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Autore: Nymphna    01/11/2012    9 recensioni
[Disney]1-Jasmine~ “Voglio volare” bisbigliò. Il vecchio Joe scoppiò in una risata strana, sguaiata, che sembrava l’abbaiare di un cane.
2-Cindy~ Lui l’aveva riconosciuta. L’aveva cercata. Ma, soprattutto, l’aveva trovata.
3-Ariel~ Quel ragazzo meraviglioso con la risata contagiosa e il viso impertinente l’aveva appena baciata.
4-Belle~ E lei voleva un’avventura? Lei chiedeva di avere qualcosa in più? Proprio lei, che non aveva mai fatto niente.
5-Esmeralda~ Prese un Tennessee Wisky e ne ingollò due grandi sorsi. Poi ripensò a Febo e la preoccupazione prese il sopravvento.
6-Aurora~ “Perché sorridi?” domandò la mora. “Ora ti racconto” disse Aurora, i capelli sciolti che si muovevano al vento “Anch’io ho trovato l’amore”
7-Jane~ "Io non voglio perdere la libertà. Ma soprattutto non voglio perdere papà. E nemmeno te."
8-Meg~ "Sei veramente … fantastica. Una forza” “No. Sono tremendamente sola”
9-Blanche~ "Ma quella sera il baco si era aperto e ne era uscita una meravigliosa farfalla.
10-A Whole New World~ Fine.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4, Belle.
(da sabato 26 a mercoledì 29 giugno)


Si svegliò di soprassalto e il libro le cadde dalle ginocchia a terra. Si guardò un momento allarmata tutt’intorno, scorgendo al di là dei vetri della serra che la pioggia cadeva ancora forte. Sospirando si chinò a prendere il libro e cercò di riaggiustare la pagina rovinata nella caduta, poi prese il segnalibro creato da un pezzo di cartone e un fiore essiccato e lo infilò nella pagina, poi chiuse il libro carezzando la copertina. Les Miserables di Victor Hugo per lei era sempre stato fonte di ispirazione. La copertina del romanzo era scolorita, le pagine ingiallite dall’uso costante ed era stato rilegato almeno una decina di volte.
Belle guardò la tazza di tè accanto a lei, ormai fredda, prese la tazza e il libro e uscì dalla serra per trovarsi nella piccola casa in cui viveva col padre. Nel cucinotto c’erano il tavolo, quattro sedie di legno raramente tutte utilizzate e una poltrona rivestita da stoffa grezza azzurra, la sua preferita, quella che la madre aveva tessuto poco prima di andarsene. Belle fu colta dalla malinconia, così appoggiò il libro sul tavolo e si fece strada per il piccolo corridoio diretta alla stanza della madre, quella che suo padre, Maurice, diventato ricco e piuttosto famoso dopo una strana scoperta sulle tazze da tè, aveva abbandonato perché il suo cuore non ce la faceva più.
La ragazza aprì piano la porta e la stanza immersa nella penombra le parve piena di atmosfera e di magia. Per un battito di ciglia, le sembrò di rivedere sua madre, china sul grande telaio a tessere coperte, tappeti, tende, anche solo teli e soprattutto storie. Era cominciata da lì la passione della figlia per i libri. Intessere trame, storie, avventure pazzesche e mostri paurosi che dovevano essere sconfitti. Ma quando riaprì gli occhi, tutto tornò come prima: una stanza in penombra, con piccoli granelli di polvere che volteggiavano in aria, sospinti dalla porta che Belle aveva aperto. Il letto di legno a due piazze era accanto alla finestra con le tapparelle abbassate, solo piccole lame di luce illuminavano la coperta che il padre non aveva mai cambiato da quel giorno. Si avvicinò lentamente, fendendo l’aria che odorava di antico e di fiori ormai rinsecchiti, delle rose che stavano ancora nel vaso allungato sul comodino. La ragazza carezzò la federa malinconicamente.
“Mamma” mormorò, come un richiamo, come un’evocazione, come una richiesta. Le mancava. Le mancava moltissimo il suo dolce sorriso che la accoglieva tutte le mattine, le mancava la sua risata allegra, la merenda nella pasticceria appena uscita da scuola, i compiti insieme e le interminabili ore a raccontare di tappeti volanti, scarpette perdute e sirenette malinconiche. Sospirò leggermente, smuovendo altra polvere, guardando il piccolo quadro in cui l’immagine della madre sorrideva abbracciata al marito, il giorno del loro matrimonio. Si amavano tanto, mamma e papà, Belle lo capiva dai loro occhi, che si illuminavano sempre quando si vedevano. Lo capiva anche da piccola, quando aveva appena cinque o sei anni, ma l’amore era così limpido e chiaro che chiunque l’avrebbe capito. Avvertì una stretta al cuore, sentendo la pioggia scrosciante fuori dalla finestra, perché giornate così, vuote se non per un libro, non c’erano mai state quando la madre c’era ancora e le colorava di biscotti, di glassa, di tè alla vaniglia e di immagini di carta velina ritagliata, che insieme attaccavano ai vetri della casa.
Sobbalzò sentendo il cellulare vibrare nella tasca della felpa leggera in cui si era avvolta. Lo tirò fuori e uscì dalla camera, chiudendo la porta dietro di sé prima di rispondere. Vide sullo schermo che era la sua nuova amica Jane.
“Ehi” rispose, accendendo la luce della cucina.
“Belle! Cos’è questo tono triste?” domandò l’amica allarmata “Ti sarai dimenticata della festa di questa sera? Hai visto che ore sono?”
“Oh…” mormorò Belle. Già. Se n’era totalmente dimenticata, presa dal libro, dai ricordi, da pensieri vari che si erano intrecciati nella sua mente come una calda coperta della madre “Oh, si, me n’ero dimenticata” ammise “Ma, Jane, non ne ho proprio voglia, oggi io…”
“Come non ne hai voglia?” rispose l’altra cambiando improvvisamente tono di voce “Io ci avevo sperato così tanto…”
“Okay, okay” si arrese Belle lasciandosi cadere su una sedia “Va bene, a che ora ci vediamo?” Jane lanciò un urletto esaltato.
“Otto e mezza sotto casa tua! Passo a prenderti in macchina!” esclamò felice, per poi chiudere la conversazione. Belle si massaggiò le tempie. Non ne aveva per niente voglia, non di una festa, ma l’aveva promesso alla sua nuova amica, un pretesto per unirsi un po’ di più, un modo per condividere qualcosa, aveva pensato. Ma ora non aveva proprio voglia di mantenere la promessa. Guardò l’ora: erano le cinque e mezzo di pomeriggio, avrebbe fatto in tempo ad andare fino alla libreria per comprarsi quel nuovo libro che aveva ordinato.
Si alzò ed entrò nella sua camera ordinata, appoggiò Les Miserables sulla scrivania e si infilò un paio di ballerine marrone scuro, prese la borsa e un ombrello e uscì di casa, salutando il padre con un urlo per le scale dello scantinato.
Uscì nella pioggia, aprendo l’ombrello nel vialetto sterrato, aprì il cancelletto del giardino e arrivò in strada. Quasi non riusciva a capire come facessero qua e là alcuni giardinetti a spuntare nelle vie di New York, quella città caotica e moderna che lei tanto odiava. Sapeva bene che anche la sua amica Cindy non sopportava quella città, ma per motivi differenti. Belle non aveva nulla a che spartire con i grandi cartelloni luminosi, con i grattacieli di alluminio e vetro, con le grandi strade a otto corsie, con le migliaia di autobus che ogni giorno si intrecciavano in una ragnatela mortale. Non c’era niente che le potesse piacere a New York. Piuttosto, in breve sarebbe partita col padre per la Francia, l’Europa e quelle città e paesini pieni di fascino. Non stava più nella pelle. Non vedeva l’ora di visitare Parigi, Marsiglia, Lione, passeggiare per le campagne francesi, sentire l’odore di olio e vino e rimanere accecata da quei colori squillanti della Provenza. Mentre camminava, una macchina schizzò pericolosamente vicino ai suoi pantaloni bianchi, e lei gli augurò di essere schizzato lui stesso. Svoltò in una strada piena di bar, pedonale, ma qualche passo dopo si rese conto di aver compiuto uno sbaglio enorme: in quella strada era sempre appostato quel maledetto di un Gaston, che lei non avrebbe voluto vedere mai più. Cercò di confondersi fra la gente.
Gaston era uno dei ragazzi più belli della scuola, insieme a Herc e qualcun altro della loro combriccola, ma il moro era il più insopportabile di tutti. Innamorato follemente della sua immagine, dei suoi muscoli, della sua prestanza fisica, del suo cervello inesistente, era convinto di essere il più bello del mondo solo perché era diventato Mister New York l’anno prima. Se già Belle non poteva sopportare la sua vista prima che cominciasse i provini, dopo era stata davvero questione di giorni prima che lo trovasse decisamente detestabile. D’accordo, era alto, il viso era un po’ spigoloso ma da vero americano doc, la mascella era squadrata e le spalle grandi e muscolose non lasciavano dubbi sulle sue capacità in qualunque sport, era sempre vestito con abiti firmati (addirittura i calzini) e sempre all’ultima moda, ma nessuno era mai riuscito a capire perché si fosse interessato a Belle. Lui diceva che la ragazza era la più bella della scuola, cosa che lei non aveva mai considerato vera. Certo, probabilmente era diversa da Cindy, da Aurora Reale e da quelle oche che lo seguivano passo dopo passo, non era bionda e non aveva gli occhi azzurri, d’accordo, ma questo non bastava. Forse era semplicemente una fissazione, una scommessa fra amici, o l’aveva sentita parlare di qualcosa quando era stata rappresentante scolastica, ma nemmeno la buona Cindy era mai riuscita a svelare il mistero. Oh, si, l’aveva sentito parlare, eccome. Lo sentiva parlare una quantità di volte praticamente infinita, ma non aveva mai udito una frase intelligente (a meno che non fosse proprio costruita da altri) uscire da quella bocca. Da quando aveva messo piede alle superiori, l’aveva braccata come un animale e lei l’aveva sempre rifiutato. Certo, uno che riusciva a presentarsi come ‘il più bello del quartiere, Belle, sono sicuro che andremo d’accordo’, non aveva alcun interesse per lei. Tantomeno se era uno che beveva birra tutti i giorni, era stato arrestato più volte dalla polizia, maltrattava i ragazzi più deboli di lui, aveva fama di maltrattare donne e andava a prostitute mentre ci provava con lei e la perseguitava come uno stalker. Belle ne aveva proprio abbastanza.
