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Autore: Ever Lights    02/11/2012    15 recensioni
"«Aver paura di amare è come aver paura di vivere ogni singolo giorno della propria vita. Io non voglio che tu abbia timore di amarmi, Bella, perché qui», presi la sua mano e me l'adagiai sul cuore. «sento di provare davvero qualcosa per te. Non so se è amore, o se è qualcosa di differente, ma so che è positivo. Per questo voglio che tu sappia che desidero provarci. Desidero scoprire cose nuove, con te. Mi lascerai provare, per favore? Hai tu la chiave del mio cuore.»"
L'amore può voltarti le spalle come offrirti una mano. Un trentenne, due figlie, una relazione finita. Una donna, un passato da dimenticare, incubi che tornano a galla. Qualcuno metterà il proprio zampino per sconvolgere le loro vite.
E se, in più, il destino decidesse che le carte in tavola vadano cambiate e rimescolate?
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Emmett/Rosalie
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 12: Hero.


BELLA.

«Tira fuori la lingua e di' “ah”.»
Stavo accanto al lettino, dove era seduta Meredith, che veniva scrupolosamente visitata dal medico.
Ormai era una settimana che la notte non si dormiva più, e che Mary stava male, con febbre alta e nausee continue.
E ci era venuta la fantastica idea di portarla dal pediatra dopo ben sette giorni di pura agonia e sofferenza per quella povera bimba, che aveva fatto non pochi capricci alla notizia di una visitina dal dottore…
Ma alla fine, tutta la paura e l'agitazione della bambina erano svanite quando il pediatra le aveva dato una caramella... Che le avesse letto nel pensiero?
L'aveva fatta accomodare sul lettino nero, e aveva appena iniziato la sua ispezione quando mi fissò per un lungo, interminabile secondo.
«Lei è...?»
Arrossii di colpo, torturandomi le unghie. «Ehm...»
«Lei è la fidanzata di papà, James!»
Grazie, piccolina...
«Oh...», mormorò, tremendamente a disagio, proprio come me. «Non sapevo che Edward...»
«Non... è niente di ufficiale. Ci conosciamo da poco tempo, tutto qui.»
«Capisco.», disse. Fece alzare la felpa a Mary e le posò lo stetoscopio sulla schiena, procurando un sussulto della bambina.
«Ora respira, Mary.»
Manteneva una calma impressionante e dovetti reprimere l'impulso di chiedergli cosa potesse avere la... mia bambina.
Perchè cominciavo a sentirla così, o quasi. Forse ero io che andavo troppo veloce e quindi stavo perdendo il controllo della situazione, ma il mio cuore si stringeva tutte le volte che Meredith tornava a casa da scuola o mi rivolgeva un sorriso.
«E' tutto a posto a livello bronchiale.»
Trattenni un sospiro di sollievo ma il suo sguardo si incupì quando notò qualcosa di diverso.
«Che succede?», domandai allarmata. I miei nervi erano ormai a fior di pelle e la mia voce uscì più stridula di quello che realmente pensavo.
«Ha delle bolle, qui, sulla schiena.», borbottò, lo sguardo era corrucciato. «Mary, tesoro, ne hai altre?»
La bambina annuì, scoprendo la manica. Sul suo braccio, le stesse macchioline di un'ora prima.
«Okay. Grazie, piccola.»
Mary saltellò giù dal materasso, per poi avvicinarsi a me. «Bella, puoi venire un attimo alla scrivania?»
Acconsentii e quando mi sedetti, appoggiai Meredith sulle mie ginocchia, stringendola a me. «Hai ancora mal di testa?»
«Sì...»
Le carezzai i capelli, cullandola per qualche minuto, fino a che non si calmò e non socchiuse gli occhi.
«Bene, vorrei solo farti qualche domanda.»
Lasciai che continuasse, mentre il respiro di Mary si affievolì sul mio petto. «Ha avuto mal di testa, febbre molto alta, vomito o altro?»
«Sì, ha la febbre ormai da quattro giorni...»
Annuì varie volte con il capo, scrivendo tutto su un foglietto. «Date le bolle sul braccio, potrei dire chiaramente che si tratta di varicella. Qui trova tutto ciò che è meglio fare in questo caso.»
Lo ringraziai e feci alzare Meredith, che protestò vivacemente, aggrappandosi alle mie braccia mentre le infilavo il capotto.
«Ehi, Mary.» James attirò la sua attenzione, chinandosi all'altezza del suo viso. «La vuoi una caramella?»
Gli occhi della bambina si illuminarono, ma io lo fermai. «Però devi fare la brava bambina.»
«Va bene. Ora posso avere il dolcetto?»
Risi e lasciai che il dottore le sporgesse un lecca lecca, prima di aprirci la porta e augurarle una buona guarigione.
Il peso nel cuore sparì appena salimmo in macchina, quando Meredith iniziò a canticchiare una canzoncina. Stava meglio, ora che aveva capito che cosa aveva. Ovvio, la varicella era una malattia che prendevano tutti i bambini, ma sapere che stava male mi procurava ansia.
Come quando io avevo gli incubi, e Edward mi stringeva nel cuore della notte, sussurrandomi che andava tutto bene, che era con me.
La stessa cosa succedeva con Mary. Abbracciarla mi rendeva felice, serena. Sapere che si sentiva bene era tutto ciò che più desideravo.
«Mettiamo la musica?»
Aggrottai la fronte, osservandola dallo specchietto. «Ma non avevi mal di testa?»
Scosse il capo, con quel sorrisino in viso. «No! Mi è passato! La mettiamo, per favoooore?»
Risi e aspettai il semaforo rosso per porgerle il porta CD. «Decidi tu, a me piacciono tutti.»
Scorse le dita fra gli scomparti per poi porgermi un disco. «Questo!»
Lessi velocemente il nome riportato, facendo attenzione alla strada. «Adele?»
«Sì! È la cantante preferita di papà, sai? La ascolta sempre!»
Ecco un nuovo tratto a me ancora nascosto di Edward...
Azionai il lettore musicale e cliccai play, saltando qualche traccia. Era un'altra cosa in comune che avevo con quell'uomo: la musica. Sapevo che Ed amava suonare, ma non pensavo ascoltasse anche quel genere di canzoni.
«Lascio questa?»
Mary gioì e quando la voce della ragazza iniziò a cantare, lei la seguì. Aveva una voce bellissima, così melodica che fu un piacere ascoltarla. Si dondolava nel seggiolino, battendo le mani a tempo, e non potei trattenere una risata quando ad un certo punto tossicchiò perché la musica aveva raggiunto un livello troppo alto perché lei potesse cantare.
Parcheggiai  davanti a casa, spegnendo la radio e estraendo il cd. Mary intanto si era già slegata la cintura ed ero in procinto di aprirle la portiera, se non fosse stato per la vibrazione incessante del mio cellulare.
«Che succede, Bella? », domandò la bambina, vedendo il mio sguardo interrogativo. «Va tutto bene, tranquilla. Perchè non cominci ad entrare, che io ti raggiungo?»
Pronunciai quelle parole con poca attenzione, intenta ad accedere ai messaggi. Era un numero sconosciuto, e ovviamente non faceva parte della mia rubrica.

Ciao, Isabella. Che ne dici per un tè alle cinque, in qualche bar?
Lascio decidere a te.
Christian.

