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Autore: Ale666ia    31/10/2012    3 recensioni
Un mondo in putrefazione.
O sopravvivi o sei uno di loro.
Genere: Angst, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Angolo mio
Sì, questa volta mi sono spostata all'inizio della pagina.
Innanzitutto: è la notte di Halloween! E quando si scrive una fan fiction di questo genere, perché non aggiornare proprio oggi? Forse questo capitolo aiuterà qualcuno a passare una serata paurosa davanti al computer :D
Invece, se siete finit* qui dopo il 31 ottobre, sappiate che prima di questo capitolo ne ho pubblicato un altro proprio pochi giorni fa. Onde evitare buchi nella trama, andate a leggerlo.
In secondo luogo: è il compleanno di Frank Iero. Auguri, uomo che non conosco ma che ho idealizzato a dovere nel mio cervelletto. Ecco, tenete un disegno di Jared triste e depresso: qui. E la splendida vista che offre la palafitta qui.
Infine, un enorme grazie a luiero che si è aggiunt* alla schiera di persone che seguono questa fan fiction.
Buona lettura a tutt* :)
 
 
 
 
I mesi scorrevano, piacevolmente lenti.
Sembrava quasi di essere tornati alla normalità.
Certo, Jared passava almeno un quarto della giornata su un albero a scrutare l'orizzonte con un fucile in mano, ma poteva ritenersi soddisfatto: dopo tre anni di totale silenzio, finalmente aveva di nuovo una vita sociale. Era sempre in compagnia di qualcuno, e la cosa non gli dispiaceva affatto. Dakota gli pettinava i lunghi capelli, elogiandoli in continuazione. Si divertiva a riempirlo di trecce dopo che lui si era gettato in mare, per poi slegarle una volta asciutte, rivelando una chioma completamente ondulata. Alissa si limitava a stargli accanto in silenzio, schiva come era sempre stata da quando l'aveva conosciuta, ma non gliene faceva una colpa... Probabilmente aveva le sue ragioni per comportarsi in quel modo. A volte fantasticava sul perché di quel comportamento solitario. Forse aveva subito una perdita traumatica. O forse doveva le cause erano a monte: magari aveva avuto un'infanzia difficile.
C'era Michael, col suo sorriso rassicurante e intramontabile. Quell'uomo emanava un'aura di sicurezza. Bastava stargli vicino per essere investiti da una sensazione di calma totale. Con lui, ogni problema sembrava risolvibile, che fosse l'esaurimento delle scorte di benzina o che il piccolo cane, Jack, avesse distrutto l'unico cuscino comodo in un attacco di vitalità, azzannandolo fino a ridurlo a brandelli.
E poi c'era Colin.
Quel ragazzo era una bomba di vitalità. Jared si chiedeva come riuscisse ad avere tutta quell'allegria in corpo quando vivevano ogni giorno con l'inquietante dubbio del “mi sveglierò o no, domani mattina?” (cosa che Colin non mancava di far notare: non appena si svegliava, la prima cosa che faceva era sbadigliare, stiracchiarsi ed esclamare con voce squillante “e anche oggi ci siamo svegliati!”. Alissa gli ringhiava contro qualche insulto, e lui sogghignava malignamente). Colin gli veniva spesso a tenere compagnia mentre faceva la vedetta. Si arrampicava sull'albero, si sedeva pesantemente accanto a lui e cominciava a dar fiato alla bocca.
Aveva ventidue anni, tre in meno rispetto a Jared. E i suoi familiari, da quel che diceva, erano vivi e vegeti in qualche base militare nonostante non avesse loro notizie da più di un anno. Fino a quando le comunicazioni non si erano interrotte era riuscito a sentirli tramite dei messaggi trasmessi via radio: ad una data ora del giorno si intrufolava in una macchina abbandonata ed armeggiava con le manopole fino a captare la stazione. Ma le notizie si facevano sempre più disturbate ogni giorno che passava, e così i contatti erano gradualmente cessati. Jared gli aveva chiesto dove si trovasse questa famigerata zona sicura, ma lui aveva risposto di non conoscere il luogo. I militari avevano mantenuto la postazione top-secret.