Ma, immancabilmente, la testa mora del ragazzo fece capolino fra un gruppo di gente urlando il suo nome, scusandosi con gli amici e trotterellando verso di lei. Belle lo ignorò e continuò a camminare. Lui le si affiancò.
“Ciao, Belle” la salutò. Lei gli lanciò un’occhiata totalmente disinteressata, e vide che anche lui aveva un ombrello.
“Ciao, Gaston” disse atona lei.
“Dove stai andando? Di nuovo in libreria?”
“Sto andando in libreria, e in ogni caso non sono proprio affari tuoi” replicò lei. Lui afferrò un libro da una bancarella sulla strada, ignorando il povero proprietario che si mise a urlare.
“Ma come fai a leggere tutte queste cose?” domandò sfogliandolo “Insomma, non si parla di niente di interessante”
“Devi ridare quel libro all’uomo che ci sta rincorrendo. E in ogni caso, le persone leggono per piacere e perché i libri sono interessanti. C’è solo bisogno di un po’ d’immaginazione” Gaston lanciò il libro all’indietro, coperto dagli insulti del libraio.
“Sarebbe il momento di toglierti dalla testa tutta questa immaginazione e che ti occupassi di cose più importanti” dichiarò convinto di sè “Per esempio… di me” le sorrise a trentadue denti, ma lei non lo degnò di uno sguardo “Ormai ne parla tutta la scuola. Sanno tutti che questa sera ti concederai a me in segreto e che alla festa di laurea accetterai di stare con me. È tutto ciò che vuoi, e la tua resistenza è solo un preludio a…”
“Gaston, sei decisamente volgare” rispose Belle, svoltando in un’altra strada. Gaston le stava col fiato sul collo.
“Grazie, Belle!” esclamò lui sorridendole “Che ne dici di andare al bar con i miei amici e…”
“NO” disse lei perentoria “Decisamente no. Ho delle faccende da sbrigare”
“Come leggere?”
“Lasciami stare” concluse, correndo via più velocemente possibile. Non ne poteva più, davvero.
Entrò nella libreria come fosse un’isola in mezzo al mare e lei una naufraga, chiuse l’ombrello e sbattè i piedi a terra per non bagnare la piccola stanza. Non era una libreria come tutte le altre, quella era speciale. Era piccola, poco luminosa se non per le lampade di stoffa che scendevano nel dedalo di scaffali per illuminare i corridoi. I libri erano ovunque, sugli scaffali, sotto i tavolini, accanto alle poltroncine, nascosti negli angoli più improbabili e il libraio, un omino di nome Jeanne, con due grandi occhiali che rendevano i suoi occhi ancora più grandi, ne era sempre circondato e profumava di libro. Belle lo conosceva da moltissimo tempo, sua madre la portava già nella piccola libreria quand’era piccola, quando andava a caccia di nuove storie da raccontarle. Percorse lo stretto corridoio fino alla cassa mentre Jeanne abbassava gli occhiali accogliendola con un sorriso dolce. La ragazza notò che stava compilando un inventario e sfogliava delicatamente le pagine di un volume decisamente antico.
“Buongiorno, Jeanne” lo salutò con un sorriso.
“Buongiorno, Belle” le rispose lui uscendo da dietro la scrivania “Di cosa hai bisogno?”
“Vorrei comprare un nuovo libro, ma non ho ancora deciso di che genere” ammise la ragazza, cominciando ad adocchiare vari titoli fra i libri più nuovi. Jeanne ridacchiò, prendendo un’altra pila di libri e cominciando a scriverli sul librone. Belle si fece strada fra i libri, e quando trovò Le cronache della Tavola Rotonda sorrise, prendendo il libro e lasciandosi cadere su una poltroncina con la stoffa a fiori.
Quella libreria non era solamente un negozio molto vecchio e un po’ diroccato, come molti potevano pensare: in realtà era un po’ di tutto. Si, Jeanne vendeva libri, ma non solo. Lui li prestava. Li metteva a disposizione. Li comprava. Lasciava chiunque libero di sfogliarli, di leggerli, di portarli a casa e comprarli solo se erano veramente piaciuti, perché un libro era un valore inestimabile per lui e chiunque aveva il diritto di sceglierlo senza andare incontro a una delusione. Aprì il romanzo, trovando le famigliari immagini di cavalieri e principesse. L’aveva sempre affascinata quel libro, ma non era mai riuscita a leggerlo tutto. Ogni volta voleva cominciare da capo per assaporare ancora il gusto della leggenda, dell’avventura, della cavalleria… carezzò con le dita sporche d’inchiostro un Artù appena nato, in braccio a Lady Igraine in un grande letto di legno coperto di velluto. Fuori dalla finestra della torre c’era il panorama del mare, della luna, di una costa verde inglese.
Sobbalzò quando scoprì la figura di Jeanne dietro di lei, che le sorrideva affabile.
“Se ti piace così tanto, te lo regalo. Oggi leggo fretta nei tuoi occhi, cara, leggo impazienza e leggo novità” Belle lo guardò per un lungo momento, cercando di capire come facesse a leggere tutte quelle cose semplicemente oltre un paio di occhi colorati. Ma quello era parte del fascino di Jeanne. Si strinse il libro al cuore, a l’uomo annuì. Belle si alzò in piedi sorridendogli e corse fuori dal negozio.


La verità era che Belle non si era mai comprata un vestito degno di quel nome. A dire la verità non amava nemmeno andare a fare shopping e spesso comprava indumenti spaiati e decisamente originali ai mercatini delle pulci. Così, quando si ritrovò in un vialone pieno di negozi dai nomi pittoreschi, si sentì totalmente spersa e non riuscì a trovare di meglio da fare se non chiamare Jane, che sicuramente aveva più esperienza di lei. L’amica le consigliò di fare un salto da Silvian Heach, garantendole che sarebbe stato di suo gusto. La ragazza entrò nel negozio dubbiosa, stringendo a sé il libro, come per darsi coraggio, ma quando diede un’occhiata intorno si ritrovò in un mondo colorato, floreale e un po’ retrò che le piacque tantissimo. Adocchiò alcuni abiti che afferrò per poi lanciarsi in camerino. Si accorse ben presto che trovare il vestito giusto non era certo così facile come aveva sempre creduto. Sentendo Cindy dire che non aveva un abito da sogno e Jane sempre preoccupata di passare una giornata a cercare vestiti passando da un negozio all’altro, aveva sempre pensato che entrambe esagerassero. Ora le capiva fin troppo bene, e si scoprì a domandarsi se le stava meglio l’azzurro oppure il rosa. Lanciò il rosa sulla sedia pochi minuti dopo, sentendosi un ingombrante bon – bon. L’abito azzurro le stava meglio, ma era troppo corto e scollato secondo i suoi gusti, non voleva certo mettersi troppo in mostra. Anzi, avrebbe odiato ricevere qualche altro commento volgare da Gaston (ma insomma, non sapeva nemmeno cosa volesse dire ‘volgare’!). Si tolse l’abito azzurro incespicando un po’, poi se ne provò uno verde. Si, il verde le stava decisamente meglio del rosa, ma scartò quasi subito anche quell’abito. Fu l’ultimo che la costrinse a guardarsi allo specchio più a lungo degli altri vestiti e quasi ad apprezzarsi. Si mise in punta di piedi, sentendosi davvero una principessa con quell’abito.
Era giallo intenso, stile impero, con la scollatura non troppo profonda che ricadeva in deliziose pieghe sul petto. Sulla vita era cinto da un elastico color panna che delineava la sua altezza e il suo corpo sottile, chiudendosi davanti con un fiore che assomigliava molto a una rosa gialla e color panna. Da lì scendeva morbidamente fino quasi al ginocchio, permettendole di sedersi e piegarsi senza che si alzasse troppo. Provò a portarsi i capelli indietro con una mano, e per un momento pensò di essere davvero bella. Cercò di riscuotersi da quel pensiero. Lei bella? Insomma… però, guardandosi un po’ meglio… l’abito sottolineava le sue gambe sode, le sue braccia chiare, i suoi capelli creavano un delizioso contrasto e i suoi occhi con un po’ di trucco, forse sarebbero parsi ancora più dolci…
Prima che potesse cambiare idea, uscì dal camerino rivestendosi in fretta, pagò l’abito e uscì dal negozio. Chiamò nuovamente Jane per chiederle qualcosa per le scarpe, e venne a sapere che non lontano c’era un negozio di scarpe a basso prezzo, in cui avrebbe potuto trovare quelle adatte. Entrò titubante e si aggirò fra le pile di scatole di scarpe cercando qualcosa che le piacesse. Belle non si era mai messa delle scarpe con il tacco perché si trovava già alta, inoltre non avrebbe potuto camminarvi sopra per una serata intera. Una commessa allegra la intercettò, cominciando a mostrarle vari modelli più o meno comodi, si fece mostrare il vestito, raccontare che genere di festa era, come intendeva acconciarsi, cosa voleva mettere sopra il vestito, infine le fece provare un unico paio di scarpe. Avevano un sottilissimo tacco di dieci centimetri e il plateau, un cinturino delicato che si chiudeva alla perfezione intorno alla sua caviglia; erano fatte a sandalo e sulla fascia c’era una rosa di tulle, mentre tutto il resto era foderato di un tessuto rosa morbido. Belle azzardò qualche passo per il negozio e si sorprese scoprendo che in realtà erano scarpe molto comode. La commessa allegra si prese la libertà di offrirle anche una borsetta dello stesso tessuto e colore, per poi congedarla ricordandole di tornare presto. Sorridendo fra sé e sé, la ragazza pensò che non avrebbe potuto mancare.


