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Autore: _Dolphin_    03/11/2012    2 recensioni
Giada è una diciassette qualunque, che ama la musica, odia la scuola e fa tutto quello che fanno le persone normali, ma qualcosa cambia quando durante una normale giornata di scuola qualcuno spara in classe e Giada scampa alla morte per un soffio. Questa storia è fatta di lacrime, risate, affetti, amicizie, ma soprattutto ansia.
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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hj Il capannone all'interno è grande, contrariamente a quanto si direbbe guardandolo da fuori. Nonostante ci siano le finestre non è molto illuminato perchè sono piccole e allungate e la luce non riesce ad entrare bene. L'odore è quello tipico che si sente quando si entra in una casa abbandonata, odore di muffa e chiuso. Noto che c'è anche un'altra porta dalla parte opposta da dove sono entrata io.
Quando cammino verso il centro del capannone i miei passi riecheggiano nella stanza che sembra deserta. Sembra, appunto. Più mi avvicino e più riesco a distinguere una persona seduta al centro con le gambe incrociate, lo sguardo fisso su di me e quella che ha tutta l'aria di essere una pistola poggiata per terra alla sua destra. É lui, è Michelangelo Scarlatti e mi sta per uccidere.
Sinceramente non mi sarei aspettata di vederlo seduto per terra, ma pensavo che mi avrebbe sparato non appena avessi messo piede lì dentro. Mi vorrà far soffrire prima di uccidermi? Non potrei sopportarlo.
-Sei puntuale. Ti stavo aspettando.-dice con voce tranquilla come se fosse un normale appuntamento tra amici. La sua voce è profonda, ma anche calda, rilassata.
Il suo viso è in penombra, ma riesco comunque a distinguere l'ombra di un sorriso che si apre sul suo volto. Rimango senza fiato nel vederlo sorridere. Ha un sorriso che ti toglie il respiro, un sorriso ingenuo, ma spontaneo che mette in evidenza le fossette. Uno dei sorrisi più belli che io abbia mai visto in vita mia.
Mi fa cenno di sedermi davanti a lui e io come un'automa obbedisco e mi siedo nella sua stessa posizione e finalmente ci guardiamo per la prima volta negli occhi. Faccia a faccia.
Mi aspettavo di trovare una persona dallo sguardo glaciale e spietato, ma trovo tutto l'opposto. Il suo sguardo è caldo, amichevole, rilassato. Non è quello che mi aspettavo e la cosa mi mette a disagio, non capisco che cosa voglia fare e di nuovo, come se mi leggesse nel pensiero risponde alla domanda silenziosa.
-Voglio fare quattro chiacchiere con te, va bene?-dice mantenendo un tono di voce rilassato.
Annuisco.
-Come sta il tuo amico? Il poliziotto?-mi domanda con una leggera preoccupazione nella voce.
La cosa mi sorprende, di nuovo. Mi ha davvero chiesto come sta Riccardo? Prima lo spara e poi mi chiede come sta? Lo fisso con gli occhi sbarrati e mi chiedo se vuole veramente sapere come sta o se mi sta solo prendendo in giro, ma il suo silenzio mi fa capire che sta aspettando una risposta.
Mi schiarisco la gola.
-É in coma, ma dovrebbe svegliarsi presto.- rispondo con tono neutrale e sorpresa dal fatto che non mi manchi la voce.
Lui annuisce e sorride, di nuovo.
-Sono contento e mi dispiace avergli sparato, ma lui si è messo in mezzo tra me e te e questo non doveva succedere, capisci?-
Continua a tenere il tono di voce rilassato come se stessimo parlando del tempo e io, non sapendo cosa mi dire, mi limito ad annuire.
-So che hai tante domande da farmi perciò ti ascolto. Avanti chiedimi pure quello che vuoi.-
Più parla e più mi risulta difficile credere che quest'uomo sia un assassino. Ha un viso così gentile e dolce, e dalla sua voce traspare sicurezza che se lo incontrassi per strada probabilmente lo scambierei per una persona subito pronta ad aiutare gli altri e disponibile a tutti, ma la pistola al suo fianco non lascia alcun dubbio.
Visto che mi sta dando la possibilità di fargli delle domande ne approfitto per togliermi quei dubbi che da mesi mi hanno massacrato. Con gesti lenti e chiari tiro fuori dalla tasca dei pantaloni la foto che mi aveva mandato e la fisso di nuovo.
