Atto II
One More Night
Correva a perdifiato
attraverso i campi della periferia della Londra babbana, per risparmiare strada
e giungere più velocemente alla sua meta.
Chioma rosso fiamma, onde sinuose lungo la schiena. Respiro affannoso, membra
affaticate e bacchetta alla mano, mai troppa prudenza in quelle notti
silenziose.
Cambiò direzione all’improvviso, inoltrandosi in un campo di grano, le bionde e
flessuose spighe piegate dalla sua camminata decisa. Poteva riconoscere, in
lontananza, le scure sagome delle case di Londra.
Finestre sbarrate, paura che serpeggiava incontrollata nei vicoli, bussando
alle persiane. Anelito lieve di un’inquietudine diffusa, incomprensibile ai
babbani. Ma comunque terribile.
Non riusciva ancora a capire come potessero essere giunti a quel punto, davanti
a sé vedeva solo un vicolo cieco. Nessuna via d’uscita.
Voce affranta, volto teso e lineamenti incisi di latente furore, mentre egli
riferiva alla famiglia l’accaduto, tra le verdi fiamme del caminetto.
Aumentò l’andatura, mormorando incantesimi per scostare le spighe più
resistenti, graffiavano la pelle delle gambe, una gonna indossata rapidamente
sopra la sottoveste.
Sapeva di non essere necessaria, sapeva che la sua presenza avrebbe,
forse, acuito un già immenso dolore. Ma non poteva essere esclusa da quella
situazione, non voleva. Suo fratello, Harry, avevano bisogno di lei, di
qualcuno che fosse estraneo da quel mondo di sofferenza.
Fragile spalla su cui piangere, occhi azzurri pieni di compassione, di
sentita partecipazione per la sua mancanza. Si, perché anche a lei era
stata portata via.
In fondo a quella dorata distesa di grano, scorse finalmente l’ombra del
palazzo ove abitavano suo fratello e gli altri. Non c’era alcuna luce ad
illuminare la casa, ogni appartamento buio e silenzioso.
Buio, per chi non vuol guardare. Silenzio, per chi non vuol sentire.
Piombò nel vicolo parallelo allo squallido condominio, cercando un’entrata che
non fosse troppo in vista. Non era prudente attirare l’attenzione, da quelle
parti. Un sommesso miagolio giungeva da alcuni bidoni, accatastati contro il
muro di rossi mattoni.
Si guardò attorno, valutando la stato delle sue condizioni. Forse, poteva
arrischiarsi ad entrare dal portone principale, dopotutto le strade erano
deserte.. L’istinto di sopravvivenza negava l’uscita, in quelle calde ore
notturne dimenticate da Dio, ma sempre care al demonio.
Demoni dai neri mantelli e dalle maschere d’argento, senza scrupoli nel
trascinarti all’Inferno, con la sola colpa di essere considerato dissimile,
indegno.
Corse alla porta d’ingresso, legno scuro e rovinato. Battè due colpi precisi,
convinta che qualcuno l’udisse e la facesse entrare. Vana speranza.
”Ehi, c’è nessuno?” urlò, ribussando e attendendo una risposta. Che non arrivò.
Aggrottò le sopracciglia, inquieta. Come mai nessuno nei tre appartamenti..?
Arretrò, alzando lo sguardo e cercando di intravedere segni di vita dalle
finestre. Concentrò la sua attenzione su quella del terzo ed ultimo piano, la
loro casa.
Vetro opaco e rovinato, impossibile capire se chi era al di là d’esso vedeva
ma non voleva fosse visto.
Ma lei doveva, doveva entrare..
Sospirò, una punta d’amarezza in quel respiro.
Non aveva ancora passato l’esame di Smaterializzazione e non poteva rischiare
d’essere scambiata per una Mangiamorte. Ciascun uso di questa pratica, infatti,
doveva prima essere regolarizzato ed approvato dal Ministero o dagli Auror e, se
non si aveva il permesso, l’azzardo poteva costarti caro. E certo, ella non
voleva essere inseguita da una torma di Auror del corpo scelto solo per uno
stupido malinteso…
Estrasse la bacchetta, sferzandola nell’aria e puntandola in un fluido gesto
contro il portone.
