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Autore: lady vampira    31/10/2012    1 recensioni
Cosa succede se una ragazza approdata a Berlino da un paesino di montagna si ritrova coinvolta nell'equivoco più emozionante della sua vita con l'uomo dei suoi sogni? Scegliere tra sincerità e amore non è semplice, e se di mezzo ci si mette anche un coinquilino moooolto particolare con i suoi saggi consigli ... fate voi!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4


 
La sottile falce di luna, alta nel cielo quand’era uscita da casa per recarsi nel luogo che lui le aveva indicato, era discesa di parecchio nella sua parabola intorno alla Terra nel momento in cui Vera scivolò giù dal corpo semivestito e imperlato di sudore di Bill, per sdraiarsi sul sedile accanto e lasciarlo respirare.  
<< Quel vestito è bellissimo, ma devastante. Non te l’ho strappato di dosso solo perché è di una morbidezza incredibile al tatto e sarebbe stato un delitto. Ma è una trappola, si stringe esattamente nei punti che vorresti scoprire come una corazza. Chi l’ha disegnato deve avere un contorto senso dell’umorismo, oppure era gay >>. 
<< O semplicemente, era un puritano che non contemplava le sveltine in macchina >>, fece lei con un sorriso. << E sei stato tu a chiedermi di metterlo >>.
<< Certo. Ci sono rimasto male l’altra sera … E’ troppo bello, dovevo assolutamente averti con quel vestito addosso, anche se magari … non per tutto il tempo >>. 
<< Avresti sempre potuto sfilarmelo … >>.
<< In auto, in un vicolo nel centro di Berlino? Scordatelo. E’ già stato un miracolo che non sia arrivato qualche poliziotto armato di quelle piccole torce micidiali che ti puntano immancabilmente in faccia e ti accecano per un quarto d’ora e passa … >>. 
Il programma era di fare un giro in macchina, vagando senza una meta precisa. Le aveva dato appuntamento dietro la sala prove dove aveva trascorso il pomeriggio, chiedendole espressamente di indossare il vestito dell’ultima volta. Lei aveva obbedito, si era presentata al posto giusto nel momento che le aveva chiesto, era salita in auto e gli aveva sorriso, pronta ad andare ovunque lui volesse. 
Un attimo dopo era sopra di lui, che le abbassava delicatamente l‘orlo della tunica color pesco e portava alla luce, seppur flebile, l‘intimo di impalpabile seta dalle sfumature rosa antico e albicocca, mentre Vera, meno gentilmente gli slacciava i bottoni della camicia scoprendo la ferita rosso dorata sul suo petto e chinandosi a baciarla, quasi fosse un rito per entrare in un’altra dimensione, una realtà alternativa. 
Ci sarebbe stato tempo, per andare, per spiegare. 
Adesso era quello per loro due.  
<< Potevi dirmi di andare direttamente in albergo, se … avevi queste intenzioni >>, mormorò lei sistemandosi il vestito. 
<< Dopo la telefonata dell’altra sera mi ero ripromesso di fare il bravo. Ma con te è impossibile >>, disse, sfilando una sigaretta dal pacchetto e infilandola tra le labbra. Vera la fissò con una tale invidia, e voluttà che lui le domandò se ne voleva una. 
<< No grazie, non fumo >>.
<< Beata te >>. Sbuffò fuori il fumo e sorrise. 
<< Che c’è? >>.
<< Niente … stavo pensando a una cosa >>.  
Lei si stirò sul sedile, un gomito puntellato a reggere la testa per poterlo guardare. Era la prima volta che lo vedeva fumare, ed era esattamente come in foto. Trasudava sensualità da tutti i pori. Ecco perché era tanto invidiosa di quel piccolo, delizioso strumento di morte a lungo termine. Lei poteva solo ammirarlo mentre aspirava tanto delicatamente quel fumo amarognolo, ma quella sigaretta poteva sentirlo, mentre prendeva in sé la sua carica di nicotina stimolante. 
Dubitava fortemente che avrebbe mai acconsentito a fumare mentre erano insieme, a meno che non decidesse di darsi al sadomaso e se la facesse spegnere addosso. Ma … be’, forse, si poteva anche provare … 
Ma che cazzo stai pensando, rimbambita? Ti sei fumata il cervello, tanto per restare in tema?  
Okay, perfetto, se avevo un neurone sano mi si è fottuto. <>. 
<< Certo. Quando ho comprato quest’auto, i ragazzi mi hanno sfottuto per un pezzo … non hai idea di quante ne ho sentite >>.
<< Cioè? >>.
<< Cioè … appena l‘ho portata a casa dal concessionario Georg mi ha adocchiato e mi ha chiesto: “Kaulitz, accidenti, ma l’hai comprata per farci le orge, quest’auto?” e mio fratello di rimando: “Sì, ha intenzione di aprirci un club a luci rosse perché i suoi acquisti non si annoino durante i suoi giri di shopping sfrenato! Qua davanti ci organizza le ammucchiate di stivali di pitone e scarpe con i tacchi, sul sedile posteriore i festini estremi per le tutine di pelle e gli accessori di vernice con le borchie … e qua nel bagagliaio ci organizza i corsi di uncinetto, punto e croce e maglia per gli amanti dell‘hardcore puro …“ . E questo è stato solo l’incipit, i primi trenta secondi. Pensa che ce l’ho da venti mesi. E non hanno mai smesso >>, concluse, con un‘aria così sconsolata che Vera scoppiò a ridere. 
<< Devono volerti molto bene >>.
<< E’ soltanto per questo che non li ho ancora ammazzati, credimi >>.
Bill diede un’altra boccata, fissando il cielo sulla sommità del parabrezza, dove il nero luminoso della volta celeste e quello felpato e morbido del tettuccio dell‘abitacolo si scontravano. << Non l’avevo mai fatto in macchina. Mi è sempre sembrato qualcosa di … scontato, poco romantico, come un panino preso al takeaway, qualcosa di consumato in fretta cedendo a una fame improvvisa.  Un po’ triste >>.
<< E adesso? >>. 
<< Be’, diciamo che adesso … invece di arrabbiarmi quando quei cretini faranno le loro battute idiote sulla mia auto, ripenserò a questi momenti e la prenderò con un sorriso >>.
<< Certo. In quel posto, ma con un sorriso >>, puntualizzò Vera, ghignando. 
<< Ah, grazie. Che c’è, vuoi entrare anche tu nel club dello sfottio a Bill Kaulitz? >>. 
<< No … però, penso che mi piacerebbe fare una capatina in quello qua dietro … cos’è che c’era qui? L’ammucchiata degli stiletti? Ah, no, aspetta, i giochini sadomaso delle cinture borchiate … >>.
<< Divertente >>.
<< Dai, scherzavo >>. 
<< Hai fame? >>.
<< Ad essere sincera, sì >>.
<< Dove ti piacerebbe andare? >>. 
<< Di sicuro non nel ristorante dell’altra sera. Non avrei il coraggio di riaffrontare quel pover’uomo del cameriere >>.
<< Nemmeno io >>.
<< Sai, pensavo che forse … un panino al volo potrebbe non essere così male >>. 
Lui le sorrise. E riavviò il motore.
Sì, c’era tempo. Gliel’avrebbe detto. 
Una volta o l’altra. 
 
<< Lasciami indovinare. Non gliel’hai detto neanche stasera >>, esordì Kosta alzando lo sguardo occhialuto dalla sua interessante lettura, all‘entrata della sua coinquilina, in punta di piedi e con le scarpette in mano, come in una versione riveduta e corretta di Cenerentola. 
<< Non ho potuto. Ho avuto a malapena il tempo di dirgli “ciao” che abbiamo fatto sesso come due dannati, nella sua auto, nel vicolo dietro la sala prove … >>.
Kosta sgranò gli occhi, due pozze azzurre dietro le lenti da presbite. << Cazzarola >>.
<< E un’altra prima di arrivare al takeaway nella Genthinerstrasse >>.
<< Bene >>.
<< E l’ultima prima di riaccompagnarmi a casa >>.
<< Complimenti >>. 
<< Già. Almeno questo gliel’ho detto, il mio indirizzo. Ma gli ho detto anche che gli altri inquilini non hanno la minima idea del mio lavoro e che tu accetti ma non condividi e quindi … niente uomini in casa >>.
<< Almeno >>.
<< Questo vale anche per te >>, fece lei mostrandogli la lingua. 
<< Grazie, tesoro >>, sbottò sarcastico. 
<< Non c’è di che. Così sono in una botte di ferro >>.
<< Io direi più che ti stai mettendo in un sacco di guai, ma pensala come ti pare >>.
Lei eruppe in un sospiro amaro. E Kosta dopo di lei.  
<< Senti ma … non per farmi i cavoli tuoi ma a questo ragazzo gli hai proprio picchiato in testa tu, eh? >>.
<< Sì, come no. Kosta, se non l’avessi capito, io sono la sua scopata fissa. Gli piace perché sono senza complicazioni >>.
<< Indubbiamente. E io sono Madame de Pompadour … >>.
<< Semmai Madame de Pompinour … >>, ghignò lei, tirando fuori una bottiglia d’acqua dal frigo. 
<< Brava, molto fine, non c’è che dire. Ti vesti da escort di lusso ma il linguaggio è quello delle battone da due soldi. Parli così anche col tuo amichetto? >>.
<< No. E se vuoi che io la smetta anche tu piantala di mettermi pulci nelle orecchie. Sto già … cercando di non farmi troppe illusioni, okay? E’ già complicato così. Non riesco a lasciarlo andare >>.
<< E allora non farlo. Vai avanti così, e così sia. Vedi dove vai a finire. Se ti fa stare bene … >>.
<< Più che bene, Kosta. E non lo dico solo perché è … be’, Bill Kaulitz, ed ero pazza di lui già da prima di conoscerlo. Quell’uomo ha la chiave del paradiso >>. 
<< Io pensavo più una chiave da 18, ma … >>. Kosta rise, scansando l’arancia che Vera gli aveva lanciato dal portafrutta. 
<< Sei un porco >>.
<< Da che pulpito. Ormai non vedo l’ora di vederti rientrare solo per sapere che porcate avete aggiunto al vostro repertorio. Pensate di fare un album con le figurine di ogni innovazione? O magari un bel corso in dvd, a uscite settimanali … “Il Kiava-Kaulitz facile“, un incrocio tra un Baedeker dei posti più insoliti di Berlino da riciclare come scenari bollenti, e un manuale di kamasutra spicciolo … in omaggio con ogni uscita un sex-toy progettato dai gemelli Dean e Dan della Dsquared in persona da usare durante ogni lezione … >>. 
<< KOSTAAAAAAAA! >>.
Lui riprese a leggere, tirando indietro gli occhialetti con la punta di un dito. << Secondo me quella canzone era farcita di doppi sensi … >>.
Vera inclinò la testa. << Quale canzone? >>.
<< Come, quale? “Monsoon” no? Che non lo sai? Il monsone e il kamasutra vengono entrambi dall’India … chissà che messaggi subliminali ci hanno nascosto, in quei versi! >>.
Lei serrò i pugni sui fianchi. << Mi sa che a te è l’India che ha picchiato in testa … ma quand’è che hai l’esame? >>.
<< Giovedì >>.
<< E cosa ci porti, lo schifo dell’altro giorno? >>.
<< No, pensavo di farmi prestare il tuo amico dopo uno dei vostri incontri. Un po’ di zenzero, un po’ di curcuma, ed ecco servito uno spezzatino >>.
<< Spezzatino tua nonna. Quella che rischia di finire male sono io. Quel ragazzo deve avere le ossa di acciaio e titanio … >>.
<< Ed ecco spiegato il perché di “Humanoid” >>.
<< Ah ah, che comico nato>>. 
Due discreti colpi alla porta interruppero la conversazione. Vera andò ad aprire e … rimase alquanto stupita di trovarsi un bel pezzo d’uomo, dalle spalle larghe quanto un armadio quattro stagioni, il cranio rasato e un paio di giganteschi occhiali da sole neri come il fondo di un pozzo. Indossava una sottile maglia nera aderente che sottolineava la potenza muscolare di braccia, pettorali e addome, e un paio di jeans ugualmente neri. 
A Vera sarebbe preso un accidente, se non fosse stato per il bellissimo fascio di rose che teneva tra le mani grosse quanto una forma di pane. Le teneva con una delicatezza tale, come fossero state non di petali, ma di polvere d’ali di farfalla e rugiada mattutina, evanescenti e pronte a svanire con un soffio di vento. 
<< La signorina Vera? >>.
<< Sì, sono io … >>.
<< Io … sono Saki, sono venuto a portarle queste da … parte del signor Kaulitz >>. Gliele porse con cautela, sfilando le mani da sotto la pellicola che le proteggeva solo quando fu certo che la presa della ragazza era salda. 
<< Oh, io … ehm, grazie. Grazie davvero >>.
<< Prego >>, rispose l’uomo, e Vera se possibile divenne perfino più stupita, quasi esterrefatta, nel vedere quel bestione muscoloso arrossire come una suorina di campagna … << Be’, allora io … andrei … >>.
<< Posso offrirti qualcosa? Un caffè, una spremuta, un tè … >>.
<< No, grazie mille signorina, ma … devo andare. Il signor Kaulitz ha deciso di fare un salto in un paio di locali … >>.
<< Capisco >>.
<< Il signor Tom Kaulitz … >>, specificò l’uomo, e Vera batté le palpebre. Oh, cacchio, è proprio così evidente? , si domandò. << Buonanotte, signorina … >>.
<< Buonanotte >>, rispose lei, e chiuse la porta. Quando si voltò, trovò Kosta con gli occhiali sotto il naso e la mascella dentro il libro. 
<< Oh. Mio. Dio. Chi era quel mostro? >>.
<< Mostro?! >>, domandò lei perplessa. 
<< Quel mostro di bellezza, prestanza, e … fascino animale … oh mamma … ho praticamente avuto un’erezione solo a guardarlo! >>.
<< Kosta! Santa miseria, contieniti! Sembri una cagna in calore! >>
<< Non accetto osservazioni del genere da una che fa sesso in auto per tre volte in due ore >>, sbuffò Kosta. << Dai, porta qui quelle meraviglie … ma quante sono? Una … due … tre … >>. 
<< Venti >>, disse lei. << Sono venti >>. 
<< Venti? >>, domandò Kosta. 
<< Già, venti >>.
<< Venti … no, cara, guarda bene. Sono sedici color pesca e quattro bianche … >>.
<< Totale sò sempre venti. Grazie, Kosta >>.
Lui fece una smorfia. << E’ impossibile che sia un caso, uno come lui fa sempre le cose per un motivo >>.  
<< Sì, il motivo che evidentemente avevano finito le arancioni … >>, fece lei leggera. Ma la voce le s’incrinò di colpo. << Oh cavolo >>, borbottò, deglutendo. 
<< Che è? >>.
<< Io non … ehm, ehhhhhh … penso di aver capito … >>.
<< Cosa? Ehi, guarda, c’è un bigliettino! Dai, leggilo, leggilo! >>, fece Kosta battendo le mani, gli occhi che brillavano come quelli di un bimbo davanti a un negozio di dolciumi. << LEEEEGGGGIIILLLLOOOOOOOO! >>.
<< Cavolo, Kos, piantala! Sembri una checca isterica! >>. Lei lo sfilò dalla pellicola e lo aprì. 
E avvampò di colpo. Aveva visto giusto … erano state quelle rose bianche, a darle un suggerimento. 
Evidentemente aveva imparato a conoscerlo meglio di quanto pensasse. 
<< Be’, allora? Sto aspettando >>, masticò Kosta, impaziente.
<< Sì, un … ehm >>. Ricontò mentalmente le rose. Erano venti … se quattro le metteva da parte subito … poi ne sfilava sei … ne rimanevano … 
Cinque?! 
Oh santo cielo. Sfido che mi sentivo così allora!
Oh, cavolo. Cinque. 
Cinque. 
Si sentiva quasi mancare. 
Forse aveva lavorato più di quanto credeva, quella notte. 
<< Cinque … >>. 
<< Ma cinque cosa?! >>, insisté Kosta che non sopportava di essere tenuto fuori dalle cose. Fece per strapparle il bigliettino di mano ma lei fu più veloce e lo spostò. 
<< Okay, okay, come non detto, tieniti per te i tuoi piccoli sporchi segretucci … Comunque ti conviene aprirle, e metterle in acqua, prima che si ammoscino … ehehhehehehehehehehehehehe … >>.
<< Guarda, non ti rispondo neppure >>, rispose lei, sciogliendo il fiocco di raso che le teneva saldamente legate … e qualcosa cadde sul pavimento. 
Lei chinò lo sguardo ma Kosta fu più veloce, e li raccolse. << Pfffffiuuuuu, accidenti. Due e cinque? Cosa gli hai fatto, piccola strega viziosa? >>.
<< Ma nulla, solo lui è troppo generoso e calcola a modo suo >>.
<< Un bel modo, se me lo concedi … Se continua così potremmo mettere su un ristorante … >>.
<< Sì, indiano magari … no, dai, questi non li posso accettare proprio. Sono troppi. Glieli devo restituire >>. 
<< Naturalmente >>. Kosta glieli tese, e non disse nulla. 
Strano. 
<< C’è qualcosa che mi vuoi dire, Kosta? >>.
<< Io? Niente >>. 
<< Kosta … dai, facciamo così. Se mi dici cosa c’è che non va, vedrò cosa posso fare con Saki … non ti garantisco nulla, ma male che vada magari un caffettino te lo stiracchio >>.
<< Mhmm. E devi anche farmi leggere il bigliettino >>. 
<< No quello no >>.
<< Allora non ti dico niente. Notte … >>.
<< Kosta! >>.
<< Sogni d’oro, stellina … dormi bene >>. Le diede un bacio sulla fronte e andò in camera sua. Vera rimase a rigirarsi il bigliettino tra le dita. “Ogni cosa con te vale il doppio, i tuoi sorrisi, i tuoi sguardi, il tempo che trascorriamo assieme … ogni cosa. Buonanotte,
B.”.
Sospirò. Niente giri di parole, solo un messaggio chiarissimo. 
Le parole sono fonte di malintesi, diceva la volpe nel “Piccolo Principe”. E proprio un malinteso aveva reso possibile quel miracolo. 