-Chi è questa bambina?-domando con una calma sorprendente.
Lui fa di nuovo un sorriso. Questa volta è un sorriso triste.
-É mia madre. Non la trovi graziosa?-
Annuisco.
-Il suo sorriso è..uguale al mio.- constato ad alta voce.
Questa volta è lui ad annuire.
-Quindi è per questo che mi vuoi uccidere.-
Non è una domanda e lui non risponde, si limita a guardarmi.
-Perchè non lo hai ancora fatto? Cosa stai aspettando?-
Mi stupisco di quanto sia stupida la mia bocca. Da come l'ho detto sembro impaziente di morire.
-Che fretta abbiamo, Giada? Vedo che non hai portato gli sbirri perciò possiamo prenderci tutto il tempo che ci occorre. Voglio parlarti di mia madre, ti va di ascoltare?-chiede dolcemente e in questo momento mi ricorda molto un bambino indifeso, abbandonato.
Annuisco, anche perchè nonostante lui mi abbia chiesto se voglio ascoltare non mi sembra di avere altre alternative e poi sono veramente curiosa di conoscere la storia.
Il suo sguardo diventa velato, come se non fosse più in un capannone abbandonato con me, ma indietro negli anni.
-Mia madre si chiamava Elisa ed era una delle donne più belle che io abbia mai visto e non lo dico solo perchè sono suo figlio. Oltre ad essere una bellissima donna era anche una moglie perfetta e una madre incantevole e premurosa. Sono figlio unico, perciò tutte le sue attenzioni erano rivolte a me. Siamo sempre stati uniti e lei mi ha sempre supportato in qualunque cosa facessi. Eravamo una famiglia felice fino a quando mio padre non morì in un incidente d'auto e d'improvviso restammo solo io e mia madre. Avevo trent'anni e la morte di mio padre fu un duro colpo per entrambi, avevamo perso il nostro punto di riferimento, il capo della famiglia, colui che portava i soldi a casa. Mia madre ogni tanto badava a degli anziani, ma dopo la morte di mio padre questo non fu più sufficiente per sostenere le spese. Più passavano i giorni più io e mia madre diventavamo legati. Io ero il suo migliore amico e lei era la mia migliore amica. Siccome avevo già trent'anni e non avevo trovato ancora un lavoro e i soldi non bastavano mai, decisi di arruolarmi e andare in Afganistan per riuscire a racimolare soldi. Quando lo dissi a mia madre lei scoppiò in lacrime e mi disse che non ce l'avrebbe fatta senza di me, ma io le promisi che si trattava solo di qualche mese e che l'avrei chiamata ogni giorno. Così arrivò il giorno della partenza e arrivati in Afganistan trovai un mondo completamente nuovo. Le ispezioni, le bombe, i falsi allarme tutto mi metteva sotto stress e c'erano così tante cose da fare che passavano giorni prima di riuscire a sentire mia madre. Quando ci sentivamo entrambi scoppiavamo a piangere e ognuno ripeteva all'altro quanto gli mancasse. Passavano i giorni, le settimane e i mesi, ma a me sembravano non voler concedere il permesso di poter tornare a casa e così passò un anno. Un giorno qualunque mia madre mi chiama e mi fa: “Sto male” e io, ingenuamente le chiesi se avesse la febbre, pensando che il suo malessere doveva essere causato da un virus passeggero, ma lei tirò su con il naso e mi disse: “Ho un tumore al cervello. Mi rimangono due mesi di vita.”- si ferma un attimo a prendere fiato e noto che ha gli occhi lucidi, e io cerco disperatamente di non piangere mentre la sua storia mi tocca nel profondo.
Dopo un istante riprende a raccontare.
-Rimasi sconvolto da quella notizia e le promisi che sarei tornato il prima possibile a casa per stare con lei, ma quando andai dal generale per chiedergli di farmi tornare a casa lui mi rispose che non era possibile e che avrei dovuto aspettare tre mesi prima di tornare. Tre mesi erano decisamente troppi e mia madre non avrebbe resistito tanto a lungo, ma non potevo fare nient'altro. Potevo solo pregare Dio di farla resistere per tre mesi, ma il suo era un tumore aggressivo e così dopo neanche due mesi il generale mi chiamò nel suo ufficio per dirmi che lei era morta e che potevo tornare a casa per un paio di mesi. Non c'è stato momento peggiore in tutta la mia vita di quando l'ho vista distesa dentro la bara, così magra e pallida, così inerme. Il suo volto sembrava angelico e sereno e non dimenticherò mai il senso di colpa che provai e che provo tutt'ora nel sapere che non sono stato con lei nei suoi ultimi giorni di vita. Con il passare dei mesi la sua perdita non è diventata meno dolorosa, ma solo accettabile e stavo imparando a conviverci fino a quando non sei arrivata tu.-dice mentre mi punta un dito contro.