Di certo, Ron spiegherà tutto agli Auror..
”Reducto!”
Un lampo rosso fuoco sgorgò impetuoso dalla lignea bacchetta, abbattendosi
violento contro il portone e provocando un’immane esplosione, che rimbombò
nell’intricato dedalo di vicoli circostanti.
Il miagolio del felino si interruppe, spaventato, e la bestiolina fuggì in un
tonfo metallico, sparendo rapida nei campi circostanti.
La giovane scavalcò ciò che restava del portone, cauta, controllando ogni
movimento sospetto.
Atrio deserto, la scalinata in rovina saliva contorcendosi all’ultimo piano, ma
non un rumore aleggiava in tutto il palazzo, sembrava abbandonato e lasciato in
tutta fretta.
Avanzò ancora, la bacchetta stretta in pugno, poggiando il piede sul primo
gradino, pestando la scolorita moquette rosso scuro.
C’era decisamente troppo silenzio ed ella sapeva che non era mai un buon
segno..
Narra chi sopravvive che un grande silenzio pervada l’aria che precede la
catastrofe.
Ella sentì alle spalle un inquietante tintinnio, seguito da una voce
impastata e una colorita imprecazione. Non era sola, in quel palazzo.
Salì le scale, rapida e silenziosa, nascondendosi al primo piano, spiando da
dietro il muro crepato colui che era appena giunto nell’atrio devastato.
Sguardo guardingo, impetuoso battito del cuore nel piccolo petto, pallide
mani ad artigliare la parete ove aveva trovato rifugio. Labbra serrate, schiena
scossa da tremiti incontrollati, gelide serpi di ghiaccio.
”Che cazzo è successo qua…?”
La giovane trattenne il fiato, fissando la nera sagoma di un Mangiamorte
aggirarsi, instabile, tra le macerie. Ella s’appoggiò di schiena, passandosi una
mano sul volto. Era in trappola, era chiaro che in quel dannato condominio non
era rimasto nessuno, nemmeno Harry e Ron.
Che cos’altro poteva essere successo..?
Pensieri cupi, bambina impaurita da ciò che non aveva mai visto ed ora, con
crudele chiarezza, le si manifestava chiaro d’innanzi agli occhi. Senza sapere
come uscirne indenne.
Dal piano di sotto udì, con orrore, un rumore attutito. Sembrava che quell’uomo…la
stesse fiutando. E rimase immobile, poggiata alla parete, la bacchetta stretta
al seno con due mani, incapace di muoversi.
Ginevra Weasley non aveva mai nemmeno considerato l’ipotesi di trovarsi
essa stessa nella catastrofe della quale raccontavano sciocchi proverbi.
L’inizio della fine..
In uno schiocco, un uomo alto e magro si materializzò davanti a lei,
sovrastandola.
La fissò attentamente attraverso la maschera, mentre un lento sogghigno si
dipingeva pigramente sulle labbra, scoprendo i denti giallastri.
”Buonasera, bambolina..” cominciò, estraendo la bacchetta da una manica della
scura veste “Cosa ci fa una signorina come te in giro a quest’ora e, per di più,
tutta sola?”
Occhi bui, spenti e vacui, segno che l’Oscuro Sire l’aveva già svuotato della
sua volontà. Vuoto involucro di carne ed ossa, senza che lo spirto vitale
albergasse in esso.
Ginny si addossò maggiormente al muro, puntando la bacchetta davanti a sé, meno
di una spanna dal viso incappucciato dell’uomo, la mano che tremava visibilmente
ma lo sguardo fiero e combattivo.
”Stai indietro, se non vuoi finire Schiantato”
Il Mangiamorte proruppe in una risata di crudele divertimento, l’ampio petto
scosso dai singulti.
”Sei audace, per una mocciosetta..”
