昔
むかし,むかし
. C’era una volta .
O2.
二番章
.So
soft and pruod .
- Come siete
finita lì dentro? State bene? – si premurò di chiedere Byakuya non appena si fu
ripreso dall’iniziale sorpresa.
Che strana cosa,
incontrare qualcuno in simili circostanze; e una donna giovane, per giunta. Con
molte probabilità era stata una fortuna che lui fosse passato di lì proprio in
quel momento: una fortuna per lei, ma non soltanto. Un caso sì strano, ed anche
piacevole.
- Sto bene –
rispose Hisana distogliendo finalmente lo sguardo – Temo però di essermi ferita
una gamba.
- Permettete che
vi aiuti.
L’uomo le tese
una mano, mentre con l’altra teneva lanterna e redini assieme, e la ragazza la
afferrò dopo un breve istante di esitazione. Si rimise in piedi barcollando,
cercando di ignorare le vaghe fitte di dolore che le attraversavano il
polpaccio destro, e abbozzò un sorriso:
- Vi ringrazio
di cuore. Se non foste passato voi avrei di certo trascorso la notte qui –
disse.
Byakuya la
lasciò andare: - Non sarebbe stato gradevole. Dove eravate diretta?
- A casa. Ora
come ora non saprei nemmeno da che parte dirigermi, per trovare la strada
giusta… - ammise Hisana a bassa voce.
Nella caduta
uova e verdure le si erano sparpagliate intorno, e col buio nebbioso che era
non sarebbe bastato il lume del giovane a ritrovarli. Inoltre continuava a
sentirsi come stranita. La bruma densa, i suoni ovattati, il bagliore fioco e
caldo, il respiro regolare del destriero dal manto scuro dietro di loro – e
soprattutto la figura chiara di quell’uomo dai capelli nerissimi e gli occhi
magnetici: non dava forse l’idea di qualcosa d’irreale?
- Allora siate
mia ospite per questa notte.
Hisana alzò il
viso, stupita: - Come dite?
- Siate mia
ospite per questa notte – ripetè Byakuya, piatto – Non posso abbandonarvi qui.
- No, vi prego,
non dovete disturbarvi! – si agitò la mora. Un invito del genere, rivoltole da
uno sconosciuto, la mise un po’ a disagio.
Lui parve
reprimere un sorriso bonario: - Non disturbereste. La mia casa non è lontana, è
subito oltre le mura del Seireimon. Fidatevi.
Era a disagio,
ma era invero propensa ad accettare. Non voleva restare lì da sola, e poi…
provava curiosità nei confronti di quell’uomo. Le piaceva, ecco;
fondamentalmente le ispirava molta più fiducia di quanto non stesse dando a
vedere.
- Io… d’accordo.
Poiché mi assicurate che non sarò un fastidio verrò con voi. Vi ringrazio di
nuovo – mormorò infine, inchinandosi rapida.
- Dovere.
Sorreggendola,
Byakuya fece montare Hisana sul cavallo e le porse la propria sciarpa affinchè
si riparasse un minimo dall’umido pungente. Ripresero così il cammino, con il
giovane nobile che procedeva lento e a passi cauti, la lanterna tesa avanti a
sé, per scovare eventuali altri fossi e buche. Hisana si avvolse nel tessuto
morbido e tiepido della lunga stola, accorgendosi che profumava appena di
camelie e sandalo, e prese un profondo respiro per calmarsi.
Ancora quel
senso d’irrealtà. Con la nebbia avvolgente che premeva da ogni lato e che dava
l’impressione che in quella piccola fetta di mondo, in quel momento, non ci
fossero altri che loro, loro che si erano conosciuti una manciata di minuti
prima. Che cosa bizzarra. Ma almeno non si sentiva più a disagio.
- Qual è il
vostro nome? – domandò l’uomo d’improvviso, voltandosi verso di lei.
La ragazza non
riuscì a non guardarlo negli occhi: - Hisana. E il vostro?
- Byakuya.
