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Autore: Leah Malfoy    30/10/2012    0 recensioni
[LAVORI IN CORSO. (Questa storia rimarrà sospesa fino al 16 settembre, i capitoli saranno revisionati e continuerò a postare dopo la data indicata.)]
''...Doveva partire, doveva prendere quel maledetto treno che l'avrebbe portato lontano da me. Abbracciò Davide che piangeva vicino a me.
-Prenditi cura della mamma mentre io non ci sono.
-Papà, mi mancherai tanto.
Lo osservai mentre baciava sulla fronte Davide, nostro figlio, e in quel momento pensai che non avevo ancora trovato il tempo per dirgli che aspettavo due gemelli.
Lui gli sorrise e mi guardò. Sentii le gambe cedere e per poco non caddi a terra. Le lacrime continuavano a rigare le mie guance.
-Non piangere, tornerò.
Momorai un debole Sì e lo baciai...''
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- ... Mamma? -
La mia voce assunse una nota stridula mentre il volto di mia madre si deformava in una smorfia di rimprovero. I suoi occhi vagarano sui nostri corpi e si soffermarono sul viso di Alexander poi mi riguardò e feci segno ad Alexander di mettermi giù. Non appena toccai terra, il mio cervello iniziò a lavorare freneticamente per trovare qualcosa di sensato da dire e quando provai ad aprir bocca mia mamma mi interruppe puntandomi l'indice al petto.
- Tu! Avevi detto che dormivi da Beatrice, ti vengo a prendere e guarda un po' cosa scopro. Bugiarda che non sei altro! -
Deglutii a fatica e sentii la mano di Alexander sulla mia spalla, confortata da quel gesto decisi di affrontare mia madre.
- Posso spiegarti...-
Iniziai a parlare con le più pacifiche intenzioni ma mia madre quando si arrabbiava non voleva sentire nessuno, con la coda dell'occhio guardai il pianerottolo. Proprio come immaginavo, la zitella pettegola del primo piano era sulle scale nascosta dietro al corrimano che ascoltava.
- TU non mi spieghi niente! Mi basta vedere che gente frequenti, avrei dovuto immaginarlo... Mamma qui, mamma lì... Sempre in giro con le amiche! Cosa credi? Che sia scema? Amiche un corno! Te ne vai in giro tutte le sere e chissà cosa combini... magari fra un po' mi dirai che sto per diventare nonna o che so... -
- Signora, si calmi. -
La voce calda di Alexander mi rassicurò e interruppe il monologo di mia madre che lo fissò incredula, nessuno si era mai permesso di interromperla.
- Non posso calmarmi! Ti rendi conto di quello che sta succedendo? Te ne vai in giro con mia figlia e la mia famiglia è all'oscuro di tutto questo... e non chiamarmi mai più signora! Non sono così vecchia! -
Forse stavo impazzendo o forse era mia mamma... Da quando in qua si rivolgeva così a uno sconosciuto?
La mamma di Bea che aveva seguito tutta la sfuriata di mia madre standole alle spalle e annuendo di tanto in tanto, ci disse o meglio, ci ordinò di entrare in casa. Guardai Alexander e lui annuì, con una mano sulla schiena mi spinse in casa e si chiuse la porta alle spalle.
Presi un bel respiro e approfittai del silenzio che ci circondava. Un silenzo che presto si sarebbe trasformato in caos degno di un giorno di mercato.
- Mamma adesso ti calmi davvero e mi fai parlare altrimenti prendo la porta e me ne vado! -
Mia madre mi guardò scettica. Conoscendomi, sapeva bene che non mi sarei mai comportata in quel modo. Non era parte del mio carattere, se c'era una discussione io non me ne andavo finchè non si era chiarito tutto.
- Parla. -
Emisi un sospiro di sollievo e mi sedetti sul divano seguita da Alexander che mi accarezzò la mano. Gli sorrisi e guardai mia madre.
- Ieri sera sono andata alla festa che... -
- Sì lo so, sei andata con Beatrice e non avete avvisato nessuno. -
- Ma Bea ha diciotto anni e io ne ho uno in meno di lei... non ne ho due! -
Carla, la madre di Bea, sbuffò.
- Adesso non c'entra la vostra età. Quello che avete fatto è una cosa grave, molto grave! E se vi fosse successo qualcosa? -
Carla aveva ragione però in quel momento non sarebbe servito a nulla dirglielo, avrei solo peggiorato la situazione.
