Every piece of your heart
Loved to see me breaking.
Negli ultimi
quattro giorni ero stata particolarmente suscettibile e, soprattutto,
distratta.
Finivo
sempre con la testa tra le nuvole, rimuginavo tra i pensieri, riflettevo sul
presente e sul passato, ma mai sul futuro, non mi concentravo su quello che
facevo e lasciavo tutto ancora più in disordine del solito, il che era
piuttosto grave se si considerava che, dopo essere stata riordinata, la mia
camera sembrava essere lo scenario dello scoppio di una qualche bomba.
Insomma,
l’incontro con gli One Direction mi aveva condizionata molto più del dovuto ed
ammetterlo tanto liberamente, anche se solo nella mia testa, mi constava un
incredibile sforzo.
Rossella e
Ludovica si erano scusate per tutto il giorno successivo per l’imprevisto che
si era verificato, ma io avevo detto loro che non aveva alcuna importanza, al
contrario avevo finalmente trovato una valida scusa per non doverli incontrare
più.
Anche con
Massi non andava propriamente bene ed era per quello che avevo deciso di usare
finalmente la chiave che mi aveva consegnato per fargli una sorpresa.
Sapevo che
non era in casa, me lo aveva detto appena cinque minuti prima per messaggio, ma
suonai lo stesso, convinta che in casa ci fossero sia Fabrizio che l’altro
ragazzo di cui non ricordavo il nome.
Al terzo
squillo, non essendo ancora venuto nessuno ad aprirmi, capii che in realtà
erano fuori anche loro.
Estrassi la
chiave dalla borsa e la infilai nella toppa della serratura, poi la girai.
Fece uno
scatto, poi si aprì. La spinsi di poco, il necessario per poter passare e la
richiusi. Quasi mi sentivo un ladro mentre percorrevo il corto corridoio di
quella casa.
Diamine, era la casa del mio ragazzo! Non
potevo sentirmi un’estranea!
Feci un
veloce giro di tutte le stanze, appurando che non vi fosse nessuno, poi mi
lasciai cadere sul divano del salotto.
Ispirai
forte l’aria, come se quel gesto potesse farmi entrare in confidenza con quelle
mura che mi mettevano tanto a disagio, poi con lo sguardo passai ad osservare
l’arredamento.
Non aveva
uno stile proprio. Riconoscevo il gusto di Massi tra i vari soprammobili, ma
era come se fosse sopraffatto da altro. Tutto in quella casa era la chiara
espressione dell’anonimato.
Scossi la
testa, del resto non poteva che essere così.
Quello era
comunque l’appartamento di un gruppetto di universitari che preferiva mettere
da parte i soldi, piuttosto che spenderli per arredare una casa che di lì a
qualche anno non sarebbe stata nemmeno più loro.
A ciò si
aggiungeva il fatto che fossero in tre, che avessero gusti ed esigenze diverse,
personalità contrastanti e che fossero maschi.
Sospirai,
poi decisi di spostarmi in camera di Massimiliano, sperando di trovare almeno
in quella stanza qualcosa che mi desse lontanamente l’idea di casa.
E fu proprio
quando aprii la porta della sua camera che un sorriso si disegnò sulle mie
labbra: sì, qualcosa di familiare c’era.
La sua
camera, che per l’arredamento restava comunque la chiara espressione
dell’anonimato, era disordinata quasi quanto la mia.
Non era
esattamente per quello che avrei voluto sentirla più sua, mia, nostra, ma non
avendo trovato altro mi accontentai.
Una pila di
vestiti era accatastata sulle due sedie della scrivania, mentre quest’ultima
era ricoperta di fogli, libri aperti e tazze vuote che intuii dovessero essere
di caffè, perché lui, come me, ne beveva davvero tanto, soprattutto quando
doveva studiare ed avrebbe voluto dormire.
Il letto,
invece, era sormontato da due valigette di pelle, di quelle che usavano gli
uomini d’affari per darsi delle arie, entrambe aperte, dai quali fuoriuscivano delle
fotocopie rilegate e ben tenute.
Sul
comodino a prima vista riuscii a distinguere soltanto il portafogli,
il caricabatteria, la custodia degli occhiali da sole, l’orologio da polso e un
bracciale d’argento che non avevo mai visto prima, sotto al quale intravidi un
pacchetto di fazzoletti.