Accarezzò con dolcezza le corolle chiuse. Difficile parlare, difficile tacere. Facile era soltanto stare con lui. 
Come avrebbe potuto farne a meno, adesso? Dannazione, lei lo amava. Lo amava alla follia. Così tanto da fingere che lui non fosse il suo unico amante, se così gli aggradava. 
Le sistemò nel vaso più grande che le riuscì e, dopo averle annusate, sfilò quella “trappola “ sia pure morbidissima e la posò con attenzione sulla spalliera del divano. Fu così che le cadde l’occhio su un angolino di carta che sbucava da dentro il libro di Kosta … 
Era un avviso dell’università. Gli concedevano altri cinque giorni di tempo per pagare la sua prima rata della retta. Millecinquanta euro. 
Kosta … 
Neanche si poneva la domanda. Rimise a posto l’avviso e il libro, spense la luce e se ne andò a dormire, sospirando.
Glieli avrebbe restituiti, a costo di ridursi alla fame e lavorare anche nei weekend, anche di fare un doppio lavoro, di farsi luce con le candele e aggiungere due coperte al letto durante il gelido inverno. 
Ma glieli avrebbe restituiti, un giorno o l’altro. 
Era una promessa. 
E lei manteneva sempre le sue promesse. 
 
La mattina dopo, un ciclone in maglietta color sabbia, jeans chiari e ciuffo sconvolto varcò la soglia del bar dove lavorava Vera, con la faccia di uno a cui un dispettoso bastardino avesse appena lasciato un “ricordino” non molto profumato sui mocassini nuovi di pacca.  
<< Cosa cazzo hai combinato?! >>, strillò, con un tono da fare invidia a Jane Lynch nella scena della doccia in “Psycho”. 
<< Ciao Kosta, buongiorno, anch’io sono contenta di vederti … >>, sbottò Vera assolutamente calma, voltando lo straccio con cui stava lucidando il bancone d‘acciaio. 
<< Millenovecento euro per la mia retta annuale? Ti ha dato di volta il cervello? >>.
<< Non sono mai stata così sana di mente >>.
<< Avevi detto che glieli restituivi >>.
Lei lanciò un’occhiata alla porta, poi al retro. Carol era andata a fare il solito carico settimanale, e Stefan era in deposito a spostar casse per quando sarebbe tornato il “boss” . Quindi, fece il giro e prese Kosta per un braccio, attirandolo nell’angolo cieco accanto alla vetrata
<< E lo farò. Ma adesso servivano a te. Kosta, forse tu non te ne rendi conto, ma per me non sei solo il mio insopportabile coinquilino schizzato, ma sei anche il mio migliore amico e per me sei come un fratello. Se non fosse stato per te, io sarei ancora al paese a guardare le nuvole sopra le montagne e chiedermi se c’era un posto per me, da qualche altra parte, in questo mondo … è anche merito tuo se sto vivendo quest’intricata favola a luci rosse … con l’uomo dei miei sogni. Adesso avevo l’opportunità di fare qualcosa per te e l’ho fatto. Okay, forse il metodo con cui li ho guadagnati non è proprio ortodosso … ma io so che è solo un prestito e che quello che sto facendo non è né una cosa vergognosa, né tanto meno dolorosa o malvagia. Quindi, sta’ tranquillo >>.
<< Oh … tesoro … grazie. Grazie. Non so che altro dire >>.
<< Niente. Basta che non insisti più per sapere cosa c’era scritto sul biglietto >>. 
<< Okay >>.
<< Grazie >>.
<< Tanto l’ho letto già >>.
<< Kostaaaa! >>.
<< Ehhhhh … ma non te l’ha insegnato tua mamma che non si lasciano certe cose in giro? >>.
<< No, anche perché se solo avessi avuto a che fare con cose del genere giù al paese come minimo mi avrebbe scotennato col pettine per cardare la lana! >>.
<< Potrei sempre scriverle io … >>. 
<< Kosta non sei divertente >>. 
<< Appunto, non era una battuta >>.
<< Non lo faresti mai >>. 
<< Non ci contare troppo >>. 
<< Piantala ti ho detto. Fatti i cavoli tuoi >>.
<< E no bella signorina, io non me li faccio i cavoli miei, se non mantieni la promessa di ieri sera e provvedi di farmi incontrare quel bel maschione … >>.
<< Be’, non so quanto ci potrebbe volere. Devo … aspettare la telefonata di Bill >>.
<< Che ormai, a questo punto, conoscendovi, si farà aspettare mooooooolto poooooooco >>.
Lei alzò le spalle. << Sì, ma anche ammesso non è detto che accetti >>.
<< Ti stai per caso tirando indietro? >>.
<< Nooooo … >>.
<< Strano, avrei giurato di sì … perché vedi, ho già pronta una bella letterina per mamma Sophie … >>.
<< Che? >>.
Kosta si schiarì la voce, e tese le mani facendo mostra prima d‘inforcare i suoi occhiali, e poi di leggere su un immaginario foglio di carta: << “Cara mamma Sophie, sono la vostra amata figlioletta Vera … sapete, qui la vita è fantastica: abito con un ragazzo fantastico sulla cui moralità non dovete dubitare, perché non mi sfiorerebbe mai nemmeno con un dito; ho una bella casa con una padrona A-DO-RA-BI-LE e … ho un lavoro che mi garantisce un sacco di soddisfazioni … e non solo pecuniarie!“ >>.
<< Kosta … >>, mormorò Vera a denti stretti, battendo l’indice su un altrettanto immaginario orologio da polso, come a dire: “ Il tempo è scaduto ”.
<< … “Ma, siccome a volte sento la nostalgia di casa, per ricordare i bei vecchi tempi andati in cui pascolavo le nostre tenere pecorelle, mi sono trovata un bel montone con tanto di pelliccia ecologica …” >>.
<< Kosta! >>, esclamò lei, incurante di venir sentita da Stefan. 
<< “ … per la verità prima si era candidato a fare il toro da monta, e per l’occasione si era anche messo su un bell’anello al naso, ma evidentemente poi ha sentito in giro una certa voce sulla Red Bull e da allora ha cambiato strada …” >>.
<< Kosta, cazzo, piantala! Potrebbe entrare qualcuno da un momento all’altro! >>. 
<< Io la pianto se mantieni la promessa >>. 
<< Ma se non lo conoscevo prima di ieri sera! Mi venderesti per così poco?! >>, sbottò lei, incredula, oltre che fuxia in volto. 
<< Certo, perché non è una valida attenuante … nemmeno Bill lo conoscevi prima di quella sera, eppure ci hai fatto sesso cinque volte >>, fece Kosta con uno sguardo eloquente.
E le guance di lei sbiadirono nel volgere di un istante. << Zitto, per favore, sta’ zitto … Oddio, ora mi prende >>.
<< Che? >>.
<< L’infarto! Oh mamma mamma … non ci posso pensare. Cinque volte! E io non ne ricordo nemmeno cinque minuti tutti di fila! >>.
<< E lui lo sa? >>.
<< No, non gliel’ho detto … è una cosa troppo imbarazzante >>.
<< Perché, tutto quello che gli hai detto e fatto finora non lo è, vorresti dire? >>.
<< Mhmmm … >>
<< Compreso il motivo all’origine di quelle rose bianche … non avrei mai detto che sei una di quelle a cui piace guardare … >>.
<< Kosta!!!!!  >>. 
Lui la abbracciò, strofinandole la sommità della testa col pugno chiuso. << Oh … la mia piccola maialina perversa … >>.
Lei se lo staccò di dosso, tutta rossa in volto e con un’espressione fulminante. << La finisci, una buona volta? E dai! >>. Lui ghignò e lei abbassò lo sguardo. << Idiota >>.
<< Ahahahahahahahahahah! Okay, vado a lezione … comunque, lo sai non dico sul serio no? >>.
<< Su cosa esattamente? >>, domandò Vera in tono poco convinto, tornando dietro il bancone. 
<< Sul “maialina perversa” … lo so che in fondo sei una brava ragazza … che si prendere un po’ troppo la mano dagli eventi … soprattutto se la manina dell’evento in questione è quella tatuata … >>. 
Lei fece mostra di ignorare il suo sarcasmo. << Ah, credevo dicessi riguardo alla lettera >>.
<< Ah no, su quello era serissimo! >>. Vera appallottolò lo straccio e glielo lanciò, ma lui fu più veloce e l’unica cosa che le riuscì di colpi fu la porta a vetri. Nel frattempo, Stefan tornò dal deposito e inarcò un sopracciglio. 
<< Che gli prende a Kosta? >>.
<< Naaaaah, niente. Ha conosciuto un bel tipo e ora gli ormoni gli stanno mandando a puttane il cervello … >>.
<< Ah >>, fece, e non disse altro. 
<< Che c’è? Non mi dirai che sei geloso? >>.
<< Mhmmm, simpaticona >>.
<< Dai, Stef … che succede? Non mi domanderesti di Kosta, se non ti servisse qualcosa da me … >>.
<< Niente. E’ che … sono in pensiero per Sylvie >>.
<< Perché, che ha Sylvie? >>.
<< No, niente … è che ho saputo una cosa >>.
Vera sentì il sangue defluirle dalle guance. << Di … che genere? >>.
<< Che ha un ragazzo >>.
Lei batté le palpebre. << Eh? >>.
<< Sì. E … be’, è molto più grande di lei. Ed è sposato. Con dei figli >>.
Un altro cliente, pensò Vera con un brivido gelido. << Ah sì? >>.
<< Sì. L’ha vista mio fratello, al “Lilieblumen” . Lui era lì con la sua fidanzata … festeggiavano il loro anniversario >>. 
Il cuore di Vera perse un colpo. Due. 
<< Ah. E … io come mi colloco in questa scena? >>. 
<< Be’ … io … pensavo che … visto che tu sei una ragazza come si deve … e una sua amica … >>.
<< Hai sbagliato in pieno, Stefan. Io … >> Non sono una ragazza come si deve, stava per rispondere, ma si trattenne appena in tempo. <<  … non sono amica di Sylvie >>.
<< Ma, come? Io pensavo che … >>.
<< Pensavi male. E ora scusa, devo caricare i frigoriferi, altrimenti Carol sclera >>, disse bruscamente, andando a prendere le bottiglie d’acqua minerale. 
Cazzo. Cazzo. Cazzo. 
Non riusciva quasi a tenere in mano una bottiglia per volta, da quanto le tremavano le mani. 
E se qualcuno avesse visto lei? Sì, era vero, i gemelli erano solitamente riservatissimi per quanto concerneva la loro vita privata, e generalmente riuscivano a schivare la maggior parte delle paparazzate … ma se non fosse stato sempre così? 
E se Bill fosse finito nei guai, per lei? Immaginava già i titoli dei giornali … e lì al paese, anche se di rado, i giornali arrivavano. E molto più spesso, le voci correvano. E poi, la tivù c’era anche lì. Era appunto per via di quel mezzo di comunicazione, che lei aveva visto Bill per la prima volta, tanto tempo prima … e se n’era innamorata come una stupida, non riuscendo più a dar retta ai ragazzi del borgo e accettando a occhi chiusi l’offerta di Kosta quando le aveva detto che prendeva casa a Berlino. Lui, con la sua inclinazione sessuale, al paese si sentiva sempre guardato male. E triste ma vero, aveva preferito andar via, portandosi dietro Vera dopo il suo primo ritorno per le festività natalizie l’anno prima. 
Sembrava tutto così distante, adesso. Una vita che non era mai stata sua. 
Ma neanche questa la era. 
Non riusciva a capire. In cosa era andata a cacciarsi, in nome del cielo? Possibile che la sua smania le avesse offuscato il cervello a quel punto?
Sì, possibilissimo.  
Doveva dirglielo. Appena avrebbe chiamato. Stavolta non poteva più sfuggire dall’evidenza. 
Non era solo un gioco. Poteva avere pericolose ripercussioni per lei … ma principalmente per lui. Com’era che nessuno gli aveva ancora aperto gli occhi? 
Probabilmente perché nessuno oltre suo fratello lo sapeva. 
E lui non l’avrebbe mai messo in guardia. 
Ma anche se l’avesse fatto, era facile che Bill decidesse di non dargli retta.
Qualcuno doveva ritrovare la lucidità. 
Lei. 
Uno squillo, due squilli ruppero improvvisamente la tensione di cui si era caricata l‘atmosfera, addensatasi attorno a lei come un‘aura nera e grigio piombo percorsa da lampi. 
I won’t give up, you don’t give up . .. 
Avrebbe dovuto cambiare suoneria. 
Tirò fuori il cellulare di tasca, e sospirò. Numero anonimo. Non aveva grandi speranze che fosse qualcuno della compagnia telefonica che voleva farle un sondaggio, o qualche telemarketer che voleva venderle un‘enciclopedia.
Sì, tutti i casini dalla “A” alla “Z”, passando dalla “K”. 
A ben pensarci però era proprio quello che le serviva. Così avrebbe potuto cominciare a sistemare quel … bordello, da qualche parte. 
Meno male che Carol non c’era. Altrimenti come minimo le avrebbe azzerato la pausa, quella stronza.  
<< Pronto? >>. 
<< Ehm … ciao. Disturbo? >>.
<< Assolutamente no … >>, disse, e immediatamente il camioncino della terribile Carol si materializzò nel suo campo visivo. 
Accidenti. Una dietro l‘altra, eh? << Stavo giusto pensando a te >>.
<< Davvero? >>. 
<< Certo >>.
<< Oh, ehm … Io non … Ehm, ne sono lusingato ecco >>.
Eccola, la mano tesa. Un invito a ricominciare il solito gioco. << Sì, ma non ti ho detto se stavo pensando bene o male … >>, fece lei civettuola. 
<< Sì, però … già il fatto che mi stessi pensando significa che ho attirato la tua attenzione. Meglio il disprezzo che l’indifferenza no? Si dice così >>.
Vera guardò la testa corvina di Carol avanzare in direzione dell’uscita secondaria .
<< Quindi mi accontento. Però vorrei almeno saperlo se stavi pensando bene o male, di me >>.
<< Benissimo. Le rose sono splendide … grazie >>.
<< Di niente. Avrei voluto un fiore che ti assomigliasse ma … quando ho iniziato a guardarli, mi sono reso conto che stavo chiedendo una cosa impossibile. Ho scelto quelle che si abbinavano di più al tuo vestito >>.  
<< Ma ti ci sei proprio affezionato eh? >>, rise Vera.
<< Sì >>.
<< Guarda che se vuoi te lo presto … ti starebbe benissimo >>.
<< Grazie, molto gentile >>.
<< Guarda che era un complimento. Hai delle gambe bellissime, così lunghe e sottili, scattanti … ehi non è che ti ecciti a sentir parlare di te? >>.
<< No! >>, sbottò lui, imbarazzatissimo. Lei fece un sospirone studiato. 
<< Ah, okay, meno male. Non vorrei che cominciassi a pensare che ho fatto un accordo sotto banco con la tua tintoria! >>.
<< Mi stava giusto venendo il dubbio, infatti >>. La voce di Carol, molto simile allo stridio di unghie sulla lavagna, si fece sentire nel deposito. Stava probabilmente strigliando Stefan perché non aveva spostato le scatole come gli aveva detto lei. 
<< Bill, scusa se ti metto fretta ma … >>.
<< Hai da fare? >>.
<< In effetti … >>. 
<< Vera! >>.
Oh, merda … Non c’è fine al peggio eh? 
<< Oh, scusa. Non … >>, fece lui, confuso. 
Oh, no, no … << No, Bill … >>.
<< Ehi, è tutto okay. Non si parla del tuo lavoro no? >>. Il tono era leggero, quasi indifferente e Vera avvertì una stilettata in mezzo al petto, laddove l’aveva baciata infinite volte … << Sarò veloce. Volevo solo chiederti se possiamo vederci >>.
<< VEEEEERAA ?! ALLORA, VIENI? >>.
<< Sì, un attimo! >>. Ma che cazzo, Stefan! E puoi aspettare due minuti no? 
<< Vai, su. Passo a prenderti … appena ti liberi, va bene? >>.
<< Ma come … >>.
<< VEEEEEERAAAAAAAA! >>.
<< Ho detto un attimo! >>. E cazzo, aspetta! Dannazione, Stefan! 
<< Ti mando un sms col mio numero appena chiudi. Vai, su. Non è bene farlo aspettare … >>, disse, e dal tono lei capì che stava sorridendo. << Al posto suo andrei fuori di testa anch’io. Ci vediamo dopo, Vera. Ciao >>.
<< Ciao >>. Ebbe appena il tempo di rimettere via il cellulare, che Stefan s’affacciò.
<< Vera … tutto bene? E‘ un‘ora che ti chiamo … >>.
<< Sì, sì, va … tutto bene. Tutto bene >>.
<< Vieni, dai, che ora Carol s’incazza … >>.
<< Sì, okay. Arrivo >>. 
 
Non disse più una parola, neanche a se stessa fin quando Bill non andò a prenderla a casa, più o meno un’ora dopo. Aveva le mani sudate, la schiena percorsa da fastidiose scosse elettriche che non le permettevano di star ferma e una strana tachicardia; e sotto quel delicato abito glicine che Kosta le aveva fatto comprare con la minaccia di non guardarla più in faccia e non considerarla più sua amica se non lo prendeva anche se costava un occhio della testa, le sembrava di essere coperta di spine, schegge di legno, spilli arrugginiti e pezzi di vetro. 
E forse, notando quell’umore, che adesso aveva contagiato anche la volta celeste attirando nubi dense e compatte come strati di ardesia nel cielo prima sereno, lui era rimasto in silenzio, avviando il motore e gironzolando per un po’, apparentemente senza una meta. 
<< Io … volevo chiederti se … hai da prestarmi un giorno >>, disse infine Bill, con un tono timido e dolce che cadde con il giusto rumore. 
Vera interruppe il suo mutismo per trasalire dalla sorpresa. << Che? >>.
<< Ventiquattro ore, un giorno intero, con me. Sempre se puoi … >>. 
<< Sì >>, rispose immediatamente, d’impulso. Si sentiva malissimo … la vena aperta d’amarezza stillava fiele nero nella sua voce, le pareva quasi di sentirne sulla lingua il gusto amaro, ripugnante, nauseante. 
Sì, gliel’avrebbe spiegato, tutto quel groviglio … non poteva andare avanti così. Era come se un enorme pugno le stesse strizzando il cuore spremendole via la vita. 
