Just
a beautiful mistake.
Avevo sempre
odiato l’attesa, era snervante, ma più di ogni altra cosa non riuscivo a
sopportare i tempi morti.
Non mi
riferivo a quei momenti in cui non si faceva nulla, no, quelli mi piacevano ed
anche tanto.
Mi riferivo
a quei periodi, giorni, settimane, delle volte addirittura mesi, in cui si
sopravviveva, piuttosto che vivere.
C’era una
sostanziale differenza tra quei due verbi. Io volevo vivere, ma continuavo a
sopravvivere ed era sopravvivendo che era giunto anche il mese di giugno.
Avevo
ultimato la tesina, ormai era pronta. L’avevo riletta tante di quelle volte da
averla quasi imparata a memoria. Avrei dovuto solo stamparla, ma a quello ci
avrebbe pensato papà, come d’accordi precedentemente presi.
Per quanto
riguardava lo spiacevole incidente che si era verificato a casa di Ludovica
qualche giorno prima, avevo deciso di metterci una pietra sopra e depositarlo
tra i ricordi in una piccola, piccolissima parte del mio cervello.
Ero giunta
alla ovvia conclusione che non era per Harry che avevo pianto. No, non ero
contraddittoria, solo preferivo convincermi che le cose fossero esattamente
come dicevo io.
Sapevo
perché avevo pianto, lo sapevo bene e non lo avrei mai potuto dimenticare, ma
avevo tirato in gioco altri fattori, altre motivazioni, tante scuse.
Alla fine mi
ero convinta che era stata soltanto la goccia che aveva fatto traboccare il
vaso. Ero stressata, ero piena di impegni, non avevo ancora completato il
percorso per l’esame, non fino a quel giorno, non avevo sentito Massi per tutta
la giornata e mi sentivo oppressa.
Piuttosto credibile, vero?
La prima
domenica del mese il mio ragazzo mi aveva portato finalmente a casa sua e mi
aveva presentato i suoi amici: Fabrizio e Andrea, due ventiduenni piuttosto
simpatici ed affabili, nonostante il primo fosse fissato per la pulizia,
l’ordine ed i germi.
In realtà,
cosa ben più importante, Massi non mi aveva semplicemente portata nel suo
appartamento e probabilmente se non ci fossero stati i suoi amici non ci
saremmo fermati a qualche bacio appassionato sul divano del salotto.
Lui mi aveva
dato una copia delle chiavi del suo appartamento quel giorno.
“Usale quando e come ti pare, anche se in
casa non dovessi esserci io! Diciamo che puoi considerare questo
appartamento…”, si era fermato per un attimo guardandosi intorno, ma il suo
sguardo era inevitabilmente caduto sui suoi due coinquilini intenti ad
imprecare mentre giocavano ad uno stupido gioco a quella che intuii essere la
playstation.
Massi era tornato a fissarmi, mettendo su
un’espressione imbarazzata e desolata al contempo, come se volesse scusarsi per
il comportamento dei suoi amici.
Io avevo accennato ad un sorriso scrollando
poi la testa, per fargli capire che dei suoi amici non mi interessava
minimamente.
“Va bene, diciamo allora che puoi
considerare la mia camera come un nascondiglio, un posto in cui rifugiarti
quando hai bisogno di rilassarti.”, aveva concluso allora, sorridendomi mentre
mi accarezzava una guancia con i polpastrelli delle dita.
Mi ero avvicinata a lui, guardandolo
estasiata, poi lo avevo baciato con dolcezza, per trasmettergli tutto quello
che sentivo in quel momento.
Gratitudine, affetto, complicità, gioia,
comprensione, protezione e forse… amore.
“E poi sappi che…”, aveva ripreso a dire
quando le nostre labbra si staccarono per riprendere fiato.
Eravamo ancora molto vicini, tanto che
potevo sentire il suo fiato cadere delicato sulla mia pelle stuzzicandola,
solleticandola.
