevi fare?” D’accordo, forse per una volta Ulquiorra
poteva anche essere utile…
“Trovarli. Sentire… come si è sistemato tutto dopo quello che ho fatto” Ora l’espressione
di Orihime era tornata determinata, e chiara. “Posso
sentirlo, sapete? Se mi concentro riesco a percepire il mondo, riesco a
percepire tutto ciò che ho toccato e che ho cambiato.”
“Ed
è questo che stavi facendo?” Grimmjow, pensò ai
quaderni, riempiti di fitta scrittura. Stava davvero… copiando il mondo come lo
aveva riscritto?
“Non per tutto il tempo!”
Orihime si affrettò ad aggiungere. “All’inizio… stavo solo cercando di non
pensare, di occuparmi di lei” Allungò una mano per spostare un ciuffo di capelli
dalla fronte di Alia. “Se cercavo di pensare a quello che avevo fatto…” Scosse la
testa. “Non… Io lo volevo, di questo ero sicura.
Volevo fare quello che era necessario per salvarla… Scusatemi.
Ho fatto qualcosa senza averne davvero la forza, non volevo uccidere così tante
persone.”
Tecnicamente, non sono nemmeno nate stava per puntualizzare Grimmjow, ma, probabilmente per fortuna, Ulquiorra parlò prima che potesse farlo lui.
“Hai fatto quello che
pensavi giusto. Né io né Grimmjow siamo
certo nella posizione di accusarti di nulla. Quella, nonostante le illusioni
che potevamo farci, non era la nostra famiglia, né persone che avremmo potuto
realmente chiamare compagni. Ed ora non ha senso avere
rimpianti.”
Orihime annuì. “Ci ho
pensato, sapete, se ci fosse un modo per cambiare
ancora le cose, ma…”
“Ma gli shinigami
e il tuo mondo ora sono tranquilli, al sicuro da una
guerra che non sanno nemmeno di aver rischiato. Quello di Aizen non era certo il mio scopo. Ci sono… altre cose da
fare.” Disse Grimmjow, e poi “E così ora sai dove sono tutti?”
“Sì!” L’improvvisa
eccitazione di Orihime lo fece quasi sobbalzare. “Gli shinigami… Ichimaru e Tousen sono tutti e due capitani
come prima, anche se Ichimaru lo è di uno squadrone
diverso, e Rangiku-san è la sua luogotenente! Vedi,
senza che Aizen intervenisse
lui non si è mai allontanato da lei… ed è ancora un po’ inquietante, ma non
così terribile, è una persona abbastanza diversa…”
Grimmjow la osservò a bocca aperta… stavano parlando della
persona che aveva ucciso Ichigo nell’altra vita… che
razza di testa doveva avere Hime per parlarne così,
che razza di capacità di perdonare…
Quella adatta a una persona con poteri quasi divini,
probabilmente.
“…e anche Urahara-san è ancora nella Soul Society, che strano pensare
che il suo negozio non ci sia mai stato, e Renji ora è luogotenente ed anche Rukia-chan, è diventata luogotenente della tredicesima
squadra, ora il capitano è Kaien-san, Ukitake-san purtroppo ha dovuto rinunciare alla carica
perché non stava bene, però Rukia-chan non è mai
andata sulla terra, perciò non ha mai…” la voce le mancò per un istante, ma si
riprese al volo “…mai incontrato Ichigo, e questo è
triste… anche Byakuya-san, è ancora così triste, e
chiuso in sé stesso, spero tanto che le cose possano
cambiare per lui anche se non c’è mai stato il processo e tutto quanto, però e
sulla terra stanno tutti bene! Ishida… ora non è più
in Giappone, ma sta bene, e alla scuola sono tutti più o meno
come prima, Sado-kun, e Tatsuki-chan
e anche Kurosaki-kun! La mamma di Kurosaki-kun
non è morta, sapete?! E
questo è bellissimo!” Orihime guardava alternativamente i due arrancar, come a
tentare di coinvolgerli nel suo entusiasmo per le sane condizioni di tutti. Grimmjow si sentiva abbastanza senza parole. E quando la ragazza
finì di delucidarli anche sulle condizioni di tali Ganju
e Kuukaku-san, che non avevano mai incontrato e della
qual cosa potevano probabilmente sentirsi grati, restò a guardarli in attesa di un qualche commento.