Sì, quella
stanza esigeva una bella ripulita.
Senza
riflettere iniziai a riordinare il letto, che mi sembrava l’unico ad essere
ancora in condizioni dignitose, poi passai al comodino ed al resto della
stanza.
Quando
realizzai quello che stavo facendo mi sentii quasi in imbarazzo, tanto che per
un attimo pensai di rimettere tutto in disordine come prima.
Sì, insomma,
sembravo quasi una casalinga disperata sulla soglia dei quaranta.
Scossi il
capo, cercando di far scivolare via quell’assurdo pensiero, e mi dedicai alla
scrivania.
C’erano tanti,
tanti, troppi fogli. Alcuni erano scritti con una grafia ordinata, chiara e
precisa, altri invece erano molto più simili a degli scarabocchi, quindi
dedussi si trattasse di carta straccia.
Li divisi in
due gruppi, quelli da gettare e quelli da lasciare, ordinati in una pila, sul
tavolo di legno.
Ne riempii
una busta intera, tanto che il cestino ne era ricolmo fino all’orlo, così
decisi di passarli con il trita documenti che si trovava sul secondo ripiano
dello scaffale del salotto, cosicché tutti potessero utilizzarlo.
Quando
terminai mi sentii soddisfatta del lavoro che avevo svolto ma si trattò di una
sensazione che durò solo pochi attimi.
D’un tratto,
come un fulmine a ciel sereno, mi accorsi che anche l’unico legame che si era
stabilito con quella casa, era andato in frantumi, ridotto in mille pezzi come
la carta straccia.
O meglio,
ero stata io a distruggerlo.
Mi guardai
intorno e ne ebbi la totale conferma: in quel momento non c’era più nulla che
mi facesse percepire la sensazione di essere nel posto giusto, di essere
accolta, di essere protetta.
Era
esattamente come trovarsi per la prima volta a casa di qualcuno che non
conoscessi.
Lo scatto
della serratura mi fece destare dai miei pensieri: Massi doveva essere
rientrato.
Rimasi in
silenzio, seduta sul suo letto, aspettando che arrivasse per poi saltargli
addosso.
“Fabri,
Andrè ci siete?”, chiese lui chissà da quale stanza.
Andrea, ecco come si chiamava l’altro!
Sentii i
suoi passi farsi sempre più vicini, fino a quando non spalancò la porta socchiusa
della sua camera.
“Sorpresa!”,
esclamai alzandomi per andargli incontro.
Lui sgranò gli
occhi non appena mi vide, poi un sorriso a trentadue denti si aprì sulle sue
labbra.
“Hai detto
che potevo usarle quando e come mi pare ed io ho seguito il consiglio!”,
dichiarai con tono malizioso, un attimo prima di baciarlo.
Lui ricambiò
il bacio, poi mi abbracciò forte, stringendo il mio corpo al suo.
“Hai anche
messo in ordine?”, mi chiese tra un bacio e l’altro.
Annuii
soltanto, troppo presa com’ero dalle sue labbra, mentre con una mano giocai con
i suoi capelli che per un attimo, un solo fottutissimo attimo, mi parvero
troppo corti, ordinati e chiari.
Lui sorrise,
riavvicinando ancora la mia bocca alla sua.
“Sei una
donna da sposare, insomma.”, scherzò mentre mi avvicinava al letto, fino a
quando non finii per sbatterci le ginocchia.
Il bacio non
era più semplicemente di ringraziamento. Percepivo il desiderio, l’eccitazione,
la passione ed in casa non c’era nessuno.
Merda.
Si staccò
per un attimo dalle mie labbra, fissandomi negli occhi.
I suoi erano
particolarmente languidi e pieni di lussuria.
Mi sorrise
con fare rassicurante, poi poggiò le sue mani sulle mie spalle, invitandomi a
stendere.
In un attimo
la mia schiena fu a contatto con il copriletto, mentre Massi era sopra di me,
intendo a lasciarmi una scia di baci che andava dalle labbra alla clavicola,
per poi continuare seguendo lo scollo a v della mia camicetta.
Merda.