Aveva abbassato lo sguardo per un secondo,
indugiando sulle parole, con fare imbarazzato, forse anche un po’ timido.
Avevo sorriso a quella sua reazione così
genuina ed ingenua.
Lui aveva puntato nuovamente i suoi occhi
nei miei, avvicinandosi fino a poggiare la sua fronte sulla mia, facendo
sfiorare i nostri nasi.
“Sì, insomma, troverai anche me sempre
pronto a coccolarti.”, aveva concluso scrutando il mio viso come per volerne
cogliere la reazione a quelle sue parole.
Era dolce e forse potevo iniziare a farmelo
andare bene.
Mi mordicchiai il labbro inferiore,
sorridendo, mentre immaginai la faccia da ebete che si era dipinta sul mio
viso.
“Allora verrò spesso.”, sussurrai sulle sue
labbra, prima di appropriarmene.
Non era un bacio casto quello, affatto.
Le nostre lingue si intrecciavano, si
rincorrevano senza sosta, mentre le nostre mani si cercavano.
Me ne strinse una all’altezza del suo petto,
mentre con l’altra mi accarezzava la schiena dolce e passionale allo stesso
tempo.
La mia mano invece, quella ancora libera,
andò veloce a circondargli il collo, sfiorando la base di esso con movimenti
lenti e delicati.
Lo sentii muoversi mentre si posizionava
meglio sul divano, mentre il suo corpo si avvicinava al mio, spingendomi con la
schiena sulla morbida superficie del divano.
In pochi attimi fu sopra di me, mentre mi
baciava con foga, esplorando con le mani il mio corpo.
“Ehi piccioncini, almeno potreste chiudervi
in camera, no?!”
Dopo quella volta
non ero stata più a casa di Massi, non ne avevo avuto la possibilità visto che
nell’ultima settimana ero stata troppo impegnata.
Mi ero però
ripromessa che, messo da parte l’imbarazzo, ci sarei ritornata appena mi fosse
stato possibile, magari per fargli una sorpresa.
Così i
cappotti, i maglioni di lana, le sciarpe, i guanti ed i cappelli avevano
lasciato il posto alle magliette di cotone ed i pantaloncini. Ormai l’estate
era alle porte, rimaneva solo un ultimo ostacolo da superare, l’ultima barriera
da abbattere.
Rossella si
stava occupando del viaggio che avevamo deciso di fare a luglio, senza però
dirci nulla a riguardo, né a me, né tantomeno a Ludovica. Diceva che noi
dovevamo solo pensare a studiare e che quello era il minimo che lei potesse
fare per ripagarci di tutto il disturbo che ci stava arrecando, chiedendoci
aiuto in continuazione.
Per di più
si era fissata con l’idea che avrebbe voluto farci una sorpresa, assicurandoci
che l’avremmo gradita.
All’inizio
avevo provato a convincerla del fatto che stesse esagerando, offrendole il mio
aiuto, ma poi Ludovica mi aveva suggerito di lasciarla fare, cosicché potesse
sfogare in quel modo la sua irrefrenabile vivacità e alla fine le avevo
lasciato carta bianca, arrendendomi alla sua volontà.
Uscii velocemente
di casa quando costatai di essere già in ritardo. Dovevo incontrarmi con le mie
amiche quel pomeriggio in un posto in cui non ero mai stata. Si trattava di un locale,
non avevo ben capito di che genere, poco distante da casa mia, in una zona decisamente
poco trafficata.
Rossella
aveva detto che una ragazza in palestra ne aveva parlato benissimo, così si era
fatta dare l’indirizzo per poi andarci personalmente.
Non avevo
fatto ulteriori domande alla rossa, accondiscendendo alla sua voglia di scoprire
posti nuovi, del resto, per quanto Roma fosse grande, noi frequentavamo sempre
i soliti.
Salutai mio
padre, avvertendolo che sarei tornata per cena, poi mi avviai per strada.