“Uhm…” Grimmjow
notò vagamente che Alia gli si era appisolata in braccio, intenta a succhiare un lembo della sua giacca.
“Quindi… in un certo senso è tutto a posto.”
E noi, che ci stiamo a fare?
Per quanto odiasse
dare anche solo lontanamente ragione ad Ulquiorra, in
quel mondo in cui tutto si era messo a girare più o meno nel verso giusto i due
arrancar, con Las Noches e tutto quello che stava a
significare, erano un po’ a sproposito. Soprattutto…
“Ritornerai nel tuo mondo,
ora?” Era stato Ulquiorra ad esprimere la domanda ad
alta voce. Orihime sbattè le palpebre, stupita, ed il
suo sguardo andò a cercare quello di Grimmjow, che notò immediatamente (da quando esattamente
era diventato così sensibile?) la breve traccia di panico in esso, e si
affrettò a ridarle Alia, zittendo la flebile voce di
protesta nella sua mente.
“Perché?”
chiese lei, cullando la bambina addormentata.
“E’ la tua casa. E’ il luogo
a cui appartieni. Non ne senti nostalgia?”
Orihime scosse la testa. “Io
là non sono mai esistita. Non sono mai nata. Mio fratello… mio fratello è morto
di incidente d’auto, nello stesso identico modo. Non
c’è nessun posto dove potrei…”
“Ma che cazzo dici?!” esclamò Grimmjow, irritato al
suo disfattismo. “E’ il tuo mondo, e quelli sono i tuoi compagni… per quanto ne
sai potrebbero anche ricordarsi qualcosa non appena ti vedranno!
E’ stupido rinunciare così!”
“No… non è possibile. E poi,
io non… Io non credo che quella sia la casa a cui dovrei tornare.” Guardò sua figlia, e poi i suoi
involontari, voluti, compagni. “Io penso… che la mia casa sia qui, con lei, e
con voi perché voi siete gli unici che vengono dal mio stesso mondo, e che
possono capire… Sempre…” e fu come se la ragazza si stesse rattrappendo, di
nuovo, pur non cambiando minimamente la sua postura. “…se
voi lo volete, mi volete qui.” Stava guardando solo Grimmjow,
in quel momento, e l’arrancar dovette ammetterlo, finalmente, a sé stesso. Non si sarebbe mai più potuto
staccare da lei e dalla bambina, da quel pezzo di sé. E poi… per mesi, era
rimasto lì, aveva gravitato intorno a lei in attesa,
solo per la speranza di sentirla di nuovo chiamare il suo nome, di recuperare
anche solo un frammento di quel folle periodo in cui la bambina ancora non nata
era cresciuta tra di loro.
Non aveva bisogno di un
dannato significato superiore per la sua esistenza. Aveva solo bisogno di
quella ragazza nelle vicinanze. Con buona pace dell’orgoglio.
“Bè,
questo non è casa nostra più di quanto sia la tua” esclamò alla fine, guardando
altrove. “E se voglio che la mocciosa non diventi una completa incapace” riuscì
quasi a sentire la risata mentale di Ulquiorra a quella uscita “dovrò pur restarle intorno.”
“Se tu lo vuoi,” aggiunse così piano da essere quasi inaudibile. Orihime
sorrise, un sorriso vero, grande come il mondo. Posò la mano sul suo braccio,
stringendo appena. “Grazie, Grimmjow” mormorò.
E a quel paese il futuro pensò l’arrancar. Poi entrambi si voltarono
verso Ulquiorra, che sollevò appena le spalle.
“Non ha senso per me andare
altrove, almeno per il momento.”
Mapporc… pensò Grimmjow.
“Evviva!” esclamò Orihime
battendo le mani e guadagnandosi un’occhiata quasi sinceramente perplessa da Ulquiorra.