Si guardò per minuti interi, in piedi davanti allo specchio dell’armadio della madre, quello in cui insieme si erano guardate moltissime volte. Era alta, Belle, almeno un metro e settanta, anche se quei tacchi la facevano svettare più in alto del solito. Ma si sentiva bellissima. I capelli castani e mossi erano tirati indietro in un piccolo chignon che ne lasciava libera la maggior parte che ricadevano delicatamente sulle sue spalle. Gli occhi erano cerchiati con un eye liner marrone scuro che li apriva ancora di più, le ciglia erano allungate da una buona dose di mascara e un leggero ombretto opaco, dello stesso colore del vestito, le copriva le palpebre. Si era addirittura arrischiata a mettere un rossetto che riprendeva il colore delle scarpe e della borsetta che stringeva al petto. L’abito mostrava il collo, ma le spalle erano state coperte da una leggera giacchina rosa che si era cucita da sola, completamente ricamata. Le gambe posavano elegantemente sulle scarpe, e quando si mosse leggermente le arrivò al naso un dolce profumo artigianale alla rosa che si era messa per completare l’opera. Un lieve rossore naturale le arrossava le guance.
Il padre bussò alla porta, e quando Belle si girò vide che sospirava con un sorriso, appoggiato allo stipite della porta, pulendosi le mani sporche d’olio in uno straccio. La guardò con occhi luccicanti per qualche momento.
“Sei veramente bellissima, Belle” le disse “Degna del tuo nome. Non c’è altro aggettivo che possa descriverti” la ragazza si avvicinò a lui e gli baciò la testa ormai quasi calva e i baffi folti del padre le sfiorarono il collo leggermente, facendola ridere. “E’ arrivata Jane alla porta” disse poi, prendendole una mano “Divertiti questa sera, pensa solamente a svagarti un po’” la ragazza annuì, gli sorrise e corse fuori dalla porta.
Jane la aspettava sulla sua macchina nera, lucidissima come sempre. La raggiunse in fretta, salendo dalla parte del passeggero e si allacciò la cintura automaticamente salutando il padre con una mano. Jane alzò il volume della musica e partì per la strada.
“Sarà una bellissima serata, vedrai” la incoraggiò. Belle annuì, sentendo l’adrenalina della festa cominciare a salire nel suo cuore. Era una nuova sensazione, strana e mai provata “Sono sicura che però verrà anche Gaston… spero solo che non ci sia Clayton” sbuffò “Quel ragazzo è ciò che di più ottuso possa esserci alla terra. Pensa solo a menare le mani, a pensare a pistole e altra roba del genere…”
“Ne parli a me?” domandò sarcastica Belle “Non è che Gaston sia molto diverso…”
“Sai chi mi sembra un po’ meglio?” domandò Jane, troppo assorta nei suoi pensieri per poter rispondere all’amica “Il biondo, Herc. Non ti sembra una brava persona? Si, certo, ha l’aria un po’ da tonto, ma quella si può rimediare, no?” Belle scoppiò a ridere.
“A me sembra addirittura più scemo di Gaston” sghignazzò “Ha proprio la faccia da uno che non è capace a fare due più due. Conta sempre che è un campione di pugilato. Sai quanti pugni in testa si deve prendere?” anche Jane scoppiò a ridere al pensiero, continuando a guidare tra le grandi vie della città. Belle non potè fare a meno di pensare che Jane fosse una vera forza della natura.
Jane era inglese, ma aveva acquisito da subito la fama di ‘più goffa della scuola’. Non era raro vederla cadere giù dalle scale perché non vedeva un gradino, immersa nei suoi pensieri, o che rimanesse in classe finchè qualcuno non le faceva notare che la scuola era finita da un pezzo, disegnando o scrivendo qualcosa. Ma la sua grande qualità, quella che Belle amava di più e quella che le aveva avvicinate, era la sua intelligenza pronta e aperta. Jane non era tipo da lasciarsi perdere qualche occasione, ancora meno da non riuscire a trovare sempre qualcosa di nuovo da imparare. L’aveva vista fermarsi per ore a studiare il comportamento di un uccellino o di uno scoiattolo, l’aveva incontrata al parco, con un cappellino alla francese e un pennello in mano, intenta a disegnare la fauna e la flora che vedeva. Per Jane non esistevano le fotografie: lei amava disegnare. Ma era anche molto curiosa, e scrivere era la sua passione. Scriveva per il giornalino scolastico, che però non le dava mai una grande credibilità a causa della goffaggine. Belle era pronta a giurare che fosse svalutata, e sentiva dentro di sé che la ragazza sarebbe diventata qualcuno di davvero importante in futuro. E sicuramente non prevedeva per lei una vita normale.
La ragazza parcheggiò sul retro della casa di Aurora Reale quando arrivarono, dopo aver chiesto informazioni a una ragazzina dai capelli rossi che stava al cancello, scesero insieme e si avviarono verso la festa. Quando arrivarono al cancello, mentre la ragazzina le squadrava facendole sentire decisamente in imbarazzo, Belle ne approfittò per guardare la casa davanti a lei. Era una residenza degna del consigliere italiano, grande e moderna anche se con un pizzico di storia e arte in ogni dettaglio. Quando Jane seguì il suo sguardo si esibì in un fischio.
“Mannaggia a queste persone” esclamò “E’ incredibile quanto sia grande questa casa, e ci vivono solamente in tre” le due si avviarono per il vialetto fino al portone, ma quando si resero conto della ressa che c’era all’entrata lasciarono perdere per andare verso la piscina, scoprendo lì vicino il buffet. Presero un analcolico alla frutta, mangiucchiando tramezzini e ridendo fra loro, quando videro Cindy in mezzo alla pista da ballo.
Belle non l’aveva mai vista così raggiante e soprattutto così bella. Era veramente stupenda. I capelli erano raccolti sulla testa, gli occhi dolci enfatizzati dal trucco, l’abito azzurro le stava a meraviglia e sembrava veramente una regina, con il suo principe accanto che ballava con lei. Sorrise, felice che almeno per quella sera stesse bene.
Presto, una mano si chiuse intorno al suo braccio, e Belle fu costretta a girarsi. Davanti a lei c’era Gaston, un’esagerata giacca rossa con decori d’oro e pantaloni bianchi che lo facevano sembrava una guardia reale inglese. La guardò per un momento, mentre la ragazza cercava di divincolarsi. Chiamò Jane, ma Clayton era riuscito a braccarla e le stava parlando bloccandola al muro. Decise di affrontare la situazione.
“Gaston!” esclamò “Che… che sorpresa!”
“Già, che sorpresa…” mormorò lui “Sapevo che saresti venuta. Ti voglio parlare” le fece cenno con la testa di uscire, e lei lo seguì lontano dalle enormi casse del dj che si stava dimenando nella cabina. Quando furono fuori, Belle inspirò profondamente l’aria fresca e si inoltrarono nel boschetto intorno alla casa. “Belle, questa è la sera in cui si realizzeranno i tuoi sogni”
“E tu che cosa ne sapresti dei miei sogni, Gaston?” rispose acida lei.
“So tutto!” esclamò il moro, mentre lei arricciava il naso al solo pensiero di Gaston che le leggeva nella mente “Immagina… un po’ di vodka… una cannetta… una camera tutta per noi… e poi sesso sfrenato fino…”
“Gaston! Temo di aver già sentito abbastanza, e…” cominciò lei. Ma il ragazzo si girò con degli occhi che non promettevano nulla di buono.
“Tu non hai sentito proprio niente” mormorò, per poi prenderle la spalle di forza e spingerla contro un albero, premendo le labbra sulle sue.
Belle si sentì talmente spiazzata, talmente spaventata e talmente presa alla sprovvista che non ebbe nemmeno il momento di capire che cosa stava succedendo. L’unica cosa che le venne in mente per divincolarsi fu alzare un ginocchio il più velocemente possibile, ma il suo tentativo di colpire i punti bassi di Gaston fallì. Lui ansimò qualcosa, forzando le sue labbra con la lingua, mentre Belle cercava di tenere la mascella serrata, ma lui l’ebbe vinta. Sentì la lingua dura e rigida del moro farsi strada nella sua bocca, riempirla quasi a soffocarla. Il corpo muscoloso di Gaston si strinse contro il suo, una mano di lui scese alla coscia, alzando il vestito. Belle si dibattè più forte che poteva, mentre il suo cervello le urlava ripetutamente di staccarsi, perché quel maledetto voleva farle del male. Quello squilibrato voleva addirittura violentarla! Sentì una mano di lui infilarsi sotto la stoffa della biancheria, e in quel momento riuscì a trovare la forza di staccare il viso dal suo e morderlo ferocemente a un braccio. Gaston urlò, lasciandola andare. Belle cadde a terra. Afferrò saldamente la pochette e corse via senza girarsi, senza curarsi del fatto che forse la stava seguendo. Le lacrime cominciarono a scenderle dalle guance. Era sconvolta. Fra gli alberi, improvvisamente vide una casetta piccola, sembrava quasi da bambole. Quando arrivò alla porta si soffermò solo per leggere velocemente la scritta sulla porta: ‘Casa dei giochi di Aurora Reale’. Aprì la porta con forza e la sbattè dietro di sé. Si lasciò scivolare fino al pavimento, poi girò la chiave. Voleva stare da sola. Tutto era successo troppo velocemente. L’unica cosa che sapeva, era che non voleva mai più vedere Gaston, nemmeno in fotografia. E se prima lui era stato solamente una presenza antipatica, ora quello che lei provava era proprio odio. Si strinse le gambe al petto cercando di calmarsi.
E quando alzò gli occhi, si accorse di non essere sola nella casetta.