Subito sentii
i raggi del sole scaldarmi la pelle, mi piaceva quella sensazione.
Ormai le
giornate si facevano sempre più lunghe e soleggiate e la pioggia di
quell’inverno sembrava essere solo un lontano ricordo.
Mi
incamminai a passo svelto, intenzionata a recuperare qualche minuto, poi presi
i mezzi pubblici.
Quando scesi
alla fermata che Ross mi aveva indicato, mi guardai bene intorno, per cercare
di individuare il posto che mi aveva accuratamente descritto in precedenza.
Inutile dire
che non fu propriamente facile trovarlo. Percorsi lo stesso pezzo di strada per
ben quattro volte prima di notare una scritta lampeggiante in uno dei vicoli
sulla destra.
Mi fermai di
scatto, arricciando la fronte per la confusione.
Da quando sceglieva posti tanto nascosti?
Scrollai le
spalle, cacciando via quel pensiero dalla testa e mi introdussi nella stradina.
Era piccola
ed i raggi del sole stentavano ad illuminarla a causa della presenza di alti
palazzi su ambedue i lati.
Feci solo
qualche passo prima di giungere davanti alla porta d’ingresso del locale.
Sembrava una
semplice e comunissima caffetteria, solo arredata meglio.
Entrai e con
lo sguardo cercai le mie amiche tra i vari tavolini, senza però trovarle.
“Cerca
qualcuno?”, mi chiese una donna oltrepassando il bancone per venirmi incontro.
Era
piuttosto anziana, aveva i capelli grigi e gli occhi azzurri. Non era grassa,
ma ben piazzata, ed aveva un ampio e caldo sorriso sulle sottili labbra.
Annuii e lei
si fece ancora più vicino.
“Due mie
amiche.”, spiegai.
Il suo
sorriso si aprì ancora di più, mentre anche i suoi occhi sembravano brillare di
una strana luce.
“Forse ho
sbagliato il posto.”, borbottai facendo spallucce, quasi imbarazzata da quella
strana situazione.
Feci per
girarmi, ma lei mi bloccò afferrandomi con delicatezza per il gomito.
“Non
credo.”, controbatté lei con voce calma e rassicurante.
“Per caso la
tua amica è rossa?”, mi chiesi a mo’di conferma.
Io annuii,
sorpresa com’ero avevo talmente tante domande da farle che non riuscii ad
esternarne neppure una.
“E l’altra è
bionda?”, continuò allora l’anziana donna.
Annuii
ancora, guardandola con fare circospetto.
Non mi
rassicurava affatto sapere che un’estranea fosse a conoscenza di tutti quei
dettagli.
“Sono nella
saletta al piano superiore, però devi passare di qua.”, mi comunicò facendo
cenno con una mano alle scalette che s’intravedevano al di là dell’arco che si
ergeva dietro il bancone e che, probabilmente, dava accesso ad un’aria privata.
E se voleva ammazzarmi e poi chiudermi nella
cella frigorifera?
Accennai ad
un sorriso, ma venni scossa da un leggero brivido di paura.
“Vai, ti
stanno aspettando!”, m’incalzò la donna, continuando a sorridere.
Annuii
ancora, facendomi coraggio.
Sì, ero
davvero una stupida a temere di una signora anziana, ma non potevo certo sapere
chi ci fosse al piano di sopra! I telegiornali parlavano chiaro: i tempi erano
cambiati e bisognava diffidare di tutti.
Bene, ero una fifona paranoica!
Mi feci
coraggio e mi diressi dietro al bancone, oltrepassai l’arco e iniziai a salire
le scale che si snodavano sulla sinistra.
Già dalla
prima rampa si sentiva il parlottare sconnesso di Rossella, unito ad altre
risate che non riconobbi.
La voce
della mia amica mi giunse all’orecchio come un’ancora di salvezza, come un
salvagente per un uomo caduto in mare durante la tempesta.
