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Autore: Light Rain    01/11/2012    8 recensioni
"Cercavo con tutta me stessa si rimanere aggrappata a quelle realtà che mi sembrava ancora di possedere. Ma non mi ero ancora resa conto che erano già diventate irraggiungibili". Questa è la storia di Annie Cresta, prima, durante e dopo i suoi Hunger Games
_SOSPESA_
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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—Amore svegliati, è tardi— mi sussurra dolcemente accarezzandomi i capelli.
—Finnick ho sonno, lasciami dormire— biascico io.
—Annie oggi c’è l’allenamento, te lo ricordi?— mi chiede lui con voce calma.
Giusto, l’allenamento.
—Non ho voglia, lasciami dormire— protesto coprendomi la testa con il lenzuolo.
Quando qualcuno viene a svegliarmi di prima mattina c’è da sapere solo una cosa: se potessi me ne starei a letto tutto il giorno.
—Annie...— mi incoraggia Finnick.
Io in risposta mi avvinghio alla coperta e mi rintano al calduccio.
Non posso vederlo ma sono sicura che in questo momento Finnick sta ridendo e, come consueto, mi toglie il lenzuolo lasciandomi tutta infreddolita. Con gli occhi ancora chiusi tento di riprenderlo ma lui mi blocca iniziando a farmi il solletico.
—Finnick smettila!— grido io tra le risate.
Ma lui continua imperterrito ed io sto iniziando a piangere dal ridere.
—Finnick sono sveglia, sono sveglia!— urlo aprendo finalmente gli occhi lucidi.
Lui sorride, le sue mani si fermano e si adagiano delicate sui miei finchi.
—Buongiorno dormigliona— mi dice allegro.
Io mi stiracchio un po’, mi metto a sedere nel letto e poi lo bacio.
—Buongiorno— rispondo sorridendo.
Potrei stare qui a guardarlo per tutto il giorno ma un profumo inebriante mi riporta alla realtà.
—Brioches?— domando eccitata.
—Come sempre— risponde lui compiaciuto.
Tutte le mattine va dal fornaio e mi compra i dolci che io amo alla follia.
—Come stava Simon stamattina?— chiedo per informarmi sul nostro rivenditore autorizzato di brioches.
—Oggi era particolarmente entusiasta— mi risponde Finnick —indossava un’insolita camicia arancione— sorride lui.
Già me lo immagino, il nostro fornaio cosparso di farina girare per il negozio fischiettando con una camicia fosforescente.
—Ti aspetto in cucina— mi dice Finnick baciandomi sulla fronte.
Io sbadigliando mi alzo per andare in bagno.
Mi guado per un attimo allo specchio sorridendo alla vista dei miei capelli arruffati. Prendo un po’ d’acqua e mi lavo il viso.
La mia vita è complicata, più di quanto possa sembrare a prima vista.
Mi chiamo Annie Cresta, ho diciassette anni, adoro dormire e vivo nel Distretto 4 e fin qui niente di strano; mio padre è un pescatore, mia madre è morta, mia cugina è terrorizzata dalle formiche, il mio migliore amico è una specie di veggente, il mio fidanzato si chiama Finnick Odair, ha diciannove anni, ci conosciamo da cinque, stiamo insieme da tre e anche fin qui complessivamente tutto normale, se non fosse che noi viviamo a Panem.
Finnick ha vinto la sessantacinquesima edizione degli Hunger Games, tutta la capitale è ossessionata da lui ed è costretto a vendere il suo corpo altrimeti il presidente Snow ucciderà le persone che ama, compresa me.
La mia vita è complicata, più di quanto possa sembrare a prima vista.
Ma sono felice, ogni tanto.
Stamattina sono felice.
Mi cambio e mi dirigo in cucina dove trovo Finnick intento a lavare i piatti e sul tavolo due brioches fumanti.
Mi avvicino a lui, lo abbraccio da dietro e appoggio la testa sulla sua schiena.
—Stamattina quando sei arrivato c’era ancora mio padre?— domando curiosa.
—Mi ha aperto lui la porta— mi risponde strofinando un piatto con la schiuma.
—Ti ha urlato contro?— chiedo timorosa. A mio padre Finnick non va molto a genio, soprattutto perchè quando accende la televisione lo vede sempre in compagnia di altre donne, quando invece teoricamente sarebbe fidanzato con sua figlia. Naturalmente mio padre non sa come stanno veramnete le cose.