<< Sicura? Nessun problema? >>.
<< Nessuno >>. 
<< Perfetto >>. Svoltò deciso, sorridendo tra sé come se d’un tratto lei gli avesse fornito la mappa con segnata la via da percorrere per raggiungere l’Eden. 
<< Dove stiamo andando? >>.
<< E’ una sorpresa >>.
<< Potevi almeno dirmelo però. Non ho portato nient’altro oltre quello che ho indosso >>.
<< Che è più che sufficiente, oltre che bellissimo. Sempre merito di Kosta? >>.
<< Naturalmente >>.
<< Mi piacerebbe conoscerlo, questo ragazzo. Magari potremmo andare a fare shopping insieme … >>.
<< Non te lo consiglio. Dovresti tener su una di quelle tute anticontaminazione tutto il tempo, per essere sicuro di tenerlo alla larga >>.
<< Addirittura! >>.
<< Non fa altro che domandarmi se sei almeno bisex, fa’ un po’ tu >>. 
<< Il tuo amico nutre anche lui questo dramma esistenziale? >>. 
<< Più che altro nutre grandi speranze, come quelle di Dickens … >>.
Bill sorrise, enigmatico. E Vera ridusse gli occhi a due fessure brune, indagatrici. 
<< E tu che ne pensi? >>, le chiese lui.   
<< Che non lo voglio sapere >>, replicò lei incrociando le braccia. 
<< E allora io non te lo dico >>, la punzecchiò. 
<< Ma non è per cattiveria. Solo, non sono affari miei >>.
<< Ma arrivati a questo punto, se me lo chiedessi, te lo direi >>. 
<< Ma io non voglio chiedertelo >>.
<< Faresti ancora sesso con me, se ti dicessi di sì? >>. 
<< Ovviamente >>. 
<< Okay. Allora è sì >>. 
<< Mhmm mhmm >>, fece lei, per nulla scossa. In realtà non le interessava davvero. Tanto, non cambiava niente di quello che sentiva per lui. 
Forse non esisteva niente al mondo, in grado di cambiarlo. 
<< Perché se tu fossi un ragazzo, con te ci verrei lo stesso, se fossi come sei adesso >>.
Okay, questo l’aveva scossa però. 
Oh, mamma mia. Dov’è finito il fegato?  Lo stomaco? 
Oh, cazzo, ma io non posso giocare all’Allegro Chirurgo coi miei organi interni ogni volta che mi fa una battuta! L’altra volta ho passato mezza giornata a capire dove andasse la milza, prima di rendermi conto che al suo posto c‘era finito un polmone!
Doveva rendergli pan per focaccia. Subito. 
<< Mhmm. Allora tanto vale che te lo dica … anch’io lo sono. Perché se tu fossi una ragazza, ci verrei lo stesso, con te. Anche se un po’ mi spiacerebbe >>. 
<< Per cosa? >>.
Lei si allungò a mormorargli nell‘orecchio, quasi impercettibilmente: << Di non poterti sentire dentro di me come ti sento adesso … >>.
Bill serrò più forte la mano che teneva sul volante e mise subito l’altra sul cambio, scalando le marce mentre rallentava apparentemente senza alcun reale motivo.
<< Ricordami di non dire più cose di questo genere. Soprattutto mentre sto guidando >>, disse, accostando al marciapiede. 
<< Perché? >>.
<< Perché un’altra risposta così e i ragazzi per sfottere quest’auto dovranno andare allo sfasciacarrozze >>.
Lei sorrise, trionfante, e si lasciò andare di nuovo sullo schienale. 
Ben ti sta. Adesso siamo pari. 
<< E comunque, eccoci qua. Siamo arrivati >>.
Lei si voltò, guardando scetticamente l’alto muro di cemento grigio. << Dove, esattamente? Hai in mente di mettermi in un istituto psichiatrico? >>.
<< In un certo senso … non è un vero e proprio manicomio, ma le persone che ci abitano non sono molto … sane di mente >>.
Vera lo guardò con tanto d’occhi spalancati. 
<< E’ casa mia >>, spiegò Bill. << Almeno quando sono qui a Berlino >>. 
<< Ah >>, commentò lei, ma la sorpresa non accennava a scemare. 
<< Non mi sembri molto entusiasta >>.
<< No, è solo che … Credevo che … be‘, questo fosse … un luogo off - limits >>. 
<< Lo è, per questo ti ho portata qui. Non mi fido troppo degli alberghi … >>.
<< Curioso, detto da uno che canta in un gruppo che si chiama “Tokio Hotel” … dì la verità, scommetto che sotto sotto i giapponesi ti stanno antipatici, vero? >>.
<< Ti piace proprio tanto prendermi in giro, eh? >>.
<< Da morire >>, replicò lei, e fece una smorfia. Bill scoppiò a ridere. 
<< Scendi, dai. Ti faccio dare un’occhiata così poi decidi se vuoi restare qui o no >>.
<< Va bene >>. Chiuse la portiera e seguì lui davanti al cancello blindato, che aprì con una pressione su un pulsante del telecomando appeso alle chiavi. 
Acc … peccato non sia davvero un ospedale psichiatrico. 
Perché qui c’è da diventare pazzi sul serio. 
Il giardino, quasi un vero e proprio parco, era grandioso e non solo per le dimensioni ma soprattutto per il modo in cui era curato. Siepi e aiuole da far invidia da far invidia al Paradiso Terrestre, e tanti fiori da far sbiadire un vivaio. 
<< Oh, per la miseria! >>, sbottò, sconvolta. Bill le scoccò un’occhiata obliqua, sorniona. 
<< Allora, va bene? O vuoi che andiamo da qualche altra parte? >>. 
<< No, credo non ce ne sia bisogno …  Ehi, ciao, piccolo! >>. Vera si chinò, accarezzando il piccolo muso umido del cagnolino che le si era avvicinato di soppiatto, nascosto nel fitto dell‘erba. << Questo è tuo o di tuo fratello? >>.
<< No, questa è mia … Dafne, tesoro, com’è che sei in giro a piede, anzi, a zampa libera a quest‘ora? >>. Lui si abbassò a passarle una mano sulla piccola testa nera dalle orecchie piegate. Poi la prese in braccio. << Vieni, andiamo dal resto della combriccola … >>.
<< Quanti ne avete? >>.
<< Sette, in totale. E due gatti, due persiani gemelli, Moka e Noisette … ma quelli stanno sempre in giro, sono dei vagabondi. Si fanno vedere solo quando gli gira >>. 
<< Li ami molto, vero? >>. 
<< Sono un po’ come dei figli, per me … stiamo sempre insieme, spesso ci pure dormo assieme. Non … la trovi una cosa morbosa, vero? >>, chiese timidamente, notando l’improvvisa piega delle labbra di Vera. 
<< Assolutamente no … Solo, a questo punto non capisco perché hai invitato me a venire qui, se poi dovrò dormire da un’altra parte, visto che hai già compagnia a letto … >>, fece lei in tono sussiegoso. 
Bill si fermò, il cucciolo tra le mani, e inarcò un sopracciglio. << Ma tu hai sempre la risposta pronta? >>.
<< Naaahh, di solito no, ma tu me le ispiri proprio! >>. 
Lui stava per rimbeccarla per le rime, quando furono interrotti da una voce profonda, piacevolmente aspra. << Ah, Dafne … ecco perché sei corsa via a quel modo … sei andata a salutare il tuo padrone! >>, disse. << Ciao, Bill >>.
<< Ehi, Theo … sei ancora qui? >>.
<< Già, stavo sistemando un po’ il parco giochi dei tuoi piccoli amici … qualcuno non ha ancora imparato a non mordicchiare il recinto >>, fece l’uomo dalla testa argentea, voltandosi ad osservare un cane di media taglia, dal pelo color cioccolato e gli occhi liquidi, vividi, birichini. 
<< Ah, Mischa … sempre il solito. Ehi, tesoro, vieni, così te li presento … hai già conosciuto Dafne, lui è Mischa, quella là in fondo, color cannella è Constance, e … ma dov’è Merlin? >>. 
<< Sta dormendo, come al solito anche lui … >>, rispose l’uomo.  
<< Niente da fare, quello è proprio un caso senza speranza >>, osservò Bill, scuotendo la testa. Poi, rivolto a Vera: << Lui è il signor Roth, il sovraintendente alla casa. Sai, noi siamo sempre in giro, c’è bisogno di qualcuno che mandi avanti la baracca … e lui è bravissimo, saremmo persi senza di lui! >>, spiegò Bill, e l’uomo sorrise imbarazzato. 
<< Grazie, Bill, voi due ragazzi siete sempre troppo gentili. Comunque, signorina, lei mi chiami pure Theo >>.
Vera sorrise. << Solo se lei mi chiama Vera >>.
<< Vera … russo o tedesco? >>. 
Lei batté le palpebre. << Oh, be’ … non c’ho mai pensato, sinceramente >>.
<< Sai, Vera, Theo è fissato con l’onomastica. Dice che nel nome di ogni persona è racchiuso il suo destino … cos’era che significava il mio? >>.
<< Ha diverse interpretazioni, ma la versione comunemente più accettata è “Uomo protetto dalla volontà” >>, disse l’uomo. 
<< Be’, sì, indubbiamente la volontà è forte … >>, rispose a mezza voce Vera omaggiando il ragazzo di uno sguardo obliquo, eloquente, che espresse chiaramente il resto del detto e Bill tirò indietro gli occhiali da sole sul naso perfetto con la punta di un dito, palesemente imbarazzato. 
<< Vera invece se viene dal tedesco significa “difesa”, se viene dal russo significa “donna fedele” … Oh, l’ho messa in imbarazzo, mi dispiace … >>, si scusò subito l’uomo, notando l’improvviso spegnersi del volto di Vera, sia in luce che in colori. 
Lei chinò appena la testa. << Ma no, si figuri … >>.
Fu Bill a uscire da quell’impasse: << Theodore invece cosa significa? Scusa, ma me lo scordo sempre! >>.
<< “Dono degli dei”. I miei mi chiamarono così, perché erano entrambi in età avanzata e non speravano di avere più figli … >>. 
<< E hanno azzeccato, perché è davvero un dono degli dei! Per noi è indispensabile … >>. 
<< Ora è meglio che vada, altrimenti diventerò rosso come un ibiscus … sei un adulatore, Bill >>.
<< Dico solo la verità. Ehi, vado a entrare l’auto in garage prima che si scateni il diluvio okay? Tu puoi già entrare in casa, è aperto … Ciao, Theo, salutami tanto Katarina … sta bene, vero? >>.
<< Eh, insomma … un po’ di reumatismi, con questo tempo e alla nostra età è normale … Grazie di averlo chiesto >>. 
<< Ma di niente. Ancora ciao Theo >>. 
<< A presto, Bill … arrivederci, Vera, e perdoni questo povero vecchio sciocco che parla troppo se l’ha messa in imbarazzo … >>. 
<< Tranquillo, non ha fatto assolutamente niente >>. Lei gli tese la mano, e lui invece di stringergliela la tenne nella propria, voltandola e posandovi sopra l‘altra. Ma nulla di sensuale … era chiaro che non ci stava provando. Sembrava un oracolo che le stesse per dare un responso. Non fosse stato per la barba e i capelli corti, la camicia rossa di flanella a quadri e la tuta di jeans dalla cui tasca sulla pettorina facevano bella mostra un paio di guanti da giardinaggio, le avrebbe ricordato tanto il vecchio saggio Gandalf del “Signore degli Anelli“.
<< A volte ci sembra di essere lontanissimi dal significato del nostro nome, ma ci sono momenti e situazioni in cui mostra la reale sfaccettatura di esso che ci appartiene. Forse tu non ti senti sicura al riguardo, ma prima o poi ti renderai conto che non si sbaglia >>. Fece una pausa. << Sei la prima ragazza che porta qui Bill, e se posso permettermi, ha fatto un’ottima scelta. Sa che non lo tradirai >>.
Vera si sforzò di restare salda … e aizzò davvero una difesa attorno al suo povero piccolo cuoricino idiota, perché non andasse in briciole. 
<< Quindi, sia che sia tedesco, sia che sia russo, il tuo nome ha ragione. E se con l’età non mi è calata la vista, posso dire dai tuoi occhi che … non è l’unico modo in cui gli sei fedele >>.
I colori tornarono sulle guance di Vera, potenti, quasi violenti, davvero come due fiori d’ibiscus.  
<< Le confido un segreto. Ma dovrà restare tra noi. Mi fido di lei >>, disse d’impulso. 
<< Grazie della fiducia. Dimmi pure >>.
<< Vera non è … esattamente il mio nome >>.
<< Mhmm. Ti posso chiedere allora … qual è? >>.
Lei si chinò sull’orecchio dell’uomo, in un gesto che fino ad una settimana prima non si sarebbe mai sognata di fare con un estraneo. Da quando conosceva Bill, il suo mondo interiore si era capovolto. Era come entrare in una fiaba, strana, ma pur sempre una fiaba. 
Glielo disse. E l’uomo annuì, visibilmente compiaciuto.  
<< Mai nome fu più indicato … Vera >>, rispose, e lei finalmente sorrise di cuore. Un raggio di sole si fece strada nella spessa cortina di nubi, che già cominciavano a spargere sulla Terra i loro preziosi, piccoli brillanti liquidi. << E adesso vai, altrimenti ti prenderà la pioggia >>. 
<< Grazie, Theo. Davvero. Grazie >>.
Lui le sorrise, e le lasciò andare la mano. Si allontanò e il tempo che lei impiegò a voltarsi, ancora sconcertata da quell’incontro, era già svanito. 
Sì. Era decisamente una fiaba bizzarra, quella. 
Ma, come si era detto, pur sempre una fiaba.  In fondo, anche Biancaneve e Cenerentola, Ariel e Aurore saranno state a letto col loro principe, no? Anche se la fiaba non lo dice. Una volta arrivate al castello … lo avranno fatto di sicuro, sennò senza eredi il reame andava a … catafascio. 
Anche se a ben pensarci forse era proprio per questo che le favole sono finite.
E la Disney ha pensato bene di caricare i suoi cartoni di messaggi subliminali per evitare che la cosa si ripetesse anche con noi poveri comuni mortali. Accidenti, forse è per questo che mi vengono certe idee e non si capisce da dove … 
Oh, cavolo! Vera, riprenditi! Possibile che sei sempre la solita imbecille, e basta una parola per farti dare i numeri? Okay, sarai anche la prima che porta qui, e allora? 
E allora niente. 
Andò verso casa, ma vide il portone automatico del garage sollevato a metà e il cuore cominciò a martellarle nel petto. Non poteva entrare in quella casa se prima non ricambiava la fiducia che Bill le aveva accordato senza avere la minima idea dell’errore che aveva fatto. Non poteva violare quella soglia, sapendo che lui le si stava affidando ciecamente, stava mettendo pezzo per pezzo i suoi segreti nelle mani di lei. 
No. Lei non si meritava di stare lì. Doveva chiedergli di riportarla a casa … e doveva anche ripulirsi la coscienza, come avrebbe fatto strisciando le suole sul tappeto se avesse camminato nel fango. 
Il fango delle bugie, dell’inganno.
Doveva dirgli tutto. Immediatamente.  
Si chinò ed entrò, il cielo già buio rendeva ancora più fitta la penombra in quel luogo. Ma lui la vide comunque. 
E lei vide lui. E vide anche ch‘era senza giacca … oltre che senza maglietta. << Ehi, sei qui? Credevo fossi già entrata in casa … >>.
Lei non disse niente. Combattuta tra il desiderio di dirgli la verità, e quello di dimenticare tutto quell’equivoco del mattino, lo guardava armeggiare davanti al cofano aperto. << Questa poveretta stava morendo di sete e io, distratto come sono, non me n‘ero accorto … chissà dov’è che ho la testa, ultimamente >>, disse in tono sornione. << Sono così fuori che ho dovuto richiamare Theo per via della spia che non si spegneva … meno male ch’era ancora qui >>, disse, abbassando il cofano con delicatezza. 
Ecco perché era sparito così in fretta. Aveva fatto il giro ed era uscito dal retro.
<< E meno male anche che è così comprensivo che mi ha risparmiato l’umiliazione di una risata nel vedere come sono combinato col cervello >>. 
Lei annuì senza sentire realmente quello che diceva.
Aveva creduto che … fosse con un altro … 
Come se fosse possibile. 
Ma lui non poteva saperlo. E lei si era  indispettita, le aveva quasi fatto male quella disinvoltura al telefono … poi si era data dell’imbecille, perché era appunto colpa sua, se pensava quel genere di cose. E le parole di Theo, alla fine, l’avevano così scombussolata che aveva capito di essere giunta alla fine dei giochi. 
Ma adesso non riusciva a pensare ad altro che al richiamo, fortissimo, del suo dorso nudo e marmoreo arabescato di caratteri neri e fiorito di disegni vividi come farfalle tropicali. 
<< Va tutto bene? Ti senti bene? >>, le chiese, inclinando il volto e stringendo gli occhi come per metterla meglio a fuoco, nel volto e nell’anima. 
<< Sì. Solo …. Non volevo entrare senza di te >>, sputò fuori, soggiogata dall’unica cosa che adesso riusciva a sentire benissimo. Quel richiamo pungolato dal desiderio di spazzar via quel pensiero dalla mente di lui, di togliersi di dosso i segni dell’ “altro” anche se quest’altro esisteva solo nell’immaginazione di Bill. Di riaffermare il dominio assoluto di lui in quel corpo che gli apparteneva in modo esclusivo anche se Bill non ne aveva idea.   
Lui posò lo straccio, si sciacquò le mani e le andò vicino. << Vieni, andiamo in casa >>. Infilò la maglia, al che Vera sospirò piano di sollievo, e le tese la destra.
Vera la raccolse nella propria, tremando nel sentire quel calore così vellutato … s’irrigidì, sforzandosi di ricordare che doveva dirgli la verità …
E lui le accarezzò dolcemente i contorni delle dita con la punta delle proprie, in un massaggio così tenero ed erotico insieme che …
Oh, dannazione.
Non le era più possibile resistere. Il desiderio si era fatto così acuto, che Vera non si spiegava come non arrivasse qualcuno a dare un’occhiata, un passante, un vicino, la vigilanza, mentre emanava da lei quel suono assordante, quasi un allarme. 