 
In quel momento si trovavano nella macchina dove Michael aveva dato lezioni di guida a Dakota. Il nero li aveva spediti a fare l'ennesimo giro di ricognizione, in cerca di qualsiasi cosa potesse rivelarsi utile.
«Praticamente» stava raccontando Colin, gesticolando molto e prestando poca attenzione alla strada nonostante fosse lui alla guida. «Io e la mia famiglia ci trovavamo nel porto più vicino alla città in cui abitavamo. I militari avevano detto che muoversi per via acquatica era più sicuro, ecco perché ci trovavamo lì. Stavamo aspettando il nostro turno per montare sul traghetto, e tra me e loro si era infiltrata una donna con al seguito tipo quattro o cinque bambini... io li avevo lasciati stare perché ero un galantuomo e credevo nel cavalleresco detto “prima le donne e i bambini”. Ad un certo punto hanno cominciato a suonare le sirene, e un tizio ha strillato che c'era “un infetto, aiuto, mettetevi in salvo!”. Hanno fatto passare la famiglia Farrell al completo tranne il figlio minore, cioè me. E naturalmente è passata anche la donna con i bambini urlanti. Il traghetto è partito sotto i miei occhi.»
«Ma che sfiga.» commentò Jared, sincero.
«Già. Ehi, c'è una stazione di servizio!» esclamò, accostando la macchina ad una solitaria stazione di rifornimento abbandonata. «Guarda, c'è anche un'altra macchina, magari troviamo della benzina.» parcheggiò in mezzo alla strada. Prima di scendere si guardarono bene attorno, presero pistole, balestre e coltelli (Michael si premurava sempre che avessero almeno un arma da fuoco, una silenziosa e una per il contatto ravvicinato) e scesero, chiudendo le portiere dietro di loro.
Si diressero verso la macchina abbandonata, rovistarono al suo interno da cima a fondo solo per scoprire che non conteneva nulla di utile se non una cartina degli Stati Uniti completamente contusa ed illeggibile, un Arbre Magique quasi totalmente inodore ed una confezione di gomme da masticare scadute della marca Orbit che intascarono comunque perché si trattava pur sempre di cibo. Cibo spazzatura, ovvio, ma pur sempre cibo. Controllarono il serbatoio e scoprirono delusi che era completamente vuoto. Il caldo, probabilmente, aveva fatto evaporare il carburante.
«Beh, non ci rimane che guardare qua dentro.» sospirò Colin, indicando la tabaccheria. «Pronto?»
Jared tolse la sicura alla pistola. «Pronto.»
Non gli piaceva quel genere di cose, ma voleva comunque rendersi utile per i suoi nuovi compagni di viaggio. Si incamminò inquieto verso l'entrata, seguito da Colin.
La porta, quando ancora funzionava, era stata una di quelle scorrevoli che si aprivano tramite una fotocellula sensibile ai movimenti. Adesso il meccanismo era inutilizzabile per via della mancanza di corrente, e qualcuno prima di loro aveva rotto il vetro per intrufolarsi all'interno del locale.
Per entrare si dovettero abbassare sulle ginocchia, facendo attenzione a non tagliarsi con i vetri che sporgevano dal telaio metallico. Non sarebbe stata una via di fuga comoda quella, no. Jared era sempre più nervoso.
Il locale era piccolo e angusto, costellato da basse scaffalature che potevano benissimo nascondere uno di quei mostri affamati di carne. Fece cenno a Colin di salire sul bancone posizionato all'entrata per controllare la situazione dall'alto. In completo silenzio, si issarono sul tavolo di ceramica su cui tanti anni fa le persone venivano a pagare il conto del pasto appena consumato, oppure a scambiare quattro chiacchiere col cassiere.
Jared si guardò bene attorno, terribilmente inquieto.
No, pareva non esserci nessuno.
«Via libera.» confermò Colin, pur sempre parlando a bassa voce. Evidentemente anche lui non vedeva l'ora di andarsene. Fecero un giro veloce tra gli scaffali semivuoti. Trovarono un pacchetto di patatine ammuffite, qualche rivista mangiucchiata dai topi ed un peluche a forma di struzzo. Decisero di portare tutto con loro. Videro perfino dei preservativi, ma quelli decisero di lasciarli lì perché non avrebbero saputo come utilizzarli. Sghignazzarono qualcosa di cattivo gusto a proposito di Alissa che probabilmente aveva una vagina dentata come la protagonista del film Denti (che entrambi avevano visto), momentaneamente dimentichi dell'inquietudine, poi si ricomposero. Tornati all'entrata, si accorsero che dietro al bancone c'era una teca di plastica piena di sigarette.