Il cognome lo
omise di proposito. La mora era stata molto riservata riguardo al proprio, e a
lui non era mai passato per la mente di sbandierare con facilità ai quattro
venti di essere l’erede del casato Kuchiki. D’altronde, lo avrebbe capito da
sola: era convinto che anche Hisana fosse di buona famiglia, il che li metteva
sullo stesso piano di discrezione. La giovane donna era infatti talmente
compunta, aveva un tale modo di parlare e si comportava con una grazia che
soltanto chi proveniva dall’alta società poteva possedere; e il kimono che
indossava aveva una bella fantasia e colori caldi, e di sicuro le si era
rovinato nella caduta. Non avrebbe voluto essere tanto pragmatico, eppure gli
era di sollievo constatare ciò – perché Hisana lo attraeva in maniera insolita,
e se fosse stata una popolana qualsiasi si sarebbe visto costretto a rinunciare
in partenza, e controvoglia. Non poteva sottrarsi alla propria nobiltà.
Seguitarono ad
avanzare nella bruma argentea, in silenzio, il tempo scandito dal battito
soffocato degli zoccoli tra l’erba umida.
Man mano che le
mura del Seireimon si facevano più prossime, la nebbia andava diradandosi:
molto probabilmente il fenomeno era dovuto alla posizione di poco sopraelevata
della Seireitei rispetto alla pianura circostante, o forse era la progressiva
assenza di zone boscose e prati umidi a rendere l’aria più limpida.
Le torce ai lati
del grande cancello ardevano, ben visibili anche da lontano, e il robusto
Guardiano che vi sedeva sotto non ebbe nemmeno bisogno di allungare il collo
per scorgere le due sagome chiare che gli venivano incontro; si limitò ad un
cortese inchino e si affrettò ad aprire il pesante portale senza dire una
parola, mentre Byakuya ricambiava il saluto con un cenno del capo. Entrarono
così nel luogo per cui Hisana aveva sempre provato un’innata curiosità, e che
adesso la affascinava e intimoriva più che mai. Il suolo era lastricato in
pietra bianca, bianca come le solide costruzioni che costeggiavano le strade,
tutte illuminate da lanterne in ferro battuto; c’erano ben poche persone a
giro, solo Shinigami che operavano la ronda notturna e che, come il Guardiano,
salutarono Byakuya con una deferenza che indusse la giovane a pensare che fosse
tenuto in grande considerazione da tutti, lì. Aveva già intuito la sua
appartenenza alla classe aristocratica, ma vedere la sua idea confermata non
faceva che riaccrescere il suo senso di disagio. Piacevole disagio, in fondo.
Ad un tratto
svoltarono in una via secondaria, in cui gli edifici erano principalmente
abitazioni private protette da alti muri, oltre i quali si intravedevano cime
di alberi e tetti in tegole scure. La dimora dei Kuchiki era l’ultima, e
indubbiamente la più vasta, un po’ isolata rispetto alle altre.
Hisana trattenne
appena il fiato, quando l’uomo venne accolto, ad un cancello laterale, da un
paio di scudieri ossequiosi e agitati:
- Byakuya-sama!
Ci stavamo preoccupando! – lo apostrofò il più basso, palesemente sollevato.
- Per non
parlare di vostra zia – aggiunse il secondo, più magro – Temevamo che non
sareste tornato entro l’alba.
Lui cedette loro
le redini del cavallo: - Ho avuto qualche problema dovuto alla nebbia – spiegò
laconico.
Poi si voltò
verso la mora e le tese una mano per farla scendere dalla sella, frattanto che
i due scudieri si accorgevano della presenza di quest’ultima:
- La signora è…?
- Un’ospite.
Resterà da noi per questa notte – spiegò brevemente Byakuya, senza dar segno di
scomporsi.
Hisana fece
udire un lieve colpo di tosse, più per mascherare l’imbarazzo che per il freddo
che le era rimasto addosso: quella sciarpa era così calda…
Ma i due uomini
non si mostrarono scocciati, al contrario: si inchinarono anche di fronte a
lei, non fecero ulteriori domande e si affrettarono a condurre il destriero
verso quelle che, di sicuro, erano le stalle; il giovane nobile, invece, la
invitò a seguirlo dentro casa. Attraversarono l’ampio giardino – curato e
rigoglioso, per quel che si notava nel buio – e raggiunsero la veranda
illuminata, già accogliente solo ad osservarne il legno lucido. Lasciarono i
sandali nell’ingresso, e Hisana continuò a seguire Byakuya attraverso sale
belle e altrettanto accoglienti, in silenzio, i passi soffocati contro la
stuoia dei tatami, finchè non misero piede in una stanza più grande, dove tre
persone, un uomo, una donna, e un anziano dai baffi canuti, sedevano inquieti.