Bill si fermò un attimo prima di aprire la porta del retro; poi, notando la sua esitazione le infilò dolcemente l’altra mano tra i capelli legati e sfilò il pettine che li teneva su, lasciandoli ricadere attorno al suo volto come nastri di seta dorata. 
<< Vera … se non puoi o non vuoi rimanere, basta che me lo dici … >>. Non voleva più sentirlo continuare, non voleva più parlare, voleva soltanto che la prendesse e la mettesse spalle al muro, tirandole quella morbida tunica molto sopra il confine imposto dalla decenza per farle quello che sapeva fare meglio. Occupare quanto più spazio possibile in lei, non solo nella sua mente, nella sua anima e nel suo cuore, ma anche nel suo corpo. 
Per questo gli posò l’indice sulle labbra, picchiettandole con insistenza finché lui lo raccolse tra le sue labbra, e lo fissò mentre lo faceva scorrere sulla lingua; nonostante gli occhi puntati su di lui Vera non poté impedirsi di trasalire lo stesso, quando il polpastrello sensibile incontrò la sferica durezza della pallina d’argento del piercing. 
Bill sfilò il dito di lei dalla bocca e lo sostituì con la sua lingua; la baciò piano, gustandola, affondando con piccoli tocchi leggeri, gradualmente, in una specie di preludio di come aveva voglia di entrarle dentro anche in altro modo … E poi divenne invasione e la penetrò a fondo, catturando tutta la sua attenzione con quel contatto apparentemente così “innocente” se paragonato ad altri generi di effusione o incontro fisico; ma nessuno, che si fosse trovato al posto di Vera, l’avrebbe pensata così. Era completamente fradicia, e non certo per via di quelle quattro gocce di pioggia che aveva preso … i seni bruciavano sotto la trappola di seta e raso che li fasciava, implorando solo di uscire a respirare.  
Abbassò la bocca sull’orecchio di lui e sfiorò delicatamente i piccoli cerchietti sul lobo, prima a labbra socchiuse e poi con la punta della lingua. << Scopami >>, gli disse, una richiesta in un termine forse un po’ troppo brutale ma che esprimeva perfettamente l’urgenza di quello che le stava ardendo dentro. Basta carezze, basta dolcezza, aveva bisogno di qualcosa d’immediato e potente, che lavasse via tutto il male che sentiva. Qualcosa che non le desse tempo e respiro per pensare, che l’assorbisse completamente.
L’aveva buttato fuori facendosi quasi violenza sulle corde vocali, sperando di non avvampare.  
<< Cosa? >>, sussultò lui, immediatamente stupito, ma anche acceso da quella parola forte pronunciata in modo così morbido. 
<< Hai capito benissimo. Scopami, adesso. Subito >>.
<< Ma … qui? >>.
Lei annuì, fissandolo nelle iridi con uno sguardo supplice, davvero da gattina. << Per favore … >>.
<< Oh, Vera … >>. Le portò le mani sui fianchi e la inchiodò al muro, bloccandola col bacino e tirandola su mentre le sollevava l’orlo della gonna. Lei sospirò di delizia, sentendolo così eccitato, durissimo, pronto a trafiggerla … e ad assecondarla. 
<< Dov’è? >>, gli domandò, e Bill infilò la mano nella tasca posteriore dei jeans, passandoglielo mentre riprendeva a baciarla con passione ...
Fu una cosa rapida, che si consumò in poche spinte impetuose. Andò a fondo dentro di lei, invadendola, riempiendola completamente; Vera gli sbatteva contro ad ogni affondo, artigliandogli le spalle, la schiena, le braccia, finché non venne raggomitolandosi poi attorno al suo dorso, soffice coperta umana. Lui la seguì dopo una manciata d’istanti, abbandonandosi in quell’abbraccio concentrato quanto più possibile vicino al suo cuore, che pulsava furioso sotto la pelle. 
Infilò nuovamente una mano tra i suoi capelli, cercando l’arco della mascella sotto quel manto dorato. << Avevi ragione riguardo l’istituto psichiatrico. Tu sei completamente folle … >>, le mormorò teneramente, uscendo da lei e dandole modo di tornare giù, ma sempre continuando a tenerla tra le braccia. << E stai facendo impazzire anche me … >>.
<< Dici che ci metterebbero nella stessa stanza imbottita, semmai ci rinchiudessero? >>.
<< Ho i miei seri dubbi, se ci tengono che non gli distruggiamo il manicomio >>, disse lui sorridendo. Riallacciò i pantaloni e la baciò su una guancia. << Dai, entriamo, ti faccio visitare l’Araba Fenice … >>.
<< Che? >>, chiese lei, perplessa. 
<< E’ un’idea di mio fratello. Dice che questa casa è come l’Araba Fenice >>.
<< Perché tutti sanno che esiste ma nessuno sa dov’è? >>.
<< Esattamente >>, disse lui continuando a sorridere. << Senti, ti spiace se … mi prendo due minuti? Sai … >>, aggiunse poi, vagamente imbarazzato.  
<< Naturalmente >>. 
<< Grazie >>.
 
Bill salì le scale e raggiunse il bagno principale. Avrebbe voluto chiederle di tenergli compagnia durante la doccia ma … aveva bisogno di stare da solo per qualche attimo. 
Stava ancora tremando. Il modo in cui gli aveva detto: << Scopami >> … gli aveva dato alla testa come avesse mandato giù un bicchiere d’alcol puro. 
Sfilò le pesanti scarpe da ginnastica rosse e nere, la maglia e le calze; solo alla fine si decise a slacciare i jeans, e infilò una mano nei boxer bagnati per estrarre il profilattico. 
Non ricordava di averne usati tanti in così poco tempo. Forse … nell’arco di quattro o cinque mesi.
Ma chi stava prendendo in giro. Forse anche di più. Forse un anno. 
Forse anche due.  
Avrebbe voluto poterne fare a meno. Sentirla almeno una volta, non solo con le dita o con la lingua. Lui era perfettamente in salute -eccetto quella mentale, ovvio - e di certo lo era anche lei, ma … era un’idea orrenda, ma seppure avesse avuto qualcosa, non era del tutto certo che non l‘avrebbe pensata allo stesso modo.
Si fermò subito. Non voleva addentrarsi in quel pensiero. Era stupido e masochista. 
Sì, perché quelli di prima erano sani, vero? 
Non aveva idea di com’era andata. Se aveva ottemperato alla richiesta di lei come Vera intendeva … non era troppo sicuro di averla “scopata” come voleva lei. 
Se intendeva dire “prendimi ma lascia fuori il cuore”, be’, di sicuro aveva fallito. Perché quel piccolo bastardo impiccione ci si era messo in mezzo già dalla prima volta, e ogni volta aveva preso sempre più piede finché … non ci si era trovato invischiato del tutto. 
Sentire quella voce maschile nel cellulare … chi cazzo era, quel cafone? Si chiamava così, una donna meravigliosa con cui eri andato a letto, o stavi per andarci? Lui non avrebbe chiamato mai con quel tono da venditore ambulante nemmeno uno dei suoi cani, o dei suoi gatti. 
Ma forse era un gioco … forse lo voleva lei. Forse anche a quel tizio aveva chiesto: << Scopami >>, con quel tono da gattina imperiosa … e quegli occhi innocenti, che innocenti non erano. 
E lui doveva essere stato più conforme alla natura della richiesta, di sicuro. 
Non voleva pensarci. E il dolore alle nocche battute contro le piastrelle, improvviso quanto intenso, serviva nel suo intento. 
Almeno un po’. 
<< Bill >>.
Lei era lì. Vergognandosi dei suoi pensieri quasi li avesse espressi ad alta voce, staccò di corsa il pugno chiuso dal muro e si voltò aprendo l’anta di cristallo temperato. 
<< C’è posto per me? >>, gli chiese, le braccia incrociate, il fianco contro l’architrave della porta aperta. 
Gli occorse meno di un attimo per rispondere. << Sempre >>. 
Avanzò sicura e sfilò il delicato vestito, lasciandolo ricadere in una pozza glicine ai suoi piedi già nudi. Poi, raggiungendolo slacciò il reggiseno e sfilò gli slip, entrando assieme a lui. 
<< Cominciavo a sentirmi un po’ sola, in questa casa così grande >>, spiegò con aria timida, assolutamente differente da quella di poco prima a parte l‘espressione degli occhi, e lui le posò le mani sulle braccia, attirandola a sé. 
La fece voltare, chinandosi a baciarle le spalle mentre le sue mani le risalivano le onde dei fianchi e raccoglievano nei palmi i seni alti e sodi come frutti del leggendario Albero della Vita … un morso, e la conoscenza sarebbe confluita nelle sue vene. Il Bene e il Male … purezza e tentazione … fuoco e acqua … il bianco e il nero … 
Avrebbe potuto continuare all’infinito, non sarebbe cambiato nulla. In lei aveva trovato tutto, e perso se stesso. 
Era completamente andato, fottuto, perso per lei. 
Non voleva più pensare al fatto che qualche ora prima era stata di un altro, un altro che non conosceva e di cui voleva continuare a ignorare i tratti, per annegarlo meglio nell’oscurità … nella dimenticanza. 
Sulla scia di quel pensiero sconnesso strinse forte quei pomi tra le dita come per rivendicarne il possesso e la sentì risucchiare l’aria tra i denti. Allora staccò le mani di colpo, come se le avesse posate per sbaglio su una piastra rovente.
<< Ti ho fatto male? >>.
<< Oh, no … >>, ansimò lei, e il suo sospiro quando gli riportò le mani sui seni si confuse nello scrosciare dell’acqua sui loro corpi nudi, avvinghiati. Vera inclinò la testa e lui planò a prenderle in bocca, tra i denti la pelle tesa e liscia del collo. Lei crollò in avanti e batté le mani contro le piastrelle scivolose del muro. 
Farlo lì dentro sarebbe stato troppo scontato, e anche un po’ complicato. Allora la prese in braccio e attraversato il corridoio a piedi nudi gocciolando acqua da tutte le parti, la portò nella sua camera da letto, spalancò la porta finestra e uscì fuori, sul balcone. 
<< Bill … qua potrebbero vederci! >>.
<< Non ci vedrà nessuno, tranquilla >>. La dolce pioggerellina a sprazzi che aveva accompagnato il loro arrivo era esplosa in un temporale dirotto, un cielo di piombo denso e compatto da cui veniva giù una cascata fredda e impietosa. 
La mise giù, sul gradino di pietra lavica nera iridescente e spalancatole le cosce, scese a baciarla, facendola aprire, nel corpo e nell’anima, solo per lui. La baciò finché il freddo della pioggia che le scivolava sul ventre e il caldo degli umori che stillavano giù da dentro non si scontrarono nel suo palato, sulla sua lingua e allora risalì a baciarla in bocca, penetrandola con le dita. 
Le sferzate del temporale scuotevano tutte quelle corolle multicolore senza misericordia piegandoli, stropicciandoli, rendendoli fragili e bagnati. Ma il loro profumo esalava potente e da tutta quella linfa, quel verde fiorito di stelle bianche, grappoli lilla, convolvoli blu elettrico, palpiti rosso fuoco, volute color tramonto e boccioli sfumati d’aurora saliva una specie di vapore che inebriava i sensi fino a stordirli e annichilirli, quasi. 
La stessa cosa stava lui facendo con Vera. La sua mano stava ugualmente piegando, stropicciando, rendendo fragile e bagnato il suo fiore il cui profumo era persino più mordente di quelli vegetali. Sapeva di sesso, di glicine, di gelsomini, di tigli e nettare e sprazzi di notte, di rose e gigli, di un dolore lontano e confuso come i rombi dei tuoni che andavano dissolvendosi all‘orizzonte e che non era altro che l‘eco di quello che provava lui nel volerla soltanto per sé. La sentiva fino in fondo all’anima e quando lei stese la mano e la strinse attorno al suo membro, lui le si inginocchiò davanti offrendosi al suo tocco come un sacrificio volontario. 
Le fitte dell’orgasmo li scossero nello stesso istante, e Vera si allungò ad accogliere quello di lui sul proprio seno che s’alzava al ritmo degli ansiti. Poi si scostò e si lasciò guardare mentre le grosse gocce di pioggia trasparente scorrevano su quella distesa candida, simile a sangue di fiori bianchi, intersecandola di lunghe lacrime trasparenti. 
Cercò la mano di lei e se la portò alle labbra. Ma non poté trattenersi … le prese l’indice e lambì quel miele liliale, prima di portarlo alla propria bocca. Lei quasi non riuscì a guardarlo, e lui temette di aver esagerato finché non la vide fare la stessa cosa con le proprie dita. Le passò delicatamente sullo sterno prima di sfiorare le labbra socchiuse di lui e slanciarsi a baciarlo, con voluttà, assaporando a fondo quel curioso lucidalabbra all’essenza di piacere. 
Si staccò, e lo guardò di sottecchi, sussurrandogli in un fiotto rovente di voce arrochita dalla pioggia e dalla passione: << Dove credi di andare … non sai che non devi alzarti da tavola, se non finisci tutto? >>.
Bill deglutì a stento. << Pa … rli sul serio? >>.
Lei lo fissò con un mezzo sorriso sornione. 
E poi scoppiò a ridere, con una risata che faceva invidia allo scrosciare della pioggia. Sembrava il rumore di petali di cristallo infranti. << No! Volevo solo vedere la faccia che facevi! >>.
<< Che spirito … >>.
<< Così impari. Cosa volevi farmi con quel giochino, ah? Farmi perdere la testa? >>.
<< Come se fosse servito … >>, buttò lui là, così, guardandosi le unghie perfette, di un delicato rosa perla, assolutamente naturale. Sì, era appunto quello che voleva, segnarla, marchiarla, legarla a sé, lasciarla addosso sulla pelle il suo odore, il suo sapore, la sua essenza, come un tatuaggio, per dire agli altri di starle alla larga, un mostrare i denti, pronto a saltare loro addosso, a farli a pezzi, a polverizzarli. 
Oh mamma, stava dando fuori di matto. Doveva riprendersi, immediatamente. Dove credeva di andare davvero, con quelle stupidaggini da Neanderthaliano estinto? Già i leggings leopardati ce li aveva, la pelliccia pure anche se sintetica, gli mancava solo la clava ed era apposto. L‘avrebbero portato al Museo di Storia Naturale come fossile vivente, un residuato di trentamila anni addietro. << Non l’hai già persa? >>.
<< Sì, anzi ad essere onesta, non credo di averla mai avuta! >>. 
<< Ah sì? >>.
<< Sì, ma da quando conosco te ho smesso di preoccuparmene. Tu stai messo decisamente molto peggio! >>. 
<< Ah, grazie >>. La riprese in braccio e la riportò dentro, all’asciutto, al caldo, al sicuro. 
Ormai era un’abitudine. Preoccuparsi per lei era diventata un’attività a tempo pieno. Gli veniva naturale come respirare. O come scrivere. 
<< Quei fiori erano bellissimi … per questo eri così tranquillo che non poteva vederci nessuno, per via di quella muraglia verde! >>.
<< Già. Mi piacciono i fiori, tantissimo. A volte, quando mi prende “la sincope creativa”, come dice Tom, soprattutto di notte esco lì sul balcone a scrivere. Mi ispirano >>.
<< Lo immaginavo >>, dichiarò lei adocchiando con lo sguardo il giglio tatuato sulla sua mano. << E’ opera tua? >>.
<< Nooo … magari sapessi prendermi cura di loro così bene da solo! E’ Theo che se ne occupa … >>.
<< Sa anche di fiori? >>.
<< Sì. Quell’uomo è speciale. Per me è un po’ come un angelo custode onnisciente. Non esiste cosa che non conosca o non sappia fare … e s’interessa di un sacco di argomenti disparati >>, disse Bill, sfregandole delicatamente lo sterno con un asciugamano bagnato.  << Ha cominciato a farlo dopo ch’è rimasto vedovo >>. 
<< Vedovo? >>.
<< Già. E senza figli, pensa che sfortuna >>.
<< Ma allora, Katarina … >>.
<< E’ la sua gatta. L’unica compagnia che gli è rimasta … Era della moglie, che è morta in un incidente stradale, una decina d’anni fa … E’ stato allora, che per non pensare ha iniziato a leggere, ha ripreso gli studi che non aveva mai terminato, ha cominciato a frequentare ogni sorta di corsi. Ha una vera e propria passione per l’onomastica … tu, per esempio, conoscevi il significato del tuo nome?  >>.
<< No >>, fece Vera, sforzandosi di non avvampare, in parte per il ricordo, in parte perché lui la avvolse in un grande telo bianco, e un altro lo prese per asciugarle i capelli. Piano, senza strofinarli, solo tamponandoli tra le mani. 
Sua madre glieli asciugava così. E una fitta al cuore la portò indietro a quando era bambina. 
Ma non perché provasse rimpianto, o perché assieme alla sua verginità avesse perso anche quell’innocenza; bensì per l’esatto contrario. Perché lui le aveva dato tanto senza privarla di nulla. Perché da quando le asciugava i capelli mamma Sophie al momento in cui glieli stava accarezzando lui, non si era lasciata indietro quasi nulla, che non avrebbe più potuto riavere. 
L’unica cosa che aveva lasciato avrebbe voluto donarla esattamente all’uomo che aveva davanti, e a nessun altro, in un sogno troppo bello e troppo alto per arrivare a toccarlo.
Invece era successo davvero. E adesso quel sogno stava toccando lei, con una delicatezza … estrema. 
E questo era perfino più doloroso che rimpiangere qualcosa di irrecuperabile. 
Perché il modo in cui stava tradendo la sua fiducia così sembrava ancora più abbietto. 
<< Nemmeno io >>, riprese Bill, tranquillo. << E avresti dovuto vedere le facce degli altri quando gli ha spiegato cosa significava il loro … in particolare Tom, che voleva chiamare nostra madre e minacciarla di farle causa! Per lui non poteva essere che doveva accontentarsi di essere “il gemello” … perché è questo che significa, in aramaico >>.
<< Ma guarda … >>, disse lei, sorridendo piano, lasciandosi riprendere dal presente, dalle parole di lui piuttosto che dai suoi propri pensieri. 
<< E non è tutto! Georg invece significa “colui che coltiva la terra”, e qua ci hanno azzeccato in pieno perché gliel’ho sempre detto che le sue sono due possenti braccia rubate all’agricoltura … >>.