Non sarei morta, non quel pomeriggio perlomeno!
Feci gli scalini a due a due, ansiosa di vedere il volto della mia
amica sorridermi per poi rimproverarmi a causa del ritardo.
Non ero mai stata così felice di sentire la sua voce stridula
borbottare infastidita che il rispetto degli orari era fondamentale, che la
prossima volta se ne sarebbe andata, che ero un caso cronico e via dicendo.
Il piano superiore era arredato in maniera deliziosa, con tonalità
chiare che mettevano maggiormente in risalto la luce che entrava dall’ampia
vetrata.
Seguii le voci delle mie amiche, giungendo ad un’area più appartata, e
fu allora che li, lo, vidi.
M’immobilizzai all’istante, ferma a qualche passo dal tavolino intorno
al quale erano seduti su bassi e apparentemente comodi divanetti.
“Finalmente sei arrivata!”, esclamò Rossella, alzandosi per venirmi
incontro.
“Quasi pensavamo non venissi più!”, aggiunge dandomi un bacio sulla
guancia.
“Dai, vieni, siediti!”, disse poi prendendomi per mano e trascinandomi
con lei.
Rimasi in silenzio per tutti quei pochi secondi che a me parvero
millenni.
Mi misi seduta all’estremità di un divanetto, accanto a Ludovica.
Tenevo lo sguardo fisso sul legno smaltato di bianco del tavolino,
senza avere il coraggio di alzarlo, consapevole che avrei potuto incontrare il suo.
“Ti ricordi di loro?”, mi chiese allora Ludovica, prendendomi una mano
per incrociarla con la sua.
Alzai la testa, consapevole che comunque l’avrei dovuto affrontare, ed
annuii convinta sorridendo.
“Ho persino imparato i vostri nomi!”, dissi allora scherzando in
italiano e solo allora mi resi conto che per tutto il tempo, anche quando avevo
sentito la voce di Rossella dalle scale, non avevano fatto altro che parlare la
nostra lingua.
“E noi abbiamo imparato l’italiano!”, affermò quello con gli occhi
azzurri che ricordai essere Louis, sorridendo di rimando.
“Ma che bravi! Ed io che dubitavo delle vostre capacità
intellettive!”, ironizzai ancora, prendendoli in giro.
Loro sorrisero.
Dovevo farmi coraggio, dovevo
apparire… serena.
“Piuttosto, cosa ci fate qui?”, chiesi allora rivolgendomi ai cinque
ragazzi.
Non appena terminai di pronunciare quelle parole vidi Niall, Zayn,
Liam e Louis voltarsi con un’espressione confusa e disorientata verso… verso
Harry.
“Hazza, ma non le hai detto nulla? Avevi detto che ci avresti parlato
tu!”, esclamò allora Niall con voce sorpresa e frastornata, ma ricevette subito
una leggere gomitata da Liam che gli sedeva accanto.
Harry non rispose, non disse nulla. Teneva gli occhi fissi sul
bicchiere che stringeva tra le mani.
Abbassai il capo repentinamente, stringendo con forza la mano di
Ludovica, ancora incatenata alla mia.
“Bene, allora te lo dico io!”, annunciò allora Louis, cercando di
ammortizzare la tensione che si era appena creata.
“Dobbiamo girare il nuovo video della canzone promozionale dell’album
che uscirà quest’estate ed abbiamo scelto Roma come location.”, chiarì lui
allora.
“Siamo venuti qui anche il mese scorso per fare un sopralluogo sui
posti designati per il video.”, continuò Liam mentre sorseggiava quello che dal
colore dedussi essere the.
“E non riuscite proprio a starci lontane?”, li provocai con
un’espressione scettica disegnata sul viso.
Per quale cazzo di motivo
dovevamo incontraci ogni volta?
“Ma veramente è per Zayn che siamo qui! Dice che voleva rivedere
Ella!”, confessò Niall facendomi un complice occhiolino.