«Ehi.» fece Colin. «Non te l'ho mai chiesto prima: tu fumi?»
Jared sogghignò. «Diciamo che le sigarette mi hanno tenuto compagnia in questi lunghi anni di solitudine.»
«Allora ne prenderò qualcuna.» detto questo, Colin diede un colpo alla teca con il calcio della pistola, e creò un buco in cui infilò una mano per prendere svariati pacchetti di sigarette. Arraffò poi diversi accendini prediligendo quelli che avevano stampato addosso un disegno che a detta sua era proprio fico, e si diressero verso la macchina, uscendo dal locale.
Jared si riparò gli occhi che ormai si erano abituati alla penombra cupa del tabacchino.
Si sedettero nuovamente all'interno dell'auto, appoggiando le riviste ed il peluche che avevano preso sui sedili posteriori.
«Mi passi un pacchetto?» chiese Jared.
«Agli ordini!» e Colin glielo lanciò tra le mani. Jared lo studiò per un po', cercando la linguetta di plastica per aprirlo più facilmente, un piede ancora appoggiata sull'asfalto. Anche Colin era impegnato nella sua stessa operazione.
«Questi così invece di aiutarti sono solo delle gran perdite di- oh, finalmente.» Jared prese una sigaretta tra le labbra, e si fece passare uno degli accendini appena rimediati. Ci volle un po' prima di far partire la fiammella. Se la avvicinò alla punta della sigaretta, dove qualche filo di tabacco fuoriusciva.
Sentì qualcosa toccargli la gamba.
Sollevò lo sguardo e si ritrovò davanti agli occhi la faccia di uno di quei mostri, deformata in un sorriso orrido e con gli occhi fuori dalle orbite che sporgevano terribilmente in avanti. Jared era pietrificato, non riusciva a chiamare Colin per avvertirlo di prendere la pistola e sparare in faccia a quell'abominio e rimase lì, ad indietreggiare lentamente, con quello che infilava la sua testa scorticata all'interno della macchina, le labbra spaccate sollevate sulle gengive purulente.
Indietreggiò fino a far andare la schiena contro la spalla di Colin, che finalmente smise di concentrarsi sull'accendino tarocco che aveva preso e si voltò verso di lui, sorpreso, per poi lasciare che la sigaretta gli cadesse dalle labbra.
Si schiacciarono contro il finestrino, Jared che allungava il collo verso di lui per allontanarsi il più possibile dal cadavere. Colin armeggiò velocemente, cercando di non farsi notare, sulla cintura, dove teneva il coltello che gli aveva affidato Michael, gli occhi puntati su quella bestia che stranamente ancora non aveva attaccato... in verità, stava cercando in tutti i modi di entrare completamente all'interno della macchina. Il mostro voltò la faccia verso le proprie gambe fasciate da pantaloni luridi, controllando che tutto il corpo fosse entrato nell'abitacolo, e Colin scattò: prima che quello avesse il tempo di capire cosa stesse succedendo, gli piantò il coltello nel cranio con una forza e una velocità che solo la paura potevano far venire fuori. Ma non fu sufficiente, perché il mostro strillò, e Colin urlò a Jared di chiudere gli occhi e di serrare le labbra quando dei pezzi di saliva si schiantarono sulla maglia del ragazzo. Con uno scatto fulmineo spezzò l'osso del collo al mostro, ci fu uno schiocco e quello si accasciò sul petto di Jared.
Jared si agitò, cercando buttare fuori il morto dalla macchina. Quando finalmente con un tonfo sordo quello cadde sull'asfalto, si affrettò a chiudere la portiera in fretta e furia. Poi si accasciò sul proprio sedile e tirò un tremante sospiro di sollievo.
«Dio. Mio.» sussurrò con lo sguardo perso nel vuoto. «Potevamo morire. Potevamo morire.»
