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Autore: Montana    03/11/2012    1 recensioni
Kalòs kaì agathòs. Letteralmente, “bello e buono”.
Una delle prime cose che insegnano al Liceo Classico è questa, la teoria del bello e buono che gli antichi Greci avevano tanto a cuore.
Il tutto è riconducibile nelle due parole greche καλὸς κἀγαθός, la kalokagathia. I miti greci ne sono pieni.
Nell’Iliade tutti danno ragione ad Achille perché è bello e buono, e picchiano Tersite perché è brutto, zoppo e storpio.
Nonostante tutto, anche al giorno d’oggi è rimasta nel nostro subconscio la convinzione che se una persona è bella esternamente dev’esserlo anche all’interno.
A questo Zoe non credeva affatto.
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Ritornando alla sua posizione vegetativa iniziale, Marco registrò il pensiero che doveva chiederle cos’avesse contro la kalokagathia.
Avevano quattordici anni, e quella fu solo la prima volta che le vite di Zoe e Marco si scontravano bruscamente.
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"Quando due forze così grandi si scontrano non possono non lasciare segni su ciò che le circonda, Léon."
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Marco, ragazzo normale, vita normale, amici normali, fino al Liceo.
Léon, padre francese, famiglia rovinata, riflessivo e protettivo.
Zoe, genitori francesi, un passato misterioso, un segreto che non ha mai detto a nessuno.
Destinati ad incontrarsi, destinati a cambiarsi le vite.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le loro vite con Zoe'
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La nostra vita con Zoe

14. Lungo il Viale dei Sogni Infranti



Léon si era sempre ritenuto un ragazzo intelligente.
Quando però Marco pronunciò quella frase, “mi sono innamorato di Zoe”, si rese conto di essere stato un vero idiota a non rendersene conto.
Perciò gli sfuggì un «E te ne sei reso conto solo adesso?!» che era più che altro rivolto a se stesso, ma che Marco prese come una presa in giro.
«Sì, me ne sono accorto solo adesso! Potevi anche dirmelo, simpaticone!»
«Ma no, io... Cioè, sei sicuro?»
«Stavolta sì! E credo anche di esserlo sempre stato! O almeno dalla prima volta che l’ho baciata!»
Léon rise «Dalla prima volta che l’hai baciata? Non sono passate neanche ventiquattrore!»
«Ma no, non da ieri sera! Io l’avevo già baciata una volta! Due anni fa, quando c’era la neve e siamo andati a casa sua, quando tu dovevi guardare la partita di rugby.»
Léon ci mise qualche secondo a realizzare di cosa stava parlando l’amico. Quando capì, lo guardò esterrefatto «Vi siete baciati?!» «No! Io ho baciato lei! O almeno quello era il mio intento, più che altro le ho dato una testata...» rifletté Marco.
Léon scosse la testa, sempre più confuso «Allora, due anni fa tu hai cercato di baciarla, poi però hai rinunciato a questi tuoi propositi, ma eri comunque innamorato di lei e te ne sei reso conto solo adesso che vi siete baciati?»
Marco annuì.
«E a lei l’hai detto?»
«No! Stavo per farlo oggi, ma mi ha smontato come un Lego! Ha detto chiaro e tondo che è stata una cazzata e che l’abbiamo fatto solo perché eravamo ubriachi. Cosa dovevo dirle? Le ho dato ragione. Ma te lo assicuro, Léon, che due amici non si baciano così, neanche da ubriachi fradici.»
Léon su questo era d’accordo «Ma Marco, ha ragione lei, siete amici! Se vi metteste assieme e poi vi lasciaste, rovinereste tutto! E poi dai, la conosciamo bene, Zoe non è il tipo da...»
L’occhiataccia gelida di Marco lo zittì.
«Da cosa? Dai, dillo.»
«Da una storia tanto per fare. E conoscendo te e le tue precedenti esperienze in fatto di ragazze, diciamo che non sembri il tipo da storia seria.»
«Ma lei non era Zoe! E non credo sia per quello che non vuole stare con me. Secondo me si sta nascondendo dietro ad un muro di scuse.»
«E quale sarebbe la verità?»
«Non lo so. Zoe è una matrioska di segreti, appena ne sveli uno ce n’è subito un altro, e ho come l’impressione che noi siamo solo al primo strato.»