<< Poveretto! >>.
<< E Gustav invece vuol dire “sostegno dei Goti”, e gli sta benissimo perché con la stazza che ha li sosterrebbe benissimo … quali fritti, quali arrostiti, quali bolliti, sosterrebbe tutte le portate! >>. 
<< Dai! >>, sbottò lei ridendo. << Ehi, ma lo sai che sei un bel serpentello, signor Kaulitz! Fanno bene a prenderti in giro per l’auto, tu gliene dici di tutti i colori! >>.
<< Macché, è l’esatto contrario, io li prendo in giro perché loro l’hanno sempre fatto con me! >>.
<< Oh, povero Bill … >>. Poi si riscosse, e chiese: << Ti ha detto niente di me? Il signor Roth, intendo >>. 
<< Sì. Ch’era dispiaciuto, non voleva metterti in difficoltà con la storia del nome >>.
Vera chinò la testa. << Ma no, gli ho detto di non preoccuparsi >>. 
<< E ha detto anche che sei come un fiore dal profumo così intenso che cattura immediatamente l’attenzione di chiunque al punto che ognuno lo vorrebbe per sé, nascondendolo agli occhi degli altri. Gli ho risposto che non potrebbe essere diversamente. Chi non vorrebbe un fiore del genere per sé? >>.  
Lei arrossì, distogliendo lo sguardo. << Grazie. Ma ancora non mi hai detto qual è il tuo preferito … >>, chiese innocentemente, per tentare di uscire da quell‘istante troppo carico di elettricità. E lui, messo giù l’asciugamano con cui stava frizionando i capelli bagnati, portò il volto alla distanza di un respiro di quello di lei. 
<< E’ un segreto … >>, mormorò, infilandole dentro un dito con delicatezza. Lei s’inarcò, reclinò la testa rabbrividendo e dopo che lui gliel’ebbe passato sulle labbra si lasciò baciare, stavolta. 
 
<< Allora, cosa ti va di fare? >>, chiese Bill una volta rivestito e sceso nello spazioso soggiorno, arredato con pochi mobili chiari, lineari; e Vera, di rimando: 
<< E’ una domanda retorica? >>.
<< No, dico sul serio. Credevi ti avessi invitato qui per una maratona erotica? O meglio, solo per una maratona erotica? >>, specificò lui, e lei inarcò un sopracciglio, sorridendo a mezza bocca. 
<< Ti va di guardare un film? >>, chiese ancora lui.
<< Sì, perché no? >>. 
<< Posso sceglierlo io? >>.
<< Ma sì, dai. Te lo sei guadagnato >>, scherzò lei. 
<< Oh, grazie >>, replicò lui, altrettanto ironico. << Intanto ti spiace andare a vedere se si è salvato qualcosa dalle razzie di mio fratello in cucina? >>. 
<< Qualcosa tipo … ? >>.
<< Mah, giusto qualcosa per tenere la bocca impegnata mentre guardiamo il film … oh, cavolo, dai, Vera, non farmi quello sguardo! >>.
<< Quale sguardo? >>, fece lei, battendo le palpebre. 
<< “Quello” sguardo … lo sai benissimo >>. Lui sistemò con cura la custodia del DVD che aveva inserito al suo posto, e avviò il lettore. Poi si avvicinò a lei, raccogliendole il volto tra le mani. << Quello che mi fa venire voglia di spogliarti in un secondo … >>.
<< Ma se mi sono appena rivestita … >>.
<< Appunto … >>. Le lambì le labbra con le proprie, e tenendola per mano la trascinò in cucina. Vera si guardò attorno. 
<< Posso tirare a indovinare? Hai scelto tutto tu, no? >>.
<< In che senso? >>, domandò Bill, recuperando da una scansia un sacchetto di popcorn e svuotandolo in una ciotola di plastica rigida trasparente. Vera pescò con le dita e mise due chicchi in bocca. 
<< Parlo dell’arredamento. Non credo che tuo fratello si sia divertito a scegliere … questo, per esempio >>, disse, posando le mani sulla penisola che attraversava longitudinalmente tutta la stanza, coperta di un delicato marmo color perla dalle venature verdi come rampicanti d’edera. 
<< In effetti no, è quasi tutto opera mia >>.
<< Ma quello no, invece, vero? >>, chiese lei indicando un enorme pannello non incorniciato, l’unico, grande quanto metà muro, lavorato ad aerografo che rappresentava uno scorcio di una spiaggia tropicale sotto la luna, l‘oceano blu notte scintillante d‘argento in superficie, le fronde degli alberi esotici dai rampicanti avvolti al tronco, i fiori giganteschi che a stento si distinguevano dalle bellissime farfalle, entrambi dai toni sgargianti, belli come i reali che si vedevano nei documentari, o nelle brochure delle agenzie di viaggio. Era tutto così vivido, che veniva voglia di andare a toccare quel muro, e vedere se davvero era solo un’immagine dipinta o ci si poteva entrare soltanto credendoci, come da una apertura scavata nella parete che conduceva dritta dritta agli antipodi.  
<< No, è vero. E’ di Tom >>.
<< L’ha fatto lui? >>.
Bill annuì, aprendo il frigo. << Sì. E’ la riproduzione di una foto che abbiamo scattato la prima notte che abbiamo trascorso alle Maldive. La nostra prima vacanza da … be’, da star. Io scattai quella foto e lui disse che … qualsiasi cosa sarebbe accaduta, quel momento non avrebbe mai potuto strapparcelo nessuno. Ce l’eravamo sudato. Così, quando siamo venuti a vivere qui, la prima cosa che ha fatto è stato scegliere il muro più luminoso dell’intera casa e … dipingercelo >>.
Lei non disse nulla, solo continuò a guardarlo. Le sembrava che qualsiasi commento sarebbe sembrato ironico, dozzinale e fatuo. Lo omaggiò col silenzio che si riserva alle più preziose opere d’arte nelle gallerie. 
Bill le si avvicinò. << Non si direbbe, ma è un gran sentimentale. E’ molto più profondo di quello che vuole far credere. Forse più di me >>.
<< Non ne sono sicura >>.
<< Magari ti sembra strano perché all’apparenza sembra tanto spaccone, ma non lo è, sai? >>.
<< No, dicevo che non sono sicura che lo sia più di te. Forse lo siete in modo differente, tanto quanto una fossa oceanica può esserlo da un tunnel scavato fino al centro della Terra nella terra appunto, ma sono certa che lo siete entrambi. Si arriva sempre e comunque al cuore >>. 
<< Sei fantastica >>, disse lui, e le cinse le spalle con un braccio, traendola a sé. << Be‘, andiamo a vedere questo film? >>. 
<< Mhmm mhmm >>.
Si spostarono in soggiorno, e Vera si sedette sul tappeto, mentre lui la raggiungeva con delle lattine in mano. 
<< Cosa guardiamo? Basta che non sia un porno, perché sai, io sono un po’ timida … >>, fece lei, prendendo la lattina che le porgeva. 
Bill la fulminò con un’occhiataccia. << Mi credi capace di guardare qualcosa di simile? >>.
<< Dipende … sai com’è, lo hai detto tu stesso, che con me stai facendo cose che non hai mai fatto prima … >>, osservò la ragazza, e mandò giù un sorso di coca. 
<< Sì, d’accordo, ma non a questi livelli! Sarebbe proprio una cosa triste! >>.
<< Certo, come il sesso in macchina, no? >>.
<< Okay, va bene, confesso. Preferisco guardare te. Sei più eccitante di qualunque film hard possano mai girare … perché sei reale >>. 
Lei gli scoccò un’occhiata di sottecchi, da sotto le ciglia appena velate di rimmel. << Ma guarda che mica gli attori so finti, eh! Anche se certe … ehm, “cose” in quei film a volte sfidano le leggi di natura … e la forza di gravità tanto da sembrare posticci! E poi invece sono veri … >>.
Bill inarcò un sopracciglio. << Ah. Ah. Ah. E’ per caso una frecciata velata alle mie capacità? >>.
<< No, era solo un commento innocente, ma se ti sentito chiamato in causa è evidente che … hai la coda di paglia, signor Kaulitz! >>, fece lei, scoppiando a ridere alla faccia scocciata di lui. << Oddio, ma sempre meglio avere la coda, di paglia, che la paglia in testa … oh mamma! Chi è il suo parrucchiere?! >>, sbottò poi, guardando lo schermo.  
<< Ehi! Cos’hai contro i capelli di David Bowie? Sono bellissimi, io li sognavo la notte quand’ero piccolo! >>.
<< Oh, povero tesoro … ecco perché sei venuto così, colpa dei traumi infantili! >>, esclamò Vera, assumendo un’aria da smielata assistente sociale. << Non devi sentirti in colpa, tu non hai fatto nulla per meritarlo … solo, esistono persone pessime che fanno cose pessime … come IL COSTUMISTA DI QUESTO FILM! Ahahahahahhahhahahahahahahahahahahahahahahahahahah! Per la miseria … Ha ragione chi dice che non c’è fine al peggio! >>, rise rotolando sul tappeto.  
Bill le scoccò un‘occhiataccia. << Ti faccio notare che questo è il mio film preferito, è un capolavoro e David Bowie è un genio, non ti permetto di denigrarmelo così! >>, 
<< Sarà, ma a me il pensiero di lui a letto con Mick Jagger basta a farmi passare completamente la voglia … e a farmi venire i brividi! >>.
<< Che? >>.
<< Non lo sapevi? Nei ruggenti anni Settanta quei due sono stati allegri compagni di letto, in qualche occasione … e la moglie di Bowie dell’epoca entrata nella camera da letto s’è presa un accidente … poveretta la capisco, a me sarebbero cadute le retine, davanti ad uno spettacolo così agghiacciante … >>.
<< Mi stai prendendo in giro? >>.
<< Macché! Domanda a Kosta, era con me quando l’abbiamo letto … appena ha alzato gli occhi dal trafiletto mi ha guardata con due occhioni così e ha detto: “ Senti, semmai incontrassimo uno dei due, mi fai il favore e dici che sono etero? E di quelli convinti pure!” >>.
<< E vabbé, comunque, il fatto che abbia avuto cattivo gusto una volta non toglie che resti sempre e comunque un genio … E io questo film lo adoro, conosco a memoria tutte le battute! >>.
<< E io ci dovrei credere? >>.
<< Certo che sì. Guarda: “ Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin … la mia volontà è forte come la tua, e il mio regno altrettanto grande … “ >>.
<< Ah! Hai sbagliato! >>.
<< E tu piantala di ridere! E’ chiaro che mi deconcentri, se tu stai a ghignare sotto i baffi! >>.
<< Bella scusa questa! Così siamo bravi tutti! E poi senza intonazione, senza un minimo d’interpretazione … mah! >>. 
<< Perché, tu saresti capace di fare di meglio? >>, la sfidò lui. 
<< Ne dubiti, forse? >>. Vera s’alzò, andò dall’altra parte della stanza e raccolse la gonna del vestito come se fosse un lungo abito da principessa. Abbassò le palpebre e si schiarì la gola, poi le riaprì guardando Bill dritto negli occhi. << “Con rischi indicibili, e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin, per riprendere il bambino che tu, hai rapito …” >>, declamò con voce dolce ma determinata e ferma, avanzando lentamente verso di lui come fosse davvero al cospetto di un potente mago in grado di fare qualunque cosa con un semplice schiocco di dita. << “ … la mia volontà è forte come la tua, e il mio regno, altrettanto grande … >>, continuò, fermandosi davanti a Bill, che la guardava da sotto in su, con uno sguardo che da indispettito, era divenuto morbido e sensuale … 
Lei si chinò fino a portare il suo volto all’altezza di quello di lui e gli sussurrò sulle labbra: << Tu non hai alcun potere su di me … >>.  
<< Ah no? >>, le bisbigliò lui, insinuante. << Ma davvero? >>.
<< Ah ah … >>. Lui fece per afferrarla e attirarla a sé, ma Vera si scansò ridendo lasciandogli le mani vuote e l‘aria smarrita di chi ha provato ad afferrare un miraggio e gli si è smaterializzato da sotto il naso. 
<< Visto come si fa? >>, disse, sedendosi di nuovo. Lui prese un’espressione seriosa, aggrottando la bella fronte alabastrina e tirando su il mento. 
<< Hai frequentato qualche scuola di recitazione? Perché sai, adesso che ho visto quanto sei brava a recitare sta cominciando a venirmi un certo dubbio … >>.
<< Se così fosse sarebbe una tua responsabilità, caro il mio Bill … ahi! Dai, smettila! No, dai, per favore, il solletico no! >>, strillò Vera, provando a scappare dalle braccia di lui che l’avevano ripresa e tenuta ferma mentre gli saliva a cavallo delle cosce e le pungolava tutti i punti più sensibili, dall’incavo della gola alle curve dei fianchi, alla vita. 
<< E allora tu rimangiati quello che hai detto! >>.
<< Mai … ahi! Dai, te le mordo quelle mani, se non la smetti! >>.
<< E chi ti garantisce che questo non mi indurrà ancora di più a torturarti? >>, le fece notare Bill chinandosi su di lei, bloccandole i polsi con le mani mentre le leccava piano le labbra, come un gattino con una ciotola di latte … un gattino con un piercing moooooolto sexy sulla lingua. 
Le venne spontaneo stringere le gambe, mentre le pulsazioni nel suo petto aumentavano di pari passo con quelle nel suo ventre, come sassi viventi su cui sbatteva e scrosciava il torrente impetuoso della sua eccitazione, fuoco liquido che cercava ad ogni costo di trovare uno sbocco. 
Ma il modo in cui lui la guardò la fece sentire inaspettatamente a disagio. Come se solo in quell’attimo avesse cominciato a realizzare dov’era, con chi era e cosa stavano facendo e … 
Una fitta di rimorso si fece strada tra le altre, un rivolo viola scuro tra il rosso e l’oro.   
<< Senti, Bill …  >>, mormorò esitante, tra una carezza di velluto e una d’argento. Si sentiva la persona sbagliata al momento sbagliato nel posto sbagliato. 
Lui si fermò immediatamente e le liberò un braccio, solo per poterle passare l‘indice sulle labbra socchiuse, bagnate, come una rosa all‘alba, ancora stillante rugiada notturna. << Cosa c’è? Non … vuoi? Vuoi che mi sposti, forse ti sto soffocando? >>.
<< No, no, è che … >>. 
<< Non ti piace quello che sto facendo? Scusami >>. Fece per scendere ma Vera lo fermò, cingendogli la schiena.  
Dannazione, lei poteva essere anche tutta sbagliata. 
Ma era con l’unica persona a cui avesse mai pensato come “giusta”. 
E non doveva accontentarsi di pensarlo mentre ce l’aveva addosso e le leccava le labbra a quel modo, come se fossero cosparse di un nettare preziosissimo … 
E tutto quello che voleva davvero in quel momento era che continuasse a leccarla così … ovunque … 
Oh, cavolo.  Dovette fare uno sforzo, per parlare abbastanza comprensibilmente dopo ch‘ebbe formulato quel pensiero. << No, è che ecco, dico, i fiori come spettatori mi andavano bene, ma David Bowie vestito da elfo a fare da guardone non lo reggo proprio! Senza contare che c’è anche la povera Sarah, che già penso sia stata traumatizzata abbastanza dalla vista di quel tizio in calzamaglia con le orecchie a punta … santo cielo! >>, sbottò lei ghignando. 
Lui la guardò esterrefatto, più per l‘uscita inaspettata che per quello che aveva detto. Ma stette al gioco. << Ancora? Chiedi scusa anche a David, forza! >>.
<< Ma non esiste proprio! Puoi ricominciare a solleticarmi fino alla morte, ma non chiederò mai scusa a quello spaventapasseri ossigenato vestito come il cugino drag queen di Batman! >>.
<< E allora invece di solleticarti io lascio la tivù accesa e ti costringo a guardarla pure. Così puoi ammirare tutto il genio del grande Duca Bianco …  >>. 
Vera fece una faccia furba da diavoletto malizioso. << Senti, ma non è che mi ti stai eccitando cò stò Bowie, no? Perché se è così credo di aver capito perché non vuoi spegnere la tivù … >>.
Prima che lei terminasse la frase, lui si voltò tendendo un braccio, e premette il tastino rosso sul telecomando. Lo schermo si fece nero, facendo calare il buio sull’intera stanza. Poi le riprese i polsi e glieli inchiodò a terra, sul folto tappeto, come fosse sua prigioniera; lo sentì tendersi su di lei e contro il suo ventre nonostante i jeans e Vera rabbrividì sul serio, ma non certo di raccapriccio.
<< Guarda che se vuoi, puoi chiamarmi David … o anche Jareth, come preferisci! >>, mormorò con una risatina. 
<< Quanto sei divertente … non ti rispondo neppure, è meglio >>. Bill fece per tornare a leccarla ma lei lo colse alla sprovvista e sfuggì alla sua stretta, andando a nascondersi dietro il divano. 
<< Mi vuoi, uomo? Allora trovami … ma non azzardarti ad accendere la luce … >>. Fuggì via dal living -room ma appena fu in corridoio, iniziò a muoversi con cautela. Il buio era così fitto che non avrebbe potuto vedere neanche una candela accesa, in tutta quella tenebra densa, quasi tangibile. 
<< Ciao >>, mormorò di colpo una voce alle sue spalle, e lei saltò su come un gatto preso a tradimento da una secchiata d’acqua. Ci mancò poco che non s’artigliasse al soffitto con le unghie e i capelli ritti. 
<< Ma come diavolo hai fatto?! >>.
<< Magia … >>, le sussurrò lui.
<< Hai la vista notturna come i gufi? >>.
<< No, ho solo scaricato una funzione molto utile sul cellulare … videocamera a infrarossi >>.
Lei scattò, esterrefatta. << Ma sei un infame! Non vale! >>.
<< Certo che sì! Tu hai detto di non azzardarmi ad accendere la luce, e io non l’ho accesa … non sono venuto meno a nessuna regola >>.