- Ecco, diglielo Carla. Loro che credono tanto di andare a spasso a fare le oche! -
- Ma che oche? Mamma, fatti furba!-
Mia madre si alzò e mi tirò uno schiaffo e mi riversò addosso una marea di insulti e frasi che suonavano come ''Se ci fosse stata tua nonna al mio posto non avresti risposto!'' ''Aspetta che lo venga a sapere tuo padre!'' ''Tu da oggi in poi non uscirai mai più''. Le lacrime iniziarono a scendermi mentre con una mano mi massaggiavo la guancia colpita, tutta la stanza iniziò a girarmi attorno e vidi la mano di mia madre sospesa in aria vicino alla mia guancia immobile. Qualcosa la bloccava, Alexander le teneva il polso e si era piazzato davanti a me.
In quel momento pensai solo a una cosa: Era proprio il caso di fare una scenata del genere davanti a un soldato?
Dopo un po' la stanza si fermò e rincominciai a vedere e sentire bene.
Mia madre stava urlando qualcosa contro Alexander poi la porta si aprì ed entrò Bea che rimase immobile a guardare la scena, dietro di lei c'era Max.
Ci mancavano solo loro!
Mi alzai e guardai mia madre che discuteva con Alexander.
- Mamma, adesso basta! -
Calò il silenzio tra i presenti.
- Alexander, potresti andare? -
Mi rivolsi ad Alexander e gli lessi solo delusione negli occhi. Mi dispiaceva cacciarlo ma quel litigio era tra me e mia madre e volevo evitare di coinvolgerlo.
Abbassò lo sguardo e scosse il capo poi uscì dalla porta seguito da Max. Quando la porta si chiuse, guardai mia madre.
- È meglio se andiamo a casa. -
- Non andremo da nessuna parte finchè tu non mi spieghi cosa ci facevi quel mascalzone. -
Chiusi gli occhi e iniziai a ridere.
- Alexander non è un mascalzone! -
Sibilai tra i denti.
- Ah no? -
- No, è un ufficiale dell'esercito... Ma tanto a te non interessa, giusto? E siccome te ne freghi altamente di tua figlia, non ti interesserà neanche sapere che questa notte ho dormito in caserma nella stanza delle infermiere solo perchè non volevo venire a casa a svegliarvi. -
Bugia colossale.
Lo sguardo di mia madre si addolcì, mi bastò quello per capire che potevo continuare.
- Quindi, adesso posso anche andare a casa perchè sono stanca. -
Mi avvicinai alla porta e uscii dalla casa della mia migliore amica dopo averla salutata. Corsi giù per le scale pensando che quella sarebbe stata la giornata più brutta della mia vita, ne avevo combinate di tutti i colori e adesso dovevo risistemare tutto. Sperai solo che Alexander non si fosse arrabbiato dopo che se n'era andato.
Salutai distrattamente il portiere e mi ritrovai in strada.
.
.
. Appena arrivata a casa, mi rinchiusi nella mia stanza ad ascoltare musica e piangere. Non conoscevo il motivo di quelle calde lacrime che mi bagnavano le guance, mi coricai nel letto e rimasi a fissare il soffito.
''Domani è un altro giorno''.
Ecco, appunto. Chissà cosa sarebbe successo l'indomani.
Quella sera non mi presentai a cena e più volte i miei genitori bussarono alla porta della mia stanza. Non volevo ancora affrontare i miei genitori, ormai non me ne importava un granchè. Loro avevano le loro convinzioni e sarebbe stato difficile fargli cambiare idea; secondo loro, me la spassavo alla grande con un ragazzo tutte le volte che non ero a casa. La verità la conoscevo solo io e sarebbe stato difficile convincerli raccontandogliela tutta.
Mi rigirai nel letto e chiusi gli occhi, avevo passato tutto il giorno a riflettere guardando il soffitto, le righe blu e gialle erano molto interessanti e rilassanti. Come del resto anche la mia stanza: la grande libreria piena di libri e dvd vicino alla porta, le tante plafoniere di vari colori appese agli angoli della stanza, la porta della cabina armadio tra la libreria e la finestra, il letto ovale al centro della stanza e la foto a grandezza naturale di due ragazze abbracciate che facevano versacci al fotografo, occupava l'intera parete di fronte alle finestre.
Guardai quelle due ragazze: io e Beatrice. La foto l'aveva fatta il cugino di Beatrice al mio sedicesimo compleanno ed entrambe l'avevamo appesa nelle nostre stanze. Io, la solita esagerata, per occupare l'unica parete vuota l'avevo fatta ingrandire e, grazie a un paziente imbianchino, ora controllava l'intera stanza.