La ragazza cacciò un gridolino spaventato quando l’uomo poggiò violentemente le
mani ai lati della sua testa, bloccandole ogni via di fuga.
”Vediamo quanto sei coraggiosa” sibilò, uno scintillio di follia che ora
illuminava l’iride scura.
Sudore, alcool in quel fiato bollente, ove affogare le proprie ire e le
proprie ansie, segno che, se lasciate a sé stesse, le marionette di Voldemort
sapevano solo farsi del male.
Ginny sussultò, spaventata, quando avvertì la mano dell’uomo salire lasciva
lungo la sua coscia, scostando la sottile stoffa della sottoveste sotto la
gonna. Perse ogni capacità di ragionare.
Se in pericolo, la mente umana s’affida all’istinto, perché l’esser preda è
atavico istinto d’animale ed esso non possiede altra ragione che quella di
sopravvivere.
”S…Stupeficium!!” strillò, scagliando l’incantesimo alla cieca, mancando
per un soffio l’uomo, che tuttavia arretrò, leggermente sorpreso. Poi tornò a
sogghignare malignamente.
”Peccato..”
Ginny ne approfittò per correre via, ma venne afferrata per i lunghi capelli
rossi dal Mangiamorte. Ella cacciò un grido di dolore, portandosi una mano
all’attaccatura della rossa chioma, la bacchetta che rotolò via, giù dalle
scale.
L’uomo fece schioccare la lingua in segno di diniego.
”Non si fa così..” il tono era capriccioso e indolente “Se non stai ferma mi
costringi a farti del male”
La giovane non si diede per vinta, girandosi e sferrandogli un rabbioso calcio
sullo stinco. L’uomo si ritrasse in un ringhio di dolore, lasciandole i capelli.
Ancora riprovò a scappare..
”Imperio!”
La sensazione che qualcosa cancelli via, in un colpo di spugna, ogni
preoccupazione, ogni pensiero, lasciando solo quel dolce e fluttuante nulla.
Ginny si rilassò, l’azzurro sguardo spento e privo di vita, tinto di un pigmento
più chiaro, pupilla annegata in un celeste mare di desolazione.
Girati, girati e vieni verso di me..
Quella calda voce era così…*bella*, sembrava che ogni parola grondasse
miele e vaniglia. Come poteva disobbedirle..?
Camminò con passo lieve verso la sagoma dell’uomo davanti a lei, anche l’afa
opprimente di quella maledetta notte estiva sembrava essere scomparsa.
Dolce oblio dal quale non svegliarsi più, unico modo per dimenticare che,
forse, qualcuno aveva davvero bisogno di lei.
”Ecco, vedi che sai come si fa..?”
Qualcosa la costrinse ad annuire, mentre una parte di lei urlava,
sentendo le viscide mani dell’uomo poggiate sui suoi fianchi. Urlava, ma non
riusciva a sentirsi.
”Stupeficium!”
Un coro di voci ruggì l’incantesimo, e cinque fasci di luce scarlatta centrarono
il Mangiamorte, che fu spinto via dall’impeto contro il muro, aggiungendo crepe
a quelle già presenti in esso.
Ginevra ripiombò bruscamente nella realtà. Focalizzò a fatica l’insieme di
figure che invadevano il suo campo visivo, ma non riuscì ad identificarle.
Le girò la testa e cadde al suolo, spossata.
Prima di perdere i sensi, udì una dolce nenia, sussurrata da una figura china
sopra di lei.
Dormi e sogna, Ginevra Weasley. Il tuo contributo, per il momento, non è
necessario.
*
Can I meet
you, alone
Another night and I'll see you
Another night and I'll be you
My Chemical Romance, I Never Told You What I Do For A Living
Entrò dopo di lei,
chiudendosi la porta alle spalle.
L’aveva fatta sfilare d’innanzi agli altri Mangiamorte, ostentazione del
proprio bottino di guerra, conquistato con fatica dagli altri ma affidato a chi
più la meritava.
Si concesse un sogghigno sprezzante.
Solamente a lui era concessa.