Poco dopo
tornò sulle mie labbra, per baciarmi, con una mano mi accarezzò la guancia con
movimenti lenti e circolari, mentre l’altra era sul mio fianco, mentre cercava
di farsi spazio tra la mia pelle e la stoffa.
Fremetti per
quel contatto.
Ero pronta? Ero pronta a fare sesso con
Massimiliano?
Sì, mi
imposi di rispondere a quella tacita domanda che attanagliava la mia testa.
E allora perché continuavo a chiedermelo
piuttosto che farlo? Perché avevo usato la parola sesso e non amore?
Dovevo
trovare un modo per temporeggiare, altrimenti di quel passo avrei finito per
bloccarlo.
Mi serviva solo
un po’ di tempo per assimilare cosa stava succedendo.
Io volevo,
ma…
Se davvero volevo non sarebbero dovuti
esserci ma.
Maledissi
all’istante quella stupida vocina che continuava a sottolineare ogni mio più
piccolo passo falso.
“Forse
potrei venire più spesso se questa è la ricompensa per aver buttato tutta
quella carta straccia.”, sussurrai ansante sulle sue labbra, distraendolo per
qualche secondo.
Mi resi
conto, soltanto dopo ovviamente, che le mie parole non avevano fatto altro che
aggravare la situazione.
Lui mi
sorrise e tornò a baciarmi ancora con più foga, mente con una mano sbottonava
l’ultimo bottone della mia camicia.
Doppio merda.
Poi si
svolse tutto in un attimo.
Lui si
scostò di qualche centimetro, inchiodando le mani sul letto per reggersi senza
pesare su di me, e mi fissò dritto negli occhi.
Deglutì, il
suo pomo d’Adamo andò su e poi giù, e aggrottò la fronte.
“Di quale
carta straccia stai parlando?”, mi chiese con un filo di voce, quasi temesse la
risposta.
Gli sorrisi,
mentre con le dita gli tracciai i contorni delle labbra.
Certo, in quel modo non ero assolutamente
d’aiuto.
“Quei fogli
scarabocchiati che tenevi sulla scrivania.”, mormorai.
Massi scattò
giù dal letto con un gesto repentino, avvicinandosi alla pila di fogli che
avevo ordinato sul legno del tavolo.
Iniziò a
sfogliarli con fare frenetico, isterico, arrabbiato.
“Dove cazzo
sono?”, chiese più a lui che a me, mentre ancora continuava quella estenuante
ricerca.
Non avevo combinato un casino, vero?
“Cosa stai
cercando?”, gli chiesi mettendomi seduta sul letto.
“Dove li hai
buttati i fogli che erano qui?”, tuonò adirato, fulminandomi con lo sguardo.
“Sono tutti
lì.”, risposi scrollando le spalle.
“No,
cazzo!”, sbottò lui portandosi le mani dietro la nuca, come esasperato.
“Gli scarabocchi,
quelli che credevi fossero scarabocchi, dove sono?”, mi domandò allora.
Cazzo.
Mi
mordicchiai il labbro, avendo intuito che forse non era carta straccia quella
che avevo distrutto.
“Li ho
passati nel trita carte.”, confessai in un sussurro abbassando la testa.
Lui sospirò,
poi si passo una mano sul viso.
“Erano gli
appunti delle ultime tre lezioni che avrei dovuto copiare oggi. Quelli che mi
servivano per l’esame che ho tra dieci giorni.”, disse cercando di rimanere
atono.
Mi alzai,
avvicinandomi a lui.
“Mi
dispiace.”, mormorai affranta cercando la sua mano.
“No, Giulia,
non venirmi a dire che ti dispiace perché delle tue scuse non me ne faccio un
cazzo!”, urlò alzando un braccio per respingere il contatto.
Spalancai
gli occhi.
Certo, avevo sbagliato, ma erano solo
appunti! Poteva chiedere a chiunque di prestarglieli e mancavano ancora dieci
giorni!
“Io così non
ce la faccio!”, gridò ancora, guardandomi in faccia. “Con te è come se tutto ti
fosse dovuto, non riesci ad apprezzare tutti gli sforzi che le persone fanno
per cercare anche solo di stare in sintonia con te! Sono sempre io a dover
capire tutto, a dover essere comprensivo, a cercarti. Sempre e solo io, cazzo!”,
continuò poi.
Indietreggiai,
mentre torturavo le mani che sudavano freddo.