“Parla per te” avrebbe voluto aggiungere Léon, memore della conversazione  avuta con Zoe in primavera, ma preferì star zitto.
«Quindi cosa pensi di fare? Insomma, tra voi c’è indubbiamente chimica, tu dici di essere innamorato di lei, ma sei sicuro? Riflettici bene, perché voglio bene ad entrambi e non voglio che stiate male. Allora?» disse Léon, chiedendosi nel frattempo perché nessuno si fosse reso conto che loro erano lì da un quarto d’ora senza consumare.
«Credo di averci riflettuto per due anni. Quindi direi proprio di sì, sono sicuro.» rispose Marco, serio come non l’aveva mai visto.
«Allora hai la mia benedizione. E prima che tu mi minacci di morte, non preoccuparti, non dirò nulla a Zoe. Ma quindi dimmi, cos’hai intenzione di fare?»
«Ah, non ne ho idea. Mi verrà in mente qualcosa, spero, ma adesso ho la testa vuota e la pancia ancora di più. Perché non ci vogliono far mangiare, stasera?!» chiese, come se si fosse reso conto solo in quel momento di aver anche dei bisogni fisici.
Léon si sbracciò un po’ per attirare l’attenzione della cameriera.
Quando questa se ne fu andata , Marco si passò una mano tra i capelli, si rimboccò le maniche e brandì con fare eroico la forchetta «E adesso, alla conquista di Zoe Blanchard! Ma prima, di un piatto di tagliatelle.»
 
Léon aveva bisogno di un caffè. Se avesse avuto un regno, l’avrebbe sicuramente venduto per un misero bicchierino di caffè delle macchinette. Purtroppo però il karma aveva deciso di volergli particolarmente male quella mattina, facendogli dimenticare il portafoglio a casa.
Se ne stava seduto sulla sedia appena fuori dal’aula, fissando il pavimento e provando ad elemosinare qualche centesimo dai compagni che passavano.
«Buongiorno, Léon, sei ancora con noi?» chiese la voce di Zoe in avvicinamento, mentre un paio di jeans chiari occupavano la sua visuale.
«No, sono ancora nel mondo dei sogni. Ma buongiorno anche a voi, Zoe ed amica di Zoe.»
«Ci vedi addirittura doppio? Dove la vedi una mia amica?» chiese Zoe, tra il divertito e il preoccupato.
Léon alzò gli occhi e vide che effettivamente davanti a lui c’era solo Zoe.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Innanzitutto, aveva i capelli sciolti, ancora un po’ mossi dalla Festa, ma questo era il minimo. La ragazza infatti sfoggiava la felpa con la bandiera inglese di Marco, che il ragazzo le aveva regalato “in prestito” al compleanno, e un paio di jeans chiari e attillati che le fasciavano perfettamente le lunghe gambe magre.
«Zoe!»
«Oh, buongiorno!»
«Aspetta, ma hai...»
«La felpa? Lo so, mi sta lunga, ma almeno non larga.»
«No, non la felpa! Insomma, hai i jeans!»
Zoe lo guardò con aria interrogativa «Guarda che anch’io ne ho qualche paio. Non fare quella faccia, sono solo jeans!»
A dimostrare che non fosse successo nulla di grave, entrò in classe.
Fu accolta da molte occhiate sconcertate che le fecero capire di aver sbagliato.
La prima ad avvicinarsi con un sorriso dubbioso fu Adele «Ehi Zoe, buon salve. Come mai questo, ehm, cambio di look?»
«Sono solo jeans!» sbottò la francese, lanciando la borsa sul banco.
«Ma quella non è la felpa di Marco?» chiese qualcuno dal fondo della classe, qualcuno evidentemente più attento ai dettagli.
«Sì, gliel’ho regalata per il compleanno. È un regalo condiviso, però. Non credevo che te la saresti mai messa a scuola, come mai questo cambiamento?» chiese Marco, avvicinandosi.
Zoe finse un sorriso «Le cose cambiano e la gente con esse. Ho deciso di abbandonare l’utopia di studiare in un college inglese, quindi di conseguenza ho abbandonato anche le gonne a quadri.»
I tre amici erano sempre più esterrefatti.
«Ma Zoe, quello era il tuo sogno! Da quando ti conosciamo non hai mai smesso di ribadirlo, era il tuo obiettivo!»