Davanti a lei c’era una figura in piedi, alta e ricurva. Emanava un odore strano, una metà fra deodorante da uomo e qualcosa come… selvatico. La figura si piegò verso di lei e avvicinò una mano alla sua guancia, e Belle urlò spaventata. La mano si ritrasse di scatto. Lei lo guardò per un lungo momento, rendendosi conto che era un ragazzo e sicuramente non era Gaston. Lo guardò meglio, ma
era nascosto nel buio. L’unica cosa che poteva capire era che aveva i capelli lunghi che gli coprivano il viso. Si alzò ansimando da terra, allungò la mano sul muro e scoprì un interruttore che si affrettò a far scattare. Una lampada attaccata al soffitto si illuminò, e il ragazzo portò le mani a proteggersi il viso.
“Chi sei?” esclamò Belle, facendo schioccare il tacco facendo un passo minacciosamente verso di lui “Cosa vuoi?”
“Io mi stavo solo nascondendo!” esclamò il ragazzo più minaccioso di lei, quasi ringhiando “Mi hanno trascinato a questa stupida festa, cosa credi? Che io ci volessi venire? Mi fanno schifo tutte queste persone, capito? E tu pure!”
“Maleducato!” strillò Belle incrociando le braccia sul petto. Il ragazzo abbassò un braccio guardandola. I suoi occhi erano blu, aperti, e per un momento sembrarono quasi sorpresi e amichevoli. Ma quando il ragazzo arretrò di un passo avevano ripreso il loro atteggiamento ostile. La ragazza potè dargli un’occhiata per focalizzarlo.
Era un ragazzo molto alto che chiaramente rasentava i due metri, con una corporatura robusta e muscolosa nascosta sotto una felpa grande persino per lui. I suoi capelli erano lunghi fino al petto, castano chiaro, che chiaramente non vedevano un pettine da un bel po’. Il viso era arrossato e una lunga cicatrice gli attraversava la guancia sinistra, dal centro della fronte alla mascella. Le labbra carnose erano piene di sangue, il labbro inferiore era rotto, e i jeans larghi erano dentro a un paio di scarpe da ginnastica malmesse. Sembrava che fosse appena uscito da una rissa, e Belle venne scossa da un moto di compassione per lui.
“Ma cosa ti è successo?” gli domandò in un bisbiglio, facendo un passo verso di lui, che si ritrasse.
“Niente” ruggì girandosi e infilandosi nel corridoio ancora buio. Belle sospirò.
“Devi curarti quella ferita. Può infettarsi” disse con gravità, alzando le mani in segno di innocenza “Veramente, mi sembra una ferita profonda. Magari mi puoi raccontare cos’è successo” lui sembrò scrutarla un momento, poi scosse violentemente la testa. “Non voglio farti del male” disse Belle “Anche io esco da una situazione bruttissima. Mi hai fatto paura prima, tutto qua. Solo per l’esperienza che ho scampato” lui continuava a guardarla dubbioso “D’accordo, facciamo così. Io ti racconto ciò che mi è successo, e tu mi dici che cos’è successo a te” restarono uno davanti all’altro, come a squadrarsi su un campo di battaglia. Belle voleva veramente aiutarlo. Se non altro, per dimenticare Gaston e ciò che voleva farle. Rabbrividì solo al pensiero del suo corpo premuto contro il suo, deglutì e cercò di mantenere la sua posizione. Il ragazzo davanti a lei, nel buio, lentamente lasciò ricadere le braccia ai lati del corpo e si incurvò come sotto il peso di un macigno, poi crollò in ginocchio. Belle corse da lui e vide che stringeva i pugni, le unghie conficcate nella carne, il volto una maschera di sofferenza.
“Mi odiano” bisbigliò “E’ da sempre che tutti mi odiano. Mi vogliono uccidere. Mi hanno rovinato la vita. Mi hanno sempre lasciato da solo” la ragazza percepì come un’onda il dolore nei suoi occhi, l’odio, la frustrazione. Rimase senza fiato dall’intensità di tutta quella negatività, nonostante non capisse cosa fosse successo. Lo guardò per un lungo momento, accovacciata di fronte a lui, poi il ragazzo si sedette a gambe incrociate, appoggiandosi al muro bianco con la schiena “C’è dell’alcool in bagno”


Adam aveva urlato, quando Belle l’aveva disinfettato con acqua calda e alcool, per cercare di diminuire il bruciore della sostanza. Aveva addirittura trovato dei cerotti in bagno, e gliene aveva messo uno sul labbro, una volta che aveva finito di sanguinare. Poi gli aveva lavato accuratamente le mani che erano rimaste ferite quando aveva stretto i pugni. Dopodiché si erano seduti al tavolo del piccolo cucinotto della casetta e avevano passato molto tempo in silenzio. Lui aveva cominciato a raccontare. Belle aveva capito subito che ciò che le stava confidando era da tempo nascosto nel suo cuore e che non ne aveva mai parlato a nessuno, che era una terribile verità, che Gaston era molto peggio di quanto pensasse.
Adam era ricco. Molto ricco. Era uno di quei ragazzi nati da una famiglia di milionari grazie a un’importante azienda agricola, che aveva sempre avuto tutto ciò che potesse desiderare e che aveva imparato l’arroganza e la superiorità. Era così che aveva conosciuto Gaston e la sua gang e per un certo periodo era anche stato nel loro gruppo. Le raccontò che era stato il più bello di tutti, che ogni ragazza quasi sveniva ai suoi piedi, che era stato colui che era rimasto nella storia come il più bello di tutta l’High School. E ora che ci pensava, Belle si ricordava di aver visto addirittura nell’ufficio della preside la foto di un ragazzo bellissimo, mozzafiato, con uno sguardo carico di orgoglio e di consapevolezza delle proprie capacità, con lunghi capelli biondo scuro che scendevano fino alle spalle. Le raccontò che Gaston era stato geloso di lui. Così geloso da spingerlo, una volta uscito da scuola, a iscriversi a un’università lontana. Ma quando era tornato per fare visita ai suoi parenti, il moro si era attrezzato, spargendo orribili voci su di lui fra i suoi amici, e tutti si erano organizzati per picchiarlo, molestarlo e deriderlo. Gaston, il suo migliore amico, colui a cui Adam aveva confidato tutto, gli aveva voltato le spalle e non solo: oltre ad essersi ritrovato solo davanti ai suoi amici, si trovata anche sbugiardato nella sua stessa famiglia. Da allora era diventato il bersaglio preferito di Gaston e della sua combriccola. Lo aspettavano agli angoli, con mazze da Baseball. Avevano trovato il motel in cui era andato a vivere una volta senza soldi, il lavoro che aveva provato a fare, come meccanico. L’avevano sempre raggiunto. E una volta che si erano sentiti piuttosto violenti, gli avevano lasciato quella ferita. Le raccontò con voce rotta di quando aveva trovato la sua ex ragazza che si faceva toccare ovunque da quel mostro, le parlò di come si era sentito e di com’era cambiato. Ora non si voleva nemmeno più guardare allo specchio, dopo essere stato sfigurato. Non ne aveva più avuto il coraggio, e la sua vita era cambiata radicalmente da quando Gaston l’aveva ridotto così. Per impedirgli di infilarsi nuovamente le unghie nelle mani, Belle infilò le sue in quelle del ragazzo, che si mostrò stupito e preso alla sprovvista da un gesto del genere. La ragazza per contro gli raccontò che Gaston l’aveva sempre mirata, che aveva sempre voluto stare con lei ma che l’aveva sempre considerato uno stupido, ma lui era diventato ogni giorno più insistente finchè quella sera non aveva addirittura provato a violentarla. Adam abbassò gli occhi e si scusò con lei a nome dell’ex migliore amico che ormai odiava, promettendole che un giorno l’avrebbe vendicata e gli avrebbe fatto vedere chi era il migliore.
“Sai cosa faremo?” propose Belle, che era pienamente d’accordo con lui “Dovremmo chiamare Jane, la mia nuova amica, e ascoltando tutte queste testimonianze dovrebbe cambiare tutto, no? Ci sarà pur qualcuno che non era d’accordo con lui nel vostro gruppo”
“Qualcuno?” ringhiò il ragazzo “Si, qualcuno c’era… si chiama Herc. Ha la faccia da stupido e non è un cosiddetto genio, ma è un ragazzo buono, semplice e molto ingenuo”
“Potrebbe aiutarci” propose ancora Belle “Potrebbe dire la verità”
“Non ne dubito. Spero solo che non sia passato dalla parte del nemico” sbuffò Adam.
“Perché non provi a pettinarti?” domandò la ragazza. Lui ritrasse subito le mani e si strinse nelle spalle, incrociando le braccia sulla sua sedia, e lei rimase mortificata pensando che aveva detto qualcosa di sbagliato. aveva riacquistato la sua diffidenza, la sua maschera di dolore e di minaccia, lo sguardo scrutatore. Lei lasciò le mani dove le aveva prima, in quelle di lui.
“Cambierebbe qualcosa?” ringhiò. Lei scosse la testa.
“No, nel mondo no, ma magari cambierebbe qualcosa in te…” mormorò.
“L’aspetto non cambia. E si vedrebbe di più la cicatrice. Lascia stare. Non ho voglia di mostrarmi. Non più” soffiò lui. I due rimasero in silenzio a lungo, sentendo la musica arrivare dalle grandi casse nella casa, o sulla piscina. Belle si rese conto di non essere nemmeno entrata in casa di Aurora Reale. Ma probabilmente era meglio così. Ci sarebbe stata troppa gente conosciuta, e sarebbe stata preda facile di quel bruto di Gaston, che se già prima aveva il suo odio, ora la disgustava solamente. Non gli avrebbe mai dato nulla, nemmeno un pezzo di unghia mangiata, a quel bastardo. Dopo quello che aveva fatto ad Adam, poi… ripensò all’Amleto che cercava di insegnare che la vendetta non serve a nulla. Ma non riuscì nemmeno a convincersi di lasciar fare al Fato. Non pensava nemmeno che esistesse, il Fato. La vita ce la si costruisce pezzo dopo pezzo, mattone dopo mattone con ogni scelta, non poteva certo essere tutto casuale. Sospirò al pensiero de Les Miserables sul comodino della sua camera, rimpiangendo di non essere rimasta a casa a leggere, al caldo di una coperta di lana fatta dalla madre, sul letto morbido, a sorseggiare una calda tisana alla vaniglia, rispondendo pigramente ai messaggi di Jane che voleva tenerla aggiornata con la serata. Pensò di andarsene a casa.