Io e Ludovica scoppiammo a ridere, mentre Rossella, la nostra cara
Ella, rimase in silenzio, imbambolata e forse anche imbarazzata.
“Niall!”, lo rimproverò allora Zayn dandogli uno scappellotto dietro
la nuca, prima di abbassare il capo in segno di evidente disagio.
“Ma perché ogni volta che dico qualcosa mi picchiate sempre tutti?”,
si lamentò allora il biondino massaggiandosi il punto indolenzito.
Sorrisi ancora, godendomi la scenetta, e mettendo da parte, almeno per
un attimo, il fatto che ci fosse anche lui.
“Perché tu non ti rendi conto di quello che dici! Ci fai sempre fare
figure di merda!”, sbottò allora Louis.
“Zayn, ora che l’hai rivista possiamo andarcene?”, domandò allora lui con voce seccata, posando sul
tavolino il bicchiere ormai vuoto che prima doveva contenere qualcosa simile,
almeno per il colore, a succo d’arancia rossa.
Sentirgli pronunciare quelle parole fu per me un profondo e duro colpo
al cuore.
D’istinto spostai gli occhi, sgranati e dilatati, su di lui.
Non aveva un’espressione rilassata, né tantomeno accennava ad un
sorriso, probabilmente si stava annoiando.
Teneva il gomito del braccio sinistro appoggiato sulla spalliera del
divanetto, mentre quello destro gli cadeva morbido un fianco. La gamba destra,
invece, era piegata in modo tale che la caviglia poggiasse sul ginocchio
sinistro.
Indossava una semplice maglietta grigia e dei jeans chiari, il polso
era ricoperto di tanti piccoli e sottili bracciali.
Fu allora che notai per la prima volta il suo tatuaggio, posto sulla
parte inferiore del braccio: una stella a cinque punte sotto alla qualche si
snodava una frase che non riuscii a leggere.
“Andiamo Hazza!”, lo rimproverò
Liam. “Non fare l’antipatico!”, aggiunse storcendo il labbro.
Harry non rispose, gli rivolse solo un’occhiata di sufficienza.
“Lo è, che è diverso da lo fa.”, borbottai sovrappensiero senza
neppure rendermi conto che avevo pronunciato quelle parole ad alta voce.
Mi immobilizzai del tutto appena realizzai ciò che avevo appena fatto,
o meglio detto.
Di scatto tutti gli occhi si puntarono su di me, compresi i suoi verdi
e stranamente inespressivi.
“A quanto pare non sono l’unico poco socievole.”, costatò lui con un
sorriso beffardo mentre mi sfidava con lo sguardo.
Stava forse cercando di
provocarmi?
Serrai le labbra e strinsi forte i denti, presa da un incontrollabile
moto di rabbia.
“Se non ti piace la nostra compagnia puoi anche andartene.”, quasi
sibilai non interrompendo il nostro contatto visivo.
Percepivo l’atmosfera farsi chiaramente più tesa. Gli altri rimanevano
in silenzio, probabilmente non sapendo cosa sarebbe stato giusto fare.
“A me piace la loro compagnia, è la tua che non sopporto.”, replicò
allora lui sottolineando prima il loro
e poi il tua.
Per quanto possibile sgranai ancora di più gli occhi, mentre sentivo
la rabbia montarmi nelle vene.
“Questi sono i tuoi amici, li vedi sempre. Ripeto, nessuno ti obbliga
a restare.”, decretai fingendo un tono di voce calmo e risoluto, ma in realtà
l’avrei voluto volentieri prendere a schiaffi.
Lui tirò su l’angolo sinistro delle labbra, disegnando un sorriso
molto più simile ad un ghigno, e sulle sue guance si scavarono due piccole
fossette.
“Hai ragione, non dovrei perdere tempo con certa gente e con il certe
non mi riferisco a Ludo o Ella.”, dichiarò modulando la voce decisamente meglio
di quanto avessi fatto io.
