Arleen
camminava lentamente lungo il molo, il vento freddo le bruciava le
guance ormai arrossate lasciandole un sapore salmastro sulle labbra, il
gelo
della notte la penetrava in profondità, giungendo fino alle
ossa, scuotendole
il corpo con sommessi brividi che le facevano tintinnare i denti. Non
era la
serata adatta per una passeggiata, lo sapeva. Proprio per quello aveva
deciso
di uscire. Il silenzio del molo deserto era rotto solo
dall’infrangersi
discontinuo delle onde, la luce fioca dei lampioni illuminava i suoi
passi. Era
sola. Come lo era da un po’, come lo era
sempre stata. Riusciva a
percepire il gelo dentro di se, ma non era colpa del freddo. Il vuoto
che le
riempiva il petto era parte di lei da troppo tempo. Volse lo sguardo
verso le
case in lontananza, anche da quella distanza ne riusciva a percepire il
calore.
Le luci soffusi, il fumo dai comignoli, le parole affettuose, le tenere
carezze. Si strinse più forte in quel cappottino troppo
grande, un lungo
sospiro nella disperata ricerca di allontanare quei tristi pensieri
dalla
propria mente. Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare da
quanto tempo
non si sentisse parte di qualcosa, da quanto tempo non si svegliasse
con quel
senso di angoscia che le riempiva gli occhi di lacrime, da quanto tempo
non si
fosse sentita indispensabile per qualcuno, da quanto tempo qualcuno non
fosse
stato indispensabile per lei. Da quanto tempo non avesse più
amato, non fosse
stata amata. La solitudine diventa
un’abitudine e non una scelta che tu
fai. Arleen lo aveva imparato a sue spese ogni
giorno un po’ in più.
La solitudine non la spaventava più, si raccontava ogni
giorno, per poi
ritrovarsi ogni notte a piangere, finché Morfeo non
arrivasse a rapirla da
quella silenziosa sofferenza. Aveva imparato a mentire, a nascondersi
dietro un
va tutto bene alla solita
superficiale domanda, a nessuno
interessava davvero come va, a nessuno interessava davvero di cosa
provasse
Arleen. Un mesto sospiro, le mani sulla gelida balaustra, lo sguardo
verso il
fermento del mare. Al diavolo tutti. Forse meritava tutta quella
solitudine,
forse no. Forse era stata una strega in qualche vita passata, forse
ogni tanto
Dio chiude un occhio e si dimentica di una delle sue pecorelle, forse
semplicemente non può esserci il lieto fine per tutti e, a
sto giro, era
toccato a lei il finale alternativo. Aveva asciugato le lacrime con la
manica
del cappotto. Non avrebbe voluto piangere. Non voleva mostrarsi debole,
proprio
quando aveva deciso di essere lei a scegliere il finale alla sua
storia. Ancora
un sospiro. Un lungo sguardo verso il mare nero di fronte a se. La mano
stretta
intorno a quel biglietto aereo. Mancavano poche ore ormai al viaggio
che le
avrebbe cambiato la vita, riusciva finalmente a intravedere la luce in
fondo a
quel tunnel che per troppo tempo aveva abitato. Le labbra si erano
inarcate un
timido sorriso quando un nuovo gelo si era impossessato del suo corpo.
Un grido
acuto aveva abbandonato la sua bocca, gli occhi sgranati per la paura.
Aveva
cercato di divincolarsi, ma era stato inutile, le strette braccia che
le
cingevano la vita avevano una forza sovrannaturale. La testa inclinata
in
maniera forzata, la bocca di un estraneo sul suo collo le stava
risucchiando
famelicamente la propria linfa vitale. Tutti i suoi sogni, le sue
speranza, le
sue illusioni, spazzati via in un solo istante. Nuovamente le tenebre.
Nuovamente il buio.
Arleen
era sempre stata sola. Anche negli ultimi istanti della sua vita.
Sola.
Si
può morire di solitudine?
Arleen
direbbe di si.