—No— ride lui —ma sono sicuro che volesse farlo— conclude poggiando il piatto pulito.
—Scusalo, lui è fatto così— dico io.
—Non è lui quello che si dovrebbe scusare— mi dice voltandosi, io sono sempre stretta a lui, con le mani ancora bagnate mi abbraccia. Restiamo fermi per qualche secondo poi Finnick mi scrolla un po’ e ci sediamo a fare colazione.
—Pronta per l’allenamento?— domanda lui divertito.
—No— rispondo secca.
Finnick, all’incirca un anno fa, si è accorto della mia totale mancanza di forza fisica e della mia incapacità di maneggiare in modo letale un’arma, o almeno letale verso gli altri, perchè se mi davi un coletello in mano ero solo pericolosa per me stessa. Così il mio caro e dolce Finnick ha deciso di addestrarmi, naturalmente non è molto divertente, ma lo fa per me, o almeno è quello che mi dice lui, nell’eventualità io venissi estratta alla mietitura. Comunque, da quando è iniziato l’addestramento ad ora, non sono cambiate molte cose, forse l’unica cosa che so fare è non essere più pericolosa per me stessa, che per me è già tanto.
Mangiamo le nostre brioches spettegolando sulla gente che c’era dal fornaio stamettina, poi veniamo interrotti da qualcuno che bussa alla porta.
Mi alzo io, dopotutto è casa mia, quando la spalanco trovo il mio amico Lian con un bel sorriso stampato in faccia.
—Pronta per l’allenamento?— chiede divertito.
—No— ruggisco io. Tutti sanno quanto io odi fare questo e tutti si prendono gioco di me.
Lo lascio entrare e si siede vicino a Finnick.
—Brioches!— esclama Lian afferrando il mio ultimo boccone, se lo infila in bocca e ride compiaciuto.
—Dannato, sei venuto per fregarmi la colazione!— grido isterica.
Questo lo fa ridere solamente di più.
Mi calmo solo un po’ quando Finnick mi offre la sua, ne prendo un pezzo e torno a sedere.
—Oggi capo cosa abbiamo in programma?— chiede Lian a Finnick.
Anche il mio amico partecipa agli allenamenti, ma solo perchè altrimenti io mi sarei rifiutata di farli, suppongo che Finnick lo abbia addirittura minacciato.
—Il solito, forze rafforzeremo un po’ il vostro approccio con le armi— risponde lui disinvolto, Lian sorride, a differenza di me il mio amico si diverte molto e non poteva trovare insegnante migliore di Finnick, che è l’unica cosa che mi piace di tutta la faccenda.
Finita la colazione ci dirigiamo a casa di Riza, anche lei è stata costretta ad aggregarsi al gruppo, ma partecipa a modo suo all’addestramento: ha fatto le prime due lezioni e poi si è stancata.
“Basta io non faccio più niente! Tanto non mi estrarrano quindi perchè farlo!” ha urlato tornandosene trionfante a casa, da quel giorno lei sta semplicemente a guardarci. Devo ammettere che l’ottimismo non le manca.
Prendiamo anche lei e poi andiamo al Villaggio dei Vincitori, Finnick si è fatto costruire un magazzino dove tiene delle armi, cosa totalmente illegame, ma c’è gente che a Capitol City gli deve più che un favore, così quando lo ha chisto alle persone giuste non si è lamentato nessuno.
Mi si stringe lo stomaco, perchè so cosa ha dovuto fare Finnick per poter ottenere una cosa simile, lo so e lo detesto.
Entriamo nel magazzino e ci lasciamo il mondo esterno alle spalle, ora non esistono né brioches né il Distretto 4, ci siamo solo noi e un mucchio di armi che non ho la più pallida idea di come usare.
—Annie cosa ti senti di fare oggi?— mi chiede Finnick.
Niente, non mi sento di fare assolutamente niente.
—Coltelli— rispondo svogliata.
Finnick va a prenderne cinque, piccoli, non troppo pesanti, ideali per essere lanciati, l’unica cosa che mi riesce abbastanza.
Scagliare questi affari non richiede molta forza fisica, come per maneggiare una spada o tirare una lancia, questi li tiri e speri di colpire il bersaglio.
Fortunatamente la mira non mi manca, dopo aver passato tutta la vita a catturare pesci la precisione fa parte del mio essere.