Notò un movimento con la coda dell’occhio nella penombra e vide che Adam aveva allungato una mano a riprendere la sua, guardandola quasi come se fosse addirittura stupito da se stesso. Quasi sorrise guardandole.
“Hai le dita sporche d’inchiostro” disse poi, quasi dolcemente. Belle sentì un nodo in gola che ignorò. Lo guardò un momento per poi sorridere.
“Si, sono una scrittrice” disse poi “’Chi scrive vivrà cento volte, affrontando immaginazione e inventando fantasia; chi legge vivrà mille volte, volando nell’oceano e nuotando fra le nuvole; ma chi non legge o scrive, vivrà solo una volta, solo nella realtà’” citò. Adam sorrise fra sé e sé.
“Mi piaceva leggere, quando avevo ancora qualche libro fra le mani.” mormorò “Ora non avrei quasi nemmeno da mangiare, se il maggiordomo dei miei non mi conoscesse e non mi ospitasse a casa sua. Lui sa che sono innocente. Lui mi conosce.” Belle provò una profonda tristezza per lui, per una vita senza libri, ma questo le fece ricordare che lei conosceva un posto in cui i libri potevano essere letti, comprati, gustati pagina dopo pagina.
“Conosco un posto” disse poi con un sorriso, afferrandogli l’altra mano e sporgendosi verso di lui, felice di poter condividere con qualcuno che veramente valeva qualcosa la libreria di Jeanne “E’ una piccola libreria di un mio amico. È un anziano fantastico, ha pile e pile di libri e il suo negozietto non è solamente una libreria, ma fa anche da biblioteca… puoi anche leggerli lì i libri, ci sono le poltroncine, le luci, le coperte…”
“Sembra bellissimo” bisbigliò lui senza quasi che lei lo sentisse. In quella suonò il cellulare di Belle, che rispose subito. Era Jane.
“Belle! Dove cavolo sei?!” esclamò concitata. Come sottofondo Belle sentiva urla e passi e sirene.
“Sono… non lo so. Ma da Aurora” rispose lei lasciando con uno strano malincuore le mani di Adam che la guardò un momento stringendo gli occhi, diffidente “Che c’è?”
“E’ successo qualcosa di grave. Dobbiamo andarcene subito. C’è la polizia. Ma non so dove sei e ho la macchina sul retro, sto andando a prenderla! Con me ci sono anche Cindy, Christopher, Anastasia e Genoveffa” disse velocemente “Muoviti, vieni fuori, ti aspetto al cancello” le chiuse il telefono. Belle sbattè le ciglia un paio di volte prima di rimettere il telefono in tasca.
“La mia amica dice che è successo qualcosa di grave” disse alzando le spalle e spostandosi dal tavolo, mettendosi in piedi “Devo andare” Adam la scrutò con i suoi occhi profondi, allora Belle estrasse dalla pochette una penna e gli prese la mano, scrivendogli sul dorso il suo numero di telefono. Lo guardò con un sorriso, sperando ardentemente che la chiamasse presto “Chiamami” gli disse poi. Dopodiché uscì dalla casetta.


Il cellulare squillò, e l’allegra suoneria svegliò Belle dai suoi sogni. Aprì gli occhi lentamente, sbattendo le palpebre per qualche volta prima di rendersi conto che era il telefonino. Guardò un momento il soffitto della sua camera, ma il suo cervello ci mise qualche decimo di secondo a ricordare gli avvenimenti della sera prima in brevi flash scollegati fra loro. Le sue mani in quelle di Adam, la festa, Gaston che la spingeva contro l’albero, Adam che quasi sorrideva vedendo le sue dita macchiate d’inchiostro. Per un folle momento sperò che fosse lui, e aprì la conversazione piena di aspettativa. Si rimproverò con se stessa per così tanta attesa nei confronti di una semplice telefonata, ma sorrise lo stesso.
“Pronto?” domandò nella cornetta. Si rese conto che forse non aveva nemmeno guardato per prolungare la speranza che fosse lui anche solo per qualche secondo. Ma le sue aspettative vennero quasi subito distrutte quando sentì la voce allegra e un po’ profonda di Jane nel telefono.
“Belle! Non crederai mai a ciò che ti dirò!” esclamò, mentre la ragazza sospirava passandosi una mano sul volto, guardando la sveglia sul comodino e rendendosi conto che erano appena le nove di mattina. Ma se erano già le due quando erano tornate a casa, com’era possibile che fosse già sveglia? Dopo tutti quei giorni di scuola, oltretutto…!
“Che cosa mi dirai?” domandò Belle sapendo che era questo ciò che l’amica voleva sentirsi dire. Buttò le gambe giù dal letto e lanciò un’occhiata allo specchio davanti a lei, si vide in pigiama, con il viso stanco e i capelli scompigliati.
“Ieri sera. Ti ricordi che è successo un gran casino?” Belle fece un verso per dire che aveva capito “Ecco, è successa una cosa. Ieri sera alla festa c’era una ragazzina di soli quattordici anni. Blanche, si chiamava così. Blanche Woodson. È l’unica figlia di quel grande imprenditore che ha avuto un infarto il mese scorso. Viveva con la sua matrigna. Ecco, non so perché si è infiltrata alla festa, ma da quanto ho capito non era invitata, in ogni caso ha bevuto un po’ troppo, è stata drogata e stuprata da sette ragazzi diversi. Che sembra non fossero affatto ragazzi, ma uomini, capisci?! È terribile. E indovina la bella novità?”
“Cosa?!” protestò Belle “Non ci può essere niente di bello in tutto ciò, Jane, è mostruoso!”
“No, la bella novità è che la scuola ci pagherà per l’articolo che faremo sulla vicenda” concluse, mettendo l’accento sul plurale. Belle non trovava niente di particolarmente piacevole in tutta la vicenda e non riusciva a capire come l’amica avesse potuto mettersi a disposizione della preside. Ancora meno, la preside che voleva un articolo del genere sul giornalino scolastico? C’era qualcosa sotto. Decise che avrebbe indagato quando sarebbe stata a tu per tu con Jane. Lei non voleva essere di mezzo a certe cose. Okay, voleva andarsene e molte volte aveva ripetuto che avrebbe molto voluto un’avventura, ma proprio non si sentiva di imbarcarsi in qualcosa del genere. Era troppo grande. “Dobbiamo fare squadra, Belle. Ti prego. Io ho bisogno della tua abilità nello scrivere e tu del mio fiuto per le notizie. Vedrai, sarò una detective formidabile”
“Perché dovrei aiutarti?” domandò Belle, lasciandosi ricadere sul letto, attraversata da un pazzo pensiero: chiudere in fretta la conversazione per non far trovare il cellulare occupato da Adam, in caso avesse chiamato. Aspetta, ma cosa le prendeva? Perché una chiamata diventava così importante? Si passò una mano fra i capelli.
“Perché la preside ci ha promesso niente esami e raccomandazione alle università che vogliamo fare” ammiccò l’altra “E una spintarella per La Sorbonne non sarebbe così male, giusto?” la punzecchiò. Belle si arrese quando sentì il nome della celebre università parigina. Se solo avesse avuto anche solo una possibilità di entrare in quella scuola… era sempre stato il suo sogno, anche se essendo di oltreoceano non sapeva realmente quante possibilità avesse avuto fino a quel momento. Ma quando si sentì dire che la preside avrebbe potuto metterci una parolina… beh in quel caso sarebbe certo stato un po’ barare nei confronti di quelle centinaia di altre persone che volevano un posto lì, ma sarebbe anche stato giusto, dato che un articolo del genere le sarebbe fruttato molto… che volesse mandarlo a nome suo a qualche giornale famoso? Chissà, magari addirittura al New York Times.
“E tu cosa le hai chiesto, Jane?” domandò seria. La sentì bloccarsi un momento, restare senza parole e si preoccupò. Non era mai capitato che Jane non parlasse per più di un minuto. In quell’occasione, però, si accorse che era rimasta letteralmente senza fiato. Quando parlò, il suo tono di voce era serio e quasi rotto. Capì che ciò che diceva le stava costando molta fatica e che non avrebbe mai voluto cedere.
“In realtà… io non le ho chiesto nulla, Belle” disse poi Jane “Io non farò l’università, almeno penso… anche se mi piacerebbe molto. Almeno non qui. Sai com’è, mio padre fa un sacco di programmi sulla natura e cose del genere… non fraintendere, io amo questo posto, New York è la mia casa… ma mio padre è sempre mio padre, ovunque sia… e lui adesso non è qui. È in Madagascar. E io ho intenzione di andare da lui” un silenzio imbarazzato cadde sulle due al telefono, seppure a distanza “Ha già trovato una casa” disse poi la ragazza “E sta lavorando lì come biologo. Pare che abbiano trovato una nuova razza di Lemuri. Sono piccolissimi, i più piccoli del mondo. E mio padre serve per studiare le loro abitudini. Ha detto che mi verrà a prendere con il suo nuovo amico, che è un indigeno e fà fare escursioni ai turisti. Parla molto poco inglese ma si fa capire. Mi verranno a trovare dopo gli esami…!” disse con falsa felicità. Di nuovo silenzio. “Si, vorrei fare questo articolo con te per passare del tempo insieme, Belle, e per conoscere magari anche qualcun altro… insomma, mi dispiace andarmene di nuovo e avrei tutto il tempo di adattarmi alla partenza, stando in mezzo a tutti e pensando a qualcosa.”