«Oh, merda.», mormorai, completamente dimenticandomi che avevo di fianco a me una bambina di sei anni. «Mary, tesoro, andiamo.»
Lei annuì e spalancò la porta. «Sicura che è tutto a posto?»
Annuii indifferente, carezzandole i capelli, e mi accorsi che le mani mi tremavano vivacemente. Possibile che non potessi avere un attimo di pace?
«Su, andiamo da papà.» Abbozzai un sorriso, nel tentativo di tranquillizzarla e ci dirigemmo nel salotto, dove Edward chiacchierava con i suoi genitori.
«Papà!» Mary gli corse incontro, per poi finire fra le braccia di suo padre, che interruppe il discorso per sollevarla.
Rivolsi un sorriso a Carlisle, seduto sul divano, e lui fece lo stesso. «Ciao, Bella.»
Esme si avvicinò, avvolgendomi in un caloroso abbraccio da cui difficilmente riuscii a slegarmi. Tutti mi volevano un bene dell'anima, e io non capivo il perché... Insomma, ero una normale ragazza di ventidue anni, non avevo fatto niente di così straordinario.
«Che vi ha detto il pediatra?», domandò ansioso Ed, sedendosi con Meredith sulle ginocchia. La bambina abbassò il capo, arricciando una ciocca di capelli sull'indice. «Ho la varicella... Ma guarirò, vero?»
Si rivolse a Carlisle, che a quanto mi aveva detto Edward, aveva studiato medicina e lavorava da parecchi anni in ospedale. «Certo, pulcino. È una malattia che prendono tutti i bambini, non ti devi preoccupare. Una, o due settimane e andrà via, e potrai tornare a scuola.»
Subito il corpo di Meredith si rilassò, e lei si accomodò accanto al nonno che la strinse a sé.
Continuai a fissare Edward, e quando il suo sguardo incontrò il mio, potei capire dalla sua espressione la domanda che mi stava facendo.
Mimai con le labbra “Puoi venire un attimo di là?” e lui annuì, congedandosi dal discorso.
Mi spostai nella cucina, lontano dalle orecchie dei suoi parenti, e non accesi neanche la luce, lasciando così la camera nella leggera penombra.
«Bella, tutto a posto?»
Le sue braccia mi strinsero da dietro, ma io le scacciai, tremando. Le lacrime furono sull'orlo, pronte a sgorgare, e ricacciarle indietro sembrava un'azione troppo complicata.
«Che hai?» La sua voce si tramutò in una vibrazione unica, e mi prese il viso tra le mani. Gesticolai confusamente, mordendomi il labbro, e cominciai a piangere dirottamente. L'unico modo per zittire i singhiozzi fu di affondare il volto nella camicia di Edward, che rimase spiazzato.
«Sh...», mormorò fra i miei capelli, le sue mani mi accarezzavano la schiena. «Tranquilla, va tutto bene.»
Aspettò che mi calmai, per chiedermi cosa stesse succedendo.
«E' Christian. Mi ha inviato un messaggio.»
Il suo sguardo si incupì. «Fammelo leggere.»
Gli sporsi il cellulare, aspettando una sua risposta, che ovviamente fu ben poco... calma e seria.
«Io quello... Lo strangolo! Dio, non può lasciarti in pace? Adesso che stai meglio... Spero di non trovarmelo mai davanti.»
Le mie dita gli sfiorarono il profilo della mascella. «Tanto ho deciso che non voglio avere più niente a che fare con lui, davvero. Farò finta di niente.»
Annuì mesto, poco convinto delle mie parole, ma la rabbia che aveva in petto era troppa per riuscire a farlo ragionare.
«Torniamo dagli altri, si chiederanno che fine abbiamo fatto.», mormorai, asciugandomi le guance con le maniche del maglioncino. Gli presi la mano e ci dirigemmo nel salotto, dove Carlisle era sparito e Meredith fissava fuori dalla finestra.
«Amore, dov'è finito il nonno?»
La bambina fece finta di nulla, scrollando le spalle, ma notai che stava ridendo sotto i baffi. «Non lo so! Ha detto che andava un attimo sul balcone e poi tornava!»
Guardai confusa Edward, e il suo sguardo era lo specchio del mio. Teneva le sopracciglia corrugate, girando il capo per vedersi intorno, ma di suo padre nemmeno l'ombra.
Ad un certo punto, suonarono il campanello, e Mary schizzò verso il corridoio, e Viola iniziò a piangere.
«Io prendo Viola, tu vai a vedere che succede.», dissi a Edward, ma sua figlia sgranò gli occhi per poi urlare: «NO!» e il suo volto prese fuoco. «No, vado io. Tu, papà, stai qui.»
Ed fece spallucce, e io mi diressi nella camera accanto, dove Viola strillava e voleva essere presa in braccio.
L'adagiai sul mio petto e subito si zittì, facendomi un sorrisino ancora sdentato. Quanto poteva essere dolce?
Quando svoltai l'uscio, mi accorsi che Meredith chiamava a gran voce suo padre, che mi fissò altrettanto perplesso.
«Dai, papà, corri!», gridò ancora Mary, però questa volta si affacciò e ci fece segno di seguirla. Obbedimmo, e quando arrivammo davanti alla porta, ancora chiuso, la scrutammo interrogativi.
«Posso aprire?», domandò a qualcuno lì fuori, che le rispose di sì, e la sorpresa fu enorme quando ci ritrovammo Carlisle davanti.
«Che cosa…?»
Si scansò, e due uomini in divisa ci sorrisero, prendendo di peso un oggetto alquanto grosso, coperto da un telo bianco e imbottito di polistirolo.
«Dove lo posiamo?» Carlisle indicò lo spiazzo libero in salotto accanto al divano. Ci fu un tonfo quando posarono sul pavimento la cosa a noi ancora sconosciuta.
«Si può sapere cos’è?»
Meredith posò le manine sulla bocca, per trattenere una risata, e Carlisle tolse il telo, facendoci rimanere con un palmo di naso.
«Un…»
«Pianoforte.», concluse Edward per me. Intravidi una piccola lacrima segnare la sua guancia, e come un bambino di fronte a un regalo inaspettato – e in realtà era proprio così, Ed si buttò a capofitto verso suo padre, che lo abbracciò ridendo.
«Il mio ometto che si commuove.», commentò, dando una pacca sulla schiena del figlio.
«Oddio, papà, è fantastico!»
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto.»
Anche Carlisle si era emozionato, e a stento riusciva a trattenere la gioia.
«Tu sai suonare il pianoforte, Bella?», mi chiese Meredith, esaminando i tasti bianchi e neri alternati della tastiera.
«Ehm… A dire il vero ho preso qualche lezione alle medie, ma nulla di che…», sussurrai e cercai in tutti i modi di scemare quella rivelazione. Erano passati quasi dieci anni ma ancora qualcosa mi ricordavo.
La bambina batté felice le mani, saltando sul posto. «Allora ti insegnerà papà! Lo farai, vero?»
Si girò verso suo padre, che le sorrise per poi scompigliarle i capelli. «Se Bella vorrà, tesoro, certo che sì.»
Intanto Carlisle ci aveva salutato, lasciandoci da soli. Avevo appoggiato il capo sulla spalla di Edward, che mi stringeva il fianco. Viola, fra le mie braccia, si divertiva a giocare con la mia collanina.
«Sono sicura che sarai un ottimo maestro.», mormorai sul collo di Ed, che mi baciò la fronte.
«Vedremo, Miss Swan, vedremo.»