“E poi, non saremo
soli a lungo…” aggiunse lui.
“E’ vero.” Fece Orihime,
pensierosa.
“Eh?” Grimmjow
li squadrò alternativamente. “Ma di che diavolo state
parlando?”
“Aaaah…
dunque… è il mondo che deve riempire i buchi! Cioè, i
buchi di trama che gli ho lasciato io…” iniziò a spiegare Orihime.
“Era quello di cui ti volevo
parlare quando ti sono venuto a cercare prima.” Tagliò
corto Ulquiorra. “Ai bordi dello Hueco Mundo, dove è più fragile
il confine con il mondo, stanno nascendo naturalmente degli arrancar.
Ovviamente, tu non te ne eri minimamente accorto.”
“Cosa?!
Ma come diavolo…”
“E’ il mondo che si sistema
i buchi e ci mette le pezze, te l’ho detto! Gli arrancar sono nati dalla Hougyoko, giusto? Ora sembra
che in questo mondo
Grimmjow annuì, lentamente, ricordandosi giusto in tempo di
chiudere la mascella.
“Ecco! Quindi alcuni Hollow si stanno evolvendo per i fatti loro, e stanno
diventando arrancar, o comunque qualcosa di molto
simile! Ed il mondo sta facendo finta che anche voi
siate saltati fuori così! Tutto chiaro?”
“…a parte il pezzo in cui il
mondo fa finta… direi di sì. Quanti ce ne sono?”
“Non molti, per ora.” Disse Ulquiorra. “Ma sono abbastanza
sicuro che aumenteranno rapidamente. La maggior parte di loro saranno in preda al panico, e probabilmente non si
comporteranno in modo molto diverso dagli Hollow,
cercheranno di entrare nel mondo per cibarsi di energia spirituale.”
“Gli shinigami
non ci metteranno molto a rendersi conto della novità…”
“…Motivo per
cui sarà meglio cercare di entrare noi per primi in contatto con loro,
fermarli e portarli qui. Poi si deciderà cosa fare. Prima o
poi dovremo andare a fare una visita di cortesia agli shinigami, ed è meglio avere il controllo completo della
situazione qui, prima. L’importante è evitare che i nuovi arrancar ci vedano
subito come nemici…”
Grimmjow fece una smorfia divertita. “A quanto pare almeno
per un poco non ci si annoierà… beeeene…
Dubito che troverò qualcuno tra loro in grado di farmi divertire, ma almeno è
un diversivo.”
“Jaggerjack?
Pensi di essere in grado di almeno provare a far finta di ascoltarmi
quando espongo un piano intelligente?”
Orihime osservò per qualche
istante i due arrancar che litigavano, uno esagitato e
irascibile e l’altro calmo e altero. Le ricordavano così
tanto altre due persone… ma non erano loro che stava cercando, non più. E intercettando lo sguardo di Grimmjow,
che per un attimo sembrò tentare di sfuggirle, e poi ci rinunciò, e le rivolse
il suo solito ghigno, appena un po’ più addolcito, sentì che non c’era niente
che non andasse in ciò. Guardò sua figlia, ancora beatamente addormentata, e
sorrise. Sentiva in qualche modo di essere tornata a casa, pur non essendosene
mai andata.
-/-/-/-
“Solo una cosa… visto che
dovremmo sistemarci qui per un bel po’… ci sarebbero
delle cose dalla terra di cui avrei bisogno.”
“Era ora che ti decidessi a
chiedere qualcosa.” Grugnì Grimmjow.
“…bè,
allora se non è un problema…”
Dieci minuti dopo,
l’arrancar stava fissando ad occhi sbarrati le dodici pagine di quaderno
scritte fitte fitte che gli
erano state consegnate. Ulquiorra gli passò accanto,
occupato nella sacra arte dell’Ignorare Altamente.
“…e cosa diavolo è un juke-box?!”
“Non ne ho idea. Buon
divertimento, io vado a perlustrare i confini.”
“……merda….”