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Autore: Lavi Bookman    01/11/2012    1 recensioni
- Mel? -
- Che c'è? -
[...]
- Riconosceresti me o Andrè? -
- Sei geloso? -
- Semplice curiosità... -
[...]
- Ok M... - Andrè si bloccò in cima alle scale e si riparò dietro al muro per non farsi vedere. Gli faceva male tutto ciò. Vedere la ragazza che amava abbracciata a suo fratello. Si chiese se non avesse magari ingigantito tutto e per un attimo volle crederlo con tutto se stesso. Eppure poteva vedere il dolore di Mel e Teo, poteva palparlo e lui si sentiva il coltello pronto a recidere ogni cosa.
La stretta di lei era così salda, e il suo pianto così silenzioso e così straziante. Si chiese come facesse Teo a non girarsi verso di lei per abbracciarla. Come facesse a resistere senza muoversi. Come potesse non piangere anche lui.
E poi se ne accorse.
Vide le lacrime di lui scendergli lungo le guance. Senza alcuna espressione dilaniante sul volto, senza nessun rumore. E rivide il vuoto nei suoi occhi. [Cap. 11]
La storia tratta l'incesto tra Mel e Teo, fratello e sorella. Tra problemi -ovvi- come le incertezze di lui, terze persone decise a rendere il tutto più complicato, incidenti e decisioni sofferte.
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Guardò così spesso nello specchietto retrovisore della macchina di Andrè che si chiese se quella fosse la volta buona che memorizzava ogni singolo particolare della strada che stava percorrendo, e che percorreva da anni. Le salì la nausea a pensare che non poteva essere suo quel pensiero. Lei non sapeva se aveva mai imparato i particolari di quella strada, era solo una delle tante informazioni “di base” che le avevano propinato.
Aveva fatto la scelta migliore, quella più giusta. Quella che le avrebbe permesso di continuare a vederlo. Non avrebbe rischiato un giorno di svegliarsi e trovare la polizia alla porta. Non avrebbe dato a nessuno le chiavi della propria cella con un ottimo motivo per spedirci dentro lei e suo fratello.
Avrebbe continuato a guardare Teo da lontano, accarezzandone l'ombra e amandone il pensiero.

Il cellulare squillò per la centesima volta e si decise a rispondere.
- Ci sono, ci sono... -
- Ora, ci sei ora. Eri da lui, vero? -
- Sto tornando da te, no? - disse evitando di avvertire il magone in gola. Cercando di camuffare la voce e di sacrificare se stessa per un qualcosa che forse le avrebbe portato un futuro migliore. Forse, forse.
- Non vederlo più. Non farlo. -
Chiuse la conversazione senza rifletterci troppo su. Sapeva benissimo cosa doveva e non doveva fare, senza che lui glielo ricordasse. Si chiese se le scelte che aveva fatto sino a quel momento fossero sempre state così dure o se quella era un prova di maggiore impatto.
Erano passate due ore dalla sua partenza quando accostò la macchina e posò la fronte contro il volante. Il respiro divenne più affannoso e avvertì nuovamente quella sensazione forte e precisa di nausea. E lì, come uno strisciante e taciturno serpente avvertì un ricordo poco preciso. Lui, Teo, sul cornicione di un edificio che non era sicura di riconoscere. Sentiva le sensazioni lasciarle una bava appiccicaticcia addosso -sudore-, e cercò di interrogare maggiormente il momento che stava rivivendo. Lei era lì, lo vedeva così vicino dal buttarsi. Lo vedeva piangere e non sapeva perché.
“Teo... Smettila, smettila, basta!”, urlava. “Scendi, ho bisogno di te”, continuava insistendo, “scendi, Teo, ti amo”.
Sentì il rinculo della propria anima, la quale si spezzava, distruggeva, aggiustava, deteriorava, assemblava, con una velocità disarmante.
Provò a rialzare il capo ma venne nuovamente pervasa dai suoi mali che sembravano volerle spaccare il corpo in due lacerandola dall'interno. Aveva avuto già prima dei ricordi ma era sempre riuscita, bene o male, a controllarli. Non si era mai ridotta a piangere e urlare in macchina, sul bordo della strada.