- Non avreste
dovuto attendermi alzati, nobili zii e Yumiyoshi-san.
- Nipote! –
esclamò la donna, alzandosi di scatto – Hai idea di quanto fossimo in tensione?
L’uomo che le
era accanto la imitò: - So che non vi è reale motivo di temere per te, nipote,
ma potrai capirci – disse con serietà.
- “Il Rukongai
non è un luogo tranquillo”, lo so – convenne il giovane con l’aria di chi sta
ripetendo una frase ormai logora – Avevo bisogno d’aria.
Fu Kuchiki
Hisako la prima dei tre ad avvedersi di Hisana: - Non ci presenti la tua
ospite, nipote?
Aveva un tono
che la ragazza non seppe se definire irritato o semplicemente affabile, e per
precauzione si ritrasse, istintivamente, dietro Byakuya. Non conosceva nessuno
di loro, e se per lui sentiva una particolare affinità non poteva dire lo
stesso dei suoi parenti. Sembravano… troppo rigidi.
- Mi chiamo
Hisana, signora. Vostro nipote mi ha aiutata, là fuori, e…
S’interruppe.
Era stata sfrontata a rispondere al posto di Byakuya? Cosa aveva in mente di
dire di preciso, poi? Il disagio aumentava di nuovo.
Per fortuna
l’uomo le venne, ancora una volta, in aiuto: - Hisana-san aveva smarrito la strada
e si trovava in una situazione spiacevole. Ho ritenuto che non fosse saggio
abbandonarla in mezzo alla campagna in una notte così nebbiosa, perciò l’ho
invitata a rifugiarsi qui. Vi chiedo perdono.
Kuchiki Nobuo
gli sorrise: - Non chiedere perdono, nipote. Io avrei fatto lo stesso. Siate la
benvenuta, Hisana-san – replicò con un piccolo inchino.
- Vi ringrazio
di cuore – mormorò lei inchinandosi di rimando.
- Il vostro
kimono è rovinato, Hisana-san – sottolineò Kuchiki Hisako con una punta di
preoccupazione – Ve ne darò uno io.
La mora spalancò
gli occhi, sorpresa: - Non… non dovete, signora! Veramente, posso stare con
questo, sarà sufficiente ripulirlo…
- Vi prego! –
insistette la donna – Quell’abito è bagnato, vi ammalerete. E inoltre siete
nostra ospite, Hisana-san.
- Nostra… o
forse più di nostro nipote – fece presente suo marito ammiccando.
Nessuno osò
commentare quella frase, per motivi differenti. Forse fu inopportuna, e forse
fu invece molto utile.
Kuchiki Hisako
sparì in una stanza attigua con un discreto frusciare del proprio kimono,
mentre l’anziano Yumiyoshi, che fino a quel momento non aveva aperto bocca,
annunciò che sarebbe andato finalmente a letto e augurò la buonanotte a Byakuya
e alla “incantevole signorina al suo fianco”, sorridendo.
Hisana non
sapeva affatto come comportarsi. Adesso che era calato il silenzio cominciava a
pensare che forse avrebbe fatto meglio a rifiutare l’invito e ad arrangiarsi in
qualche modo per tornare a casa nel Venticinquesimo Quartiere, da sola: non
capiva cosa pensassero i familiari del giovane nobile né, del resto, cosa
pensasse lui. Si sentiva inadeguata, fuori posto, un elemento di disturbo,
nonostante si fossero mostrati gentili e comprensivi; e aveva la netta
impressione che Byakuya avesse preso un grosso abbaglio circa la sua identità…
quando mai un aristocratico si sarebbe preso la briga di comportarsi con tanta
deferenza nei confronti di una popolana come lei? E c’era qualcosa che non
cessava di ronzarle in testa: Il Rukongai
non è un luogo tranquillo.
