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Autore: Princess_Klebitz    31/10/2012    2 recensioni
“Fottiti, Alan Wilder!!”
“Precedimi, David Gahan! Ho aspettato per 6 mesi di mandarti a fanculo di persona!”
“E…?”
“Vaffanculo, David Gahan!”
-Una piccola raccolta di momenti dei DM, tra l'86 e il tragico (per molti) annuncio del 1995, passando per la sfiorata tragedia di Dave, la rinascita, risate, drammi, e partendo tutto da una sera del 2010, alla Royal Albert Hall. Per chi, come me, spera sempre, in ogni tour, in una sempre più improbabile reunion;Alan e Dave-centric
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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WELL IT’S ABOUT TIME
IT’S BEGINNING TO HURT
TIME YOU MADE YOU UP YOUR MIND
JUST WHAT IS IT ALL WORTH?!
 
(USELESS, Depeche Mode)
 
*
Maggio 1995
*
 
Nei vecchi uffici della Mute, a Londra, nonostante fosse quasi estate regnava un clima polveroso e freddo da pieno inverno.
Inverno nucleare, viste le condizioni in cui si trovavano.
Martin girovagava, osservando i vecchi poster, risalenti a Black Celebration e anche prima, dieci anni ed oltre in cui la loro carriera aveva raggiunto sia lo zenith, dal punto di vista di successo, che il nadir, dal punto di vista personale. 
Erano quattro relitti, e lo confermava l’esaurimento nervoso di Fletch alle Hawaii, nell’Exotic Summer tour, un anno prima, quando in un lampo di comprensione lui ed Alan si erano guardati e l’avevano spedito a casa, senza nessuna protesta. 
Era vero che Andrew non era il musicista che faceva la differenza, ma era uno di loro. 
Martin aveva riflettuto molto su quel concetto, dopo aver sparato su Alan, al momento di filmare il Devotional, ma non aveva mai avuto momento di chiedergli scusa. 
Non che fosse la cosa che gli riuscisse più facilmente, oltretutto: chiedere scusa e offrire medaglie non era proprio la sua specialità, ma qualcosa gli rodeva il culo, da allora, come per esempio la reazione di Dave.
Dave che non si trovava più.
Dave che si era tagliato i polsi pochi giorni prima, ed era stato arrestato, e nessuno ancora riusciva a raggiungerlo. 
Dave che sembrava sprofondato nelle viscere della terra, e che probabilmente sarebbe stato l’aiuto fondamentale per tenere buono Alan, che li aveva convocati con la scusa di un ‘discorsetto informale’… 
C’erano volte in cui solo Dave riusciva a tenere buono Alan, che si incazzava di rado, ma in quei momenti Dio li salvasse… 
Come quando nel Masses tour aveva fatto a pugni con Fletch; il biondino timido che avevano assunto all’inizio, che sotto la patina di riservatezza e puntigliosità musicale aveva scoperto un carattere duro come la roccia, si era pure rivelato un inglese tour court, da campo di calcio, e se non li avessero separati in tempo chissà chi ne sarebbe uscito con le ossa più rotte.
Ma non era stato niente di irreparabile.
Erano un gruppo, una gang, uscivano tutti assieme, passavano le serate a ubriacarsi e parlare di Bowie, dei suoi primi album e delle sue progressioni, e specialmente degli album berlinesi, per cui sia Dave che Alan sembravano avere una venerazione. 
Non erano… come ora.
Fletch stava seduto, sospirando ogni tanto.
“Martin siediti, mi farai girare la testa.”
“…sto girando così tanto?”
“Stai scavando una trincea. Daniel non ne sarebbe così soddisfatto.”
“Mi sto chiedendo cosa vuole… Io capisco che dopo il Devotional eravamo tutti distrutti, e poi c’è questa faccenda di Dave… Ma addirittura convocarci…’.
La parola gli uscì con disprezzo non voluto: era scocciato e non capiva il perché di tutta quella messa in scena; e loro erano i Depeche Mode, reduci da un trionfo dietro l’altro, nessuno avrebbe dovuto convocarli. 
A parte un altro Depeche Mode.
…se fossero stati ancora un gruppo….
Martin si sedette, sospirando.
“Siamo così in merda, Fletch?”
“Voi non so… io non farei un altro disco con lui.”
E come per magia, o come avesse aspettato dietro la porta per un po’ per darsi coraggio, Alan apparve sulla porta, con una maschera d’impassibilità.
“Grazie Fletch. Come al solito sei la bocca della verità.”
Una lastra di granito sarebbe stata più impenetrabile di Alan Wilder in quel momento, mentre li fronteggiava, da un capo all’altro del lungo tavolo, senza dare segno neppure di togliersi la giacca.
“Oh, cazzo…”, sussurrò Fletch, che non era nuovo a quelle situazioni. 