Belle rimase senza parole a sentire i programmi di Jane per la sua vita. Non aveva mai considerato realmente di dividersi dalle sue amiche. In realtà aveva solamente Cindy e Jane, ed entrambe parevano partire. Poi spostò lo sguardo verso un poster in camera, una visuale della Tourre Eiffel, e si rese conto che anche lei stava per dire addio all’America per sempre. Si sentì euforica, malinconica, quasi triste di lasciare tutto quanto per i suoi interessi e si rese improvvisamente conto di come l’avessero presa Cindy e Jane quando gliene aveva parlato. Non era mai sembrato che sarebbero andate così tanto lontane. Pensò anche ad Adam, la sua nuova conoscenza. No, forse non si sarebbero mai conosciuti, forse non l’avrebbe mai portato alla libreria di Jeanne. Magari avrebbe chiamato quando ormai lei era in Francia e non si sarebbero trovati mai più.
“Okay” disse solo, prima di chiudere la conversazione. Si sentiva scossa, e aveva veramente bisogno che qualcuno le dicesse che tutto sarebbe andato bene. Si ricordò anche di Gaston per un breve momento, poi si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi, cercando di illudersi che sua madre fosse ancora lì con lei.


Adam la chiamò più tardi, quel pomeriggio, con il telefono del suo maggiordomo. Parlarono al telefono a lungo, almeno due ore. Si confrontarono parlando di tutto ciò che amavano, parlarono della scuola, dell’università, dei loro progetti per il futuro, delle amicizie in comune, di ciò che era accaduto alla festa e di Jane. Parlarono della sera prima, del suo labbro spaccato, del loro progetto per vendicarsi contro Gaston, della cicatrice che aveva in volto. Parlarono di fiori, di modelli, di libri, di profumi. Parlarono di abiti e ricchezza e quando lei gli disse che il mese seguente sarebbe partita per la Francia con il padre lui si chiuse in un silenzio lungo minuti in cui Belle non seppe cosa dire. Quasi non si osava di chiedergli se allora si sarebbero visti oppure no, cercò di riflettere sull’effetto che le faceva la voce di lui e quando chiusero la conversazione si sdraiò sul letto pensando a lui, al suo sguardo, al suo tono di voce, al suo aspetto. Certo, non era bello, almeno non così conciato, ma quando chiuse gli occhi per un momento ebbe l’imbarazzante visione di se stessa spinta contro un albero come aveva fatto Gaston, solo che al posto delle labbra del moro c’erano quelle di Adam, c’erano le sue mani che le toccavano la coscia fino alla biancheria intima e… si scoprì con una mano che virava pericolosamente verso il bottone dei jeans e decise che era un ottimo momento per farsi una doccia fredda.
Pensò molto anche a ciò che aveva pensato di lui, ma niente cambiava quella visione che aveva avuto, quel sogno fuggevole che non avrebbe mai voluto fare. Si era quasi spaventata di se stessa, del suo desiderio, quasi della… libido. Afferrò un libro e cercò di leggerlo per calmarsi, ma ormai i suoi ormoni di diciottenne sembravano impazziti. Il libro non riusciva a toglierle dalla mente il pensiero del ragazzo.
Afferrò il telefono e cominciò a guardarlo come se fosse uno strano oggetto, mentre in realtà era solo un apparecchio elettronico che lei ben conosceva. Si sentì una stupida e andò a farsi un bagno caldo cercando di rilassarsi. Mise della musica rilassante e delle candele profumate, chiuse le imposte e riempì la vasca, dopodiché si lasciò scivolare nell’acqua calda, abbandonata al piacere del calore, sentendosi avvolta in un caldo abbraccio. Restò nel bagno per almeno un paio d’ore, dopodiché decise che era il caso di uscire dato che l’acqua si stava facendo fredda. Si avvolse in un asciugamano pulito e andò in camera tamponandosi i capelli col lembo di un altro. Si avvicinò al cellulare, e quando vide che c’erano cinque chiamate perse di Adam quasi non ci credette. Lo richiamò subito.
“Pronto?” rispose subito lui “Belle?”
“Si” disse lei con un nodo alla gola “Dimmi tutto”
“In realtà” disse Adam “Non era niente di importante. Vorrei parlarti faccia a faccia, che ne dici? Domani al parco?”
“D’accordo” disse lei “Magari ti porto anche alla libreria”
“Perfetto. Allora a domani” mormorò ancora il ragazzo, dopodiché chiuse come se avesse fretta la conversazione e Belle rimase colma di dubbi e di speranze. Quando si sdraiò nel letto quella sera e fu nel buio della sua camera si rese conto che in realtà pensava di provare qualcosa di molto forte nei confronti di quel ragazzo quasi selvaggio, e non le importava niente di quanto spettinati potessero essere i suoi capelli. Il padre quella sera le aveva detto che aveva ormai trovato la casa a Parigi e che sarebbero vissuti in un bellissimo attico non lontano dal Centre George Pompidou, che ormai era tutto pronto e che dovevano solo aspettare una sua conferenza tre settimane più tardi, poi sarebbero partiti. Capì che ciò che provava per Adam non era qualcosa di semplice, ma che indubbiamente lo desiderava. E aveva solamente tre settimane. E lo avrebbe avuto, costasse ciò che costasse.


Il giorno dopo Belle arrivò al parco in leggero ritardo rispetto all’ora che avevano deciso, ovvero le tre di pomeriggio. Aveva perso molto tempo a decidere come vestirsi e acconciarsi, non era mai abbastanza soddisfatta. Voleva esprimere se stessa ma nel contempo sembrare sexy ed elegante, senza esagerare. Il suo stile era semplice e non intendeva elaborarlo. Così, alla fine, si presentò all’appuntamento con una t – shirt verde con lo scollo squadrato, larga abbastanza da non far vedere le forme ma morbida, in modo che a ogni movimento queste venissero in rilievo, un paio di pantaloncini corti color panna dal momento che faceva molto caldo, delle ballerine in tinta con la t – shirt e una borsetta colorata da tenere appesa a una spalla con scritto ‘Shakespeare’s not an opinion’ in cui infilò un libro e le cose che le sarebbero potute servire. Osò indossando un paio di orecchini a forma di rosa come la collana lunga. Riunì i lunghi capelli dietro la testa in una coda di cavallo e quando uscì di casa si sentiva davvero molto bella. Raggiunse il parco con tre fermate di autobus, e camminò diretta alla fontana vicino alla quale si erano dati appuntamento. Quando vide Adam (aspetta, era veramente Adam?) alzarsi in piedi e guardarla, quasi non lo riconobbe. Da un giorno all’altro era cambiato tantissimo.
I capelli erano perfettamente pettinati e lasciati sciolti sulle spalle, ricadevano lisci e dorati fino a metà petto, scompigliati da un venticello leggero. Gli occhi non erano più minacciosi ma carichi di aspettativa, la cicatrice sul volto sembrava meno evidente, quasi cancellata da tutta la sua bellezza. Belle si accorse che addirittura profumava e che il labbro era coperto da un cerottino trasparente messo a regola d’arte. Indossava un paio di jeans neri stretti, che mettevano pericolosamente in evidenza le gambe muscolose e atletiche, ai piedi portava un paio di semplici scarpe da ginnastica. Aveva una camicia bianca leggermente aperta sul petto, che faceva intravedere qualche pelo biondo. Con sé aveva una giacca di jeans che sembrava stare alla perfezione anche solamente come ornamento al suo braccio. Belle rimase senza parole e lo guardò per qualche lungo momento prima di riuscire a trovare la somiglianza con il ragazzo del quadro nell’ufficio della preside e quello della sera prima. Era una stranissima mescolanza fra i due, ma l’unica cosa certa fu che appena Adam si alzò in piedi, tutte le ragazze lì intorno cominciarono a mormorare e presero i cellulari per digitare alle amiche la notizia che un bellissimo ragazzo sconosciuto, ma che ricordava qualcuno, era appena apparso nel parco.
“Sei… sei proprio tu” mormorò Belle stringendo gli occhi e avvicinandosi a lui. Adam sorrise e le sfiorò la mano che Belle si lasciò prendere, la guidò fino alla panchina e lì si sedettero insieme, in silenzio.
“Hai portato qualche libro?” domandò lui poi. Belle aprì la borsa e ne estrasse Giulietta e Romeo. Non si aspettava di aver preso proprio quello. Adam la guardò sorridendo dolcemente. La ragazza non riuscì a non pensare che era radicalmente cambiato, che non riusciva proprio a capire come avesse fatto da un giorno all’altro e che era bellissimo. Se già la sera prima ne era stata attratta, adesso era quasi innamorata. Almeno, lui le piaceva moltissimo.
Decisero di fare una passeggiata. Belle non riusciva a fare a meno di guardare la sua cicatrice, che le dava così tanto l’idea di un passato travagliato, di misteri e cospirazioni, di esotico e misterioso. Ogni tanto cercava di costringere i suoi occhi a fissarsi su qualcos’altro, perché se avesse continuato in quel modo Adam avrebbe capito che era una maleducata ed era l’ultima impressione che lei voleva dargli. Si stupì quando lui finalmente si girò, guardandola fissa negli occhi.
“Sono molto cambiato, per te” affermò con voce rotta “Volevo tornare quello di una volta. Quando sono tornato a casa, mi sono finalmente guardato allo specchio. E sai cos’ho visto?” Belle scosse la testa “Ho visto una specie di… bestia… così brutto, così trascurato, così… quasi lasciato andare. Non riuscivo a rendermi conto di essere veramente io. È stata come una rivelazione. È stato come un fulmine a ciel sereno. Io non voglio essere un mostro” concluse guardandola con occhi pieni di disperazione, rimorso, rimpianto…
“Non lo sei” lo rassicurò Belle distogliendo lo sguardo imbarazzata “Secondo me non lo sei. Sei solamente… diverso. E non è detto che sia un punto a sfavore” lui la guardò con un sorriso mozzafiato, e la ragazza, che aveva fatto due calcoli cercando di ricordarsi se l’avesse già visto, si rese conto che avevano passato un anno a scuola insieme senza che lei si accorgesse di così tanta bellezza. Più lo guardava, più si rendeva conto che solamente un ragazzo come lui avrebbe potuto crearle quel senso di aspettativa che non aveva mai provato.