Il Rukongai non
era un luogo tranquillo, certo che no. Ma il tono con cui Byakuya aveva
ripetuto quella sorta di formula le lasciava indovinare quale fosse la loro
idea su di esso e su coloro che vi abitavano, come lei. Non era rassicurante,
questo.
- Vi sentite
bene, Hisana-san?
La voce bassa e
all’apparenza piatta del giovane la indusse a riscuotersi e a girarsi a
guardarlo: - Credo di sì. Perché?
Lui accennò ad
una scrollata di spalle: - Siete molto pallida. Vi accompagnerò subito in una
stanza tranquilla, non appena tornerà mia zia – disse.
E difatti la
donna rientrò nel momento esatto in cui Byakuya terminò di parlare, recando con
sé un kimono ricco di sfumature scarlatte che mise tra le mani della ragazza
con delicatezza e con un vaghissimo sorriso. Hisana lo accettò con un rinnovato
inchino e un ‘grazie’ sussurrato.
- Nipote, vi
lasciamo da soli – annunciò Kuchiki Nobuo mettendosi in piedi – Buonanotte.
- Buonanotte.
Nipote, Hisana-san… - ripetè Kuchiki Hisako nel seguirlo. Byakuya non aprì
bocca.
Quando i due
nobili furono scomparsi nel corridoio buio che s’allungava oltre la porta
scorrevole interna della sala, il giovane si lasciò sfuggire un sospiro, in
fretta represso: quanto erano realmente sinceri i suoi parenti, in simili
occasioni? Non soltanto nei confronti di Hisana, ma anche nei suoi. Quanto?
- Venite con me.
Vorrete riposare – esordì piano dopo un paio di minuti di silenzio.
Si diresse verso
l’altra porta scorrevole, quella che dava sulla veranda rialzata, e la mora lo
seguì. I suoi passi erano leggeri sul tatami.
- Vorrete
riposare voi pure – gli fece notare – Byakuya-sama.
Che strano
pronunciare il suo nome per la prima volta. E le piaceva dirlo, farsi scivolare
quei suoni dalle labbra: per questo le venne da arrossire. Non lo conosceva nemmeno,
accidenti. Però tutto ciò le stava dando una sensazione troppo gradevole per
poterla ignorare, un senso di completezza che superava il disagio iniziale,
l’agitazione, l’imbarazzo. Un battito di poco più serrato sulla sinistra del
suo petto.
La veranda
costeggiava l’intera casa, e percorrendola i due si fermarono infine davanti ad
un’ennesima porta di legno e shoji, più piccola e appena aperta; oltre vi era
una stanza non grande e molto accogliente, distinguibile già nella luce delle
lanterne esterne. Byakuya accese la lampada in carta di riso che si trovava in
un angolo, e Hisana si accorse del futon steso sul pavimento e della katana
appesa ad una delle pareti.
- Dunque questa
è la vostra camera? – s’informò.
Lui annuì: - Ma
non temete. Vi cederò il letto, io resterò sulla porta.
La ragazza non
ribattè. Si avvicinò invece alla spada, curiosa: - Siete uno Shinigami, non è
vero?
- Lo sono. Lo
avete intuito dalla katana? – rispose Byakuya. Lo rilassava parlare con lei.
Hisana sorrise:
- Sì. E poi vivete nella Seireitei… la mia era una domanda retorica.
Andarono avanti
così per diverso tempo, la mora inginocchiata sulla soglia e l’uomo seduto
subito fuori, la schiena poggiata al muro fresco. Discussero con calma di
argomenti futili, banali, come la nebbia che li aveva avvolti un’ora prima, e
Hisana volle sapere qualcosa di più su ciò che accadeva in quella Corte che le
era sempre sembrata tanto lontana; Byakuya era di poche parole, ma non mancava
mai di rispondere. Era pacato, e le rivolgeva di tanto in tanto sguardi seri e
profondi che la giovane donna avrebbe voluto trattenere.