<< E invece sì, perché hai usato uno sporco trucco … e adesso dovrò punirti >>. Gli slacciò con due gesti bruschi la cintura dei jeans e infilò la mano sotto l’orlo, trovando la fonte della sua virilità già pronta per attingervi, con il minimo sforzo, il suo dolce balsamo salato. Serrò le dita con forza, ma invece di farle scorrere verso il basso, lo attirò verso di sé. << Io potrò avere te, ma tu non potrai avere me … >>, mormorò, e con la mano libera gli strattonò i calzoni abbassandoglieli fino a metà coscia, poi glieli sfilò tirandoli dagli orli inferiori. Frugò in una delle tasche e trovò un profilattico, che estrasse dalla sua confezione coi denti e infilò sul membro fremente di lui, a malincuore. Avrebbe voluto sentire la sua carne nuda sulla propria lingua, riempirsi del suo sapore, della sua essenza la bocca e la gola. 
Ma come giustificare una cosa del genere? Significava mandare in frantumi una barriera importante e … 
Le cose si sarebbero complicate. 
Meglio lasciarle stare, per il momento. A stuzzicare una ferita c’è il rischio che s’infetti. 
Meglio pensare solo a lui e al modo in cui tremava cercando con le mani le linee del suo volto, mentre avvertiva i contraccolpi della base della spina dorsale sotto il palmo che vi aveva posato. Aveva una schiena così bella, lui … sembrava la tela bianca di un pittore, così perfetta e delicata che non vi si decideva a iniziare il lavoro, ma neanche uno schizzo a matita. Come se lasciarla nuda fosse in qualche modo il compimento di una forma d’arte più alta, sublime, misteriosa, l’arte della creazione. 
Un’arte pronta a riproporsi in ognuno di quegli spasmi terminanti in un fiotto caldo, e involontariamente, lei si ritrovò a pensare a quanto sarebbe stato bello, un figlio suo … con i suoi occhi, le sue labbra, i suoi stessi gesti rivelatori, come quel cingersi il petto col braccio quando si sentiva in imbarazzo, o quel grattarsi la tempia con l’unghia o col fondo della penna quando pensava a qualcosa. 
Ebbe appena il tempo di farlo finire. Poi, la gola le si serrò del tutto.
Era un’idiota. Un’idiota. 
Un’idiota che non finiva mai. Ecco, la verità. 
<< Ti prego, dimmi che almeno adesso posso baciarti … >>, mormorò lui col fiato corto, raggiungendola sul pavimento per stringerla tra le braccia. 
<< Io … sì, certo che sì >>. Gli porse le labbra ancora tumide e arrossate per lo sforzo e se le lasciò mordicchiare piano da lui. 
<< Sono stato punito abbastanza? >>.
<< Per adesso sì >>.
<< Quindi … posso chiederti di tornare di là a finire di guardare il film davanti a una tazza di cereali al cioccolato, o rischio di venire di nuovo condannato a qualche tremendo castigo? >>.
<< Naaaah, amare David Bowie è già un castigo più che sufficiente >>, ghignò lei. Ma nonostante il morbido bacio di lui, sentiva ancora quell’amaro in bocca. 
E non era certo colpa del preservativo. 
 
Il film subì un altro paio d’interruzioni, più consistenti stavolta, prima di arrivare finalmente al termine. Erano le dieci passate quando Bill si decise a chiamare le consegne a domicilio e ordinare la cena … Vera avrebbe preparato volentieri qualcosa lei, ma non ne aveva la forza materiale. Aveva la tremenda sensazione che, se avesse avuto anche solo un altro orgasmo, avrebbe cominciato a sanguinare tanto era devastata. 
Ma era, appunto, solo una tremenda sensazione. 
Perché ne ebbe diversi  in altrettante sessioni di appassionante corpo a corpo, dai tempi molto vicini a quelli della maratona; e infatti lei si esattamente come se avesse corso tre volte la Maratona di New York, con la Statua della Libertà legata sulle spalle, come se avesse potuto essere possibile una cosa del genere.  
E l’unica cosa che le sanguinava alla fine erano le labbra. 
Si era morsa un numero infinito di volte per non dirgli quello che la sua presenza concreta in lei le faceva salire spontaneamente alla gola. 
Io ti amo. Sei il solo, per me. 
Lo sei sempre stato. 
E non potrebbe essere diversamente. 
Quando alla fine si addormentò, era quasi l’alba … il momento in cui il cielo si fa più nero, prima di tornare a riabbracciare la luce. 
Ma non dormì a lungo. Il sole era ancora fresco e nuovo, più arancione che dorato quando fu svegliata da una lunghissimo, dolcissimo trattamento intensivo di baci e carezze alla sua schiena.
<< Ehi … >>.
<< Ciao >>.
<< Tutto bene? >>.
<< Mhmm >>.
<< Cosa c’è? Non avrai sognato David Bowie? >>, ridacchiò lei sentendolo eccitato. 
<< Spiritosa … no, ad essere sincero, ho sognato che ero dentro di te … >>, spiegò lui, scostandole una ciocca dal volto. 
<< Sicuro di averlo sognato? Perché strano caso è giusto lì ch‘eri prima di addormentarti … e non è nemmeno che abbiamo dormito tanto, eh! >>.  
<< No, era sicuramente un sogno, perché eravamo in piedi, dietro la porta finestra, che ti guardavo venire nella luce del sole nascente … rosa, e viola, e bianca e dorata come l’aurora … >>.
<< Ahaaaaa. Capisco. E ora tu pensi possa essersi trattato di un sogno premonitore … >>.
<< Già >>.
<< Vieni qui >>, gli sussurrò, attirandolo a sé. Lui l’abbracciò e issatala contro il suo petto, spalancò la leggera tenda color panna scoprendo il vetro, e aprì metà della porta. I profumi radiosi del primo mattino entrarono subito in camera, con una tale dolce prepotenza ch’era impossibile resistergli. Come lui in lei, insomma … dovunque, con ogni mezzo, scambiandoli, confondendoli, ricominciando da capo … le dita tra le labbra e la lingua tra le gambe, poi il contrario, poi fu ancora lei a prenderlo in bocca finché non si ritrovò come lui le aveva predetto, contro il vetro. 
E furono quattro. 
E poi ancora cinque. 
E poi a Vera sfuggì una lacrima ad una spinta un po’ più profonda e lui disse basta. Se la strinse al petto e cullandola leggermente, le chiese scusa. 
Povero piccolo Bill, pensò Vera. 
Non poteva certo immaginare che il dolore che sentiva non veniva dal nucleo pulsante e infiammato tra le sue cosce, ma dal suo cuore. 
E per quello non c’era cura. 
Rimase a riposare per un po’, finché fu certa che le gambe le avrebbero retto, se si fosse azzardata a tirarle giù dal materasso. Un ventaglio di fitte incredibilmente dolorose le si diramarono dal ventre alla testa, rimbombandole nel cranio e oscurandole la vista per qualche istante. 
Sì, ci erano decisamente andati giù pesante, stavolta. 
Ma se gli avesse chiesto di farlo di nuovo non aveva dubbi che non gli si sarebbe rifiutata. Si chinò a dargli un ultimo bacio sulla guancia bruna e restò un istante a guardarlo dormire, poi si rivestì in fretta e non si mostrò troppo stupita nel vacillare paurosamente, sui tacchi delle sue scarpe bianche minuziosamente lavorate con un decoro a traforo. Dovette appoggiarsi ad ogni angolo e spigolo che le si parava davanti e strisciando contro il muro, raggiunse la porta e la aprì silenziosamente, prima di richiudersela alle spalle e uscire in corridoio. 
<< Buongiorno! >>.
Lei si voltò di scatto, l‘indice sulle labbra. << Shhhhh … >>.
<< Sta dormendo? >>.
Vera annuì. << Sì. Come un angioletto >>.
<< Per forza, il diavolo di casa sono io … ed ecco spiegato il motivo per cui ha tenuto te lontana dai miei occhietti acuti finora … >>.
<< Più che occhietti direi occhioni, tu e tuo fratello avete degli occhi incantevoli >>, osservò Vera con semplicità, e tutta la prosopopea del ragazzo svanì, lasciandolo piccolo e timido. 
<< Ehm … oh, grazie >>.
Lei si strinse nelle spalle. << Non c’è di che, ma non è un complimento, è la pura verità. Io sono Vera … >>.
<< E io sono Tom … >>.
<< L’avevo immaginato … >>, sorrise lei. << Ho tanto sentito parlare di te >>.
<< In senso positivo o negativo? T‘informo subito che se quell’infame ha parlato male di me è stato solo per denigrarmi. Lo fa sempre, sai com‘è, è un invidioso di natura. Non si rassegna al fatto che quello venuto meglio sia io >>.
Vera scoppiò a ridere. << Nahh, non è così >>.
<< Nooo? Così mi spezzi il cuore! >>.
<< No, dicevo che non è così, non mi ha affatto parlato male … anzi, ha detto che sei un gran sentimentale. E mi ha raccontato la storia del murales che c’è in cucina … >>.
<< Ecco, lo sapevo io, che mi denigrava … quel pugnalagemelli a tradimento >>, sbuffò lui incrociando le braccia al petto, nero di felpa. 
<< E che altro? >>.
<< Ma niente, mi ha solo riferito di una tua opinione personale riguardo il fatto che uscisse con me … >>.
<< Era qualcosa di lusinghiero, spero, ma se non lo era ti prego di scusarmi è stato solo perché non ti conoscevo di persona >>.
<< No, tranquillo. Era una cosa carina. E azzeccata. Io sono una … senza sbattimenti >>.
<< Ah, sì, me lo ricordo. Ma non che tu non ne varresti la pena, se anche ce ne fossero >>, mormorò lui galantemente, abbozzando una sorta d’inchino con la testa che gli fece scivolare sul volto i lunghi dread scuri. 
<< Grazie. Posso dire una cosa, se mi concedi? Vostra madre vi ha tirato su benissimo. Uomini come voi al giorno d’oggi più che rari sono unici. E lei ne ha in casa due >>.
<>, scherzò lui. Poi tornò serio. << Ti va di farmi compagnia per un caffé? Così puoi dirmi di persona cosa ne pensi del mio murales >>.
<< Per quanto riguarda il murales ti dico già ch’è meraviglioso, anche se è un aggettivo molto riduttivo, che non esprime davvero quello che suscita dentro guardarlo … per il caffè, mi piacerebbe moltissimo ma … >>. Sbadigliò, guardando l’orologio. Per poco non le prese un accidente. Aveva appena il tempo di una doccia e poi di corsa al lavoro … nonostante si sentisse come reduce da un frontale in motorino con uno schiacciasassi. << Ho da fare. Sarà per un’altra volta, okay? >>.
<< Guarda che ci conto >>.
<< Certo. Io mantengo sempre le promesse >>. Lei si voltò, e stava per raggiungere la porta principale quando lui la richiamò:
<< Ah, ehm, Vera? >>.
<< Sì? >>.
<< Fin dalla prima volta in cui mio fratello mi ha parlato di voi due, ho pensato di te tutto il bene possibile >>.
<< Oh, grazie … >>.
<< Ma io amo mio fratello sopra ogni cosa, e … vorrei solo che non gli facessi del male, okay? Per me non è un problema quello che fai, ma so che lui è così ferrato nelle sue stupide convinzioni che se di colpo ha deciso di mandarne un bel po’ all’aria per te, significa che sei importante. E’ maggiorenne, vaccinato e consapevole delle condizioni del vostro … “legame”, lo so e non sarebbero affari miei ma … l’ultima cosa che voglio è vederlo soffrire per una donna. Io ci sono passato. Più vale lei, più si sta male quando la si perde. E’ una legge di natura >>.
Lei avrebbe voluto chiedere se parlasse della sua ex, ma la delicatezza glielo impedì. << Lo immagino. Ma … una donna che vale sceglie sempre un uomo che vale almeno quanto lei, se non di più, e un uomo che vale tanto non resta mai col cuore spezzato troppo a lungo, semplicemente perché non lo merita. Anche questa, è una legge di natura >>.
Tom sorrise. << Sai, tu mi piaci. C’è la speranza che qualche volta tu dia buca a quel noiosone di mio fratello e … lo sostituisca con me? In fondo non dovresti neanche far troppa confusione sull’agenda. Il cognome è lo stesso, dovresti solo cambiare nome >>.
<< O magari potremmo organizzarci per un ménage - à - trois … >>, lo punzecchiò lei, con aria di sfida. << C’è un  sacco di gente che pensa che non sarebbe un problema, per voi due … >>. 
<< Questa gente non conosce mio fratello. Viviamo in simbiosi da ventiquattro anni, dovrei esserci abituato eppure non posso fare a meno di deprimermi ogni volta che lo vedo nudo … mi viene il magone pensando a quanto Madre Natura sia stata ingiusta con il mio povero gemello … >>, fece, scuotendo la testa con aria afflitta. 
<< Ma dai? Non direi affatto, sai? >>.
<< Perché non hai visto me >>. Restarono un istante in tralice, a fissarsi. 
Poi scoppiarono a ridere entrambi. << E’ meglio che vada, se voglio trovare un taxi libero prima dell’ora di punta … >>.
<< Aspetta, ti faccio accompagnare da Saki >>.
<< Ma no, dai, non è il caso … >>.
<< Ah no, invece lo è. Sai cosa mi farà Bill quando si sveglierà, se scoprirà che ti ho lasciata andare via in taxi? Mi ammazza, secondo me. Non mi ha ancora perdonato di quando è stato obbligato a venire ad assistermi al pronto soccorso piantando te come Cenerentola. Per due giorni mi ha tenuto su il muso >>.
<< Ohhhh, povero Tom … a proposito, come va la mano? >>.
<< La mano bene, ma il medico ha detto che non devo affaticarla troppo finché la cicatrice non è del tutto guarita >>.
<< Mhmm, bel guaio allora >>. Lui la guardò allibito e lei spiegò: << Dicevo per il tuo lavoro, no? Suoni con le mani, o sbaglio? >>.
<< Sai, mi ero sbagliato. Tu non mi piaci … soltanto. Io ti adoro proprio! >>.
<< Grazie >>, fece lei, sorridendo. << Anche tu non sei niente male >>.
<< Spero di rivederti presto. E credimi, per me è difficile dirlo sapendo di non dover sperare nient’altro dal prossimo incontro … >>.
Lei abbassò lo sguardo, lusingata da quel complimento così esplicito. << Ehm … >>.
<< Oh, ma ecco Saki. Ehi, vecchio mio, scorteresti questa bella damigella fino a casa assicurandoti che non le accada nulla? >>.
<< Ma naturalmente … Buongiorno, signorina Vera >>.
<< Buongiorno a te …  Tutto okay?>>.
<< Sì, grazie. Lei? >>.
<< Sì, anch’io … >>. Non era il caso di specificare che sì, a parte i formicolii, i bruciori e le fitte stava come un bimbo ch’era stato lasciato un giorno intero da solo in un negozio di caramelle. Con le chiavi di tutte le scansie a disposizione. 
<< Arrivederci, Vera >>.  
<< Ciao, Tom. Ci vediamo >>, disse e uscì, seguendo l‘uomo fino all‘auto.
 
Qualche ora dopo, Bill si voltò nel letto, meravigliandosi di trovarlo vuoto, al suo fianco. 
Poi lanciò un’occhiata alla sveglia digitale. 
Giusto. Le avevo chiesto ventiquattro ore.
Erano scadute da un po’. Però il cuscino accanto al suo era ancora caldo. 
Vi posò una mano, accarezzandolo lievemente … e lo afferrò attirandolo a sé. Vi affondò il viso inspirando a fondo … aveva il suo profumo. Un sottilissimo filo d’oro vi era rimasto adagiato, e lui lo sfilò avvolgendolo attorno alla falange del medio, come un piccolo, fragile anellino. Come per trattenere una parte di lei fino al loro prossimo incontro. 
Quanto sarebbe potuta andare avanti così? 
Fissò il soffitto per qualche istante, respirando lentamente. 
Ormai non poteva più prendersi in giro da solo. 
La amava. Profondamente. Come non aveva mai amato nessuno in vita sua. La voleva come non aveva mai desiderato nulla in vita sua. 
E altrettanto intensamente come mai prima di quel momento in vita sua, aveva dubitato di poterla avere. 
La realizzazione di un sogno per alto che fosse. La fama. La gloria. Il suo nome conosciuto ai più. Smettere di doversi preoccupare dei problemi economici. Un po’ di tranquillità dopo la bufera che aveva investito la sua famiglia dividendola. La rivincita dopo gli anni duri dell‘adolescenza. La certezza di essere qualcuno, di valere qualcosa. Di aver trovato un posto nel mondo. 
Non aveva mai dubitato di poter avere ognuna di queste cose. 
Ma per la prima volta, si trovava a non dipendere esclusivamente dalla sua volontà, che poteva anche essere forte, sì, ma … 
Per quanto si fosse sforzato, era comunque nelle mani di lei. 
In quell‘attimo, lucidamente, si rese conto di aver bisogno di Vera. Più di quanto immaginasse. Non solo fisicamente … ma anche a livello emotivo, sentimentale … tutto. Tutto di lui, aveva bisogno di lei.  
S’alzò, e senza neanche pensare a vestirsi si sedette sul letto, aprì il comodino e prese le sigarette. Ne accese una e prese anche un taccuino nuovo e una penna. Fissò un istante la prima pagina bianca e … poi, cominciò. Senza riflettere troppo su quello che scriveva; solo, guidato dall’impressione che lei fosse ancora lì, sdraiata accanto a lui, immersa in un sonno morbido e ovattato, un’apnea dei sensi in cui però era permesso respirare. Di un respiro lieve, silenzioso … dolce come quella giornata limpida dopo il temporale del giorno prima. 
Ogni tratto su quelle pagine bianche era … il naturale seguito di quello che lo precedeva e il precursore ovvio di quello che lo seguiva. 
Era come srotolare battito per battito, cellula per cellula l’intero proprio cuore. 
Quando si decise a chiuder tutto e andare a fare la doccia, e magari anche darsi una mossa e fare i bagagli, si accorse che … aveva bisogno di un taccuino nuovo. 
Quello lo aveva riempito tutto.  
Si lavò in fretta, frizionandosi precipitosamente per impedirsi di pensare a lei. Si sciacquò e uscì dal box, asciugandosi col telo e tornò in camera a vestirsi, jeans stracciati e maglia leggera, di un pervinca scuro, aperta sul petto, e scese di sotto. 
Gli faceva quasi paura rimanere solo con i suoi pensieri. Facevano male. Stava fuggendo da se stesso e ne era consapevole. 