Mi ritornò in mente quella volta in cui i due gemelli del palazzo di fronte al mio mi chiesero se gli facevo vedere l'intera foto perchè dalle finestre se ne vedeva solo un pezzo, così io gli avevo mostrato la foto originale e da quel giorno eravamo diventati amici e ogni tanto li invitavo a casa. Uno di loro era stato anche con Bea.
Bea, la mia migliore amica e confidente.
Pensai alla festa, ai militari, alla notte in caserma e all'incontro con mia madre. C'era ancora qualche tessera del puzzle fuori posto: come aveva scoperto tutto? Forse Beatrice aveva confidato tutto a sua madre. No, impossibile. Il rapporto che c'era tra lei e sua madre non era proprio tutto rosa e fiori, neanche tra me e mia madre era così. Noi vivevamo grazie ai litigi, se non litigavamo mia madre non era felice. Ecco, questa è una cosa che ho sempre odiato di mia madre. Con mia sorella si comporta sempre bene, non litigano mai, si confidano. E con me è tutto l'opposto, io non riuscirei mai a raccontare a mia madre che ho scopato, non sa neanche quello che c'è stato tra me e Stefano e se lo sapesse, dubito che lo inviterebbe ancora a cena.
Con quei pensieri mi addormentai e, solo quando suonò la sveglia per la scuola, mi resi conto di esser molto affamata.
Scesi dal letto, indossavo ancora i vestiti che mi aveva dato Alexander.
Alexander.
Chissà cosa pensava di me dopo quello che era successo.
Alzai la tapparella di una finestra e lasciai che la luce del sole illuminasse l'intera stanza. Sbadigliando aprii la porta della cabina armadio e tirai giù dagli appendi abiti una camicetta a righe lilla e azzurre e un paio di jeans scuri a sigaretta. Li buttai sul letto e mi svestii rimanendo solo con la biancheria addosso. Girai la chiave nella toppa e uscii in corridoio alla volta del bagno.
La casa era immersa nel silenzio e un debole profumo di caffè aleggiava in tutto l'appartamento.
Nel bagno, lasciai la biancheria nel cesto e entrai nella doccia calda; una manna dal cielo per il mio mal di testa.
Appena finita la doccia, mi asciugai e tornai in camera per vestirmi. Mi truccai come tutte le mattine: una sottile linea di eyeliner grigio e il mascara; arricciai i capelli con la piatra e mi guardai allo specchio. Sì, ero a posto.
Nella piccola cucina color pesca, mangiai un cornetto alla marmellata e del caffè; non mi soffermai più di tanto perchè era già tardi e dovevo fare tutta la strada a piedi fino a scuola siccome gli autobus iniziavano il loro solito giro alle otto. Recuperai la mia tracolla grigia carica di libri e uscii di casa; mentre scendevo gli scalini incontrai casualmente la vecchietta del piano di sotto, con un sorriso che di vero aveva poco, le andai incontro.
- Buongiorno Signora Messina. -
Alzò gli occhi su di me e mi squadrò dall'alto in basso, il suo modo per valutare se valeva la pena parlare con le persone.
- Oh, ciao Isabella! Oggi sei mattiniera, ieri non ti ho visto. -
- Eh sì, sto andando a scuola e ieri ho dormito fino a tardi e poi dovevo studiare per un importante test. -
Alzò le sopracciglia e sorrise.
- Ah, davvero? Perchè sabato non ti ho vista rientrare a casa. -
La solita impicciona.
- Sono tornata tardi e dubito che lei fosse ancora sveglia. -
Se quella conversazione continuava ancora, rischiavo di arrivare tardi a scuola e non ne ero per niente rallegrata.
- Eh, i giovani di questi tempi! Sempre in giro fino a tardi! -
Le sorrisi, un sorriso molto tirato.
- Guardi, adesso vado perchè devo proprio scappare ma se ha bisogno che l'aiuti qualche volta con la spesa o altro, non esiti a chiamarmi! -
- Oh grazie cara, allora ti saluto. -
- Arrivederci. -
Mi allontanai da lei il più in fretta possibile e saltai gli ultimi tre gradini, l'atterraggio fu perfetto, le mie Adidas viola e argento attutirono il colpo, attraversai il corridoi e appena uscii dal portone, iniziai a correre.
Era tardi e la seconda e ultima campanella sarebbe suonata esattamente fra sei minuti. Solitamente arrivavo a scuola in dieci minuti e se avessi fatto tardi quella mattina, sarei stata nei guai.