Trattenerli,
come l’immagine del suo profilo fiero delineato dal bagliore aranciato delle
torce contro il nero del cielo.
Probabilmente
scivolò nel sonno mentre lo osservava, perché non se ne rese conto con
precisione. Il nobile non riuscì nemmeno ad irritarsi, pur vedendosi costretto
a stenderla con cautela sul futon: aveva ancora indosso il vecchio kimono, alla
fine, ma non era importante. Non voleva svegliarla per un motivo del genere.
Lui, al contrario, non avvertiva alcun bisogno di dormire. Mancavano poche ore
all’alba, non ne valeva la pena. Soprattutto, non valeva la pena chiudere gli
occhi, distogliendoli dal volto rilassato di Hisana, non adesso che poteva
guardarla senza timore di apparire maleducato.
Che cosa stava
andando a pensare? Soltanto questo era
maleducazione. Non avrebbe dovuto permettersi di fissare una donna
addormentata, una donna sconosciuta fino a una manciata – esigua – di ore
precedenti a quel momento. Ma non riusciva a negare l’attrazione, seppur
sopita, che provava per lei.
Era comparsa dal
nulla, da un velo di bruma color latte, e il ricordo bastava ad affascinarlo.
Si era comportata con umiltà e grazia, e con onestà.
Non era facile
incontrare persone così, nell’ambiente in cui Kuchiki Byakuya viveva sin da
quando era nato, ed era forse anche per questo che lei gli piaceva. Per quel
poco che aveva compreso di Hisana, la ammirava. E poi era bella, non poteva
ignoralo.
Rimase quindi
sveglio a vegliare su di lei finchè gli fu possibile, sentendosi rilassato,
come intorpidito, con la lampada che ardeva nell’angolo e la mano esile di
Hisana che, bagnata di quella luce amichevole, stringeva la stoffa scarlatta
del kimono donatole. Gli venne da sorridere.
La mattina dopo
fu la ragazza la prima a destarsi. Il giovane dormiva ancora, le spalle
abbandonate contro la parete e le gambe allungate sul legno della veranda:
sembrava più indifeso, senza quell’espressione seria dipinta in viso. Avrebbe
tanto voluto sfiorargli una guancia, ma non ne ebbe il coraggio.
Sospirando, si
apprestò a cambiarsi. Com’era stata stupida a non farlo quella notte! Di sicuro
aveva sporcato le coperte di terra, ed era rimasta con la stoffa umida contro
la pelle, vanificando le premure della signora. Pareva che fosse destinata a
collezionare brutte figure una dopo l’altra, lì.
Comunque stette
meglio, una volta indossato il kimono dai colori scarlatti. Era talmente
elegante che avrebbe dovuto di nuovo ringraziare la donna, se l’avesse rivista
prima di andarsene. Guardò fuori, e vide che la giornata era limpida e
luminosa: la nebbia notturna era ormai lontana.
- Buongiorno,
Hisana-san – disse d’improvviso Byakuya, dietro di lei. La mora sobbalzò
appena.
- Buongiorno,
Byakuya-sama – rispose con voce un po’ incerta. Ecco, le stava tornando
l’imbarazzo.
Lui emise un
suono che, in una persona meno compassata, avrebbe potuto essere scambiato per
una risata cordiale e soffocata:
- Spero che
abbiate riposato bene. Mi scuso per aver lasciato la porta aperta, stanotte.
Hisana scosse il
capo: - Non ci ho fatto nemmeno caso, sul serio. Siete stato così gentile a
mettermi sul futon…
S’interruppe,
arrossendo. Ora che ci rifletteva, ora che ne prendeva atto, la cosa non
mancava di agitarla. Era perché le sembrava di aver abusato fin troppo di
quella gentilezza? Oppure perché si rammaricava di non aver potuto sentire, nel
sonno, il tocco di quelle mani curate e forti?
Col rinnovato
disagio che avvertiva preferì rifiutare l’invito di mangiare qualcosa con
Byakuya e la sua famiglia, e si schermì assicurando che col sole sarebbe
riuscita a tornare a casa senza problemi; l’uomo accettò la decisione, ma volle
assolutamente accompagnarla fino al cancello del Seireimon.