«Bella, è tutto okay?»
Vediamo, quante volte mi era stata porta quella domanda, in tutta la giornata?
Tante, troppe, innumerevoli e infinite volte.
Alzai gli occhi al cielo, esasperata. «Alice, davvero, sto bene. Non preoccuparti.»
«Mi preoccupo perché sei strana. Che ti succede? È per via di Edward? Guarda, se è colpa sua, basta dirle le cose, che…»
Mi misi a ridere, scuotendo il capo. Ovvio, se c’era qualcosa che non andava era per via di suo fratello. Anche se, in realtà, proprio lui mi faceva sentire meglio, dimenticando Christian e tutti i miei errori.
«Tuo fratello è fantastico, sul serio. Perché dovrebbe fare qualcosa?»
Scrollò le spalle, indifferente. «Non lo so. Però oggi… Non ne ho idea, hai lo sguardo diverso, non so se capisci.»
«Infatti non ho capito.», dissi, aggrottando le sopracciglia. «Se riuscissi a spiegare il tuo concetto, sarebbe più semplice.»
Sbuffò. «Va bene. Ultimamente vedo nei tuoi occhi una luce differente, soprattutto quando Edward ti sta vicino, o ti abbraccia, o anche solo ti sfiora. Anche se, ammetto, che quando ti tocca tu diventi tutta rossa. Però sei diversa, con lui.»
Abbassai il capo, sorridendo imbarazzata. Alice arrivava sempre a comprendere se qualcosa, in me, stava cambiando. «E’ che… Non lo so, Al. Dio, con lui mi sento completa, come se quella parte del mio passato con Christian fosse svanita, o almeno lasciata in disparte, se c’è lui accanto a me. E’ davvero difficile da spiegare.»
La mia migliore amica emise un versetto di gioia per poi abbracciarmi, facendo cadere i festoni che stavamo attaccando ai muri.
«Oh, la mia Bella!», mormorò fra i miei capelli, cullandomi. «La mia Bellina innamorata!»
Ovvio, era una novità, per lei, vedermi perdere la testa per qualcuno. Ma ormai era già un mese abbondante, anzi quasi due, che mi ero accorta di provare qualcosa di più di una cotta per Edward. Quindi, perché dirmelo solo ora?
«Tra parentesi: dove si è cacciato mio fratello, dato che ti ha fatto venire qui da sola?»
«E’ andato a portare Meredith e Viola da Esme, e poi doveva fare una commissione, però mi ha detto che per le sette è qui.»
Alice scrollò di nuovo le spalle, e si arrampicò sulla sedia, prendendo la ghirlanda. «Avanti, finiamo qui che poi ti devo presentare una persona.»
Attaccammo gli ultimi palloncini e sistemammo le decorazioni mancanti, per poi ammirare il risultato finale. Dopotutto, avevamo fatto proprio un bel lavoro.
Di certo Ally non avrebbe potuto fare figuracce proprio alla sua festa di compleanno.
Mentre decidevamo che musica mettere, il campanello suonò e schizzammo entrambe in piedi.
«Vado io!» Alice scomparì dalla mia vista e mi ritrovai a fissare il pavimento, con la schiena contro il muro.
Pochi minuti dopo, lei fece la sua comparsa con accanto suo fratello, che quando mi vide, sorrise.
Il mio cuore iniziò a correre, quasi uscendomi dal petto; il mio respiro aumentò improvvisamente e dovetti calmarmi mentalmente per non saltargli letteralmente fra le braccia.
Lui e i suoi effetti su di me. Mi sarei mai abituata?
«Ciao.» Mi diede un bacio leggero sulla guancia, che avvampò. Tutto il mio corpo stava letteralmente andando a fuoco.
Abbassai il capo, con un sorriso ebete sulle labbra. «Com’è andata? Mary ha fatto capricci?»
«Stranamente no. Era piuttosto tranquilla, anche perché sapeva che stasera si sarebbe annoiata.»
Annuii, abbracciandolo. «Ci saranno solo adulti, sono sicura che con Esme si divertirà di più.»
Alice intanto era sparita, di nuovo, lasciandoci soli. Le braccia di Edward mi circondavano i fianchi, la sua bocca era fra i miei capelli. Tra noi aleggiava tutta la tranquillità possibile che i nostri cuori potessero desiderare.
«E’ arrivato il momento…», sussurrò a se stesso. Di cosa stava parlando? Momento per fare che cosa?
Mi irrigidii e lo fissai sconcertata negli occhi. «Di che…»
«Devo dirti una cosa.»
A quelle parole iniziai ad turbarmi. C’era qualcosa che non andava? Magari riguardava le bambine? O il nostro rapporto?
Appoggiò la fronte contro la mia, carezzandomi il mento. «Non iniziare ad agitarti, però. È una cosa bella, tranquilla»
«Va bene. Allora sputa il rospo.»
Prese un grosso respiro, come per calmarsi e per dire quella rivelazione nel miglior modo possibile.
«Ho trovato un lavoro.»
Sgranai gli occhi, incredula, e avrei scommesso che la mia mascella sarebbe cascata, se non mi fossi ripresa all’istante.
«Co… Cosa? Da quando? Perché non me le hai parlato?» Ero diventata improvvisamente una macchinetta, sfornavo domande alla velocità della luce e gli afferrai la camicia, facendolo sorridere.
Ovvio, mi preoccupavo e lui se la rideva.
«Da oggi. Sono andato a fare il colloquio prima. Mi hanno preso subito.» Potevo leggere la sua gioia attraverso l’emozione che traspariva nella sua voce.
Allacciai le braccia al suo collo e affondai il viso sul suo collo. «E’ fantastico! Dio, sono così felice!»
Rise e depose le sue labbra contro le mie. Avrei voluto piangere e scoppiare di gioia, ma mi trattenni. Da settimane era alla ricerca di un lavoro, anche piccolo, ma che li desse l’opportunità di staccare un po’ la spina e riprendere un’attività. E gli avevo dato il mio appoggio, aiutandolo a cercare fino a notte fonda gli annunci su tutti i giornali di Londra e non solo, e ci addormentavamo sempre stremati sul divano, e non ci preoccupavamo se le nostre schiene chiedevano pietà.
E a me poco era interessato se, soprattutto negli ultimi giorni, ero parsa uno zombie a lezione, con quelle poche ore di sonno in circolo per il corpo, con il cervello che chiedeva pietà ma con il cuore gonfio di speranza per Edward.
Ci tenevo davvero a lui e ai suoi progetti, e in quel momento, quella notizia mi aveva fatto capire che i nostri tentativi erano valsi a qualcosa.
Le nostre bocche si plasmavano, seguendo una la forma dell’altra, e quando qualcuno tossì, richiamando la nostra attenzione, ci staccammo.
«Vi liberiamo una stanza, nel caso voleste anche fare qualcos’altro, piccioncini.»
Emmett ci fissava, tenendo le braccia conserte, e aveva un sorriso soddisfatto stampato in faccia.
«Molto divertente, Emm. Davvero.», commentò sarcastico Ed, stringendomi la mano. Ridacchiai sommessamente per poi abbracciare Rosalie, che mi era venuta incontro.  
«Calma i tuoi bollenti spiriti, Bellina.», sussurrò, dandomi una pacca sulla spalla. Sentii le guance bruciare –di nuovo, e le sfiorai con la punta delle dita.
«Mh, che simpatica, Rose, come sempre.», borbottai, imbarazzata. Alice, al suo fianco, ridacchiò e mi diede un buffetto. «Piccola e innocente Bella.»
«La piantate? Grazie.»
Ridemmo tutte e tre insieme, pensando alla mia reazione. Di certo ancora dovevo abituarmi ad essere soggetto di commenti sulla mia nuova storia.
Piano piano arrivarono tutti gli ospiti e mi sentii subito più tranquilla. Almeno l’attenzione sarebbe stata proiettata sugli altri e meno su di me.
«Bella?»
Da dieci minuti abbondanti ero avvinghiata a Edward e chiacchieravamo tranquillamente, ma in quel momento qualcuno mi stava chiamando e dovetti staccarmi da lui a malincuore.
«Aspetta...», mormorai sulle labbra di Ed, prima di girarmi verso Alice, che teneva sottobraccio un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri.
«Bella, Edward, lui è Jasper.»
Gli strinsi la mano, cercando di non fargli domande. Conoscendomi, curiosa com’ero, lo avrei messo in soggezione nel giro di pochi secondi.
Edward fece la stessa cosa, guardandolo interrogativo. «Piacere.»
Esaminai il volto di Alice, e capì che le stavo per fare una domanda.
«Lui è… il mio nuovo ragazzo.», mormorò lei, guardando negli occhi l’uomo che le teneva la mano e le sorrideva di rimando.
La mano di Edward si irrigidì intorno alla mia, e dovetti più volte fargli capire con lo sguardo e con gli occhi che andava tutto bene.