“Sei solo un ragazzino viziato e presuntuoso!”, lo accusai alzando il
tono di voce, evitando comunque di urlare.
“Tu invece non sei nulla.”, rispose lui come se fosse la cosa più
ovvia del mondo.
Nella sua voce non c’era alcun cenno a rabbia, irritazione, nervoso,
collera o rancore di cui invece era stracolmo il mio.
Non c’era nulla, esattamente come io non ero nulla.
Annuii a ritmo lento, quasi come se mi servisse del tempo per
assimilare le sue parole.
“Devo andare.”, dissi in un sussurro alzandomi di scatto dal divano.
“Scusate, ma devo andare.”, ripetei lanciando una veloce occhiata alle
mie amiche.
Loro mi guardavano dispiaciute, desolate, ma non dissero o fecero
nulla per fermarmi e di questo ne fui grata.
Neanche gli altri dissero nulla. Niall piegò le labbra all’ingiù, in
una chiara espressione di tristezza, mentre Liam annuì comprensivo. Zayn fece
spallucce, come per dirmi che non potevano farci nulla se avevano un amico
tanto coglione. Louis, invece, accennò ad un lieve, piccolissimo, sorriso di
scuse.
Lui non lo guardai neppure.
“Ciao a tutti.”, salutai prima di andare via.
Sì, Harry Styles era stato solo
un incidente di percorso, una sbandata.
Un errore, meraviglioso, ma pur
sempre sbagliato.
Angolo Autrice
Ed ecco il nuovo capitolo!
Quasi mi stupisco io stessa di quanto spesso stia riuscendo a pubblicare!
Comunque, credo che questo capitolo parli da solo...
Insomma, la prima parte costituisce una sorta di riavvicinamento a Massi,
in virtù anche del fatto che lui comunque si sia dato da fare a Londra,
mentre lei era a leggere degli stupidi articoletti di giornale su internet.
La seconda parte, invece...
Harry è tornato, carissime!*.*
Sì, lo so, ha fatto lo stronzo, ma non ammazzatemi, vi prego!
Insomma, lui è ancora profondamente ferito!
Juls ci è rimasta male, però io sono convinta che se lo meritasse!ù.ù
Cioè, qui nessuno pensa al mio caro e dolce Hazza???
Del prossimo capitolo non vi anticipo assolutamente nulla,
però voglio darvi due infomazioni piccole piccole!;)
Per prima cosa, vi annuncio che mancano dieci capitoli alla fine!*.*
Quindi sappiate che questa tortura avrà presto fine!;)
Seconda cosa, nell'ultima parte
(ora non preciso da quale a quele capitolo, altrimenti direi troppo)
ho concentrato tutta la dolcezza che è mancata fino ad ora...
Certo, non aspettatevi le carie,
non credo neppure di essere capace di scrivere cose etremamente romantiche,
però ci saranno dei momenti particolarmente dolci!;)
Bene, detto tutto anche oggi!
Anzi, devo ancora fare la cosa più importante:
ringraziare voi tuttte!<3
Grazie a chi inserisce a storia tra preferite, ricordate e seguite,
grazie a chi legge
e grazie immensamente alle persone che lasciano dei commenti!
Grazie di cuore!<3
Ok, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo!;)
Ah, ma ieri sere li avete visti ad X Factor?*.*
Io ho lottato con tuttte le mie forze contro la volontà dei miei amici,
ma alla fine ce l'ho fatta!:D
Hanno cantato Live While We'Young!!*.*
E poi ieri l'avevte visto il video di Harry di Little Things???<3
Cioè, io l'avrò messo in ripetizione almeno una ventina di volte!xD
Oggi esce il video ufficiale!*.*
Non vedo l'ora di vederlo!!!:D
Ora scappo a fare matematica, purtroppo!-.-"
Alla prossima!:*
Astrea_