La mora non
seppe dire di no, non volle affatto dirlo. Perciò si affrettarono lungo la
veranda e attraverso il giardino, come avevano fatto la sera precedente.
Dalle scuderie
giungevano colpi acuti di metallo su metallo e voci maschili allegre, segno che
guardie e servitori si stavano mettendo al lavoro: incrociarono persino un paio
di cameriere ridenti che li salutarono con un inchino e ammiccarono bonarie in
direzione di Hisana, e trovarono l’anziano Yumiyoshi seduto su una panca in
pietra vicino al ruscello. Questi augurò loro il buongiorno e tornò al suo
libro. Gli zii di Byakuya, invece, dormivano ancora.
La Seireitei, al
mattino, era molto più animata, con un gran viavai di Shinigami e messaggeri e
contadini che venivano a portare cibo fresco alle dimore dei nobili e ai
Quartieri Generali del Gotei Tredici, i piedi nudi o calzati in sandali di
rufia sfilacciata che battevano sulla pietra bianca. La ragazza osservava
affascinata quel che le accadeva attorno: avrebbe voluto trascorrere più tempo
lì. Per almeno due buoni motivi.
- Siete certa di
voler proseguire da sola? – le domandò Byakuya non appena furono di fronte al
portale, adesso aperto.
- Non vi
preoccupate. Ce la farò benissimo – rispose Hisana ridendo piano. Avrebbe
voluto restare ancora con lui, ma non voleva essere sfacciata.
Il giovane guardò
altrove: - Allora vi lascio andare. Fate attenzione, sulla strada del ritorno.
- Siatene
sicuro. Vi ringrazio mille e mille volte per quanto avete fatto per me ieri.
Porgete i miei rispetti ai vostri parenti, vi prego.
Byakuya fece un
cenno d’assenso. Non poteva salutarla in maniera tanto anonima e formale, no: -
Hisana-san.
Lei, che stava
già per voltarsi, si fermò, dandogli le spalle: - Ditemi – mormorò.
- Vorrei
rivedervi. Se l’idea non vi disturba, e se anche voi lo desiderate, mi
piacerebbe che questo non fosse il nostro ultimo incontro – esordì.
Aveva quella
voce bassa e profonda che pareva capace di far vibrare ogni singola cellula
della ragazza, nell’udirla.
- Ogni tre
giorni a partire da oggi vi aspetterò davanti a questo cancello, nel primo pomeriggio
– proseguì Byakuya – So che può sembrare un ordine, ma non saprei come fare
altrimenti. E non posso far altro che sperare nella vostra venuta, Hisana-san.
- Verrò – disse
Hisana – Verrò, Byakuya-sama.
Poi si allontanò
rapida nella campagna assolata, mentre lui restava sulla soglia della
Seireitei, il kimono scuro e la sciarpa bianca che si muovevano piano nel vento
di sud, così come l’erba e le spighe tra le quali correva lei, netto punto
scarlatto contro il cielo azzurro cupo.
二番章~おわり
(fine II capitolo)
Note
dell’autrice:
eccoci arrivati anche alla fine del secondo capitolo della
“fiaba nella Soul Society”…
Ne sono sinceramente soddisfatta, anche se immagino di avervi
fatto aspettare più del previsto… chiedo venia, il tempo in più è un mio
desiderio irrealizzato >_<
A proposito! Vorrei ringraziare di cuore coloro che hanno
recensito la prima parte: arigatou gozaimashita (con tanto di inchino)!
Continuate a seguirmi e vi assicuro che non vi deluderò.
Cioè, lo spero XP
Prima di chiudere, un paio di questioncine interessanti… Il
colore che ho scelto per il kimono che Kuchiki Hisako dona a Hisana, lo
scarlatto, non è casuale:
il nome di Hisana si scrive infatti con kanji che significano
“verità scarlatta”, e la cosa mi è piaciuta moltissimo *luvs*
Poi vi metto il link per vedere l’unico disegno che ho fatto,
per ora, sulla coppia:
http://www.deviantart.com/deviation/52086520
Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate, del dessin… e
soprattutto, del capitolo. A risentirci al prossimo!
yours Black ~