Come immaginavo, arrivai al cancello della scuola in ritardo e suonai al citofono. La voce gracchiante dell'acida, zitella e pettegola bidella mi raggiunse dalla segreteria per chiedermi il nome e la classe, solo dopo essersi accertata che fossi un'alunna della scuola, aprì la porta di servizio ed entrai a scuola. Salii al secondo piano e mi sedetti sul davanzale delle grandi finestre blu davanti alla porta della mia classe, aspettando con pazienza che si aprisse.
Mi vibrò il cellulare nella tasca e lo tirai fuori: un messaggio da Bea.
''Ciao Isa! Oggi io entro alla terza ora così salto il test perchè non ho studiato.. Segnati le risposte per me! Grazie mille!! P.s.: Non vedo l'ora di parlarti perchè devo raccontarti quello che è successo.''
Ecco Bea la tagliona.
Fortunata lei che era maggiorenne e poteva farsi le giustificazioni e sfortunata me che avrei dovuto spiegare alla prof che non avevamo tagliato insieme ma era solo una coincidenza. Le risposi.
''Ciao Bea. Anch'io sono fuori perchè ho fatto tardi e ti devo assolutamente chiedere una cosa.. Mi dispiace per il compito, sarà per la prossima volta.''
Questa non ci voleva, proprio oggi. Dopo tutto il casino che avevo combinato il giorno prima, arrivare tardi a scuola e saltare un test di filosofia era l'ultima cosa che ci voleva. Già alla prof non stavo molto simpatica perchè lei nutriva una profonda antipatia verso le persone bocciate e poi i miei genitori non avrebbero mai creduto al ritardo.
Bea mi rispose.
''Oh cazzo! Questo sì che è un casino!! Merda, quella là ce la farà più difficile comunque, siccome ci sei pure tu arrivo tra poco.''
Non le risposi e aspettai sulla finestra arricciandomi una ciocca di capelli attorno al dito. Appena arrivò, Bea mi corse incontro.
- Oh, Isa, finalmente possiamo parlare. -
Le sorrisi e mi alzai piazzandomi davanti a lei con le mani sui fianchi.
- Dimmi come faceva mia mamma a sapere dov'ero stata. -
Il suo sguardo si rattristò.
- Siediti che è molto lungo il racconto, - mi sedetti di nuovo sul davanzale e lei sospirò, - sabato sera, o meglio, domenica mattina quando sono tornata era tutto a posto. Non ho visto nè parlato con mia mamma fin quando non è tornata dalla messa e, indovina un po'? è tornata con tua mamma. Appena le ho viste mi si è gelato il sangue nelle vene perchè tu non eri ancora tornata... -
La interruppi con una mano.
- Ma quando mi hai chiamata, erano già arrivate a casa? -
Bea scosse la testa.
- No, altrimenti ti avrei avvisato e loro sono tornate prima del solito. Tua mamma mi ha chiesto dov'eri e io sono stata zitta (sai bene che tua mamma m'incute paura), poi la solita impicciona di mia madre si è messa a dire che io ti stavo coprendo e tua mamma le ha dato man forte iniziando a sproloquiare sul fatto che frequenti brutta gente, che torni sempre tardi e che non ci sei mai alle cene con Stefano, con il povero Stefano che si annoia sempre... -
Bea scimmiottò mia madre e sbuffò. Sorrisi, ma in tutta quella storia non ci capivo niente.
-... all'improvviso, mia mamma, nel bel mezzo del discorso di tua madre, si è girata verso di me e mi ha puntato l'indice contro dicendo che ero andata a quella maledetta festa dei soldati, Isa, mi sono sentita una merda quando l'ha detto. Sicuramente avrà ascoltato le nostre conversazioni per saperlo, ho pensato; ma poi a tua mamma (ovviamente non ci credeva che fossimo andate) è sparito il sorriso e ha detto 'Adesso che ci penso, Stefano ha accennato a qualcosa del genere'...-
A sentire quel nome mi riempii di rabbia e risentimento.
Come aveva potuto fare una cosa del genere?
Nonostante quello che era successo, lui mi aveva sempre rispetta e non aveva mai spifferato ai miei quello che facevo.
Mi alzai di scatto e mi portai le mani nei capelli.
- Quello stronzo! -
Bea annuì, ma, a quanto pareva, non era ancora finito tutto.