Ella era ancora incatenata, mentre si guardava intorno, quasi curiosa,
esaminando i dettagli di quella stanza, la tana del serpente.
Spaziosa, fredda, libri e ancora libri. Un immenso letto a baldacchino, ove
tende di damasco verde scuro cadevano pesanti; lenzuola di seta, candide, chissà
quanta lussuria impregnava la delicata stoffa.
Lo sentì alle spalle, un brivido le corse rapido su per la schiena, mentre le
scostava i folti ricci sulla spalla sinistra, chinandosi a sfiorarle la nuca con
le labbra.
Carezza di raso, sensuale brama in quella bocca maliziosa.
Si staccò da lei in un sorrisino, avvertendo il suo timore e compiacendosene. Si
diresse alla finestra, aprendola in un ampio gesto, concedendo alla tenue brezza
della notte ormai inoltrata di soffiare in quella camera. Poi si voltò,
poggiando i fianchi al davanzale, fissandola a braccia conserte.
Occhi grigi, quasi trasparenti alla tenue luce che bagnava le sue spalle, ancora
quel ghigno indisponente sul volto. Palese provocazione.
La giovane rimase rigida e immobile, i piedi scalzi sul bianco tappeto posto di
fronte all’elaborato caminetto. Lo scrutò di rimando, le sopracciglia
aggrottate.
”Sei davvero l’essere più infimo della terra…”
”Detto da te, lo prendo come un complimento, Granger” ribattè pigramente il
ragazzo, senza staccare quelle iridi plumbee dalle sue “Ciò nonostante..”
Si avvicinò a lei, lentamente, fronteggiandola con aria di scherno
”..non mi sembra che tu ti sia tirata indietro, o sbaglio?” concluse, inarcando
un sopracciglio con ironia.
Hermione non rispose, limitandosi a guardarlo furiosa e indignata.
Se l’orgoglio era davvero peccato, ella meritava di bruciare all’inferno.
”Se tu credi…se credi che..” ma la risata tintinnante del giovane l’interruppe.
Tacque, irritata.
”Non mi sembri nella posizione di dettare condizioni, mezzosangue” sussurrò, la
voce si sentì appena nell’argentino fracasso che proveniva da fuori.
Quanto aveva desiderato poter zittire quella creatura così indisponente,
annullarsi nel suo sguardo altezzoso senza timore di ciò che quelle labbra
sferzanti avrebbero potuto pronunciare.
Sfilò la bacchetta dalla tasca interna del nero mantello. La puntò, in un
movimento fluido, sulle manette che bloccavano la sua *prigionera*, liberandola
all’istante.
Hermione si massaggiò i polsi doloranti, evitando quello sguardo penetrante.
Bramosia tra loro, quasi tangibile nel tiepido calore della stanza,
minacciava di impossessarsi fulminea della carne del giovane d’innanzi a lei.
”Non ti aspettare un grazie, visto e considerato che non ho nemmeno
capito cosa ti spinge a..” le parole le morirono in gola. Silenzio.
Perché pronunciare il loro accordo equivarrebbe ad autentificarlo.
Egli comprese, ma non aggiunse altro.
Le diede le spalle, rivolgendosi al letto. Si tolse con calma la veste,
rimanendo in maniche di camicia, poggiandola poi sullo schienale intagliato di
una sedia a fianco del baldacchino, subito seguita dalla maschera argento.
Argenteo bagliore nel soffice buio della camera, tutto quello in cui credere
e per il quale vale la pena di esistere.
Si sedette pesantemente sul materasso, chino in avanti, le mani intrecciate
davanti a sé.
Aria rassegnata di chi non sa cos’altro fare.
La ragazza passò il peso da una gamba all’altra, abbracciandosi e avvertendo
ogni graffio della cute sotto i polpastrelli. Cos’era quella sensazione che le
attanagliava le viscere…?
Disagio.
La fiera Hermione Jane Granger si era trovata preda di questa sgradevole
percezione pochissime volte, nella sua vita. Quasi mai.