Ma non sarebbe mai potuto fuggire da … suo fratello, e dal suo sorrisetto complice. 
<< Buongiorno. Dormito bene? >>.
<< Dormito. E’ più che sufficiente >>.
<< Mhmmm. Scommetto che ti sei comprato quella maglietta giusto per abbinarla alle occhiaie, no? >>, osservò Tom, tagliando una fetta da una forma di pan brioche. 
<< No, mi sono fatto venire le occhiaie di proposito, per abbinarle alla maglietta >>.  
Tom scosse la testa castano scuro. << Lo vuoi, il caffè? >>.
<< Dovrei dirti di no e mandarti a quel paese, ma sono così stanco che sono disposto a farmi punzecchiare da te, pur di non dovermelo fare da solo >>, borbottò sbadigliando. 
<< Sei ridotto uno straccio, fratello >>. 
<< Grazie >>.
<< Peggio di come stai tu ci sono soltanto quei jeans >>.
<< Okay >>.
<< E … >>. 
<< Grazie davvero, Tom, ma basta così coi complimenti, altrimenti rischi di farmi arrossire … e comincerò a pensar male di te >>, ghignò Bill, e suo fratello assunse un’aria furba. 
<< Te l’ha messa la tua ragazza, questa pulce nell’orecchio? >>, 
Bill si fece immediatamente serio, quasi cupo. << Parli di Vera? >>.
<< Perché, ne hai altre? >>. 
<< Oh, ehm … lei … Ecco, lei non …  lei non … non … non è la … mia … ragazza >>.
<< Mhmm. Fratellino ma ti sei dimenticato la regola grammaticale secondo la quale due “non” si annullano a vicenda? Tu ce ne hai messi quattro, quindi fa’ un po’ tu >>.
<< Ah ah. Ma non credo valesse in questo caso, stupido >>. 
<< E comunque vedi di metterci qualche pausa quando parli, vai troppo veloce >>.
<< Spiritoso >>.
<< Mi auguro per te che tu non lo sia anche in altre situazioni >>.
<< Ora lo sei un po’ meno >>.
<< Dai, non prendertela. Ci ho parlato e … be’, mi piace moltissimo >>.
<< Ahi … è una minaccia? >>.
<< Naahhh, macché. Se non te ne fossi accorto, nell’agenda del suo cuoricino c’è posto per un solo Kaulitz, e sei tu >>.
<< Ora non sei divertente affatto >>, disse, facendosi torvo. 
<< Scusa, ma non volevo prenderti in giro. Era una mia personale opinione >>.
<< Basata su quale osservazione? >>.
<< Sul fatto che l’ho ripetutamente invitata a venire a vedere la mia rigogliosa serra personale, dopo quella tua striminzita collezione di piantine in vaso … >>, fece Tom strizzando un occhio al gemello. << Ma non ha accettato >>. 
<< Cosa? >>, scattò Bill, serrando le dita ad artiglio, quasi pronto a scattare. 
<< Tranquillo, stavamo solo scherzando. E’ adorabile. Non è assolutamente una che se la tira, o fa la figa perché è bella, e sa di essere desiderabile e desiderata. Sono pronto a scommettermi quello che vuoi che dopo aver fatto del sesso da urlo sarebbe capacissima di mettersi a giocare alla Playstation, o a shangai, o anche a guardare un dvd sul divano avvolta nel plaid a mangiare pop-corn e dire spiritosaggini su tutti gli attori del film >>.
<< Per la verità … è andata più o meno così >>, ammise Bill, chinando il capo biondissimo.   
<< Visto? Io non sbaglio mai >>, osservò Tom, infilando in bocca una sigaretta. 
<< Quasi mai >>.
<< Che c’entra? Allora non ero lucido >>.
<< Davvero? Colpa del Chivas Regal o dell’Havana? >>.
<< Ah ah, che simpatico. Di nessuno dei due. Era colpa dell’amore. Quando t’innamori … smetti di essere razionale. E fai cose che non ti saresti mai sognato, compreso dimenticare che l’altro non ti appartiene di diritto ma sta con te per sua scelta. E se cominci a trascurarlo … è normale che cerchi qualcun altro che si prenda cura di lui a dovere >>.
Bill capì. E i suoi occhi si aprirono, anche in senso letterale, sgranandosi di stupore dolente. << Tom … questo non me l’avevi detto però >>.
<< A che scopo? Ormai era finita. Non importava perché, o per chi. Era chiuso e basta. Perché darti questo dispiacere? >>. 
<< Fratellino … >>.
<< Ma neanche questo c’entra, perché Vera è un’altra cosa. E’ un uccellino piccolo piccolo in un’enorme voliera che s’illude di essere libero di volare qua e là. Ma prima o poi sbatterà contro le sbarre e … be’, se accetti un consiglio, dovresti rimanere lì sulla porta della gabbia a guardarla volare e nel contempo, prenderti cura di lei, così quando verrà quel momento, potresti essere tu ad aprirle quella porta e regalarle la vera libertà >>.
<< Ma che cazzo, Tom, hai per caso deciso di farmi piangere?! >>, sbottò Bill, la gola stretta in un nodo. 
<< Scusa. E’ solo che … ora che l’ho conosciuta, una parte inesplorata del mio fottuto cervello non riesce a convincersi che faccia sesso per soldi. Lo trova inaccettabile >>.
Silenzio. Poi Bill inarcò il sopracciglio col piercing. 
<< Senti ma … non è che ci stiamo scambiando i ruoli, no? >>.
Tom assunse un‘aria sorniona, mentre versava il fumante caffè americano in due tazze, mettendone poi una davanti a suo fratello. << Ti piacerebbe essere come sono io, ah? Così Vera getterebbe sotto il caminetto la sua agenda e  cadrebbe ai tuoi implorandoti di essere il suo solo e unico appuntamento, vita natural durante … anche a gratis! Anzi, sarebbe lei a sentirsi in debito verso di te … >>.
Bill incrociò le braccia al petto, coperto solo da una sottilissima maglia grigio chiaro. << Ah, okay, tutto regolare. Sei sempre il solito stronzo egocentrico, quindi non c’è pericolo >>.
Tom scoppiò a ridere. << Dì la verità, ti brucia no? >>.
<< Be’, in effetti un po’ sì. Otto volte, non so se mi spiego >>.
<< Pffffiuuuuuu! Complimenti! >>, fischiò Tom. << Da quando vi conoscete? >>.
<< Da ieri pomeriggio, idiota! >>, fece Bill, << Senza contare tutto quello che abbiamo fatto con le mani e con la bocca … >>. 
<< Accidenti, vacci piano fratello, stai quasi facendo il solletico al mio piccolo  “T-yrannosaurus K.” … e guarda che “piccolo” è solo un vezzeggiativo, non un aggettivo! >>.
<< Che?! >>. Bill scosse la testa. << Tu sei tutto scemo … >>. Finì il caffè, s’alzò e fece per uscire dalla cucina, quando Tom lo richiamò.
<< Ehi, cucciolo >>.
Bill si voltò. 
<< Lo sai che ti voglio bene, vero? >>.
<< Certo che lo so >>.
<< E allora apri gli occhi, fratello. Se ci tieni davvero, non lasciarle pensare che per te è solo la tua scopata fissa. Faglielo capire >>.
<< E così scapperà >>.
<< Non lo farà. Tu non sei lucido, e non ti rendi conto dello sguardo che ha quando parla di te, o ti sente nominare. Solo a pronunciare il tuo nome, arrossisce e gli occhi le brillano come due prismi, rifrangendo tutta la luce che catturano in scaglie d’arcobaleno. Ma è evidente che si sente bloccata, non so per quale motivo. Forse per via del suo lavoro … o forse c’è qualcos’altro. Però tu per lei non sei solo un cliente generoso, educato, giovane, attento e … belloccio, dai, ammettiamolo >>.
<< Ma che gentile >>.
<< Ecco, sì, gentile me lo stavo scordando. Dicevo, tu per lei sei qualcosa di speciale, credimi >>.
<< E cosa dovrei fare secondo te? Illuminami dall’alto della tua esperienza >>.
<< Non essere sarcastico, Bibi. Sono tuo fratello, con me non funziona >>. 
<< Okay, scusa. Sentiamo >>.
<< Faglielo capire piano piano. Parole, gesti … è tutta una questione di sfumature >>.
<< No, per favore, non mi cominciare anche tu a parlare di sfumature che ho già avuto un’esperienza molto poco edificante, quindi! >>.
<< Va bene, te lo dico in un altro modo. Faglielo sentire, che anche lei è importante per te. Che non vuoi solo starci insieme nel senso materiale del termine. Cazzo, scrivi i testi delle canzoni da una vita, dici che non  sai mettere insieme quattro parole per dirle che la vuoi solo per te? >>.
<< Certo che so farlo, mica ci vuole niente. Però ho paura. E se mi sbagliassi? Se poi la spingessi a fare qualcosa che in realtà non vuole e poi ce ne pentissimo entrambi? >>.
<< Guarda che non devi farle una proposta di matrimonio. Solo, falle capire quello che provi. Non penso debba essere così difficile, no? >>, fece Tom, posandogli le bellissime mani dalle dita fatate sulle spalle e guardandolo di sottecchi. 
Bill sospirò. << No. Però … no, no. Meglio lasciare tutto così com’è. Non voglio rovinare tutto con un passo azzardato. Ma … e se … poi arrivasse qualcun altro più risoluto e facesse questo passo e lei accettasse solo perché io non ne ho avuto il coraggio? >>. Portò l’indice alle labbra, di un rosa cupo, quasi viola, sembravano quasi truccate. E invece erano solo uno dei postumi dell’ubriacatura del corpo di Vera che si era preso fino a poche ore prima. << Ah, che casino! >>.
<< Sai, Bill, mi meraviglia che tu non sia ancora diventato cieco, con tutte le seghe mentali che ti fai … >>.
<< Sì, sei bravo con le battute, tu. Ma le battute non risolvono le cose, Tom … anche se ti sono grato. So che vuoi solo aiutarmi >>. 
<< Certo che è così >>.
<< E io lo so. Per questo ti chiedo un favore, se puoi venire con me adesso >>.
<< Dove? >>.
<< In un posto. Forse sarà un grande sacrificio, fratello … ma ho bisogno di un consiglio >>.
Tom sgranò gli occhi bruni, impallidendo. << No, il negozio della Dsquared no. L’ultima volta con quel commesso che mi guardava con la bava alla bocca sono dovuto rimanere incollato spalle alla specchiera per tutto il tempo che tu provavi e riprovavi roba … cioè due ore e mezzo. E onestamente ho subito un trauma irreparabile. Mi spiace >>.
Bill sorrise. << Ma no, scemo, è un’altra cosa. E’ … per Vera >>.
<< Ah allora vengo volentieri >>.
<< Non sai nemmeno di che si tratta >>.
<< Fa lo stesso. Solo, mi dai un secondo? Il tempo di cambiarmi le scarpe e arrivo >>.
<< Okay. Ti aspetto in auto allora>>.
Tom sospirò. Attese di sentire la porta che si apriva e si chiudeva, e poi tirò fuori il cellulare dalla tasca della felpa, fissando il murales.
Un soffio di libertà, aveva pensato mentre lo realizzava. 
Voleva provare a regalarne anche uno al suo fratellino. Libertà da tutte quelle complicazioni mentali senza cui sembrava non poter vivere.  
<< Pronto? Ehi amico, sì, sono io, T- Key . Come te la passi? Io bene, grazie. Sì, sono a Berlino … tu? Perfetto. Me lo potresti fare un favore? Una cosettina semplice … sì. Solo, noi questa sera partiamo per la Russia e non torneremo prima della settimana prossima. Okay. Grazie. Di che si tratta? Aspetta che ti spiego … >>. 
 
<< Buongiorno >>, fece Kosta, aprendo la porta di ritorno dalle lezioni. 
Vera alzò appena la mano, dal divano su cui si era lasciata cadere a pancia in giù con un tonfo …. Circa due ore prima. Aveva chiamato Carol e detto che la sostituissero perché le era tornata la faringite … ossia la famosa mononucleosi che le aveva fatto credere di aver conclamato il suo “amato” coinquilino.  
Non che avesse fatto fatica a farsi credere: era così a pezzi che a malapena aveva tirato fuori dalla gola un filo di voce gracchiante.  
Kosta inarcò il sopracciglio castano scuro perfettamente depilato a forma d’ala di gabbiano. << Nottata movimentata, eh?  >>, domandò. Vera scostò l’aria con la stessa mano.
<< Sta’ zitto, Kosta >>.
<< Che c’è, non ti va di parlarne? >>.
<< Più che altro non ne ho la forza. Sono distrutta, quel pover’uomo a momenti mi caricava in braccio >>.
<< Chi? >>.
<< Saki >>.
<< Davvero? >>.
<< Sì. Ma smettila di farti brillare quegli occhietti da faina arrapata … mi spiace distruggere i tuoi sogni a luci rosse ad occhi aperti ma potrebbe anche essere etero, sai? >>.
Kosta incrociò le braccia fasciate da una maglia rosso vino a maniche lunghe. << Embé? Ma non lo sai che in ogni persona c’è una componente maschile e una femminile? Cioé praticamente in ognuno di noi c’è una parte omosessuale? Be’, si tratta solo di spingere per portarla alla luce … >>.
Vera era allibita. << Non parli sul serio, vero Kosta? >>.
<< Ma certo che sì! E poi scusa, parli proprio tu che vai a letto con uno che non esiste persona sulla faccia della Terra che a prima vista non l’abbia scambiato per una ragazza! >>.
<< Spiritoso >>, lo rimbeccò lei. << A me non è successo >>.
<< Perché tu hai l’occhio di lince, mia cara … >>.
Vera gli lanciò una scarpa che era riuscita a sfilare senza dover fare troppi movimenti. Kosta la recuperò con una presa degna di un giocatore di rugby e la posò con delicatezza sulla sedia. 
<< E poi tu non puoi dire niente, dacché stai lavorando tanto infaticabilmente sulla parte etero di Bill Kaulitz … >>.
<< Sei uno stronzo, Kosta >>.
<< Ah lo so, me l’hai già detto >>. 
Il trillo del campanello interruppe l’amena conversazione. I due si scambiarono un’occhiata.
<< Non ti ha saldata neanche stavolta, no? >>.
Vera scosse la testa. << Non credo. Ho solo questi addosso e … lui stava dormendo quando sono andata via >>.
Kosta balzò in piedi e andò ad aprire. << Salve … >>, disse in tono ostentatamente suadente, incrociando le braccia e appoggiandosi all’architrave. Saki, imbarazzassimo, tenne il capo chino e lo sguardo basso dietro le lenti. 
<< Buon … giorno a lei. Cercavo la signorina Vera … >>  
<< Sono qui, Saki, sono qui >>. Vera si tirò via dal divano a fatica, raggiunse la porta trascinando le gambe e spinse via Kosta, che reagì con una smorfia indispettita e mise il broncio. Lei lo ignorò e tornò a guardare l’uomo sulla porta.
<< Vuoi entrare? Stavo giusto per fare il caffé >>, lo invitò. 
<< Oh, no, grazie signorina … lei è molto gentile ma io vado molto di fretta >>.
<< Immagino … senti, Saki, dammi del tu okay? Non … sono abituata a sentirmi dare del “lei”, è troppo formale e … tra noi non credo serva formalità dacchè il tuo capo ti costringe a fare avanti e indietro per Berlino a causa mia … >>.
<< Oh, ma è un piacere signorina … ehm, Vera >>.
<< Okay, ci conto. Comunque, posso chiederti perché sei qui? E’ forse successo qualcosa? >>.
<< No, semplicemente … Bill voleva che mi sincerassi che stessi bene … e sinceramente ci tenevo anch’io >>, arrossì l’uomo, arrossendo fin sopra la testa rapata. 
<< Sta benissimo, non vede? Stessi anch’io come lei … >>, disse Kosta, ancora piccato. 
<< Zitto tu! Grazie, Saki, sto bene … puoi dire a Bill di non preoccuparsi … è stato molto carino da parte vostra, grazie >>.
<< E sono qui anche per consegnarl … ehm, consegnarti … questo >>. L’uomo tirò fuori dalla tasca del pesante giubbotto bombato un sacchetto di cartone color crema, e glielo porse. Vera lo prese senza pensarci troppo. 
<< Grazie, Saki >>.
Lui annuì e si congedò. Vera chiuse la porta e arrancò a fatica fino al tavolo. 
<< Io lo odio quel ragazzo >>, sbottò Kosta. Vera batté le palpebre. 
<< E perché? >>.
<< Perché mi mette davanti al naso quel bel pezzo di manzo senza che io possa farci niente … mi sento come la Moss davanti a una Sacher! >>.
Vera lo fissò con gli occhi spalancati. Poi scoppiò a ridere. << Ma povero Kos … >>.  
<< Dai, aprilo, vediamo cos’è >>. 
Lei tirò fuori dal sacchetto una scatolina di velluto nero. L’aprì e un carosello di luci multicolori, scaglie d’arcobaleno, si riflesse nei suoi occhi increduli. 
<< Oh mio Dio … >>.
<< Fa’ vedere … ossantocielo! >>, strillò Kosta.
<< Ma … accidenti, sono Swarowskji? >>.
<< Tua sorella! Non vedi che sono diamanti? >>. Due piccole gocce mirabilmente tagliate giacevano sul fondo come stelle nel cielo notturno e soffice. Vera prese fiato; Kosta invece prese il bigliettino allegato. 
<< “Neanche loro riescono a catturare tanta luce quanta sanno darmene i tuoi occhi, ma spero di piacciano. Grazie. Bill” Ohhhhh … ma che tenero! >>, commentò. Vera non riuscì a proferire verbo. 
<< Sai, tesoro … ho come la vaghiiiiiiiiiiissima impressione, ma proprio vaga eh! Che … questo bel giovanotto si sia innamorato di te >>.
<< Ma che dici! >>, esclamò Vera, 
<< Dico, dico. Non si mandano bigliettini del genere a una con cui ci fai solo sesso sfrenato per … quattro volte? >>.
<< Kosta, piantala! >>.
<< Cinque? >>.
<< Kosta, basta >>.
<< Non mi dirai … sei? Cazzarola, sei volte? >>.
<< No! >>. 