-... Infatti! È andato a spifferare quello che sapeva e tua madre mi ha costretto a parlare e le ho detto che ti avevo portata io, che io ero stata con uno e ti avevo perso di vista. Non ti immaginerai mai che faccia hanno fatto, specialmente mia mamma. Insomma, ho improvvisato dicendo che avevi incontrato delle nostre compagne ed eri tornata a casa con una di loro. A tua mamma bastava, ma a mia mamma non è andato giù il fatto che io sia stata con uno e così abbiamo litigato e io sono scappata da Max. Questo è quello che è successo, mi dispiace ma nella fretta di uscire di casa non ho pensato di prendere il cellulare per avvisarti. -
Mi sedetti e mi coprii il viso con le mani.
- Siamo. Nella. Merda. -
- Già. -
Le raccontai velocemente quello a cui non aveva assistito e lei rimase a bocca aperta.
- Ma dai! Ti vede con un ragazzo e fa tutte quelle congetture? -
Annuii, le congetture di mia madre non mi andavano giù. Eppure mi conosceva e sapeva che io non andavo a darla al primo che capitava e i ragazzi che avevo avuto si potevano contare sulle dita di una mano: Marco, un bimbetto simpaticissimo, in quinta elementare (sempre se vale come ragazzo); Jacopo, in seconda media; Mattia, in prima superiore e Stefano, che c'era sempre stato per me.
Bea sbuffò sonoramente e aggrottò le sopracciglia.
- Cacchio! Io ste mamme non le capisco più! Loro quando erano giovani ne hanno combinate di tutti i colori, anche tua mamma che è rimasta incinta a quindici anni! -
Ero d'accordo con Bea.
- A quindici anni! - sottolineai, - E mi fa la predica se torno a casa con un ragazzo e, aspetta, quanti anni ho io? Diciassette! -
Bea sorrise.
- Ma la cosa ironica in tutto questo è che quando ho detto che ero stata con uno, mi ha guardata come se le avessi ucciso il cane! -
Scoppiai a ridere. Mia madre faceva tanto la santarellina ma l'aureola l'aveva persa insieme alla sua verginità e adesso non poteva recuperare però tentava lo stesso di fare la persona seria anche se sapeva benissimo che il passato è passato e non si può cambiare.
In quel momento la campanella suonò la fine della prima ora e noi, dopo esseci scambiate un'occhiata preoccupata, ci alzammo dal davanzale e entrammo in classe nel bel mezzo del test.
Le miriadi di scuse che elencammo alla professoressa di filosofia non servirono e rimediammo una nota ciascuno per aver tentato di giustificarsi invano e ci ricordò che di lì a qualche giorno ci sarebbe stato il colloquio con i parenti e quindi, ancora guai.
La mattinata continuò tranquillamente dopo il piccolo diverbio con la professoressa però qualcosa, o meglio, qualcuno me la rovinò del tutto. Durante l'intervallo, appena vidi Stefano in corridoio che civettava con delle ragazzine del primo anno, mi avvicinai a passo di marcia nonostante i miei buoni propositi di non rivolgergli la parola. Una delle ragazze del gruppo mi notò e sentii chiaramente che diceva a Stefano ''Ma quella che sta correndo verso di te, non è la tua ex?'', lui si girò giusto in tempo per interpretare la mia espressione e si ritrovò cinque dita stampate sulla faccia.
- Questo è per aver spifferato gli affari miei a mia madre... -, sbottai più che arrabbiata e, dopo avergli tirato un calcio tra le gambe, gli sorrisi mentre il suo volto perfetto si trasformava in una maschera di dolore, - ... e questo è per quello che mi hai fatto il giorno del mio compleanno, stronzo! -
Mi rigirai e tornai nella direzione in cui ero arrivata facendomi strada tra i ragazzi e le ragazze che si erano fermati a guardare. Quando uscii da tutta quella folla, un coro di ''Brava! Dagli una lezione!'' e numerosi applausi mi seguirono finchè non rientrai in classe. Bea, che aveva seguito la scena da lontano, mi abbracciò quando mi vide.
- Con il calcio che gli hai tirato scommetto che sarà fuori uso per un bel po' e adesso tua mamma potrà dire che il povero Stefano si annoierà. -
Sorrisi mentre dentro di me le ultime tracce di tristezza svanivano. Potevo mentire a me stessa ma non al mio cuore. Ricordare quello che mi aveva fatto mi provocò una fitta nel petto e ringrazia mentalmente Bea per non avermi fatto domande.
Con il ricordo dell'intervallo ancora vivido nella testa, riempii la borsa di libri dopo il suono della campanella. La sesta ora era finita e solo in quel momento pensai a tutto quello che avevo tenuto alla larga dai miei pensieri:
Alexander.