Malinconiche reminescenze di liti con colui che le aveva chiaramente
manifestato *qualcosa*, forzati silenzi, amare parole in bocca ma che,
nonostante tutto, non volevano essere pronunciate.
Si rifiutò di associare simile senso all’affascinante ma tetro giovane che, al
momento, condivideva con lei l’aria della camera. Del resto, rimaneva pur sempre
Draco Lucius Malfoy.
Dopo un tempo che le sembrò eterno, egli alzò gli occhi, intercettando il suo
sguardo. Quelle iridi tempestose erano risolute, nel pronunciare le parole
ch’ella aveva tanto temuto.
”Vieni qui..”
Hermione s’irrigidì, mentre d’un tratto il caldo della stanza diventava gelo
incandescente, la stessa ardente scintilla che danzava nell’espressione di
Malfoy.
Scosse la testa, rimanendo ferma sulle sue posizioni, a poco meno di tre metri
dal giovane.
Questo sogghignò, alzandosi.
”No..?”
Senza avere il tempo di accorgersene, ella si trovò le mani del Mangiamorte
attorno alla vita, in un stretta ferrea e leggermente irosa. Ricambiò
l’occhiata, le braccia ostinatamente lungo i fianchi.
”Mi sembrava di essere stato chiaro, Granger..” soffiò Malfoy, socchiudendo le
iridi grigie e avvicinando il volto al suo “Quale parte del nostro patto
non ti è chiara?”
La giovane esibì un’espressione di disprezzo sui delicati lineamenti.
La fierezza che non voleva abbandonare quegli occhi bui, il divampante rogo
dell’orgoglio bruciava perpetuo in lei.
”Il fatto che tu voglia macchiare il tuo purissimo sangue con il mio, Malfoy”
disse sostenuta.
Il biondo sogghignò, stringendosela addosso con fare possessivo. Posò le labbra
sulla pelle tiepida del collo, nell’incavo della spalla, appena coperta dalla
spallina di una sottoveste lacera.
Non c’era posto, nella residenza dell’Oscuro Sire, nemmeno per le vesti
bluastre degli Auror, arse con l’odio e dall’ odio dai Mangiamorte stessi.
La prese in braccio, irrequieto, poggiandola sulle bianche lenzuola del letto.
Ella rimase ferma, osservandolo mentre si sbottonava la camicia.
Pelle marmorea che poteva quasi gareggiare con la candida purezza della
stoffa, muscoli tonici appena accennati sotto il tessuto.
Egli si accomodò, davanti a lei, senza mai staccare lo sguardo dal suo. La prese
per i fianchi, sistemandosela in grembo, facendo scivolare le di lei gambe
attorno al suo bacino.
La bocca si arcuò appena mentre studiava le sue reazioni.
”Non ho mai detto di voler mischiare il mio sangue al tuo” sibilò dolcemente,
percependo la sua resistenza “Sarebbe un errore troppo grande per la mia
progenie..”
Uno sbaglio. Solamente un segno nocivo sulla reputazione. Come lo era, in
fondo, anche per lei.
”Sei un bastardo, te l’ha mai detto nessuno..?” sussurrò rabbiosa la
giovane, mentre Malfoy le prendeva, fermo, i polsi piagati dalle catene e se li
passava dietro la nuca, a cingergli il collo.
Tornò a posarle le mani sui fianchi, una stretta tuttavia leggera, quasi
diffidente; il sorrisetto di superiorità persisteva ancora.
”Mi spiace infrangere i tuoi sogni, Granger” la voce strascicata era carica
d’ironia “niente di personale..”
Labbra morbide sopra le sue, sigillo rovente di brama repressa negli anni,
adesso infinità incipiente, travolgente.
Ella tentò di sottrarsi, lottando con l’ultimo brandello di dignità che l’era
rimasta. Tuttavia…
Seta scabrosa tra le sue braccia, languida ed esperta carezza di labbra
sottili ma piene e ben disegnate.