«Oh…» fu tutto quello che Ed riuscì a mormorare. Era visivamente spiazzato, e di certo non si aspettava una notizia del genere, non che non fosse gradita, però Alice era la sua sorellina e si sentiva in dovere di proteggerla.
«Alice mi ha parlato tanto di te, Edward.», disse lui sopra la baraonda provocata dalla musica ad alto volume.
«Oh… Spero tutte cose positive!»
Risero entrambi, tranne Edward che era davvero posato. Stava prendendo la questione troppo seriamente, eravamo lì per divertirci…
Jasper ingoiò con difficoltà la saliva e io strinsi la mano di Ed, che si girò verso di me. «Dai, andiamo a prendere qualcosa da mangiare.»
Lui annuì e si scusò con la sorella, per poi seguirmi oltre il lungo tavolo colmo di vivande.
«Ehi…» Presi il suo volto fra le mani e incatenai i miei occhi ai suoi. «Calmati, dai.»
«Bella, è mia sorella… Non posso crederci che un altro uomo sia entrato nella sua vita.», sospirò, e io gli carezzai la guancia.
«Ed, ha compiuto oggi ventisette anni, non è più una bambina…», mormorai, abbracciandolo. «Sta vivendo la sua vita. Prova a immaginare come sarebbe la tua senza di me.»
«Non voglio neanche provarci.» Mi baciò le labbra, facendomi sorridere. Riusciva, sempre e comunque, a essere sdolcinato, anche nei momenti in cui era più agitato.
«Ecco, quindi vedi di fare uno sforzo per Alice. Mi sembra felice, perché non dovresti esserlo anche tu?»
Sorrise. «Hai ragione, come sempre.»
Chiusi gli occhi e mi beai di quel contatto fra noi. Era così bello essere fra le sue braccia: mi faceva sentire sicura, protetta e… amata.
La musica ad alto volume fu un ottimo modo per esternarci dal caos di invitati, e sono al momento della torta riuscimmo a essere più presenti. Anche se, comunque, una parte del mio cervello era andata a farsi un giretto…
Le ultime canzoni furono abbastanza scatenate, e mi meravigliai quando lasciarono il posto ad alcune molto lente e romantiche.
«Ti va?»
Inarcai un sopracciglio, guardandolo. «Dici sul serio?»
«Perché no?»
Risi con lui e iniziammo a volteggiare dolcemente fra le coppiette presenti. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo viso, dai suoi occhi, dalle sue labbra, che erano come un dolce richiamo per i miei pensieri.
«Sei bellissima.»
«Non è vero.», mormorai sul suo petto, e le sue braccia mi strinsero ancora di più.
«Sì, lo sei. Lo sei per me, per Mary, per tutti. Sei bellissima perché sei te stessa, rimani al naturale, non cambi solo per piacere agli altri. Questo particolare lo amo, amo tutto di te.»
Le mie guance si scaldarono e dovetti strusciarle contro la sua T-Shirt per raffreddarle, sebbene l’effetto non sembrasse svanire.
Ballammo per sei, sette canzoni, non tenni il conto, persa com’ero nei suoi occhi. Ogni cosa che faceva mi attirava come una calamita, facendomi perdere la cognizione del tempo nel giro di pochi secondi.
Le persone cominciarono a dissolversi, e ben presto ci ritrovammo solo io e lui, al centro della pista da ballo, a baciarci e a sussurrarci smancerie che fino a poco tempo prima non mi sarei mai permessa.
«Andiamo a casa.», mormorò ad un certo punto sulle mie labbra, e improvvisamente mi sentii impaziente. Non capii il perché, forse era stato il vino, o forse era semplicemente l’effetto di Edward su di me.
Quelli che per la mia mente furono secondi, che in realtà si rivelarono minuti, volarono fra saluti veloci agli ultimi presenti e a una camminata spedita mano nella mano fino all’auto di Ed, mentre il mio cervello formulava pensieri sconnessi, fin troppo difficili per essere tenuti a freno.
Edward mi teneva la mano, guidando tranquillamente per le strade notturne di Londra. Che ora era? Mezzanotte? Le due? O stava quasi per sorgere il sole?
Sinceramente non volevo saperlo, anzi rimanendo all’oscuro mi sentivo più sicura, certa che la notte non poteva essere passata.
«Manca ancora tanto?», domandai, e mi sentii una bambina: ero troppo impaziente di tornare al più presto a casa, solo per essere da sola con lui, senza le bambine.
«Calma.» Mi baciò le nocche della mano, per poi tornare a fissare l’asfalto. Dio, come poteva fare così?
Appena il buio mi circondò, e scesi dalla macchina, sentii le sue mani sui miei fianchi, le sue labbra sulle mie. All’improvviso, il mio stomaco prese ad attorcigliarsi, i miei pensieri divennero confusi e iniziai a non capire più niente, il cervello era annebbiato, un groviglio di immagini mi popolò la mente.
«Bella…», gemette, staccandosi da me. Avevo la mano sul suo petto, e potei perfettamente percepire il suo cuore correre in sincronia con il mio, che sembrava impazzito.
Dio, avevo così tanta voglia di lui… quella sera mi sarei lasciata andare, sì.
Basta pensare al passato, basta tormentarsi con le paure e soprattutto basta Christian. Eravamo solo io e Edward, e in quel momento ero più pronta che mai, cosciente delle mia decisione.
«Sei stanca?», commentò ad un mio sbadiglio, carezzandomi i capelli. Sorrisi timidamente, anche se sapevo benissimo che non lo ero per niente.
La casa era deserta, silenziosa, a differenza di mezza giornata prima. Ed accese la luce delle scale, la sua mano era sempre legata alla mia, e lo seguii fino alla sua camera da letto, dove si tolse la giacca.
«Preparo il letto.», sussurrò, avvicinandosi. Non riuscivo a togliermi quello stupido sorriso che si era marchiato sulle mie labbra.
«Va bene…»
Posò un bacio sulla mia fronte, facendomi sussurrare. «Ho bisogno di qualche minuto…»
Lui annuì e mi lascio fuggire in bagno, dove mi rifugiai. Tutto il mio corpo stava andando a fuoco, faceva ancora più caldo del normale, le mie mani sudavano e tremavano, i miei capelli erano scompigliati e l’unico mio pensiero era cosa diavolo avrei dovuto fare con quell’uomo nell’altra camera che mi metteva gli ormoni in subbuglio, procurando così una festicciola per i miei pensieri.
Mi appoggiai al lavandino, fissando il mio riflesso nello specchio.
Okay… Va tutto bene, pensai, per poi scuotere il capo, ma chi voglio prendere in giro? Non va per niente bene. No, per niente. Cosa devo fare?
Guardai la mia immagine che era lo stereotipo del terrore puro. Sinceramente, mi stavo spaventando di me stessa, e della mia reazione davanti a quello che era successo.
Sciacquai le braccia sotto il flusso freddo del rubinetto, cercando di abbassare la temperatura. Sentivo solo le fiamme addosso, volevo sconfiggerle, almeno prima di…
Scossi il capo, scacciando il pensiero. Non volevo pensarlo, ed ebbi altri ripensamenti. Dio, ero così indecisa…
Una volta non ero così: qualche anno prima non sarei mai riuscita a tirarmi indietro da una situazione del genere, ero sempre stata tenace e anche un po’ troppo sicura di me stessa, forse anche fiduciosa, nel modo più assoluto, degli altri.
E invece avevo proprio sbagliato a concedermi a Christian, eppure in qualche modo mi aveva cambiata, mi aveva reso una donna, mi aveva fatto sentire per la prima volta completa. Ma ero diventata il suo oggetto, e mi usava per il proprio piacere, e non avrei mai voluto, per nulla al mondo, ripetere quell’esperienza.
Ma Edward no, ero certa che mai avrebbe fatto una cosa del genere. Non sarebbe stato effettivamente possibile, non quel viso d’angelo che aveva. Non con quei suoi sorrisi rivolti quando mi faceva un complimento e io arrossivo. Non con quei suoi gesti apparentemente così dolci e sensibili.
Non era il tipo di persona capace di certe azioni, e su questo non ci pioveva. Era chiaro e cristallino come l’acqua che potevo fidarmi di lui.
Che dovevo fidarmi di lui.
Eppure cos’era che mi frenava? Paura, imbarazzo, o solamente i miei ricordi?