Martin sospirò ancora; odiava quando Alan e Fletch iniziavano a punzecchiarsi, spesso senza motivo come in quel momento, per una frase sbagliata al momento sbagliato.
“Dai, Alan, siamo tutti stanchi e poi c’è questa…”
“…faccenda di Dave, sì… l’ho sentito da dietro la porta.”, ammise Alan, rivelando così di aver sfruttato il tempo in cui loro si innervosivano per aversi costruito la sua maschera di rigidità.
Se ne fotteva.
Non gliene fregava proprio più niente di quel gruppo. 
Non gliene fregava più niente di loro.
Decise di sedersi, almeno per tentare di portare avanti una conversazione civile.
“Notizie di Dave?”
“Quelle che ha la stampa… Non si riesce a trovare. O forse tu…?”, e Martin lo guardò speranzoso.
“No.”
Secco e lapidario. 
Il chè rivelava la sua frustrazione per quanto doveva averlo cercato.
“Comunque è vivo…per ora…”, sospirò Fletch, pensando a come doveva essere messo il loro amico.
Alan fissò il suo sguardo schernitore su di lui.
“Sì, per ora,Fletchy, per ora… Che consolazione avere un cantante che può morire da un momento all’altro, eh?!”
“ALAN!”,sbottò Martin, sconvolto.
Niente da fare, la maschera di amara ironia non accennava a placarsi. 
Alan faceva quello che gli era riuscito meglio dal World Violation in poi: mettersi una maschera. 
Nel Devotional si era maledettamente perfezionato, era riuscito odioso ad entrambi, specie dopo aver mixato SOFAD LIVE, ai Windmill Lane Studios, da solo.
“Alan, Alan, Alan! Ma che vuoi da me?! E’ la verità e lo sai!”, gli rispose stizzito il tastierista.
“Dave non crollerà, Dave è…”,e Martin si trovò senza parole.
“…un gatto? Ha nove vite?”, lo schernì di nuovo Alan, ma sotto sotto vi era qualcosa. 
Rabbia, prima ardente ed ora fredda, come una pietra tombale. 
Una dannata pietra tombale che Martin iniziava a capire dove voleva mettere.
“Ci…Vi è sfuggito di mano.”, sentenziò, stringendo una mano a pugno, come a volerci serrare dentro tutto quello che avevano passato assieme, e distruggerlo come una lattina.
“Perché, tu sai dov’è, allora?!”, si irritò Fletch, che aveva pensato bene di chiudere la bocca, dopo l’inopportuno commento iniziale.
“No, vedo solo la realtà delle cose, Andrew… NON-E’-QUI. Non è col suo…gruppo.”,e fu la volta di Alan a pronunciare la parola con disprezzo, sotto gli occhi attenti di Martin, che fece in modo di incrociarne gli occhi e guardarlo fisso, come a leggergli dentro.
“Tu non pensi più che siamo un gruppo, vero?”
Alan stette a guardarlo fisso, per un paio di secondi, sapendo di non poter vincere quel duello, non con Martin; lui era l’anima dei Depeche Mode, e lo sarebbe sempre stata, mentre il tastierista non si era mai liberato da quella sindrome dal 1982, dell’outsiders. 
Utile, anzi, necessario, anzi, per certi versi persino indispensabile.
Loro due, assieme, li avevano traghettati da pop band con i synth a band matura, in grado di produrre un rock elettronico rivoluzionario e filmico.
Suoni come ‘In your room’ erano impensabili… 
Prima di loro. 
Alla fine Alan abbassò gli occhi, e liberò il pugno, portandoselo alla bocca, per non far vedere come tremava.
“No. Non siamo più un gruppo.”
Martin sospirò e si scambiò uno sguardo con Fletch, che decise di prendere la parola.
“Senti… siamo tutti stremati. Davvero. Guarda me… avete dovuto rimandarmi a casa. E’ un miracolo che tu ce l’abbia fatta.”,ed esitò, prima di riprendere la parola, ora fissato da entrambi i compagni. 
“Dave… si riprenderà. Questa storia sta finendo. Il Devotional è stato… “, e mando giù un grumo di saliva nel dire quelle parole, la verità nuda e cruda. “…troppo per noi. Dovevamo interromperlo ma… è difficile tornare a terra quando cammini sul cielo. E noi c’eravamo.”, sospirò.
“Alan, io capisco cosa vuoi.”, lo interruppe Martin, fissandolo. “Hai dato il massimo, davvero. Senza te non saremmo qui, ma non saremmo qui lo stesso se fosse mancato l’apporto di qualcun altro, qualsiasi altro di n…”
“MA DAVVERO?!”,sibilò Alan, scattando in piedi e facendo sobbalzare i due.
“Voi… pensate davvero che…”,e si interruppe, fissandoli, poi si lasciò andare ad una risatina isterica.
“Sì…lo pensate davvero… tu, Martin, con le tue demo… e tu Fletch, con il tuo…niente! Pensate che abbiamo lavorato davvero assieme per arrivare qui?! E’ questo quello che vi dice il cervello?!”, concluse, quasi urlando.
I due erano sconvolti, e lo fissavano come se avessero davanti una persona mai vista prima.
Pericolosa, oltretutto.