Chiuse gli occhi, succube di quella strana debolezza che l’aveva pervasa non
appena Malfoy aveva cominciato a baciarla, con quella dolce rudezza, prendendo e
basta, senza affrontare il rischio che può comportare una richiesta.
Ricambiò timidamente e lo sentì sogghignare sulla sua bocca, mentre si piegava e
si stendeva sopra di lei, ancora aggrappata al suo collo, le palpebre serrate
sugli occhi, quasi temendo ch’egli se ne potesse andare.
”Tranquilla” sussurrò lui, sibillino, la bocca nei suoi capelli, mentre la mano
sinistra vagava rapida sulle spalline dell’abito, scostandole “Per adesso, non
vado da nessuna parte..”
Sospiri e sussurri, fremiti dei grilli nel buio giardino, mentre egli
s’annullava in lei, mutando l’impossibilità con un unico, tacito accordo.
Per quella notte, avrebbero entrambi fatto un’eccezione.
*
These eyes have had too much to drink again tonight
Black skies, we'll douse ourselves in high explosive light
My Chemical Romance, Burn Me in Black
Incedeva con passo
deciso per le vie di Notturn Alley.
Malfamato quartiere del peccato, roccaforte per eccellenza delle fazioni
appartenenti a Colui che Non Deve Essere Nominato.
Il largo cappuccio del mantello blu calcato sul capo, mano destra stretta alla
bacchetta nascosta nella tasca, mentre si guardava intorno circospetto.
Parecchi maghi si tenevano prudentemente alla larga, guardandolo passare con una
smorfia d’ira sul volto.
Timore e repulsione per ciò che esso rappresentava insieme al suo stemma
d’argento, ricamato sulla divisa. Pura fibra del suo orgoglioso essere.
Ronald Weasley bazzicava abbastanza spesso il sobborgo di Notturn Alley. Gli
Auror bisognavano di informatori e solo in periferia si potevano trovare notizie
affidabili.
Chi, per whisky o denaro, dimenticava la fedeltà giurata all’Oscuro Sire per
un’ora di fugace ebbrezza.
Era sicuro che, in quella calda notte d’agosto, avrebbe trovato il solo che
poteva rivelargli chi aveva partecipato alla retata di quella sera.
Strinse il pugno serrato attorno al legno, voltando bruscamente in un vicolo
secondario.
Ancora le sue urla a lacerargli l’anima.
Si bloccò d’innanzi alla porta di un pub, scrutando la scolorita insegna. Trasse
un respiro profondo, prima di entrare.
Caldo soffocante, risate ed euforia gratuita, perdizione che solo l’alcool
può donare.
Il silenzio che si era impossessato dell’aria, alla vista della sagoma ammantata
sulla soglia, venne soppiantato quasi subito da borbottii contrariati e sibili
malevoli, mormorati o affogati in un boccale.
Ron, incurante, studiò l’ambiente circostante, resistendo all’impulso di levarsi
il mantello.
Mai mostrare debolezza alcuna nel covo dell’avversario.
Individuò colui che cercava svaccato al bancone, riverso in avanti e intento a
borbottare *qualcosa* all’indirizzo del barista.
Zigzagò tra i tavolini traballanti, giungendo proprio alle spalle dell’uomo.
”Buonasera, Minus..” parlò, cercando di tenere un tono di voce neutra.
Soffici nubi ad occultare la tempesta incipiente.
Peter Minus sobbalzò bruscamente e con lui il bicchiere che stringeva nella mano
sinistra. Ron osservò, quasi affascinato, la birra scivolare dolcemente giù dal
mobile, gocciolando sullo sporco pavimento.
Liquido ambrato che avrebbe volentieri sorbito per dimenticare. Perché a
*lui* non era permesso mostrarsi debole, ma che, in questo momento, era l’unica
cosa che desiderava.
Senza accorgersene, si ritrovò a fissare un paio di occhi acquosi e trepidanti.
Un viscido sorriso accolse la sua espressione intransigente.
”Ron!” squittì l’uomo “Il mio…padroncino preferito”
Il giovane inarcò un sopracciglio, sedendosi sullo sgabello.