Sì, forse erano proprio loro, quei maledetti, a farmi tirare indietro. Non volevano che io provassi nuove esperienze, volevano farmi vivere nell’angoscia e nel terrore del passato, non volevano che io vivessi di nuovo. Come una persona normale. Come una persona amata e che amava.
«Non essere codarda, torna di là.», mormorai. Presi un grosso respiro e tornai nella camera da letto, con le gambe tremolanti. Nel buio riuscivo a scorgere migliaia di puntini luminosi, provocati dalla mia confusione e dal mio stato d’animo.
Ad un tratto, mi trovai davanti alla sua stanza, e quando provai a girare la maniglia, mi accorsi che era chiusa a chiave.
«Posso entrare?»
Bussai un paio di volte ma parevo invisibile. Ma a un certo punto la porta si spalancò e qualcuno appoggiò le mani sul mio viso.
«E-Edward?» Sussultai, impreparata, e il suo fiato caldo mi carezzò l’orecchio.
«Stai tranquilla.», sussurrò, e mi spinse leggermente nell’interno della camera. Un profumo di vaniglia mi inondò i polmoni, e la mia testa iniziò a vorticare, facendomi sentire leggera e disorientata.
Era un odore troppo intenso, quasi mi annebbiava i sensi. Sbattei più volte gli occhi, coperti dalle sue mani, provando ad immaginare cosa potesse esserci di così tanto prezioso da non farmi vedere.
«Quando potrò…»
«Ancora due secondi, per favore.» La sua voce era dolce, vellutata e assolutamente tranquilla, dentro non si trovava una nota che evidenziasse un problema o qualcosa di sgradevole. Era calmo, non aveva fretta.
«Okay… ma perché non posso vedere? Cosa mi stai nascondendo?»
Ridacchiò, scostando una ciocca di capelli dal mio volto. «Perché è una sorpresa, e voglio che tu rimanga sbalordita.»
«Odio le sorprese.», commentai, scettica. «Non ci riuscirai così facilmente.»
Potei immaginarlo scuotere il capo con quel suo sorriso stampato sulle labbra. «Va bene. Ora promettimi che non guardi finché non te lo dico io.»
Sbuffai. «D’accordo, ma non farmi scherzi.»
La pressione che fino a poco prima pressava leggermente sulle mie guance sparì e dovetti reprimere l’impulso di spalancare le palpebre. Dovevo mantenere la mia parola, se lui voleva davvero rendermi felice, in quel modo.
Passarono secondi, o forse minuti, prima che mi accorgessi di un brusio attorno a me. «Edward?»
«Dammi ancora qualche istante.»
Mi ritrovai a sbattere ritmicamente il piede sul pavimento, in attesa di avere una risposta a tutto quello. Ero pronta ad aprire gli occhi per capire cosa diamine stesse combinando, ma nel momento esatto in cui la mia mente formulò quel pensiero, una musica cominciò a propagarsi nella stanza, e io divenni ancora più confusa.
«Ma cosa…»
Le sue labbra si posarono sulle mie, bloccando la mia domanda. «St… Non dire nulla.»
Sospirai, carezzandogli una guancia. «Posso almeno aprire gli occhi?»
Annuì contro la mia guancia, e poi si scostò. Una fievole luce mi costrinse a sbattere più volte le palpebre, sebbene fosse leggera, ma il buio era stato padrone per tanto tempo.
Misi a fuoco l’ambiente circostante e mi accorsi che… c’erano candele ovunque. Sul davanzale, sui comodini, accanto agli armadi e perfino sulla testiera del letto. Decine di piccole fiammelle che danzavano sotto la melodia della canzone.
«Sono riuscito a sorprenderti, o no?»
Non risposi e lui si mise a ridere, evidentemente divertito dalla mia espressione.
«Ma… Come hai fatto?»
«Un uomo non svela mai i propri segreti.», ammiccò. Il suo volto era ancora più bello esposto a quella debole luce.
Alzai un sopracciglio. «Non è che mi nascondi una donna, Cullen?» Venne verso di me, sfoggiando il suo sorriso sghembo che tanto mi faceva impazzire.
«Già gelosi, signorina Swan?» Iniziò a tracciare il profilo del mio collo lentamente, lasciando dei piccoli baci che sulla mia pelle si trasformavano in scie di fuoco.
«N-No…», mormorai, socchiudendo gli occhi. La sua bocca iniziò a torturarmi il lobo dell’orecchio, e le mie mani salirono fra i suoi capelli, stringendoli fra le dita.
Ad un certo punto, si staccò da me per poi fissarmi negli occhi. «Stai bene?»
Aggrottai la fronte, cercando nel suo viso il perché di quella domanda. Che senso aveva farmela ora? Ovvio che stavo bene… forse ero solo agitata, ma dentro di me sentivo tutta l’energia premere per sprizzare fuori dalla pelle.
«Certo che sto bene…»
Sospirò, prendendomi le mani fra le sue. «Voglio solo sapere che lo stai facendo per me, o perché lo vuoi anche tu. Solo questo.»
Fui presa dall’impeto di scoppiare a ridergli in faccia, ma posai solo le labbra sulle sue. «Non sto desiderando altro che questo, adesso.»
Come presa consapevolezza delle mie parole, appoggiò nuovamente la sua bocca alla mia, e cominciarono a modellarsi, come in una dolce danza. Era come scoprirsi per la prima volta, come un contatto mai provato, una nuova sensazione, piccoli tocchi fugaci, timidi, senza alcuna pretesa. Le sue mani si posarono sui miei fianchi, le mie tornarono fra i suoi capelli, ma non perdemmo il contatto che si era stabilito.
Il suo fiato dolce mi inondò i polmoni, lasciandomi completamente spiazzata da come poteva rendermi completa ma allo stesso tempo instabile.
Le nostre lingue schioccarono nel momento in cui si incontrarono, come se si fossero bruciate, come se fossero state trafitte da una scarica elettrica. Mi staccai, giusto per riprendermi, e intravidi i suoi occhi ardere di desiderio tanto quanto il suo corpo stava cercando di dimostrarmelo.
Dolcemente, cominciò a sbottonare la mia camicia, senza distaccare lo sguardo dal mio.
«Il blu ti sta benissimo, te l’ho mai detto?», mormorò, posando un’infinità di piccoli baci sul mio collo. Sentii le guance avvampare quando fu in procinto di slacciare l’ultimo bottone.
«Va tutto bene?», chiese Edward, vista la mia reazione. Annuii solamente, presa com’ero da controllare i miei istinti.
Quando la camicetta fu totalmente aperta, alzò lo sguardo, quasi come a chiedermi il permesso che diedi solo con una veloce occhiata. Fece scivolare velocemente l’indumento dalle mie braccia, lasciando così la parte superiore del mio corpo con solo il reggiseno addosso.
Strano, in un'altra situazione mi sarei sentita sicuramente imbarazzata, invece ora... ora fremevo dalla voglia che avevo di lui.
Prima che potessi di nuovo arrossire, gli sfilai la T-Shirt, e mi stupii di me stessa e dell’audacia, del controllo e della padronanza dei miei istinti che avevo avuto.
«Sei bellissimo…», mormorai, esaminando il suo petto. Indugiando, posai una mano sul suo ventre, e lo sentii tremare sotto il mio tocco.
«Non quanto te, però.», rispose lui. La sua voce era diventata roca, vellutata, così profonda da farmi accapponare la pelle.
La mia pelle appiccò fuoco ancora una volta quando lui iniziò a lambire la pelle della mia spalla, da dietro l’orecchio alla clavicola, girando intorno alla bretellina del reggiseno.
«Meredith… Meredith mi aveva detto quanto tu amassi Adele.», sussurrai, rincorrendo la voce della cantante. Mi era rimasto impresso quel pezzo di conversazione con sua figlia in automobile, quel pomeriggio, e in quel momento stavo appurando la verità di quelle parole.
Percepii il suo sorriso su di me, quasi se si stesse vergognando. «Sai com’è… il sangue e la voce inglese hanno un loro perché.»
Ghignai ma subito dovetti riprendere le redini del mio autocontrollo, e quando provai a slacciarmi i jeans lui mi fermò.
«Voglio che tu me lo ripeta.»
«Che cosa, Edward?» Lo guardai confusa, provando a capire a cosa si potesse riferire. Era il momento di fare domande, quello? A malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti, e lui mi chiedeva certe cose. Da scherzo.
«Dimmi… Dimmi che lo fai per entrambi. Per me quanto per te, soprattutto per te.» Non finì la frase, che si trasformò in un sussurro, e i suoi occhi cercarono i miei, come per trovare una risposta, un ancora a cui aggrapparsi.