<< Mhmm, allora sono tre. Vabbé, forse era stanco … >>.
<< Kosta, hai mai avuto un appuntamento con uno scarpone di para dritto nel fondoschiena? >>.
<< Solo due? Naaah, la vedo complicata. A meno che non siano state due lunghissime tranche da sei ore l’una … e francamente, dopo sei ore uno si pure spacca le scatole a stà lì sotto … la moglie di Sting quando va a letto col marito si mette una pila di riviste e la calza sul comodino, così almeno non s’annoia! >>.
<< Otto, okay? >>, sbottò lei, infuriata. << Otto. E basta. Non voglio sentire più una parola >>. 
Kosta rimase a bocca spalancata. << Wow >>.
<< Avevo detto non una parola. Chiuso il discorso >>.
<< Be’, ehm, ecco … sì … cosa stavamo dicendo? >>.
<< Che secondo te non si mandano bigliettini del genere ad una donna con cui ci fa solo sesso sfrenato … >>.
<< Giusto … per otto volte >>.
<< Kosta >>, ringhiò Vera.
<< Scusa. Comunque, dicevo, a parte il bigliettino, è proprio il regalo che non va . Non si regalano degli orecchini così >>.
<< E perché? Regalano anche di peggio >>.
<< Appunto. Di solito i clienti regalano alle loro amanti a pagamento oggetti preziosi ma anche vistosi, per ostentare la loro generosità davanti alle stesse ragazze e agli altri clienti. Questi invece no. Sono preziosi, sì, ma discreti, e inoltre sono orecchini, un gioiello che considerato il tuo abbigliamento generalmente “svergognato” che scopre braccia e decolletè puoi decidere se mostrare raccogliendo i capelli o invece tenere nascosto come un dolce, romantico segreto … Non sono fatti per essere ostentati, ma custoditi. Sono per te, Vera. Fidati. Conosco un po’ più di te come va il mondo, piccola Heidi dei Vosgi >>.
Vera scosse forte la testa. << Idiozie. Semplicemente li ha visti e gli sono piaciuti. Tutto qui >>.
<< E certo, perché sono proprio il suo stile, eh? Uno che va in giro con tante catene addosso da bastare a una fabbrica di biciclette e tanto bulloni da riempirci un ferramenta … >>. 
Lei, colpita, non seppe replicare immediatamente. << Guarda che mezzi li ha tolti >>, disse infine. << E comunque ti sbagli >>.
<< Sei tu che non vuoi vedere. Dimmi, cara la mia Vera, quando voi due siete … pensa a te? >>.
<< Penso di sì, ma che ne so, non sto mica nella sua testa io >>.
<< Ah ah, simpatica. Intendevo dire se ti tiene stretta, dopo … se ti abbraccia, ti bacia, ti accarezza, insomma, non ti manda a quel paese una volta finito, ecco >>.
<< Sì >>, rispose semplicemente lei. 
<< Ecco. E … fate anche altro oltre al sesso, no? Cioè, voglio dire, parlate, scherzate … >>.
<< Sì, anche >>.
<< E ti ha mai chiesto di restare, al mattino … >>.
<< Sì, ovviamente … fosse per lui non mi lascerebbe tornare mai, o almeno così mi fa vedere >>.
<< Mhmm. E sono tre. Ora, non per essere indiscreto ma … prova  a far raggiungere l’orgasmo anche a te? >>.
<< Kosta! >>.
<< Rispondi. Fa’ conto ch’io sia un esperto a cui ti sei rivolta per questa tua situazione >>.
<< Quando hai preso la laurea in psicologia, scusa? >>.
<< Rispondi >>. 
Vera, presa al laccio dell’evidenza, sospirò. << No >>.
<< Ah >>.
<< Non ci prova. Ci riesce. Almeno uno >>.
<< Volta inteso come … visione d’insieme o come … singolo … ehm, amplesso? >>.
<< La seconda >>, ammise lei, assumendo un bel colore rosso vivo. Kosta ammutolì.
<< Acci … denti. Sicura sicura che non è bisex? O che non ha almeno voglia di provare? >>.
<< Kos - taaaaaa! No, non lo è e manco gl’interessa, okay? Me l’ha detto lui, quindi il discorso è chiuso >>.
<< Sei gelosa, per caso? >>.
<< No, sei tu che sei un imbecille e più imbecille io che ti do retta pure! >>.
<< Dai, scherzavo. Però, ancora complimenti, cavolo >>.
<< Ancora? >>.
<< Sì. Perché finché non ti deciderai ad ammetterlo, almeno con te stessa, che si è innamorato di te, ti darò il tormento >>.
Lei andò a sedersi al divano e tirò le ginocchia al petto, con un’aria sofferente. << E’ impossibile. Con tutte le belle ragazze che gli stanno dietro, le sue fan sfegatate e innocenti, modelle fantastiche, cantanti bellissime, non può innamorarsi di una … una … >>.
<< Puttana? >>.
<< Ecco, sì >>.
Kosta andò a sedersi accanto a lei. << Appunto per questo, si è innamorato. Perché con te si sente al sicuro. Sa di potersi comportare come meglio crede ed essere se stesso, perché tu non pretendi nulla oltre quello che ti dà in contanti … il conto è già saldato, per usare una metafora. Tutto quello che fa, lo fa perché lo vuole, perché lo sente. I particolari della sua vita che ti confida, lo fa perché sa che tu non lo tradiresti mai, andrebbe contro il tuo interesse. Con te è libero perché sa che in un certo qual modo sei onesta e non hai secondi fini oltre quello noto. Finché continuerà a credere che le cose stanno così, andrà avanti anche lui esattamente come te, perché lo fai stare bene, come lui fa con te >>.
<< Grazie, Kosta. Così non mi incoraggi certo a dirgli la verità >>.
<< Al contrario, signorina Vera. Perché adesso devo chiederti una cosa: sapendo tutto questo, quanto la tua piccola, tenera, noiosa coscienza ti permetterà ancora di continuare questa farsa prima che cominci a rimorderti l’anima? >>.
Vera chinò il capo. << Be’, io … >>.
<< Adesso che sai che sei per lui più di una scopata occasionale senza complicazioni, ce la farai a guardarlo negli occhi e continuare ad ingannarlo? >>.
Lei tacque, annientata. 
<< ’Fanculo, Kosta. Avresti dovuto farlo davvero, lo psicologo … >>, sbottò infine, la voce incrinata. 
<< No, tesoro. Sono solo uno che ti vuole tantissimo bene e non vuole che ti rovini con le tue stesse mani. Tu lo ami da impazzire, da prima di conoscerlo … e hai la fortuna di averlo incontrato, avuto e la possibilità di essere ricambiata. Inoltre non si merita di venir preso in giro. E neppure di credere di doverti dividere con persone che non esistono. Il fato vi ha unito, adesso tu non sciupare tutto … >>.
<< Oh, Kosta … >>. Lo abbracciò, respirando a fondo il buon odore di pulito, di dopobarba leggero e di shampoo all’avena del suo amico. Una pausa rigenerante, dopo tutto quell’intensissimo profumo di sesso che le aveva annebbiato completamente il cervello. Ce l’aveva ancora sulla pelle … sembrava attaccarsi addosso a lei come un rampicante d’edera dalle foglie taglienti, ferendola per penetrare anche all‘interno del suo corpo, nel suo sangue, nella sua carne, perfino nel suo battito cardiaco. 
<< Certo che … okay, tu sei un’ingenua su tante cose, ma anche lui non scherza … Se tu riesci a farti passare per una escort io ho buone possibilità di venir preso come l’erede illegittimo di Gordon Trüm … ehm, scusa, volevo dire Gordon Ramsey! >>, disse Kosta, con un’aria serafica per nulla credibile. Vera gli scoccò un’occhiataccia. 
<< Ma smettila! >>.    
<< Dico la verità. O il tuo lato oscuro è così torbido da far invidia perfino ad Angelina Jolie, oppure quel bel tipetto era davvero vergine come si vociferava qualche tempo fa … >>.
<< Nessuna delle due >>, sospirò Vera. << Solo, quando siamo insieme … >>.
<< “Non è solo sesso” >>. 
Vera gli assestò una manata dietro la nuca. << Finiscila di sfottere. Sto cercando di fare un discorso serio, stavolta. Comunque sì, anche se è … fenomenale tra noi, non è solo sesso. Il sesso diventa quasi una cosa casuale, non c’è assolutamente la sensazione opprimente di sapere che ci incontriamo per quello … Lo voglio tremendamente anch’io e succede solo quando siamo entrambi pronti, quando i nostri corpi sono tesi allo spasimo e lo desideriamo follemente tutti e due. Un tocco un po’ più dolce, o viceversa un po’ più forte … un bacio più profondo … basta anche uno sguardo d’intesa. L’altra volta è stato folgorante, sono salita in auto che stavo già trasudando resina da ogni parte del mio corpo ed è bastata un’occhiata per capire che non potevamo aspettare un secondo di più. Si è avvicinato a baciarmi e stavo appunto per salirgli addosso quando lui mi ha tratto a sé. E’ come se … ci sentissimo l’un l’altro. E poi parliamo, tanto … perfino quando siamo a letto, qualche volta. Di cose anche stupide, morbide, colorate … ci scappano di mezzo battutacce da comitiva di ragazzini delle medie e frasi che sembrano stralci di haiku giapponesi, delicate e fragili come petali di ciliegio. E’ … qualcosa che non può essere spiegato con le parole … qualcosa di così … >>.
<< Semplice? Naturale? >>, domandò Kosta con uno sguardo eloquente.
<< Sì. E’ come se ci conoscessimo da sempre, eppure non lo facessimo mai abbastanza a fondo. Ci sono sempre altre gemme da estrarre, altre sfaccettature da ammirare. Te l’ho detto, non so come spiegarlo. E’ tanto, è troppo, forse bisognerebbe inventare una parola nuova per descrivere quello che sento con lui >>.
<< Ah no, non serve. Esiste già. Si chiama amore, Vivvi bella. E’ tanto, è troppo, e non si può spiegare. E’ in cielo, in terra e in ogni dove, nell’anima di ognuno di noi. E non mi guardare così, anch’io so fare il poeta ogni tanto, mica può farlo solo l’amico tuo! >>.
<< Che scemo … >>.
<< Comunque, romanticherie a parte, mi prometti che starai attenta a non metterti in qualche casino irreparabile? >>. 
Lei annuì. << Promesso >>. E il cellulare squillò. 
<< Tieni. Numero anonimo >>. 
Vera sorrise. << Anonimo … ma non per me >>, disse. << Minimo sta chiamando da quello di suo fratello … Pronto? >>. 
<< Come stai? >>, domandò subito un Bill alquanto inquieto. 
<< Bene, grazie. Saki non te l’ha detto? >>.
<< Sì, ma ero preoccupato lo stesso. Volevo sentirlo da te >>.
<< Sto bene, tranquillo >>.
<< Forse ho un po’ esagerato …>>.
<< Forse. Ma l’ho fatto anch’io, quindi direi che va bene >>.
<< Grazie >>.
<< Grazie a te. Sono stupendi >>.
<< Scusa, di cosa stai parlando? >>.
<< Non fare il finto tonto, Kaulitz. Sai benissimo di cosa parlo >>.
<< E’ solo un pensiero >>.
<< Un pensiero molto prezioso … quanto le tue parole >>.
<< Anche quello era solo un pensiero >>.
<< Ma erano entrambi meravigliosi. Grazie ancora >>. 
<< Erano per farmi perdonare … per stanotte … e per adesso >>.
<< Perché? >>.
<< Ecco … mi sento tremendamente in colpa … forse sono un idiota, magari tu nemmeno te ne accorgerai, però … io mi sento male lo stesso. Non ti ho detto una cosa, Vera >>.
<< Dimmi >>.
<< Ti ho chiesto se potevi restare con me tutto un giorno perché … oggi parto. Vado in Russia, Vera >>.
<< E’ … okay >>, fece Vera, non tanto stupita di quel fatto tanto da quello che avesse sentito il bisogno di dirglielo. << Non c’è … problema >>.
<< E’ per presenziare ad un evento e girare un video … >>.
<< Bill, non devi spiegarmi niente. Va tutto bene, so benissimo che hai il tuo lavoro e i tuoi impegni. Non devi mica giustificarti con me! Sarebbe il colmo! >>, rise lei, un po’ stridula, per nascondere il groppo in gola che le metteva quell’annuncio. Si sentiva pericolosamente fragile, e non capiva perché. 
<< Scusa. Ma ogni tanto lo dimentico. Il fatto è che … mi mancherai >>.
Vera mandò giù il nodo duro e nero intrappolato tra le corde vocali, ma non poté impedire ad un sorriso triste di delinearsi sul suo volto. Kosta fece un cenno come a dire “cosa c’è?”, ma lei non rispose, e il suo amico riprese a esaminare la scatola dei brillanti, con l‘aria da Sherlock Holmes a caccia d‘indizi. << Lo so. Anche tu >>.
<< Davvero? >>.
<< Sì. >>.
<< Be’ … starò via solo una settimana. Non è che quando poi torno non c’è più posto per me, vero? >>. 
<< Stupido! >>, sbottò lei d’impulso. << Oddio, mi dispiace …>>.
Ma lui invece di offendersi scoppiò a ridere. << Bene. Adesso partirò tranquillo >>.
<< Divertente. Credi che potrei dirti di no, dopo un regalo del genere? >>.
<< Sembra che sia il primo che ricevi >>.
Vera trasalì, ma poi scelse di dire … una relativa verità. << E’ il primo così bello >>.
<< Dai, non ci credo >>.
<< E’ così. E’ il primo … per me >>. Vera riuscì a fermarsi appena in tempo, prima che quella frase trovasse il suo seguito giusto, naturale. E innescasse un casino a catena di dimensioni epiche.  
Però, avrebbe tanto voluto dirglielo lo stesso. 
Dall’ altra parte, silenzio. 
<< Non … ti sfugge nulla, eh? >>, chiese poi lui, vagamente imbarazzato. Vera lanciò un’occhiata a Kosta che aveva trovato il resto del bottino e lo stava contando incredulo, alzando poi il palmo aperto in verticale verso la sua amica, che scosse la testa e sorrise. 
<< Nossignore >>.
<< Be’ … che dire. Beccato >>.
Vera rise. 
<< Quando ti rivedrò, vorrei che tu fossi vestita solo della tua luce … riflessa da quei piccoli brillanti >>.
<< E io vorrei che lei lo fosse solo degli arabeschi neri e colorati e dei bagliori argentei dei suoi tatuaggi e piercing, signor Kaulitz … >>. 
<< Ehm … Vera … devo proprio andare tesoro … devo … spegnere il cellulare, prima di salire a bordo …>>. Era chiaramente precipitato in uno stato di confusione mentale, sembrava faticasse a ricordare le parole, come si pronunciassero i suoni delle loro lettere e le regole necessarie a metterle insieme per comporre una frase di senso compiuto.   
<< Certo, tranquillo. E … fa’ buon viaggio, okay? Distraiti, divertiti e rilassati. Mosca è bellissima >>.
<< Hai mai avuto un amante russo? >>.
<< Bill … >>.
<< Scusa, non ho resistito. Sai, sono un po’ geloso. Il punto è che di certo gli altri saranno stati colti, intelligenti, esperti, più importanti che famosi … sai, il tipo d’uomo che mettono su “Time“ o roba così, e io mi sento solo un ragazzino che parla di sciocchezze … >>.
<< Sciocchezze molto dolci. Adesso vai. E riguardati, mi raccomando >>.
<< Vorrei che mi riguardassi tu >>. 
<< Lo farò quando tornerai, promesso >>.
D’ un tratto, un’altra voce maschile, più scura e bassa di quella di Bill ma con le sue stesse inflessioni e caratteri riecheggiò nell’auricolare. Sicuramente Tom, pensò Vera. << Bill, dobbiamo andare, dai >>.
<< Dai, vai. Altrimenti ti picchiano >>.
<< Non voglio chiudere >>.
<< Lo so, piccolo, ma devi andare. Dai, vai tranquillo. Io non mi muovo da qui >>.
<< C’è … un’altra cosa che vorrei chiederti. E’ una cosa egoista, è tremendo ma … vuole uscire a tutti i costi, sto cercando in tutti i modi di tenerla a bada però … >>.
Il cuore di Vera mancò un battito. Poi due. Poi tre. Cazzo, allungatemi un respiratore, pensò. << Dai, okay, dillo >>.
<< Vorrei non andassi da nessuno, questa settimana. Ti sto chiedendo tantissimo, non avrei neanche dovuto dirtelo però … >>.
<< Okay. Te lo giuro. Ferie forzate >>.
Un click di polimero plastico ultratecnologico che sbatte contro un qualcosa di vellutato e solido … in parole povere, di cellulare ripreso al volo per miracolo. E poi, un: << Sul serio? >>, incredulo e timoroso. 
<< Certo. Nessuno. Zero. Neanche le mie stesse mani >>.
<< Dai! >>, esclamò lui, e Vera non ebbe alcuna difficoltà nell’immaginarselo mentre arrossiva. Era così, lui. Ormai lo sapeva bene. 
<< Così chiudi >>, disse lei trionfante. 
<< Ah … che testa! >>.
<< La mia, eh? >>.
<< Ti adoro >>.
<< Lo so. Adesso vai, dai >>.
<< Va bene. Ciao, tesoro, abbi cura di te >>.
Vera chiuse e Kosta la squadrò con un sorrisetto sornione. << Non è innamorato, eh? >>.
<< Kosta … >>.
<< Okay, okay. Ma tu diglielo. Prima che lo scopra da solo >>.
<< Quando torna, promesso >>, disse Vera, gli occhi bruni d’un tratto velati da qualcosa di simile al rimpianto. O forse al rimorso.  << E rimetti quelli apposto, che devo assolutamente restituirglieli >>.
<< Già fatto. Anche perché grazie a lui non abbiamo più conti urgenti da saldare >>, disse Kosta. 
Ma non era finita. Neanche fosse un mantra da ripetere quanto più possibile per raggiungere la pace dello spirito,Vera disse ancora, più a se stessa che al suo coinquilino: << Quando torna glielo dico >>. 
Kosta le lanciò un’occhiata poco convinta . << Mah. Speriamo >>.
E riprese a sorseggiare il suo tè al gelsomino. 
  
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