Voltò piano, pianissimo, la testa verso il cellulare che aveva estratto dalla tasca, senza neanche ricordarsi quando ve l'avesse riposto, e fece per comporre il numero di suo fratello. Si bloccò lanciando un urlo che la fece piegare in due. Ebbe a malapena l'accortezza di volgersi verso lo specchietto retrovisore e notare che la strada era troppo trafficata. Si distese lungo il sedile del passeggero e aprì lo sportello che dava verso una radura, uscendo con la testa quel tanto che bastava per vomitare e vomitare e vomitare.
Richiuse la macchina e riprese a piangere. Ricordò una donna che le parlava di amore e preghiere, di suo fratello e i suoi genitori.
E la stessa donna che le aveva parlato dell'amore fraterno poi le aveva anche detto che lei e Teo vivevano nel peccato.
Ricordò quando lei, da piccola, veniva stretta da suo fratello. Un miscuglio, un cumulo, un disastro di ricordi e di macerie che si scaraventavano disordinatamente contro la sua scatola cranica e trovavano come unica via d'uscita la sua bocca, e in mancanza delle parole adatte la facevano urlare e pregare silenziosamente di smettere.
“Sorridi, sempre” fu una di quelle frasi che si rincorrevano nella sua testa senza un significato da attribuirgli.
Riprese a vomitare.
Aspettò cinque minuti sempre nella stessa posizione e riprese il cellulare con una difficoltà irritante.
Avrebbe dovuto chiamare Andrè, dirgli “sono per strada, sto male, vieni qui” e aspettarlo. Non fu così.
- … Hai dimenticato qualcosa qui? -
E non rispose. Trattenendo l'impulso di sembrare così smielata da urlargli “il mio cuore”, e sopratutto l'impulso di riprendere a piangere e vomitare.
- Mel? Cosa vuoi? -
Ancora silenzio, se solo avesse tentato di aprire la bocca per parlare i suoi mostri avrebbero afferrato l'ottima occasione per squarciarla in due lì, in quel momento. Se solo li avesse conosciuti meglio, quei mostri che erano solo ed esclusivamente suoi.
- Devo raggiungerti? -
Fece cenno di sì con il capo rendendosi conto che lui non poteva vederla.
- Sento che respiri, so che sei lì e che mi stai ascoltando. Dimmi se devo raggiungerti, Mel -
E lo fece. Aprì la bocca, anche se di poco, giusto per dire “sì, Teo, sì”. Avvertì che le ripercorrevano la pancia, la schiena, il cervello, su per la gola. Ed ecco che si presentavano nuovamente al mondo, i suoi mostri. E pianse, pianse ancora e ancora fra un “sì” e un “aiutami” e un “ti prego, vieni qui”, mentre stringeva tanto saldamente il volante della macchina da rendere bianche come latte le nocche delle mani.
Capì che l'unico che poteva farla smettere era l'unico che l'aveva fatta iniziare.
E capì quanto erano stati crudeli, l'un l'altro.
Come si può insegnare ad amare così tanto, così forte, così male, così difficilmente, e poi non insegnare anche a proteggersi da un amore tanto disorientante? E' crudele, crudele, sì.
Rimase ferma in auto, indecisa se frugare o meno nella sua mente alla ricerca di qualcosa che in quel momento non chiedeva altro che uscire allo scoperto per abbagliarla, ucciderla, straziarla.
Aspettò che arrivasse facendo come le aveva detto lui poco prima di riattaccare per raggiungerla: “non muoverti, sto arrivando. Se stai peggio chiama un'ambulanza nel frattempo”, spostandosi sui sedili dietro.
E lui arrivò, trovandola raggomitolata lì, probabilmente addormentata. Maledì lei e se stesso. Dormire a lato della strada era una delle cose più sciocche che avesse mai fatto. Le bussò sul finestrino facendo sì che lei si svegliasse e gli aprisse la portiera.
- Cosa è successo? -
- Non mi chiedi perché me ne sono andata? - chiese lei appoggiando il capo contro il poggiatesta.
- Se ha a che fare con il tuo stato attuale, te lo chiedo, sennò faccio a meno -
E lei sorrise, lasciando intravvedere il volto di una ragazzina ingenua nascosto dalla frangia e dai capelli disordinati. - Sei sempre così perfetto, Teo... Ti odio, sai? -
- Ti odio anche io, a volte... -
- Non abbastanza, mai abbastanza. Non puoi odiarmi più di quanto mi ami, perché tu sei fatto così... Sei sbagliato, sbagliato... - e volse lo sguardo verso fuori, non mostrandosi a lui.
- Mi hai chiamato per dirmi questo? - tagliò corto lui irritandosi. - Piangevi, urlavi, dimmi che hai e basta, o torno a casa mia. -
- Stai male? - e si girò a guardarlo negli occhi. Le sembrò che le pupille di suo fratello si rimpicciolissero a sentire la domanda.
- Sei tu quella che stava qui a distruggersi, non io... - e abbassò lo sguardo per poi rialzarlo l'istante successivo.
- Ho paura, Teo... Se ora rimanessi con te, sarebbe per sempre, e per sempre è tanto tempo. E... - deglutì e provò ad assaggiare il gusto della propria saliva – … Non pensi mai che sarebbe un “per sempre” molto breve? -
Rimase in silenzio, senza alcuna certezza di aver capito cosa intendesse dire sua sorella. Parlava di amore, morte forse, paura, dolore, e tutto cominciava ad assomigliare ad una tragedia degna di uno spettacolo dell'Antica Grecia.
E la amava, anche in quel momento in cui lei parlava di cose che non voleva ascoltare. Anche in quel momento, l'amava.
- Devi andare da Andrè, Mel. Abbiamo due macchine, se vuoi posso seguirti con la mia fin da lui per assicurarmi che il viaggio vada bene e tu non abbia più... Problemi -
Sentì le lacrime cominciare a punzecchiarle gli occhi ma riuscì a vincerle. Il passo seguente sarebbe stato parlare, una cosa alla volta.
Fece tre tentativi prima di riuscire a parlare senza mostrarsi ferita.
- Vado da sola -
Si complimentò con se stessa per il successo e sorrise, a fatica. Sapeva che lui sapeva. Sapeva che in faccia doveva aver scritto “se mi uccidevi, mi facevi meno male”, ma aveva ragione Teo: dovevano lasciarsi e basta. Ed era un bene che lui non avesse insistito per accompagnarla. Doveva farcela da sola.
Era arrivata addirittura a metà strada prima di crollare e chiamarlo. Lui le stava dando la possibilità di continuare anche l'altra metà, di portare a termine i suoi buoni propositi. Doveva essere forte e basta. Amarlo, e basta. Lasciarlo, e basta.
E basta. E doveva farsi bastare quel “e basta”.
Lo vide scendere dalla macchina e avviarsi verso la propria.
Avrebbe voluto scendere anche lei, raggiungerlo, baciarlo, tornare a casa con lui. E invece rimase lì, limitandosi a passare nel posto del guidatore. Accese il motore e partì, di nuovo, in compagnia del cellulare accanto a se che ininterrottamente vibrava mostrando sul display “Chiamata in entrata: Andrè”.

  
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