”Credevo che l’unico Padrone, per te, fosse Colui che Non Deve Essere Nominato”
Ancora non riusciva a pronunciare il nome di Voldemort.
Infantile timore saldamente radicato nella sua mente, in fondo quel ragazzo
fiero ed impulsivo non era cambiato poi così tanto.
Minus sorrise nervosamente, evitando lo sguardo celeste dell’Auror.
”Non ho scordato i dodici anni che passai con la tua famiglia..”
”Io preferirei tanto dimenticare, invece” ribattè, fissando il profilo aguzzo
dell’uomo “Ma non sono venuto qua per fare conversazione..”
Il Mangiamorte bevve un generoso sorso dal boccale, soffocando un singhiozzo.
Proruppe in una sciocca risatina, leccandosi la bianca schiuma della bevanda
dalle labbra.
”E cosa ti serve, dunque?”
”Un’informazione..”
”Un’informazione, dici…?” altra risatina, corredata dall’ennesimo singhiozzo
“Ammettilo, il tuo adorato Crosta sa esserti di grande aiuto” gongolò, finendo
il contenuto del bicchiere con una sorsata sola.
Ron si rabbuiò, astenendosi dall’esprimere commenti di sorta.
Ribrezzo al ricordo che uno dei Suoi servi aveva condiviso i momenti
di dodici, lunghi anni della vita della sua famiglia.
Estrasse dalla tasca interna del mantello color zaffiro un sacchetto
tintinnante, posandolo sul bancone, sotto gli sguardi ora attenti di tutto il
pub.
La mano d’argento di Codaliscia arraffò, con gesto rapace, il sacchetto di
galeoni, che sparì rapidamente nei recessi della scura veste. Poi, per la
seconda volta, fissò il ragazzo.
”Che vuoi sapere?”
”Chi ha organizzato l’agguato di questa notte agli Auror”
L’uomo sembrò disorientato dalla domanda.
”L’agguato..?”
”Si, quello dove i vostri hanno catturato metà della Quinta Divisione di Auror”
incalzò Ron, cominciando a perdere la calma che si era imposto.
Solamente lui e pochi altri erano scampati, mentre Harry si era recato con altri
a controllare un’altra zona.
Come avevano potuto non accorgersi della trappola…?
Minus scosse la testa.
”Non sapevo che ci fosse in programma un’imboscata, spiacente” rispose, l’ansia
facilmente percepibile nel tono della voce sottile. Fece per alzarsi, ma la mano
di Ron lo trattenne fermamente per la spalla, inducendolo a restare seduto.
”Ti conviene parlare, se non vuoi fare una visitina al Quartier Generale..”
soffiò, con voce minacciosa, l’Auror, la parvenza di autocontrollo sembrava
sparita completamente.
Come l’altero Leone della sua vecchia casa, in procinto di balzar sulla preda
e consumare la rabbia e l’impotenza che lo avvelenavano.
Fischi d’incitamento e di scherno dagli uomini nella taverna, ché tutti amavano
mettere alla gogna uno dei servi di Voldemort.
Egoismo e ipocrisia, morbo ormai diffuso tra la popolazione magica. Testa e
sguardo bassi.
Peter trasse un sospiro tremulo, riaccomodandosi sullo sgabello.
”Forse…qualcosa ti so dire” cominciò in tono sommesso, facendo drizzare le
orecchie al giovane “Però non è nulla di certo…”
Ronald annuì, una labile scintilla di speranza nelle iridi azzurre.
Codaliscia intrecciò le mani, carezzandosi frenetico la destra ed evitando lo
sguardo indagatore dell’auror.
Mano d’argento, dono del Suo Signore per la folle fedeltà con la quale
l’aveva servito.
”Ho sentito che il Signore Oscuro ne parlava con alcuni la notte scorsa..”
sussurrò, cercando di non farsi udire da orecchie indiscrete “Diceva qualcosa
riguardo ad un cimitero”
”Quello ad ovest della London Tower” finì il ragazzo per lui, incalzando “E
dunque?”