Mi posiziono ad una distanza di circa sette mentri da un fantoccio confezionato dalle mani abili di Riza.
Mi passo tra le dita il manico freddo del coltello, prendo un bel respiro e mi concentro sul bersaglio davanti a me ed un’immagine raccapricciante mi passa davanti agli occhi: potrebbe essere una persona.
Finnick mi fa allenare proprio per questa eventualità, per far sì che io sia capace di farlo con una persona, per far sì che io sia capace di...
Digrigno i denti e lancio il coltello con tutta la forza che ho in corpo.
Il rumore acuto della mia arma che si infrange sulle altre posizionate sulla parete mi fa sobbalzare, il manichino non lo ho neanche sfiorato.
Mi giro pronta per rinunciare ma Finnick mi sta fissando con sguardo serio e mi fa cenno col capo che devo riprovare. Quando ci alleniamo lui non è altro che il mio maestro e io la sua alieva, niente di più.
—Forza Annie!— grida allegro Lian applaudendo rumorosamente.
Gli lancio un’occhiata.
Mi dirigo nuovamente alla postazione, muovo un po’ le braccia per rilassare i muscoli, inspiro lentamente e torno a concentrarmi sul bersaglio.
è solo un fantoccio Annie, è solo un fantoccio, rilassati e prendi bene la mira.
Stringo l’arma nella mano destra e senza pensarci due volte la lancio, con suono secco il coltello si conficca nel bel mezzo del petto del manichino seguito immediatamente dagli urletti soddisfatti di Lian alle mie spalle, mi volto e mi lascio sfuggire un piccolo sorriso vedendo quei tre applaudire come deficienti.
Decido che mi allenerò ancora un po’, dopo aver centrato il bersaglio per sei volte consecutive decido che per oggi può bastare, mi siedo difianco a Riza e restiamo a guardare Lian e Finnick che si esercitano con la spada.
La mattinata si conclude velocemente, tra tridenti e tiro con l’arco, ci lasciamo alle spalle il magazzino e ognuno torna a casa propria, io vado da Finnick e pranziamo insieme.
Parliamo della gita in barca che abbiamo in programma per domani mattina, studiamo cosa portarci dietro e cosa preparare da mangiare, poi dopo vari battibecchi arriviamo alla conclusione che decideremo domani sul momento.
Finito di pranzare ci rilassiamo un po’ sul divano, io dormicchio con la testa posata sulla spalla di Finnick, assaporando lentamente il profumo di candele alla vaniglia che si spande per la casa, ne ho accese cinque, anche se a lui danno fastidio, invece su di me hanno un effetto rilassante.
Quando riapro gli occhi fuori è già buio e mi accorgo di aver dormito più del dovuto, Finnick è immobile difianco a me.
—Non ti sei mai mosso?— chiedo con la bocca ancora impastata.
Lui si volta e mi bacia delicato.
—Dormivi così bene— risponde lui calmo.
è strano trovarsi qui, non perchè mi senta a disagio, ma perchè trovo praticamente impossibile che lui possa amarmi, che possa provare le stesse cose che provo io, non che dubiti dei suoi sentimenti, ormai dopo tre anni penso di conoscerli anche troppo bene, è solo che lo trovo una persona così fantastica che mi stupisco che abbia scelto proprio me.
—Cosa pensi?— mi chiede lui curioso.
—Posso farti una domanda?— parlo io improvvisamente.
Lui mi guarda confuso ma acconsente.
—Come ti sei accorto che mi amavi?— chiedo tutto d’un fiato.
—Oh questa è difficcile— risponde lui divertito.
Si prende un attimo per pensare e poi prosegue —vediamo è complicato da spiegare però una cosa è certa, non me lo aspettavo, mi hai completamente spiazzato— dice lui sorridendo.
—Ti ho colto di sorpresa— rido io.
—Oh sì mi hai proprio colto di sorpresa— ripete lui divertito.
Questa cosa mi fa felice, il fatto di aver spiazzato io Finnick per una volta.