La mattina precedente l'avevo quasi cacciato di casa, ero tentata dall'idea di passare alla caserma, l'avrei rivisto sicuramente e avrei potuto chiedergli scusa per il mio comportamento.
Nonostante i vari accenni alla festa e alle poche ore passate tra le coperto di quel soldato, Bea non l'aveva mai nominato e morivo dalla voglia di chiedergli qualcosa in più su di lui siccome lei aveva passato tutta la domenica in caserma con Max. E se c'era Max, c'era anche Alexander.
Bea mi trascinò fuori dalla classe distogliendomi dai miei monologhi mentali, scendemmo le scale in tutta fretta e solo quando uscimmo nel piccolo cortiletto, mi lasciò andare la manica della camicia.
- Bea, si può sapere che ti prende? Sei partita a razzo e per poco non mi strappavi la camicia! -
Liquidò le mie parole con un gesto della mano e alzò le spalle.
- Oh, su.. Non esagerare! Ti ho solo fatto uscire da quel convento! -
Risi insieme a lei di quel paragone insensato, certo che a volte ne diceva proprio delle belle!
Superammo il cancello e, mentre stavamo per attraversare la strada, Bea diventò dinuovo strana; mi baciò la guancia e mi abbracciò molto frettolosamente.
- Ops, devo andare e... In bocca al lupo! - , il tutto accompagnato da una strizzatina d'occhio.
La guardai mentre si allontanava e mi domandai che senso avessero quelle parole.
- Crepi ma... Perchè? -
Urlai alla sua schiena che si allontanava sempre di più.
Ormai era ufficiale, a volte Beatrice si comportava in modi un po' strani.
Scrollai le spalle a quel pensiero e guardai alla mia destra: nessuna macchina, solo gruppi di studenti che ostruivano la strada, quindi decisi di attraversarla con il sorriso in viso e quando alzai lo sguardo mi trovai davanti l'unica persona che non avrei mai immaginato di trovare davanti alla scuola.
- ... Alexander? -
. .
.
La campanella era già suonata da qualche minuto e gruppi di studenti sorridenti uscivano dal cancello sparpagliandosi sul marciapiede e in mezzo alla strada impedendo alle macchine di transitare. Ripensai a quella mattina: quando mi ero svegliato, mi ero reso conto che dovevo assolutamente parlare con Bella. Per me, lei iniziava ad essere importante anche se era presto per dirlo. Non avevo mai creduto nell'amore a prima vista e nel colpo di fulmine però con lei era successo qualcosa del genere, difficile da descrivere e altrettanto difficile da comprendere.
La mia unica ancora di salvezza dormiva nel letto sotto al mio così lo svegliai e lo obbligai (grazie al mio grado di maggiore) ad andare da Beatrice per avere informazioni su Bella. Un quarto d'ora e mezzo pacchetto di sigarette dopo, Max era tornato con un foglietto, me l'aveva consegnato con una pacca sulla spalla ed era tonato a dormire.
Con un'inspiegabile ansia, l'avevo aperto e letto il contenuto.
- Max, io volevo sapere solo - e sottolineai la parola, - dove va e a che ora esce da scuola. - ;
Max rispose con un grugnito e si riaddormentò mentre io, con il sorriso, leggevo dove e quando era nata Bella, i suoi cibi preferiti (sushi e pasta al forno), le sue allergie (api, lenticchie e arachidi), i nomi dei suoi ex, le scuole che aveva frequentato, cosa gli piaceva degli uomini (la barba corta, i muscoli, le spalle larghe e i tatuaggi), amava la natura e gli animali, guardare film e leggere libri ed infine i vari effetti delle bibite alcoliche su di lei: iniziava a ridere come una scema, perdeva la ragione e nessuno era mai riuscito a tenerla ferma; solo la birra non faceva nessun effetto su di lei però non doveva esagerare.
Dopo quell'interminabile lista, più simile ad un identikit, c'era il nome della scuola e l'ora in cui usciva (alle due e venti), non ricordavo che a scuola si passasse tutto quel tempo.
Più in fondo, c'era la firma di Beatrice con un Post Scrittum:
Se qualcosa non ti è chiaro, non esitare a chiamarmi.
La Nuova Cupida!