Colin stette in silenzio per un po'. «Sì.» lo sentì dire poco più tardi. «Per fortuna che era rincoglionito.»
«In che senso?»
«Dai, ma l'hai visto? Voglio dire, che cazzo entri a fare dentro la macchina? Mordi e fuggi! E invece quel coglione è voluto entrare. Ma io gli ho dato il benservito. Ah!» si mise a cercare la sigaretta caduta sul tappetino dell'auto. Quando la trovò ne passò una anche a Jared. Fumarono in silenzio, calmando i nervi.
«Senti.» disse Colin gettando il mozzicone dalla fessura del finestrino. «Devo riprendere il coltello. L'ho lasciato nella testa dello zombie.»
«Ah.»
«Lo prendi tu o lo prendo io?»
«No, no... lo prendo io.» Jared aprì nuovamente la portiera, sfilò il coltello che ora odorava di putridume dalla testa del mostro e lo passò a Colin.
«Bleah...» fu il suo commento. «Per carità, torniamo subito alla palafitta. Ma prima...» Jared sentì la macchina sussultare: era appena passata sul corpo morto. «Assicuriamoci che quell'imbecille sia crepato.» accelerò, e sentirono entrambi il rumore del cranio che si spaccava spremendo sul terreno asfaltato il cervello decomposto.
 
La prima cosa che Michael fece, una volta visti i due ragazzi tornare all'accampamento, fu controllare che nessuno dei due fosse stato infettato.
«Ma Michael, ti ho già detto che-»
«Colin, fa silenzio, per favore.»
Era la prima volta che Jared vedeva il gigante senza quella sua permanente aura serafica e tranquilla. Stava passando in rassegna ogni centimetro della loro pelle. Alissa e Dakota osservavano in silenzio. Anche i cani, seduti sul pavimento accanto a loro, sembravano capire la gravità della cosa.
«Quante volte ti ho detto di fare attenzione. Quante, Colin. Voglio che tu me lo dica.»
«Tante Michael, ma-»
«E allora cosa diamine ti è saltato in mente!»
Jared si sentiva in colpa. «Veramente è stata colpa mia, io-»
«No, Jared, tu sei stato chiuso in casa per anni interi.» lo liquidò il nero. «Colin invece lo sa come funziona il mondo esterno, lo sa bene. Eppure, oggi hai messo in pericolo non una, ma ben due vite!»
Colin se ne stava in silenzio, ricambiando il suo sguardo greve, poi si decise a parlare. Sembrava un'altra persona in quel momento, senza il sorriso sulle labbra ed il tono di voce spensierato.
«Ho sbagliato. Mi dispiace.» non ricevette risposta e decise di continuare. «Comunque, volevo dirti che abbiamo trovato delle riviste, potrebbero essere utili per accendere un fuoco durante l'inverno.»
Michael annuì. «Bene.»
«In più abbiamo preso accendini e sigarette -queste ultime possono servire come combustibile o antistress.»
«Mh-mh.»
«Ed abbiamo preso un peluche a forma di struzzo.»
«Un- Ommioddio. E perché, di grazia?»
«Ho pensato di darlo a Dakota, oppure a Jack e Sally. Oppure, beh... è pur sempre combustibile.» accennò un sorriso. «No?»
 
«Colin, scusa. Mi dispiace, sul serio.»
«Mh? E di che?»
«Per lo... per lo zombie. E il cazziatone che ti ha dato Michael.»
«Non ti preoccupare.»
«Mi sento in colpa.»
«Ma se ti dico di stare tranquillo che problema c'è?»
«C'è che mi sento uno schifo e non riesco a dormire.»
«Ehi. Siamo vivi. È questo l'importante. Ok?»
«Mh.»
«Sai, quel peluche mi faceva pena.»
«Eh??»
«Ma sì... Hai mai visto Toy Story?»
«Certo.»
«Eh. Pensa quanto si sentiva solo fino ad oggi, su quello scaffale, in compagnia degli zombie. Adesso, invece, guardalo: stretto tra le braccia di Dakota.»
«Ommioddio.»
«Scommetto che è molto felice.»
«Questa conversazione ha preso una piega assurda.»
«No, è questo mondo ad essere assurdo. Mi sembra di essere finito dentro a Resident Evil.»
  
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