“Non ti sei
neppure ricordata che ieri erano tre mesi che stiamo insieme!”, aggiunse.
Il cuore
perse un battito quando sentii quelle parole: l’avevo completamente rimosso.
Provai a
dire qualcosa, ma fui interrotta da lui.
“E no! Non
venirmi a dire che eri qui proprio per questo perché, se c’è una cosa che ho
capito di te in questi mesi, è che le balle le sai dire alla grande! Pensa che
all’inizio ti credevo persino!”, disse ma questa volta il suo tono di voce era
calato.
Sentivo gli
occhi pizzicarmi, ma mi imposi di non piangere. Mi morsi con forza il labbro
inferiore, come se quel piccolo dolore fosse stato capace di darmi la forza di
cui necessitavo.
“Credo che
dovremmo prenderci una pausa.”, dichiarò infine calmo, atono.
Non riuscii
a replicare.
Ero stufa di
prenderlo in giro, ma soprattutto ero stufa di prendere in giro me stessa.
Annuii,
facendo un cenno con la spalla destra.
“Hai
ragione.”, sussurrai.
Non era
stato lui a ferirmi e neppure le sue parole, ma la verità che quelle
implicavano.
“Ora è meglio
che tu vada.”, mi suggerì abbassando la testa.
Indugiai
ancora un po’, non sapendo esattamente cosa avrei dovuto dirgli, come avrei
potuto rendere quel momento meno tragico e melodrammatico, ma poi i suoi occhi
si incatenarono ai miei e fu in quel momento che capii che non avrei dovuto
fare assolutamente nulla.
Quello era
il momento buono, anche se suonava terribilmente male.
Dovevo solo
lasciarlo andare via.
“Allora
ciao.”, lo salutai con un filo di voce facendo rotta verso la porta.
“Ciao.”, mi
parve di sentire quando già ero nel corridoio.
Recuperai
veloce la borsa, poi mi diressi verso la cucina. Estrassi le chiavi, le rigirai
per l’ultima volta tra le dita e quasi sentii scendere una lacrima sulla mia
guancia, poi le posai sul tavolo ed uscii.
In pochi secondi
mi ritrovai lungo la affollata strada. D’istinto presi il cellulare e composi
un messaggio, inviandolo sia a Ludo che a Ross.
Volevo
vederle in quel momento, avevo bisogno di sentire le loro voci, magari di
ridere con loro.
Lo schermo
del cellulare si accese, segnalando una chiamata che prontamente accettai.
“Ross!”,
esclamai e la mia voce mi parve sin troppo esitante.
“Che succede
Lia?”, mi chiese lei preoccupata dall’altro capo del telefono.
“Possiamo
vederci? Avvisi tu Ludo?”, le chiesi con tono implorante.
“Veramente
lei è già a casa mia.”, m’informò.
Non mi
preoccupai del perché, in quel momento avevo altro a cui pensare.
“Allora vi
raggiungo.”, dissi, ma la mia non era affatto una proposta.
“Forse
sarebbe meglio se venissimo noi da te tra qualche…”, provò a dire, ma la
interruppi.
“Niente
scuse, tra cinque minuti sono lì.”, decretai chiudendo la chiamata per evitare
che replicasse.
Neppure
mezz’ora dopo ero davanti alla porta di casa sua, ad aspettare che mi aprisse.
La porta si
spalancò, rivelando le figure di Rossella e Ludovica.
D’istinto mi
gettai su di loro e le abbracciai.
Loro
ricambiarono immediatamente quel gesto, accarezzandomi la schiena ed i capelli
per infondermi tranquillità e affetto.
Affondai la
testa tra i loro capelli e chiusi gli occhi che ormai mi pizzicavano,
assaporando finalmente l’odore di casa.
“Ma che bel
quadretto! Quasi potreste vincere un premio per la miglior scena melodrammatica
dell’anno!”, commentò ironica una voce proveniente dal corridoio che collegava
l’ingresso al salotto.
Mi staccai
immediatamente delle mie amiche ed i miei occhi finirono per incontrare quelli
di Harry che se ne stava tranquillamente appoggiato alla parete, con le braccia
incrociate al petto ed un’aria di sfida.
Sbattei più
volte le palpebre, quasi sperassi che potesse sparire con quel semplice gesto.