Rimasi a fissare la porta della scuola cercando di vederla, secondo quanto aveva detto Max, non sarei riuscito a riconoscerla. Forse neanche lei mi avrebbe riconosciuto, indossavo i pantaloni mimetici della tuta e una maglietta a maniche corte bianca. Molte ragazzine, uscendo dal cancello, mi guardavano e dopo aver dato una leggera gomitata alla vicina, mi fissavano intensamente e sorridevano. Mi capitò di sorridere a una ragazza che passava davanti a me senza smettere di guardarmi, possibile che facevo questo effetto?
Poi, ad un tratto, la vidi.
Sorrideva e correva dietro a Bea anzi, Bea correva e se la tirava dietro tenendole la manica. Indossava una camicia a righe lilla e blu che le aderiva perfettamente al corpo e metteva in risalto le curve delicate dei suoi fianchi. I capelli biondi leggermente mossi le ricadevano sulle spalle e mi stupii della loro lunghezza. Più la guardavo, più faticavo a vedere la ragazza con cui avevo condiviso il letto, le sue lunghe gambe strette nei jeans la slanciavano, gli occhiali con la montatura larga le conferivano un'aria da studiosa, l'opposto di cosa mi ero immaginato.
La osservai mentre parlava con Bea, scoppiarono entrambe in una risata e ripresero a camminare nella mia direzione. Bea mi cercò tra la folla e quando mi trovò, alzò il pollice sinistro e sorrise. Quel gesto sfuggì a Bella che, al suo fianco, rideva ancora e si preparava ad attraversare la strada.
Bea la baciò sulla guancia e scappò via, le uniche parole che sentii furono le urla di Bella
- Crepi ma... Perchè? -
ma ormai Bea le dava le spalle e camminava velocemente. Bella guardò la strada e l'attraversò tutta sorridente, non poteva essere più bella di così.
Finalmente alzò lo sguardo e mi vide.
-... Alexander? -
Furono le sue prime parole, impregnate di stupore, di sorpresa e di gioia. Mi corse incontro e mi abbracciò, la forza di quell'abbraccio per poco non mi fece cadere e indietreggiai circondandola con le braccia. Nascose la testa nel mio petto e mi strinse più forte come se fossi stato un miraggio.
- Hei Bella, sono qui e sono vero. -
Lei alzò la testa e mi guardò.
- Alexander, mi dispiace tantissimo per ieri, non volevo mandarti via. -
Sorrisi e le accarezzai la guancia.
- Quel che è fatto, è fatto. È stata la scelta migliore e mi rendo conto solo adesso che mi sono comportato da perfetto idiota. Avrei dovuto lasciarti a casa prima ma quando tua mamma ti ha tirato lo schiaffo... non ho visto più e non ce l'ho fatta a trattenermi. Perdomani. -
La strinsi dolcemente e le baciai la testa, i suoi capelli profumavano di shampoo alla fragola. Chiuse gli occhi e sospirò.
- Cavolo, Alexander! Non sei tu che devi chiedermi scusa. Sono io che mi sono comportata da idiota, non tu. -
Sbuffai contrariato, era così testarda! -
Archiviamo la questione? -
Sorrise e mi diede un buffetto sul braccio.
- Ai suoi ordini, soldato! -
Risi insieme a lei e la sollevai facendola girare; lei, rossa in viso, mi pregò più volte di metterla giù. A quanto pareva, i professori erano molto pettegoli con i genitori.
Quanto toccò di nuovo terra, si allontanò da me e mi puntò l'indice contro assumendo un cipiglio arrabbiato.
- Tu, non provarci mai più! -
Scoppiai in una risata e tentai di catturarla di nuovo ma lei mi scappò fin quando non arrestò la sua corsa e le andai a sbattere contro. Mi fece segno di fare silenzio e obbeddii. Mi avvicnai al suo orecchio e sussurrai - Cos'è successo? - Lei si voltò così velocemente che si ritrovò il mio viso a pochi centimetri dal suo, imbarazzata, abbassò lo sguardo e tornò a guardare qualcuno tra la folla.
- Davanti a te c'è Stefano e ci sta guardando. -
Sgranai gli occhi e inizia a scrutare la folla di ragazzi di fronte a me, era impossibile trovarlo anche perchè non l'avevo mai visto in vita mia. Due ragazze sorridenti si staccarono da quel gruppo di studenti e si avvicinarono a Bella. La più piccola, una rossa troppo truccata, la salutò con un sorriso che di vero aveva poco.
- Ciao Isa, senti... Quello che hai fato oggi è stato memorabile... -
Bella l'azzittì con una mano.