Gli carezzai il profilo della guancia, fino al mento, dove mi incantai, per poi tornare un pochino più sopra, sulla sua bocca, su quel suo labbro arricciato, torturato nell’attesa di una risposta.
Un brivido mi risalì la schiena ma non me ne curai. Ero mezza nuda, al freddo, in piena notte, a febbraio, ma il suo sguardo addosso mi faceva prendere fuoco, ogni singola parte del mio corpo ardeva e sprigionava calore.
«Sciocchino, mi pare che ne avessimo parlato pochi minuti fa. Dopo quello che è successo a Maiorca, io voglio riprendere la mia vita, voglio vivere nuove emozioni. Voglio essere travolta da centinaia di sensazioni nuove ma anche vecchie, nascoste nel dimenticatoio. Voglio ritrovarle, assaporarle di nuovo, gustarle fino a che non mi verrà la nausea e vorrò fermarmi, ma sarò troppo ingorda e vorrò ricominciare, e andare avanti così per ore, fino a che non ti stancherai di me. Voglio vivere questa esperienza con te, perché so che ne ho bisogno, perché lo voglio davvero. Perché sento che è un bisogno essenziale, perché senza non potrei vivere. Perché senza di te non potrei vivere. Non ti basta?»
I suoi occhi, diventati di un verde scuro, brillante ma seducente e misterioso, mi scrutarono, come a trovare la verità consolidata nel mio piccolo discorso. Mi morsi il labbro, in attesa di una risposta, che arrivò forse troppo prepotentemente, ma che mi fece girare la testa.
La sua bocca si impadronì ancora una volta della mia, e avrei potuto annegare nel suo profumo, se non fosse stato che si era staccato poco dopo. «Dio mio, come riesci? Come fai a farmi sentire un uomo felice, senza tutti quei complessi da idiota? Mi basta, mi basterà per sempre. Dirti che per me vale lo stesso è insensato e senza logica, perché non sarebbe una replica all’altezza del tuo pensiero. Voglio solo che tu sia felice con me, sempre.»
Annuii convinta, e le sue mani mi arpionarono i fianchi, facendomi indietreggiare verso il letto. Solo in quel momento mi accorsi che era coperto da piccole piume bianche, il copriletto completamente sommerso da chiazze soffici che si insediarono fra i miei capelli.
Mi fece appoggiare dolcemente la schiena al materasso, cercando di non aggravare il suo peso sul mio corpo. La sua lingua aveva lasciato una scia calda sul mio collo, proprio dove le prime due costole si congiungevano, dove c’era quella piccola fossetta nella pelle che lo faceva diventare matto.
«Dio, mi fai impazzire…», mugugnò contro il mio collo; il suo naso mi sfiorava la mascella, la sua bocca mi torturava la pelle.
Succhiò debolmente quel lembo, e mi ritrovai a stringere il lenzuolo fra le mani, gemendo.
«Bella.»
Alzai gli occhi, incontrandoli con i suoi. Ancora una volta mi persi in quella boscaglia scura, insidiosa ma altamente provocante. «Sono qui.»
Mi sbottonò i jeans e io alzai il bacino per permettergli di sfilarmeli. Tutto stava succedendo come esattamente lo desideravo: non c’era urgenza nei suoi movimenti, mi stava aspettando, mi tendeva la mano e io dovevo afferrarla ma non correre con lui, ma fare un passo alla volta.
Cercai le sue labbra, come per fargli capire che stava andando tutto bene. Mi sfiorò la pancia, poco sopra il bordo degli slip, e io tremai, sebbene fosse stato un gesto involontario e veloce.
Le sue mani mi carezzarono dolcemente le gambe, dal fianco al ginocchio, per poi risalire e vezzeggiarmi il volto.
Stava diventando tutto così reale…
La luce flebile delle candele rendeva l’atmosfera ancora più romantica, leggera e illuminava leggermente il volto di Edward. Era una vista celestiale…
«Aspetta… non voglio schiacciarti.» Si staccò e si sdraiò al mio posto, facendomi così stare a cavalcioni su di lui. «Così va meglio.»
La sua battuta mi fece sorridere: riusciva in tutti i modi ad alleggerire la situazione, e in un momento come quello era l’ideale.
Scansò i capelli dal mio petto, e le sue labbra scesero di nuovo sul mio mento. Tracciarono lo stesso percorso di prima, arrivando fino alla spalla, per poi tornare su.
«E-Edward…», mormorai quando la sua bocca arrivò proprio sul bordo della coppa del reggiseno. Baciò e accarezzò lentamente la pelle che era diventata così sensibile da far amplificare ogni sensazione. Le sue mani risalirono la mia schiena, sfiorando ogni vertebra e ogni singola fossetta interposta fra loro.
«Ma non eri proprio tu che volevi dormire?», sussurrai, osservandolo dritto negli occhi. Ghignò compiaciuto, per poi baciarmi. «Non ho alcuna intenzione di farlo.»
Ogni cellula del mio corpo si fermò e prese fuoco nel momento in cui fece scattare il gancetto, senza distaccare lo sguardo dal mio. Socchiusi gli occhi, emettendo un sonoro gemito quando le sue mani mi carezzarono appena i fianchi, l’addome, di nuovo la schiena, e le braccia. La sua bocca si avventò sulla mia, facendomi ancora di più perdere il contatto con la realtà. Sfiorai con la punta della lingua la sua, provocando così una scarica elettrica ad entrambi. Su di me, percorse la spina dorsale, per poi irradiarsi sul petto, facendomi tremare sotto il tocco di Edward.
Abbassò le spalline del mio reggiseno, facendole scorrere delicatamente lungo le mie braccia. Essere davanti a lui, senza più quell’ostacolo, mi rendeva nervosa. Era tanto tempo che non mi mostravo così ad un uomo, e forse, proprio perché si trattava di Edward, non riuscivo a tranquillizzarmi.
Il mio respiro aumentò improvvisamente, e la sua mano si posò appena poco sopra il mio seno sinistro, proprio sul cuore. «Calma, amore.»
Annuii e feci sì che le nostre labbra si toccassero di nuovo, che i nostri fiati si mischiassero di nuovo, che le sue mani ritornassero sul mio corpo.
Lo sentii sfiorare il mio petto, le sue dita sotto la mie braccia, la sua bocca scese lentamente verso il basso, lambendo la pelle tesa del collo, del torace. Baciò dolcemente l’incavo fra i seni, facendomi stringere il lenzuolo, la sua lingua mi carezzò appena i capezzoli, e tutte le emozioni che stavo provando mi fecero tremare e contorcere.
«Oddio…», sussurrai, cercando di trattenere i  gemiti. Intanto, ero scivolata di nuovo sotto di lui, con un gesto lento. Allacciai le braccia al suo collo, la sua testa ancora abbassata verso il mio petto.
Inspirai il buon profumo emanato dai suoi capelli. Riuscivo a sentirlo nonostante l’aroma eccessivo di vaniglia che continuava a regnare nella stanza. Sapevano di muschio, di caffè, di borotalco… Di lui. Solamente e fantasticamente di lui, di quell’odore che mi si impregnava addosso durante la notte, quando mi stringeva nel sonno, che mi sfiorava le guance, che stava assaporando ogni centimetro di pelle scoperta che avevo.
«Bella, apri gli occhi, amore.»
Come incatenata dalla sua voce, obbedii, e mi ritrovai ben presto a salutare la buona ragione che mi aveva abbandonato proprio quando ritornai a contemplare il viso di Edward.
«Sto bene, davvero…» Sbattei più volte le palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco la sua immagine. Sulle labbra aveva un sorrisino compiaciuto, le sue mani mi stavano accarezzando i capelli sparpagliati sul cuscino.
In realtà, stavo più che bene. Sarà stata la situazione, ma in quel momento capii perfettamente che non ero mai stata più felice, neanche con Christian.
Oddio… Perché lo stavo paragonando a Edward? Ed era centomila volte meglio di Chris, lo sarebbe sempre stato. La sua dolcezza, i suoi sguardi, i suoi baci mi riempivano l’anima, e ci erano riusciti in appena quattro mesi. Con Christian, nei primi quattro mesi c’erano stati appena un paio di carezze.
In poche parole, Edward gli faceva un baffo.
Ricongiungemmo le nostre labbra, in un bacio completamente diverso dagli altri. Non esistevano parole per descriverlo, nessun’espressione poteva rendere l’idea. Conoscendomi, era un grande passo avanti, data la mia insicurezza.