“Cosa ci fa
lui qui?”, chiesi poi lanciando un’occhiata omicida a Rossella.
Lei abbassò
la testa, senza rispondermi.
“Zayn voleva
vederla e hanno pensato di incontrarsi qui, piuttosto che in giro. Non ti
abbiamo chiamata perché non ci sembrava più giusto coinvolgerti in qualcosa che
non volevi.”, mi spiegò al suo posto Ludovica.
Harry fece
qualche passo in direzione nostra, avvicinandosi.
“Allora,
cos’è successo al bel faccino e alla lingua tagliente?”, mi provocò con un
sorrisetto beffardo incastonato tra due fossette.
Lo guardai,
ma i miei occhi erano vuoti.
Non gli
risposi neppure, probabilmente stava cercando solo di infierire contro di me,
di arrecarmi altro dolore.
“È meglio
che vada a casa mia.”, bofonchiai con la voce impastata.
A quelle parole
Rossella alzò il viso, tornando a fissarmi.
“Aspetta, li
mando via in un secondo.”, propose facendo per girarsi, ma la fermai per un
braccio.
“Tranquilla,
davvero. Ne parliamo domani, tanto adesso ho solo bisogno di una bella
dormita.”, la rassicurai con un mezzo sorriso di circostanza.
Sentivo
ancora lo sguardo del riccio addosso: che si stesse divertendo a vedermi in
quello stato?
“Salutate
gli altri da parte mia.”, dissi mentre posavo un bacio sulla guancia ad
entrambe.
Loro
annuirono, sventolando con agonia la mano a mezz’aria, poi andai via, diretta a
casa mia, quella vera in tutti i sensi questa volta.
Angolo Autrice
Little Things!!<3
Sono senza parole, è qualcosa di disumanamente splendido quel viedo!*.*
Orami l'avrò già visto una ventina di volte!
Ed Harry... ma l'avete visto quant'è meraviglioso??*.*
Lo voglio, lo voglio, lo voglio!!!!xD
Davvero, il video di Little Thing è splendidissimamente splendido!!!*.*
*ok, la sottoscritta prende un profondo respiro e cerca di calmarsi*
E rieccoci ancora qui!:D
Allora, questo capitolo lo adoro: sia chiaro, non sono una di quelle a cui paice ciò che scrive,
semplicmente mi piace perché finalmente Massi e Giulia si lasciano!
Cioè, si lasciano! Bye-bye Massi! Welcome back home, Hazza!<3
Certo, nell'ultima parte il nostro riccio è ancora freddino nei confronti di Juls,
ma almeno non c'è più quella palla al piede di mezzo!ù.ù
A proposito, ci tenevo a sottolinerare la descrizione delle sensazioni della nostra protagonista
quando si aggira per la stanza di Massimiliano:
più avanti noterete quanto le cose siano diverse con altri!;)
Per non parlare poi di quella svampita che butta gli appunti del ragazzo, ormai ex-ragazzo.
Cioè, sta proprio con la testa tra le nuvole e questo può significare solo due cose:
prima di tutto, ha la testa altrove (a buon intenditor poche parole *.*),
in secondo luogo, non le deve poi importare più di tanto della vita di quel Massi!ù.ù
Go Harry, go!!*.*
Nel prossimo capitolo la sitaizione migliorerà,
ma purtroppo ancora non è detta l'ultima parola!-.-
Ma perché questi due li ho fatti così complicati???-.-"
Passiamo alle cose serie:
A MASSIVE TAHNK YOU, GIRLS! YOU'RE ABSOLUETLY AMAZING!*.*
Ok, questo fa tanto 1D dopo un'esibizione!xD
Comunque, davvero, grazie mille a chi legge,
alle magnifiche 31 persone che hanno inserito la storia tra le preferite,
quelle 3 splendide che l'hanno inserita tra le seguite
e quelle meravigliose 34 che l'hanno inserita tra le seguite...
voi mi volete morta gi gioia!<3
Per non parlare poi di quelle supermegaiperfantasticissime persone che hanno lasciato una recensione...
grazie mille!*.*
Bene bene, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitoletto...;)
Io scappo a vedere un'altra volta quel fantastico video!*.*
A presto!:*
Astrea_