Belle non era mai stata con un ragazzo. Aveva provato a uscire con qualche ragazzo, ma mai qualcuno le era risultato degno d’interesse. Non perché fosse superba, ma perché il loro primo appuntamento si svolgeva in discoteca, in un casinò, al cinema, in un pub o a una festa e lei non riusciva mai a parlare, a esprimersi, a scambiare opinioni. E quando ci aveva provato, i risultati erano stati mugolii o versi che facevano chiaramente intendere che Goethe, Nietzsche, Goldoni e Ken Follett fossero dei perfetti sconosciuti. Belle lo trovava profondamente snervante.
Adam, al contrario, quella sera era riuscito a sostenere la conversazione e aveva anche citato qualche brano di Shakespeare, che fosse Amleto o Otello. Sapeva di cosa trattava il Simposio, che cosa pensava Sant’Agostino e le teorie di Talete. A Belle non era importato dei capelli scompigliati, della cicatrice o degli abiti smessi, quando aveva capito che sotto tutta quella scena da ragazzo di strada non c’era solamente il ragazzo più bello che l’High School avesse mai avuto, ma anche un cervello attivo e un’intelligenza vivace, una voglia di apprendere impressionante e una ricerca della conoscenza. Si era subito trovata bene e se fosse stata superficiale avrebbe addirittura ammesso che era pronta ad andare a letto con lui, da quanto l’aveva colpita. Ma Belle non era certo una di quelle ragazze che pensavano solo a ‘quel coso’, a meno che non si trattasse di cervello. Doveva ammettere però, che Adam la attirava in maniera particolare e che sentiva una strana sensazione al basso ventre, qualcosa che non aveva mai provato e che cominciava a farsi strada cogliendola di sorpresa. Mentre camminavano, a volte, casualmente, le loro mani si avvicinavano l’una all’altra e riusciva quasi a captare l’elettricità che emetteva quella vicinanza. Si sentiva decisamente su di giri. Arrossiva spesso. A volte balbettava. Quando mai lei aveva balbettato, se aveva sempre avuto una dizione invidiabile? Da bambina aveva addirittura vinto diverse competizioni di spelling. Lo guardò sottecchi mentre stava parlando di qualcosa di cui lei non aveva per niente afferrato il senso. Lui si zittì a metà frase, sorrise e le prese la mano. Belle si sentì volare, decidendo di godersi quelle sensazioni. Presto, non ci sarebbero più state. E il trasferimento in Francia, così tanto agognato, improvvisamente le causava solamente una dolorosa stretta al cuore.


Le ore volavano, e i due avevano deciso di prendersi un caffè da uno Starbucks che avevano trovato vicino al parco. Adam sorseggiava dal bicchiere lentamente, scherzando allegro. Belle cercava di dargli corda, ma in realtà il pensiero che si stava per allontanare da lui per sempre le faceva male. Decise di parlargli della sua partenza, ma non riuscendo a trovare parole migliori concluse di parlare chiaro e tondo.
“Adam, Fra tre settimane parto. E… non torno più” l’espressione del ragazzo cambiò del tutto “Vado in Francia, con mio padre. È sempre stato il mio sogno e quando lui ha ottenuto un incarico a Parigi, beh… abbiamo subito accettato…” lui abbassò gli occhi.
“Va bene” disse tristemente “Ho capito”.
Nessuno dei due si alzò, guardò l’altro o fece rumore bevendo il caffè. Semplicemente, rimasero lì, seduti accanto alla vetrata guardando il sole che pian piano spariva oltre gli altissimi grattacieli di New York. Improvvisamente, Belle capiva che le sarebbe mancata. O almeno. Le sarebbe mancata la sua quotidianità. Avrebbe molto sofferto senza la sua casetta di legno, senza il ricordo di sua madre che aleggiava nell’aria, senza la stanza priva di vita, eterna dal momento della sua morte. Le sarebbe mancata la libreria di Jeanne, le letture che duravano pomeriggi e poi le corse a casa per studiare o prendere qualche soldo in più per pagarsi un libro. Le sarebbe mancata la sua serra piena di rose, il movimento al di là delle finestre, tutta quella grandezza della città. Sapeva che Parigi non era da meno, ma era diversa. Non per bellezza, ma per ricordi. E si rese improvvisamente conto che i ricordi erano tutto ciò che la legava a quel posto. Ma quando si domandò che ricordi avesse, vide fugaci immagini di bei voti, del viso di Cindy e quello di Jane, della sua casa, della libreria. Si accorse improvvisamente che non aveva alcun ricordo vivido, colorato. Aveva vissuto moltissime vite con i suoi libri. Alcune cariche di colori sgargianti come Chocolat, altre totalmente nere come I racconti del terrore. Aveva volato oltre le nuvole con La Storia Infinita e provato distruttive passioni in Cime Tempestose, aveva amato dolcemente e pazientemente come Fanny di Mansfield Park e aveva odiato profondamente insieme a Iago nell’Otello. Ma mai, mai aveva veramente provato una sola di quelle emozioni. La sua vita si era sempre svolta regolare, nella monotonia e nel grigio, sebbene lei si fosse sempre lamentata del fatto che non aveva opportunità. Si sentì improvvisamente una grandissima sprovveduta. Tutto ciò che aveva letto non le era servito proprio a nulla. Si rese conto che tutto ciò che quelle storie avevano cercato di insegnarle era di combattere vivendo la propria vita, cercando di cambiarla, di renderla migliore, di non arrendersi. Ma lei non aveva mai colto quel messaggio per qualche misterioso motivo. Non aveva niente tranne brevi spruzzi di luce nel grigiume. Non aveva mai amato. Non aveva mai osato. E lei voleva un’avventura? Lei chiedeva di avere qualcosa in più? Proprio lei, che non aveva mai fatto niente.
Decise che per quella volta non sarebbe più rimasta ferma. Decise di mandare il prima possibile un messaggio a Jane, dicendole che si sarebbero incontrate il giorno dopo per andare a parlare con quelle tre ragazzine da cui era nata la festa. Dovevano sapere tutto, passaggio per passaggio. Avrebbe finalmente provato il brivido del mistero, la felicità della scoperta. Avrebbe conosciuto nuove persone e avrebbe probabilmente incontrato personaggi singolari, ma lei non doveva più rimanere in quell’apatia, costasse quel che costasse. E quando alzò lo sguardo verso Adam, si rese conto che nemmeno con lui doveva stare a girarsi i pollici. Okay, probabilmente non era l’amore delle favole, ma in fondo non era mai stata davvero certa che l’Amore, quello con la ‘A’ maiuscola, nascesse da uno sguardo fra due estranei che si incrociavano per strada. L’amore, pensò, era qualcosa che nasceva lentamente e non era forzato, ma doveva esserci. Bisognava provare. Capì che l’amore non era un avvenimento che capitava a caso. Si rese conto che era una scommessa, che era una roulette russa. Capì che bisognava puntare su qualcuno, rischiare, scommettere, lasciarsi andare alle sensazioni e all’intuito e poi lasciar girare la ruota. E se la pistola avesse sparato la freccia di Cupido, sarebbe stata per gran parte fortuna.
Si alzò bruscamente in piedi, la sedia dietro di lei cadde rumorosamente e qualcuno si girò a guardare. Adam le rivolse uno sguardo sorpreso. Belle si rese conto che era rossa in viso, che aveva le lacrime agli occhi per bagnarli, che le orecchie stavano per scoppiare e che il sangue al cervello le offuscava la lucidità. Si avvicinò un po’ a scatti al ragazzo, gli afferrò il viso fra le mani, piegandosi verso di lui e lo guardò negli occhi per un lungo momento. Non c’erano vocine che disapprovavano il suo gesto, nella sua mente, solamente una sensazione strana e calda, che sembrava latte e miele che stava scendendo nelle viscere più profonde, il cuore che le pareva uno scoppio di fuochi d’artificio.
Premette le sue labbra contro quelle di Adam.
E no, non le importava assolutamente niente che tutti li stessero guardando, che alcune ragazze emettessero risolini imbarazzati e che qualche anziana signora borbottasse alla sua amica ‘della maleducazione dei giovani d’oggi’. A Belle sembrava di toccare il cielo con un dito. Le pareva che il sole fosse appena sorto da est, bagnandola con il suo raggio di calore dorato. Una pioggia di stelle cadenti colorate, rulli di tamburi e trombette celesti risuonavano dentro di lei. Un vortice impetuoso di emozioni non la faceva respirare, e quando si staccò dalle labbra di lui le sembrò che la realtà non fosse più così banale. Ogni colore era più acceso, ogni odore più presente, i rumori più assordanti e il gusto del caffè e della lingua di Adam le stuzzicavano piacevolmente le papille gustative. Il ragazzo sembrava sconvolto e si teneva una mano stretta sul petto come se il cuore gli stesse per scoppiare. Belle si sentiva completamente scema, ma scoppiò a ridere. E non ci volle molto prima che anche Adam si unisse a lei, per poi alzarsi in piedi, prenderla fra le braccia, farle fare una giravolta abbracciata a lui e poi baciarla di nuovo. Erano circondati da mormorii e dalla voce di Carly Rae Jepsen. Belle afferrò la borsa e insieme, mano per mano, uscirono dal locale, come ubriachi, ridendo.


Il mondo era diverso quella sera, Belle se ne rese conto. Erano diversi i libri di Jeanne quando andarono a dare un’occhiata, ogni storia sembrava gridare di essere letta, ma questa volta non mentalmente, bensì ad alta voce, per essere condivisa. Ogni libro sembrava nuovo, ogni vicenda una nuova avventura e niente, nemmeno il vecchio proprietario, ricordava la libreria piccola, fiocamente illuminata e un po’ malinconica di qualche giorno prima. Quando uscirono ridendo, era già tardi. Belle aveva la borsa che pesava quattro volte in più di quando era uscita e Adam aveva tre diversi libri sottobraccio: si era scoperto un amante del giallo e del thriller e aveva trovato la trilogia Millennium di suo gusto.