Ma ero con Edward: lui credeva in me, e io in lui. Niente mi importava di più che quel pensiero.
Gli sfiorai la mascella, il collo, il pomo d’Adamo abbastanza prominente con la bocca. Piccoli tocchi e carezze che gli fecero chiudere gli occhi. Solo in quel momento mi accorsi davvero del profumo della sua pelle, di quanto fosse morbida e vellutata, quanto fosse così simile a come me l’ero sempre immaginata.
Tutto di lui mi apparteneva: i suoi occhi, la sua pelle, le sue mani, i suoi gesti, i suoi sguardi, i sorrisi, le carezze.
Era mio. Edward era mio.
Mi sentii egoista a pensarlo, ma viste le circostanze non mi fu difficile capire che era tutto vero.
Ed io ero sua, totalmente e fedelmente sua, lo ero e lo sarei sempre stata.
Con le dita tracciai la sagoma dello sterno, scendendo giù fino al suo ombelico, lì dove la pelle era più tesa, dove potevo sentire se tratteneva il fiato, dove sentivo il suo stomaco pieno di farfalle come il mio.
Gli sbottonai i jeans, lasciandolo alzare per disfarsene e per poi tornare di nuovo su di me. Ci stavamo lentamente lasciando andare, i nostri istinti non più controllati stavano prendendo il sopravvento, il nostro amore stava decollando. Le nostre mani si allacciarono per un istante, per poi dividersi. Le sue tornarono accanto al mio viso, le mie sui suoi fianchi.
Le nostre labbra si unirono, iniziando quella danza che ci pareva tanto familiare ma in realtà più sconosciuta che mai. Tutte le mie terminazioni nervose vibrarono a quel contatto e lo sentii scendere fino ai miei fianchi.
Feci la stessa cosa, e iniziai a giocherellare con l’elastico teso dei suoi boxer. Socchiusi gli occhi, lasciando andare un sospiro colmo di frenesia, e lui se ne accorse, baciandomi così il collo.
«Bella…»
«Stt…», sussurrai, appoggiando il naso contro il suo, le nostre fronti a contatto.
Presi coraggio e provai ad abbassargli l’intimo, ma lui fu più veloce e lo fece al posto mio. Ora era totalmente esposto al mio sguardo, e c’era solo un ultimo ostacolo che mi divideva dall’essere nella stessa situazione.
Edward chinò di nuovo il capo sul mio petto, succhiandomi avidamente un seno. Strinsi i suoi capelli di seta fra le dita, increspandoli; intanto inclinai la testa all’indietro e socchiusi gli occhi, sentendo le sue labbra su di me.
«Edward, ti prego…»
Mentre con una mano mi accarezzava il seno, che si gonfiava sotto il suo tocco, l’altra scivolò fra le mie cosce e io mi irrigidì.
«Bella?»
«S-Sì?», mugolai, e provai a guardarlo nonostante il piacere che stavo provando. Eppure non avevamo fatto praticamente nulla, niente a confronto a quello che sarebbe successo poco dopo.
«Posso?», mi chiese in un sussurro, e io annuii veloce. Non doveva chiedermi il consenso, non in un momento come quello.
Ero accecata dall’appagamento dei sensi, da quel mix di sensazioni che si stavano ampliando nel mio corpo.
Percepii gli slip scivolare lentamente sulle mie gambe e il tocco di Edward mi fece ancora di più vorticare la testa. La sua bocca ancora sul mio petto, sul mio collo, sulle mie labbra. Le mie mani lungo il suo addome, sui suoi fianchi, su quella “V” perfetta.
Gentilmente, la sua mano iniziò a massaggiarmi le cosce e quando fui abbastanza rilassata, si sistemò fra loro.
«Voglio che tu sappia una cosa.» Si era fermato, solo il suo guardo sul mio, nessuna intenzione di proseguire.
«D-Dimmi…»
«Amore, io non ho alcuna intenzione di ripetere ciò che ti ha fatto Christian. Non potrei neanche lontanamente immaginare tutto il dolore che ti farei provare, perché io non voglio farti del male. Io voglio che tu sia felice, con me. Voglio che tu sia accondiscendente in tutto, voglio avere il tuo parere, il tuo permesso. Sento che tu mi ami per quello che sono davvero, e non mi chiedi di cambiare per piacerti. Io ti ringrazio per questo.»
Le lacrime che si erano formate nei miei occhi scesero impetuose sulle mie guance, facendomi singhiozzare. «Edward…»
Delicatamente, cancellò via ogni traccia di tristezza dal mio volto, sfiorandomi le guance con la punta delle dita. «St…»
«Io… io ti darò sempre il permesso. Sai già le risposte e non serve che io te le ripeta.»
«Fammi solo… fammi entrare nel tuo cuore, ti prego.», sussurrò sulle mie labbra e io le catturai in un bacio che sembrava suggellare la mia risposta.
«Sei già entrato nel mio cuore, da tanto tempo.»
La sua bocca tornò sul mio collo e lo sentii premere su di me, ma lo fermai.
«A-Aspetta…»
«Se ti stai preoccupando per quello, ho già messo una protezione.»
Quando l’aveva fatto?
«Non… Non è per quello.»
«E allora per cosa?»
Sospirai, fissandolo dritto negli occhi. «Ho bisogno… Che tu mi dia tempo.»
Sfiorò con le labbra la mia spalla nuda, strusciando il naso nell’incavo del mio collo. «Tutto il tempo di cui hai bisogno. Ho bisogno che tu sia accondiscendente, voglio che tu sappia che se qualcosa andrà storto…»
«Io mi fido di te.», mormorai, carezzandogli il viso. Come se le mie parole fossero state una formula magica, tornò a baciarmi, con più passione questa volta, e in quel momento capii che potevo anche lasciarmi completamente andare: ero pronta, per lui lo ero sempre stata, avevo solo bisogno di aspettare il momento giusto.
«Devi… Devi solo andare piano, tutto qui…», sussurrai, la sua bocca sul mio seno.
Erano nuove sensazioni, o meglio: erano solo state dimenticate, di proposito. Dopo tanto tempo ero riuscita di nuovo a concedermi ad un uomo, essere me stessa e provare ad amare di nuovo.
Edward mi faceva sentire così: amata, desiderata e soprattutto, riusciva a farmi dimenticare quello che avevo vissuto con Christian.
Dolcemente, mi fece divaricare ancora un po’ le gambe, sempre carezzandole con la punta delle dita. Mi sembrava quasi di essere in un sogno, le sue braccia mi avvolgevano e le sue mani mi sfioravano continuamente.
«Se ti faccio male… mi fermo, okay?»
«Tranquillo, ti avviso, ma tu non fermarti.»
Cercò di nuovo il mio sguardo: un altro permesso, che io detti annuendo appena.
Lo sentii premere appena contro di me, per poi iniziare delicatamente a farsi strada. Fui costretta a socchiudere gli occhi, e mi arpionai alle sue spalle, conficcando le unghie nella sua pelle morbida.
Allo stesso tempo, però, corrucciai il viso in una smorfia, e Edward fece per uscire, ma lo fermai, tenendolo per un braccio: se non fosse andato avanti, non avrei potuto sconfiggere quel dolore, anzi fastidio che provavo al basso ventre.
La sua bocca, intanto, era sulla mia, le nostre lingue si intrecciarono. La mia disegnò il profilo dei suoi denti, degli angoli della sue labbra e loro stesse.
«Vai… Vai avanti.», sussurrai, e il suo bacino cominciò ad avvicinarsi sempre di più al mio, il suo calore irradiarsi all’interno del mio corpo.
«Ti sto facendo male?»
«N-No…», mentii, ma in quel momento non badai al fastidio prolungato. «Continua.»
«Sicura?»
Gli carezzai il viso, annuendo un poco. «Io mi fido di te.», ripetei, sentendolo sprofondare sempre di più dentro di me.
Mi morsi il labbro, nel tentativo di soffocare un gemito, e dolcemente cominciò a colmarmi. Non mi mossi, perché non avevo la benché minima intenzione di perdermi ogni singola scarica elettrica che mi stava donando.
«Oddio, Bella…»
Sapevo cosa stava per dire, ma lo bloccai. «St… Zitto, non dire nulla.»
Rimase qualche secondo fermo, sfiorandomi con la punta delle dita i fianchi.
«Puoi… puoi andare avanti…»
Mi sorrise nella penombra ma prima che potesse muoversi sopra di me, indicai lo stereo, le sue labbra di nuovo sulle mie.
«Edward… canta per me, ti prego.»
Era una richiesta strana e forse poco adatta alla situazione, ma vidi di nuovo il suo sorriso e capii che dopotutto l’avrebbe fatto.
Avrebbe fatto qualunque cosa per me.