—è stato più o meno un anno dopo che ci siamo conosciuti— prosegue lui — dopo il falò sulla spiaggia— me la ricordo quella sera —e quella notte ti ho sognata— mi dice calmo —non era un sogno lungo o particolarmente complesso, c’eri tu sulla spiaggia, correvi, ballavi, piroettavi su te stessa e ridevi, come poche volte ti ho visto fare— mi spiega —e quando mi sono svegliato ero felice, perchè quando tu sei felice lo sono anche io— ride —oh molto di più, io sono felice solo quando anche tu lo sei, allora ho cominciato a ripensare ad alcuni miei comportamenti e quando inizi a notarli non puoi più nasconderli ed è in quel preciso momento che l’ho capito— mi bacia sulla fronte —che ero pazzo di te— sorride lui.
Il cuore sembra volermi uscire dal petto, suppongo non smetterà mai di farmi sempre lo stesso effetto.
—Stupita?— domanda lui.
—Molto— sorrido ancora intontita.
Mi stringe e mi bacia.
—E tu?— mi chiede divertito.
—Io cosa?— sorrido confusa.
—Come ti sei accorta che mi amavi, ti ho colto di sorpresa?— domanda punzecchiandomi sui fianchi.
—O no per niente— rido io.
Lui mi guarda attendendo una spiegazione.
—Diciamo che è stato più un crescendo e quando ne sono stata del tutto sicura me lo aspettavo— dico —quindi no Odair, non mi hai colto di sorpresa— concludo baciandolo sulla punta del naso.
—E quando è che ne sei stata del tutto sicura?— chiede —tre, quattro mesi...— continua lui.
—Due anni— lo interrompo io.
—Due anni?— domanda sbalordito.
Annuisco sorridendo.
—Io ci ho messo un anno e tu due!— sbraita stupefatto.
—Chiedo scusa— rido io.
—Cioè se io fossi stato te ci avrei messo tipo tre giorni ad innamorarmi di me stesso— urla divertito —io sono Finnick Odair porca miseria!— conclude alzando le mani al cielo.
—Sì sarai anche Finnick Odair ma se non venivo io a cercarti col cavolo che venivi tu da me— rispondo di tutto punto contenendo a stento una risata.
—Sono io che ti ho baciato!— grida sorridendo.
—Io ho urlato a squarciagola che ti amavo!— sto per ridere ma lui mi blocca baciandomi, dolcemente, esattamente come la prima volta.
Poi si ferma e mi guarda dritta negli occhi.
—Due anni? Davvero?— chiede sorridendo sulle mie labbra.
Sto per ribattere ma il trillio del telefono interrompe la mia risata.
Il mio cuore si blocca e sento il corpo di Finnick irrigidirsi di fianco al mio.
Il telefono squilla altre due volte prima che lui vada a rispondere.
Alza la cornetta e resta in silenzio ad ascoltare, dall’altra parte una donna squittisce con voce stridula parole che non riesco a comprendere.
Nessuno chiama mai direttamente a casa, tranne loro, lo fanno di continuo, una dopo l’altra, una dopo l’altra...
—Va bene— risponde Finnick in tono piatto. Aggancia la cornetta e resta lì fermo per qualche istante, come fosse paralizzato. Mi alzo per andare da lui, ma scatta immediatamente verso la sua camera da letto, ne esce quasi subito indossando una giacca più pesante.
Ci guardiamo, nessuno ha il coraggio di parlare.
—Niente gita in barca?— domando con la voce spezzata.
—La rimandiamo— risponde fissando il pavimento.
Penso che se non fossi così impegnata a tentare di rimettere insieme i miei pezzi, ora sarei in lacrime.
—Puoi aspettare mia madre per spiegargli...— si interrompe.
Io annuisco.
Si dirige svelto verso la porta, la apre e poi si blocca, si volta e mi viene incontro, mi prende il viso tra le mani e mi bacia.
—Scusami— sussurra.
—Ti amo— dico semplicemente.
—Anche io— risponde premendo la sua fronte sulla mia.
Poi si gira di scatto e si precipita di nuovo verso la porta, esce e scompare nella luce flebile della luna.
Io rimango immobile sulla soglia di casa.
La mia vita è complicata, più di quanto possa sembrare a prima vista.
Ma sono felice, ogni tanto.
 
 



 
 
 
 
 
 
 
 
Scusate per il ritardo, ma la scuola inizia a farsi sentire e il tempo scarseggia...
Spero che questo lunghissimo capitolo vi sia piaciuto ;)
E spero si sia capito che sono passati tre anni da quello precedente, se non si era capito ve lo dico io ora :D
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Alla prossima...
Baci
Light Rain
  
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