”Beh..” l’uomo sembrò prendere tempo “Non ho capito bene, ma sembrava che
volesse organizzare una Cerimonia per investire nuovi Mangiamorte..”
”Cerimonia?”
”…ma che gli Auror, in qualche modo, ne fossero già venuti a conoscenza”
continuò Minus, ignorando l’interruzione “E così, ha detto che poteva sfruttare
la cosa”
Ron rifletté attentamente sulla parole del Mangiamorte, rivivendo nella sua
mente ogni momento di quella dannata trappola.
Coraggio e determinazione nei *suoi* occhi scuri, mentre la guardava, chi è
pronto a vendere cara la pelle.
Un pugno si contrasse involontariamente sul bancone.
Urla, urla ancora il mio nome, questa volta ti prometto non invano.
Digrignò i denti, ignorando il nervosismo dell’uomo seduto al suo fianco.
Hermione…
”Chi ha partecipato?”
”Non…”
”Parla!” intimò, cupa determinazione nella voce arrochita.
Codaliscia scosse la testa, frenetico.
”Giuro che non lo so, Weasley, sono stati decisi questa notte e io…”
”E tu eri già uscito a sbatterti via con qualche puttana in un bar, vero?”
ringhiò Ron, alzandosi di botto e fissandolo con disgusto.
L’uomo rifuggì la sua occhiata, troppo intimorito per mostrarsi sdegnato alle
sue parole.
Che tanto menzognere, in fondo, non erano.
L’Auror sospirò, il cappuccio era sempre calcato saldamente sulla folta criniera
rossa.
”Se questo è tutto quello che hai da dirmi, il nostro è stato un discorso
inutile” mormorò, voltandogli e le spalle e avviandosi alla porta del locale.
Spalancò la porta e se la sbatté, subito dopo, alle spalle, tornando a respirare
la calda aria della notte.
Rade stelle in quella nottata senza luna.
E mentre si allontanava da Notturn Alley, Ronald Weasley aveva una sola, nuova e
brutale certezza.
Che la strada per arrivare a lei dava su un buio vicolo cieco.
…To be continued…
*
Rieccoci qua, carissime!
Ebbene sì, l'ispirazione per questo capitolo è arrivata come un fiume in piena..
Indi, perchè non accontentarla?
Bene, passiamo ai ringraziamenti ^^
Dolceamara: grazie mille, troppo gentile :D Io metto impegno in ogni
cosa, forse anche troppo.. Sono contenta ti sia piaciuto e vedrai, la trama si
delineerà presto u.u Anche se ho in mente più degli Episodi per questa
fanfiction, voglio provare un'impostazione nuova.. Vediamo, per il momento
parete gradire ^^ Besos ^.-
White_Tifa: ehilà, che piacere vederti anche da queste parti xD! Visto,
ho aggiornato anche "Filo Rosso", ero in vena... :P Contenuti profondi,
beh.. Credo che in fanfic seria siano necessarie le giuste sfaccettature
psicologiche, indi mi adeguo ^^ E grazie mille *__* Bye ^*^
Joey_Ms_86: ma grazie anche a te xD! Aggiornato, visto ^^? Sayounara!
Merryluna: eheh.. Direi che si è capito cosa aveva in mente ^.^ E grazie
per essere passata xD!
Cobwy23: Oh, ma ghassie cara *__* Mi lusinga sapere che il nome stesso
sia una garanzia, addirittura ^//^? Così arrossisco e comincio a montarmi la
testa.. u.u Dunque! Intensa, ottima definizione. Anche mentre la scrivo, mi
sento inebriata dalle situazioni, come un tuffo in un qualcosa di denso.. Credo
sia piuttosto angst, anche se cerco di controllarmi ò.ò E anch'io adoro i
My Chemical Romance, miei tesssori *_* Spero di non aver deluso le aspettative
:P Baci ^.-
Erin: riecco anche te, che piacere xD! Visto, ce l'ho fatta u_u;
*esultanza generale* Au Revoir, grazie ancora ^^