Would you dance if I asked you to dance?

«Balleresti se io te lo chiedessi?», mormorò sulle mie labbra, in un sussurro quasi impercettibile.
«L’ho già fatto, ogni volta che me lo chiedesti.»

Would you run and never look back?

«Correresti senza mai guardare indietro?»
La sua mano mi carezzò il viso, le sue dita scesero lungo il mio collo e sfiorarono il mio seno.
«Sì…» Non riuscivo neanche più a rispondere in modo comprensibile.

Would you cry if you saw me crying?

«Piangeresti se mi vedessi piangere?»
«Non c’è bisogno che io ti risponda…», ribattei, assecondando ogni suo movimento.
Una frase, una spinta dentro di me, una spinta nella mia anima. Ero letteralmente in un brodo di giuggiole.

Would you save my soul tonight?

«Salveresti la mia anima stanotte?»
Una lacrima sgorgò dai miei occhi e scese lentamente il profilo della mia guancia; Edward la cancellò posandoci sopra le labbra.
«Sì, lo farei, non solo stanotte, ma per sempre.»
Di nuovo quel sorriso, di nuovo un battito perso. Dio, come potevo ragionare in quel modo?
In realtà mi era pressoché impossibile combattere per rimanere lucida, non quando la sua voce mi procurava più piacere che le sue spinte.
Forse perché era roca, un sussurro appena riconoscibile, un sospiro sulla mia pelle, sulla mia bocca.
Non quando le sue mani mi carezzavano il volto, il seno, il ventre, non quando le sue dita mi sfioravano ovunque mandandomi in estasi.
Era tutto così dannatamente perfetto da essere irreale, e Edward era tremendamente sexy da rischiare la galera.

Would you tremble if I touched your lips?

«Tremeresti se io toccassi le tue labbra?»
Lo guardai intensamente negli occhi, lottando con tutta me stessa per mettere a fuoco il suo viso. «Certo, certo che tremerei.»
Mi baciò con trasporto e come se fosse stata una prova alla mia risposta, tremai sotto di lui. «Hai visto? Tremo ogni singola volta che mi sfiori.»
Un altro bacio, una nuova emozione sulla pelle, nel cuore, dentro di me, proprio dove lui stava iniziando a vivere.

Would you laugh…

«Rideresti? Oh ti prego dimmi di sì.»
Mi lasciai scappare un risolino, forse dovuto al fatto che, mentre pronunciava quelle parole, emise un gemito sonoro.
«Vedo che approvi…», ridacchiò, stringendomi con amore la pelle del fianco fra le dita.

Now would you die for the one you love?

«Moriresti per la persona che ami, ora?»
Mugolai sulla sua bocca, aggrappandomi alle sue spalle, come per salvarmi e rimanere per quel poco che mi rimaneva nella realtà.
«Morirei ogni giorno per te, sempre, Edward, sempre.»
«Ripetilo…»
Cominciavo a far fatica a stargli dietro, ma non volvevo abbandonarmi inerte sul materasso, presa dall’appagamento.
«Co-Cosa?»
«Ridi’ il mio nome, ti prego…»
Gemette sul mio collo, cercando di non pesarmi troppo, e io tremai ancora di più a sentire quei suoi versi.
«Edward. Edward, Edward, Edward.», ripetei come una nenia, contro la sua spalla. Intanto, la musica di sottofondo continuò ma non ci badammo più, presi com’eravamo dal controllare i nostri sussurri.
Le sue spinte erano lente, dolci, ma profonde allo stesso tempo e non potei non attorcigliare le gambe attorno al suo bacino, facendolo cozzare con il mio.
Mi fissò per un lungo, interminabile, secondo che mi parve infinito, forse per chiedermi qualcosa.
«Vai... Tranquillo.»
«Non ti senti male?»
«Assolutamente… no. Vai, davvero. Sono completamente tua, adesso.»
Prese coscienza delle mie parole e sprofondò più velocemente, cogliendomi di sorpresa. Erano tutte emozioni dimenticate, in quei tre anni, ma che adesso stavano tornando per farmi rivivere.
Nell’aria, oltre alla musica in sottofondo, si sentivano solo i nostri respiri affannati e i nostri gemiti appena sussurrati sulle labbra, niente e nessuno in quel momento poteva separarci, neanche una delle più grandi catastrofi.
«Bella…»
Dischiusi gli occhi, tenuti per tutto quel tempo chiusi, e lo osservai attentamente: stava mantenendo tutto il proprio autocontrollo per fare piano e non diventare improvvisamente brusco.
«S-Sì?»
Gli carezzai la vena sulla fronte, che in quel momento si era così tanto gonfiata per lo sforzo, provando a rimanere il più cosciente possibile, anche se era ben impossibile dati i suoi movimenti e i miei sussurri.
«Ti… Ti… Oddio, Bella.»
Avevo quasi del tutto compreso cosa stesse per dire, e non poteva fermarsi così, non poteva. Dovevo saperlo, dovevo sentirlo con le mie orecchie.
«Cosa, Edward? Di-Dimmelo…»
Appoggiò la fronte alla mia, cosicché i nostri occhi potessero legarsi indissolubilmente. «Ti amo, Bella. Ho sempre saputo di amarti, sempre, ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Io ti amo, più della mia stessa vita, sei tutto per me.»
A quelle parole, iniziai a singhiozzare di gioia e d’impeto gli circondai il collo con le braccia.
«Oh… Ti-Ti amo anche io, Edward, anche io.»
La sua mano scivolò sotto il mio fondoschiena, sollevando così il mio bacino, e con un’ultima, penetrante spinta fu totalmente dentro di me. Mi sentivo finalmente completa, come mai era successo prima.
Eravamo due tessere dello stesso puzzle, nate per essere congiunte e mai più divise, proprio come in quel momento, dove sembravamo un unico corpo. Eppure eravamo sudati e ansimanti, una che si reggeva all’altro.
«Posso essere il tuo eroe, piccola.»
Gradualmente e deliziosamente mi portò fino al bordo della massima sopportazione, fino a che non mi lasciai andare e sprofondai sul materasso, graffiandogli le spalle e stringendo i suoi capelli serici fra le dita, tirandoli.
«Oddio, Edward…»
Soffocò il mio urlo, posando le labbra sulle mie, per poi accompagnarmi in quella dolce danza che presto ci avrebbe sfiancati.
«Ti… Ti amo, Bella.»
«Ripetilo, ancora, ancora…»
«Ti amo, ti amo, ti amo.», mormorò sul mio petto, baciandomi un’ultima volta prima di adagiarsi su di me.
«Sì, sii il mio eroe…», sussurrai, socchiudendo gli occhi e beandomi del suo calore, e della sua bellissima voce cantarmi le ultime note della canzone.
Di quella che divenne la nostra canzone.

I can be your hero baby
I can kiss away the pain
I will stand by you forever
You can take my breath away
___________
Awwwwww io sono di poche parole awwwwww
Ci credete? Ed e bella hanno.... awwwwwwwwww.
La smetto, jamme.
Cmq vi lascio il Profilo FB e il gruppo FB
Me la lasciate una recensioncina? E' la prima volta che scrivo una cosa del genere e quindi... fa nu pocho schif, jamme.
Cmq, spero di farvi leggere il nuovo capitolo molto presto <3
Stay Tuned
Kiss,
Giuly :*
   
 
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