“Vaffanculo, io mollo!”
E a grandi passi, Alan si diresse verso la porta, sotto il silenzio eloquente e gli sguardi sgranati degli ormai ex- compagni.
Dopo qualche minuti che la porta sbattè, Fletch si alzò e fissò Martin.
“Io l’avevo detto che non avrei fatto un altro disco con lui…”
Ma Martin aveva ben altro a cui pensare.
-Dio mio, questa è la fine della band…-
*
1 giugno 1995
*
Lapidario come una colonna della Pravda, l’annuncio dell’abbandono di Alan arrivò alla Mute, che fu subito subissata di telefonate di fans preoccupati dell’eventuale scioglimento del gruppo, subito calmati. 
Si parlava di condizioni di lavoro ‘non soddisfacenti’ e ‘rapporti interni ormai logori’.
Martin, leggeva tra le righe, e pensava a quando gli aveva dato del turnista.
Del lavoro ai Windmill Lane.
A Enjoy the Silence.
Ma anche ai bei momenti a Berlino e a Milano.
O quando era andato a trovarli, per vedere Basildon.
…e ancora Dave non si trovava, anche se era in posto molto semplice.
Stava tentando di morire.
*
(pochi giorni prima)
*
“Dave, cristo sono tre mesi che tento di telefonarti!!”
“Ehy, Alan…”,rispose una voce roca e spezzata, lontana anni luce dalla voce che aveva incantato tutti negli anni, lui compreso, e rotto ogni barriera in SOFAD.
“Me ne vado, Dave. L’ho già detto a Martin e Fletch. Prima che comunichi il tutto alla Mute… volevo dirlo anche a te.”
Alan, sotto la voce gelida, stava tenendo la cornetta con due mani, mentre un nugolo di pensieri gli attraversava la testa.
Speranza.
Preghiera.
Sfiducia.
Ma specialmente… speranza.
Di cosa non lo sapeva, ma sapeva che sarebbe potuta venire solo da Dave.
Dave restò un attimo interdetto, alla notizia, dall’altra parte dell’oceano, appoggiato al letto.
La linea era tutta un crepitìo, ed il suo cervello anche.
Non riusciva a capire, ma il suo corpo gli segnalava solo una cosa.
Dolore.
“Alan…”
“Dimmi.”
“…non so cosa dirti. Fai quello che vuoi. Io sono impegnato a morire.”
E mise giù, tentando di mettersi in piedi, fallendo ancora una volta.
A Londra, Alan restò cinque minuti al telefono, con la cornetta in mano e appoggiato al mobile del telefono.
Si rifiutava di piangere, era un uomo, non era più un ragazzino sballottato in tour mondiali Dio solo sa come e dove, che se l’era cavata grazie alla sua intraprendenza.
A interromperlo arrivò sua moglie, preoccupata.
“Amore?”
Alan, mascherando sotto la rabbia di essere stato beccato, sbattè con violenza la cornetta al suo posto, facendo sobbalzare Hep.
“Hep. Vattene. Ora. Ho bisogno di un po’ di tempo da solo.”
La donna annuì, triste, e si ritirò, chiudendo la porta, ma intanto pensando, febbrile.
-Dave. Ha parlato con Dave. Solo Dave lo fa stare così…-
E si appoggiò alla porta, sconsolata.
Prima sarebbe finita quella faccenda, e meglio sarebbe stato.
Per tutti loro.
*
1996
*
Martin non si era ancora arreso, ma non poteva pretendere più di così.
In una sessione di sei settimane, Dave era riuscito a cantare solo una canzone, e persino dovuto ripeterla sillaba per sillaba.
La sua voce era rovinata.
Lui era rovinato.
Così prese la decisione di rimandarlo a casa e che prendesse un maestro di canto.
A L.A.
Mai avrebbe rimpianto più di così una decisione
Il 28 maggio, mentre tutti cercavano di riprendersi, Dave Gahan fece la più grossa cazzata della sua vita, costellata di grosse e persino enormi cazzate.
Un’overdose di speedball che lo lasciò in morte clinica per tre minuti, prima che riuscissero a rianimarlo, in modalità ‘Pulp Fiction.’
Eppure mai cazzata così sofferta fu decisiva.
Quando si ripresentò per le sessioni successive, Dave era ferito, umiliato, rovinato.
E cantava.
Non avrebbe più avuto la sua voce, ma aveva assunto un tono diverso.
Ultra sarebbe stato il disco più sofferto della loro carriera, e la sua voce ne era l’emblema, con il ritorno all’elettronica.
Sofferta.
Il tragicomico si era sfiorato qualche mese prima, quando, entrando in studio, ancora spaesato e strafatto, nonostante le varie disintossicazioni, si era guardato attorno, come non riconoscesse niente (cosa probabile), ma, cosa peggiore, come se cercasse qualcuno, come infine aveva confermato.
Martin gli stava dietro ansioso come una chioccia, cosa che non era servita a rilassarlo, ma semmai ad accentuarne lo smarrimento.
“Martin…”
“Dimmi, Dave.”
“Dov’è Alan? Di solito è così puntuale per il lavoro in studio….”


 
   
 
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