- Non sprecare parole con me, digli che se mi vuole parlare sa dove trovarmi. -
Si girò verso di me e mi fece cenno di seguirla; camminammo in silenzio, uno accanto all'altra, per un bel pezzo di strada finchè Bella non si fermò e si appoggiò al muro.
Stava piangendo.
Le accarezzai le guance cercando di cancellare quelle lacrime ma più le asciugavo, più ne uscivano. La abbracciai e le dissi che andava tutto bene.
- No, non va tutto bene! - Sbottò all'improvviso, - Se andasse tutto bene, io non sarei qui a piangere... Sai come ha fatto mia mamma a scoprire che ero andata a quella festa? Gliel'ha detto Stefano e oggi si è preso uno schiaffo in faccia e un calcio nei suoi preziosi gioielli... e al posto di esserne felice, sono triste, invece di essere al settimo cielo perchè tu sei qui con me, non faccio niente di meglio che piangere. -
Feci un fischio, così, il tanto bravo Stefano se l'era prese da una ragazzo.
- Non pensavo che dietro a questa ragazza perfetta si nascondesse una picchiatrice... Dimmelo finchè sono in tempo, devo aver paura di te? -
Lei sorrise e mi guardò, gli occhi ancora lucidi per le lacrime e le guancie arrossate.
- No, però non sono così perfetta come credi. -
- Per questo non c'è problema, avrò tutta la vita davanti per scoprire i tuoi difetti. - E ho intenzione di farlo, avrei voluto aggiungere ma non lo dissi.
Lei, sempre con il sorriso, mi prese sottobraccio e mi guardò.
- Hai già pranzato? -
- No. -
- Ti va di venire a casa mia? -
- E se tua madre mi vede? Mi picchia? -
Ridemmo insieme e lei inziò a camminare.
- Non c'è nessuno a casa. -
Bella mi guardò e alzai un sopracciglio lanciandole un'occhiata maliziosa al che, lei arrossì e alzò le mani al cielo.
- Dio, non pensare sempre male. Non posso pranzare con te? -
- A casa tua? Sì, volentieri ma non chiedermi il dessert che non risponderò delle mie azioni. -
Alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia sotto al seno.
- Ma voi soldati siete tutti così.. così maiali? -
Risi mentre mi avvicinavo e la sollevavo in aria, lei urlò per la sorpresa e mi tempesto di delicati pugni affinchè la mettessi giù.
- Adesso non ci sono più i tuoi professori, quindi non sprecare fiato. -
- Ho la borsa con i libri e mi sta scappando l'astuccio. -
- Oh, voi donne! Non dirmi che soffri di vertigini? -
La lasciai andare e lei s'incamminò su per la salita vicino alla piazza del mercato. La raggiunsi e dopo tanti tentativi negativi, la convinsi a raccontarmi quello che era successo il giorno prima; la litigata con la madre, la domenica passata in completa solitudine, il ritardo a scuola e Stefano. Dopo parecchie chiacchiere arrivammo a casa sua: un piccolo palazzo quadrato di due piani. Nel cortile c'era una grossa piscina già piena e tutt'intorno, un giardino ben curato con qualche altalena, tutto era recintato. Non male come condominio.
- Di chi è la piscina? - Le chiesi mentre apriva la porta a vetri dell'edificio.
- Di tutti, - Mi rivolse un grande sorriso, entrammo e chiusi la porta dietro di me. - ovviamente solo noi del palazzo possiamo usciarla ma fortunatamente nessuno la usa a parte me. -
- No, ma fammi capire: una piscina così grande e stupenda... Nessuno la usa a parte te? -
Annuì con vigore e si fermò davanti all'ascensore.
- Qui abitano solo: una vecchietta pettegola e una coppia di trentenni che si vedono molto raramente al primo piano e al secondo c'è la mia famiglia e un'altra famiglia che hanno un figlio di vent'anni ma neanche loro la usano molto, più che altro quando sono sola, chiamo il figlio. È un tipo molto simpatico. -
Alzai un sopracciglio.
- Più simpatico di me? -
Mi sorrise e aggrottò la fronte.
- Forse. -
Entrò nell'ascensore, un piccolo ascensore in cui stavamo molto stretti, dovetti abbassare la testa per guardarla.
- Se vuoi puoi fare il bagno. -
- Non è un po' presto? Siamo solo a metà maggio. -
- Io te l'ho solo detto, se poi hai voglia... sai dove trovarmi. -
Le porte di acciaio dell'ascensore si aprirono e lei sgusciò fuori, girò la chiave nella toppa e mi aspettò sulla soglia della porta.
- Allora? Cosa aspetti? -
   
 
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