Non ha paura di mostrarsi debole e non si cura delle lacrime che gli inondano il viso, come del resto io non mi curo delle mie. Mi morsico il labbro inferiore per evitare di singhiozzare e cerco di piangere silenziosamente.
Quando mi indica accenna un breve sorriso.
-Ti ricordi quando sei andata a Roma l'estate scorsa? Io ti ho visto alla Fontana Di Trevi mentre ridevi con tuo fratello e sono rimasto letteralmente sconvolto nel vedere che hai il sorriso uguale a lei. Così ho iniziato a seguirti ogni giorno, ho scoperto molto presto dove vivi, dove studi e quando sono stato sicuro ho sparato per la prima volta, ma qualcosa è andato storto e tu ti sei salvata e poi sai perfettamente com'è andata.- conclude lui con un gesto della mano. Il suo sguardo è di nuovo sereno e rilassato, mentre io non riesco a fermare le mie lacrime. Mi sarei aspettata di tutto, tranne una storia come questa. Un brivido mi scivola lungo la schiena e faccio un respiro profondo, poi alzo lo sguardo su di lui.
-Mi dispiace tantissimo per tua madre e ho sempre saputo che c'era un motivo dietro la tua furia omicida nei miei confronti e non mi sarei mai aspettata una cosa del genere..-
-Però?-mi anticipa lui.
Attendo qualche istante prima di rispondere. Non sono sicura di volerlo dire davvero perchè temo una sua reazione violenta, del resto la pistola è ancora a fianco a lui e non ci vuole niente a prenderla.
-Però uccidermi non te la farà tornare indietro.-
Lui sospira e mi fissa intensamente.
-No, ma tu sei qui e lei no. Non meriti di stare qui. Perchè lei no e tu si?-mi domanda e nuovamente mi chiedo se si aspetti una risposta così decido di dargliela lo stesso.
-Perchè io non sono lei. Mi hai seguita per mesi e sono sicura che anche tu ti sei accorto che io e tua madre, a parte il sorriso, non abbiamo niente in comune. Mi sbaglio? Io credo di no. Dopo che mi uccidi che cosa ottieni? Probabilmente ti sentirai soddisfatto per un po' e dopo? Dopo ti accorgerai che comunque non ti è rimasto niente. Non sei una persona cattiva e mio malgrado mi rendo conto di non essere arrabbiata con te, non ti odio e non provo disgusto. L'unica cosa che riesco a provare per te è compassione. Vuoi uccidermi? Fallo, ormai sono qui, ma secondo me dovresti andartene. Ti assicuro che non dirò una parola a nessuno, come vedi sono venuta da sola, perciò ti puoi fidare. Anche perchè, francamente, penso che tua madre in questo momento si stia rivoltando nella tomba. Sicuramente non si aspettava che suo figlio diventasse un omicida. Puoi scegliere, vedi un po' tu.-
Mi stupisco io stessa del discorso che ho appena fatto. Non riesco a capire se sono stupida o ritardata. Davvero spero che un discorsetto del genere riesca a farlo vacillare? Non potrà funzionare eppure il tempo passa e lui rimane in silenzio alternando lo sguardo tra la pistola e me. Ci sta davvero riflettendo e proprio quando sembra aver preso una decisione il silenzio viene interrotto da un casino assurdo che all'inizio fatico a comprendere.
Le due porte cadono a terra con un rumore assordante, nelle finestra ci sono cecchini con tanto di fucili e dall'entrate vengono verso di noi almeno una decina di uomini. Per un attimo sono disorientata e penso che tutte quelle persone siano venute qui per uccidere me, ma poi intravedo la figura di Luca, Matteo e di molti altri poliziotti che ho visto tantissime volte in commissariato e nel giro di qualche secondo la situazione precipita totalmente.


Michelangelo è come ve lo siete immaginate? ;)
   
 
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