Decisero di mangiare insieme e andarono a casa di Adam: il maggiordomo Lumière non era lì quella sera per lavoro. Mentre assaggiavano un curiosissimo purè di patate fatto dal ragazzo, che si scoprì proprio incapace ai fornelli, parlarono molto anche della sua famiglia, e lui le assicurò che avrebbe provato a migliorare le cose. Decisero definitivamente di fare insieme quell’articolo su Gaston, perciò dovevano riuscire a parlare con Herc e Belle promise che se ne sarebbe occupata lei stessa.
Quando ebbero pulito la tavola e i piatti e andarono nel salotto per parlare, la ragazza cominciò ad avere una strana sensazione, come se qualcosa di importante stesse per accadere. Odiava essere all’oscuro di qualsiasi cosa essa fosse, ma da un lato si sentiva così viva per la prima volta nella sua vita che quasi avrebbe voluto sentirsi così per sempre. Accesero la televisione e si sedettero sul divano. Dopo poco, mentre nel film, qualcosa di Dario Argento, una bambola era appesa per il collo al soffitto e il suo sangue colava a terra, prendendo un colorito molto simile alla vernice, Adam le circondò le spalle con un braccio.
Il gesto durò poco. Senza aspettare altro, il ragazzo si spinse su di lei tenendole la testa rivolta verso l’alto e la baciò con passione, ardentemente, tanto da sembrare fuoco vivo sulla pelle della ragazza. Si rese conto di non essere imbarazzata da quel gesto, bensì di agognarlo da molto tempo, da quando lui era entrato nella sua vita. Una mano del ragazzo salì per il suo fianco sottile per fermarsi sul lato del suo seno, e Belle sperò con tutto il cuore che non sentisse il suo cuore battere all’impazzata. Si strinse a lui, e Adam rinforzò la stretta, sebbene senza farle male. Quando emise uno strano suono gutturale, la ragazza si staccò da lui sorpresa. Non aveva mai creduto che un ragazzo potesse fare un verso del genere. Lui tossicchiò imbarazzato e lei non potè fare a meno di trovarlo ancora più bello.
“Scusa…” mormorò il ragazzo, riaggiustandosi la camicia e cercando di ricomporsi “Non volevo andare troppo di fretta, ma pensare che tu… che tu fra sole tre settimane sarai già in un altro continente… scusa ma vorrei vivere tutto ciò che posso con te subito, e…” Belle non lo lasciò finire poggiandogli due dita sulla bocca.
“So che me ne andrò” disse, ma mentre pronunciava quelle parole, una gelida vocina nella sua testa cercava di imporsi “Anche io voglio vivere tutto con te. Non ne avrò più l’opportunità, e se tutto ciò che posso avere sono ricordi, allora ne voglio a centinaia” mormorò a bassa voce, guardando quel viso senza imperfezioni, quella lunga cicatrice più scura che gli graffiava la faccia senza imbruttirlo, i lunghi capelli castano chiaro, folti, che ricadevano sulle spalle forti e circondavano il collo taurino. In realtà qualcosa le diceva che non avrebbe dovuto farlo. Che l’avrebbe rimpianto. Che non avrebbe mai avuto la vera felicità, che sarebbe rimasta legata ai ricordi, che avrebbe trovato un francesino adatto a lei, ma… non riuscì a dare retta a quella maledetta parte di sé.
Adam non attese oltre. La baciò con passione, premendo il suo corpo muscoloso e alto contro di lei, schiacciandola dolcemente sul divano. Le baciò le labbra carnose, le solleticò il collo con la lingua, scese nell’incavo delle spalle e le sfiorò i fianchi con le dita, scostandole la t – shirt. Le scostò i capelli dal collo per poterlo assaggiare e lei fu presa da una foga sconosciuta. Si avventò sul suo collo, liberandolo dalla camicia cominciando a sbottonarla, succhiando e leccando quella pelle morbida e profumata. Adam ridacchiò. Si alzò, la prese per mano e la condusse nella sua stanza da letto. Era una camera piuttosto piccola, con un letto di legno chiaro su un lato e un grande armadio dall’altro, sotto la finestra, in un angolo, c’era una scrivania e un computer portatile chiuso. Una piccola libreria vuota era appesa sopra il letto. La trascinò fino a farla cadere ridendo sul materasso, le si gettò a fianco e si infilarono sotto la coperta leggera. Lì cominciò a lavorare sul bottone dei pantaloncini di lei, ma quando riuscì a farsi strada la ragazza gli afferrò la mano che si stava infilando nei jeans e lo guardò un momento con occhi preoccupati e sinceri. Lui la osservò attentamente per qualche momento, poi, quando capì il motivo dell’esitazione annuì e la baciò dolcemente.
“Non voglio forzarti. Andiamo pian piano” mormorò, e lei gliene fu grata. Si baciarono lentamente, scoprendosi a passi lenti. Belle scoprì una nuova realtà che non aveva mai considerato come qualcosa che potesse accadere in un futuro prossimo. Certo, Gaston le parlava costantemente di sesso, ma lei non aveva mai voluto pensarci anche per allontanare l’immagine di lui. Ma a diciassette anni e mezzo, Belle si sentiva in pieno diritto di avere la sua prima esperienza, nonostante non fosse mai stata una sua priorità e il padre l’avesse sempre messa in guardia.
Scoprì che il corpo maschile poteva essere spaventoso e stupefacente ma anche dolce e assolutamente non violento. Capì che il suo non era così male e che Adam fremeva ogni volta che le sfiorava un lembo di pelle. Si sentì presa alla sprovvista, ingenua, grande, piacente. Provò dolore, sensazione di pienezza, una specie di tensione che aumentava pian piano e infine non seppe bene dire come si sentì. Si ricordava solo qualcosa di paradisiaco e indecente, un’esplosione nel silenzio e la scoperta di sensazioni che non avrebbe mai immaginato di poter provare. Non era qualcosa di semplicemente bello. Era qualcosa che non poteva spiegare. Era qualcosa che aveva un nonsochè di selvaggio, di primordiale, di così giusto, soddisfacente e stancante che non avrebbe potuto spiegare con una sola parola.
Fu molto imbarazzata quando, alzandosi, si rese conto di aver sporcato il lenzuolo di sangue. Era solo qualche macchiolina, certo, ma non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere e l’aver sporcato il letto di Adam la mandò quasi in crisi, finchè lui non scoppiò in una risata. La cullò fra le braccia, dicendole che era normale, che capitava quasi a tutte. Le raccontò a bassa voce della sua prima volta, di quando era stato un disastro e che non si era mai sentito bene come quella sera, con lei. Le disse che non avrebbe mai più voluto amare nessun’altra ragazza e lei gli credette quando le disse che con lei aveva provato emozioni che andavano oltre il limite del sopportabile, che l’aveva fatto impazzire, che si era sentito talmente bene da dimenticare persino la sofferenza. Le raccontò della sua cicatrice, che Gaston gli aveva causato facendolo cadere per terra, in una fabbrica abbandonata in periferia, e che un vetro gli aveva quasi preso l’occhio, ma per fortuna era solo passato sul naso. Le disse che nessuna ragazza l’aveva più guardato se non con disgusto, le confidò che non voleva lasciarla, non voleva che partisse, che tre settimane erano troppo poche. La pregò di portarlo con lei, di rimanere a Manhattan, che avrebbe messo tutto a posto e si sarebbe messo a lavorare. Le promise che l’avrebbe trovata anche a Parigi, che non se ne sarebbe mai andato sul serio, che l’avrebbe rincorsa ovunque sarebbe andata.
Quando Belle si addormentò, non pensò affatto a tornare a casa sua da suo padre, non si pose nemmeno il problema di avvisarlo. Il cellulare venne lasciato a vibrare solitario, nella borsa in soggiorno. Ma la ragazza non si pentì mai di quel gesto. Dormì bene, per una notte intera, per la prima volta da quanto si ricordasse non sognò la madre e quando aprì gli occhi a guardare Adam il mattino dopo, desiderò che esistesse una boccetta di vetro in cui mettere i ricordi più belli, in modo da poter tornare indietro e riviverli ogni volta che voleva. Pianse in silenzio mentre il ragazzo dormiva, il cuore rotto in due al pensiero che avrebbero dovuto separarsi. Non poteva credere alla crudeltà della vita, non voleva pensare all’ipotesi di non vederlo mai più. Si rese conto che se una volta non avrebbe confidato i suoi pensieri a nessuno, avrebbe voluto stare sempre sola, adesso non avrebbe più potuto farlo. Doveva distrarsi, doveva pensare ad altro.
Scosse Adam, che aprì gli occhi lentamente, stanco e con la bocca ancora impastata. Belle non aspettò altro, lo pregò e lo tirò verso di sé, abbracciandolo, baciandolo, provocandolo. Perché c’era un solo modo di distrarsi, di pensare che nessun momento era perso con lui ed era continuare a sentirsi così selvaggiamente bene, così unita a lui da pensare di essere parte di un tutt’uno e che Platone avesse fermamente ragione. Lei e Adam non potevano essere due persone distinte, pensò. Avevi ragione tu, nell’antica Grecia, Platone. In realtà un tempo eravamo una creatura unica. E io e Adam abbiamo compiuto la missione. Ci siamo ritrovati. E allora, perché ora il destino vuole dividerci di nuovo?










NdA: ciao a tutti ^^ ecco qua il capitolo che molti stavano aspettando :D vi è piaciuto? :) Ringrazio petitecherie, elelovett, merychan, _BriciolaElisa_ e Sissyl per i commenti allo scorso capitolo, grazie ^^ Al prossimo capitolo con Esmeralda ^^ un abbraccio,
Nymphna
   
 
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