«Lo so, ma non è possibile. Non è mica la fine del mondo. Bisogna solo crescere.»
Doveva essere successo qualcosa. Una persona come Zoe non avrebbe mai rinunciato così su due piedi al sogno di una vita, e gli occhi cupi e vuoti della ragazza testimoniavano la cosa. E non poteva trattarsi del litigio con Marco, pensò Adele, neanche alla luce delle più recenti rivelazioni. Prima che potesse chiederle cosa diamine fosse successo però entrò in classe la professoressa di italiano.
Dopi un’intera ora sulla Divina Commedia, l’insegnante decise di lasciare un po’ di tempo agli alunni per riprendere fiato prima di passare all’interrogazione. Era una brava insegnante, molto benvoluta dai suoi alunni soprattutto per la sua manica larga nei voti, ed era anche una donna simpatica.
Cominciò a parlare della sua famiglia, della figlia maggiore che stava per laurearsi e del figlio minore che aveva cominciato le elementari, e del marito che stava progettando un viaggio alle Maldive per il loro anniversario che l’avrebbe tenuta lontana da scuola come minimo una settimana.
Adele si accorse di Zoe circa a metà del discorso.
Stava piegata da un lato, la testa appoggiata ad una mano e tremava leggermente.
«Zoe? Cos’hai fatto?»
«Niente.» rispose lei con voce tremante.
Adele allora le spostò il braccio per guardarla in faccia e vide che stava piangendo. Senza farsi prendere dal panico alzò la mano «Prof, potremmo uscire? Zoe non si sente bene.» disse.
La prof le guardò stupita, poi si accorse che Zoe stava piangendo e acconsentì.
Adele la portò fuori, non in corridoio ma in giardino perché prendesse un po’ d’aria.
«Adesso vuoi spiegarmi cosa...»
«I miei si sono lasciati.»
Scoppiò a piangere, un pianto ancor più disperato di quello del giorno prima.
Adele la lasciò sfogare poi l’abbracciò forte, e fu così che le trovarono Marco e Léon quando le raggiunsero qualche minuto dopo.
«Che cazzo è successo?! Stai male?» chiese Marco angosciato.
Zoe si staccò da Adele e scosse la testa, asciugandosi gli occhi «No, no, niente d fisico. È solo che i miei... insomma, si sono lasciato.» balbettò.
Calò un silenzio gelido per qualche secondo, poi Léon esclamò «Oddio Zoe, mi dispiace così tanto!» e abbracciò di slancio l’amica, che ricominciò a piangere. Quando si fu di nuovo calmata, dopo esser stata abbracciata anche da Marco, si appoggiò piano alla spalla di questo e con la voce che tremava piano cominciò a raccontare.
«Mio padre sarebbe dovuto tornare ieri da Parigi, lo sapete no, che non è quasi mai a casa per via del lavoro. Quando sono tornata a casa però ho trovato Fed da sola e in lacrime. La storia non è poi così complicata, lui è rimasto a Parigi da... dalla sua seconda famiglia.»
Di nuovo silenzio.
«Seconda cosa?»
«Famiglia. Ha un’altra moglie, là, e un’altra figlia molto più piccola di me. Non credo che Fed gli abbia chiesto di scegliere, mia madre ci tiene alla sua dignità, ma penso che avrebbe comunque scelto loro. E Parigi, ovviamente. Con loro potrà avere tutto quello che ha sempre sognato.»
«E... tu e Fed?»
«Ce la caveremo, siamo forti. La cosa che più la ferisce è che per colpa di mio padre non potrò mai realizzare il mio, di sogno. È per quello che ho i jeans.»
«Aspetta, per colpa di tuo padre non potrai studiare in un college? Perché?»
«Perché qualunque associazione per andare a studiare all’estero chiede una situazione familiare stabile per evitare problemi con la famiglia ospitante, e soprattutto chiede che non ci siano problemi di dieta.»
«E tu hai problemi di dieta?»
«Sono stata anoressica quando facevo le medie, e tutt’ora quando sono fortemente sotto stress rifiuto il cibo.» spiegò Zoe, tormentandosi l’orlo della felpa, lo sguardo basso e le guance arrossate.
«Non devi vergognartene, capita spesso.» la rassicurò Adele.
Zoe fece un sorriso sarcastico «Certo, ma ben pochi riescono a rovinarsi futuro e sogni. Sono proprio fantastica, eh? Penso di capire perché mio padre abbia scelto la vita francese.» disse, gelida.
I tre amici si guardarono titubanti, poi Léon disse «A noi non importa niente di quello che pensa tuo padre. Non ti permetteremo mai di farti del male per qualcuno che evidentemente non ti vuole bene.»
«Esatto. Anche se lui non te ne vuole, noi te ne vogliamo il triplo. E ti faremo mangiare, anche a costo di infilarti a forza il cibo in bocca!» rincarò Adele, con il suo tono da generale che non ammette repliche.
«Perché Parigi sarà bella, e l’altra famiglia fantastica, ma se lui non ha te non sa cosa si perde.» concluse Marco con gli occhi un po’ tristi.
Quelli di Zoe tornarono lucidi «Cazzo ragazzi, nessuno mi aveva mai detto niente di simile. Io... grazie, grazie mille.»
«Prego, ma non metterti a piangere che comincio anch’io.» disse Léon.
«Abbraccio di gruppo?» propose Adele. Zoe annuì e i quattro si abbracciarono.
«Torniamo in classe? Penso che non saremo interrogati...» propose Léon.
Si avviarono. Marco trattenne Zoe per stare un po’ lontani dagli altri.
«Ti sta bene quella felpa.» le disse.
«Grazie. È la prima volta che me la metto fuori di casa, ma quando stamattina mi sono messa i calzoni è stata la prima felpa a cui ho pensato.»
«Così mi sento importante. No, dai, scherzo. Però davvero, se ti serve una mano, anche se ti senti sola, chiama. Io per te ci sono sempre, lo sai vero?» le disse mettendole un braccio attorno alle spalle.
Zoe annuì «Giorno e notte?» ironizzò.
«Quando vuoi! Non sto scherzando, guarda che se vuoi puoi chiamarmi anche nel cuore della notte!»
«Come sei sempre esagerato... Ma ti voglio bene soprattutto per questo!»
 
Lo chiamò veramente.
Erano le tre di notte quando Marco fu svegliato dalla vibrazione del cellulare che aveva lasciato sul materasso. Di solito lo spegneva prima di dormire, la quella sera era letteralmente crollato sul libro che stava cercando di leggere (non avrebbe mai capito come facesse Zoe ad amare così tanto Dickens, era così deprimente!).
Cercò a tentoni il cellulare e rispose senza neanche guardare chi fosse.
«Pronto?»
«Marc?»
«Sì. Chi è?»
«Sono Zoe.»
Il ragazzo sobbalzò «Zoe! Che ore sono? È successo qualcosa?»
«No, solo che... Oddio, stavi dormendo. Stavi dormendo?»
«Eh? No, no, io stavo... leggendo. Un... fumetto.» biascicò Marco cercando di non far sentire il sonno nella voce.
Zoe però l’aveva capito immediatamente «Stavi dormendo! Oh santo cielo, quanto sono idiota?! Niente, dormi. Buonanotte!» esclamò imbarazzata.
«Aspetta! Ormai sono sveglio, dai, dimmi. Spengo la luce e ci sono.»
Spense la luce e si appoggiò con la schiena al muro «Dimmi.»
Dall’altra parte Zoe sospirò «In realtà non ho niente di particolare da dire. Solo che non riesco a dormire, e tu mi hai detto che potevo chiamare, e io... ti ho preso sul serio.»
«Hai fatto bene. Come mai non riesci a dormire?»
«Ogni volta che ci provo mi immagino l’altra famiglia. Ed è terribile, ma non riesco a pensare ad altro.» rispose lei, la voce stanca e tremante.
Nel sentirla così fragile e spezzata, Marco avrebbe voluto prendere la moto e raggiungerla a casa, ma non poteva quindi si limitò a dirle «Prova a pensare a qualcos’altro di più allegro!»
«E pensi sia facile?»
«No, non credo, ma secondo me puoi farcela.»
Ci fu qualche minuto di silenzio, il respiro di Zoe nella cornetta era quello lento e controllato di chi sta cercando di calmarsi.
«Non ci riesco.» sbottò lei dopo un po’.
«Ti ricordi quella volta che siamo andati al parco giochi con Adele e Léon?»
«Sì, ma cosa c’entra?»
«Qual era già il gioco che Adele non voleva fare e quando l’hai convinta poi strillava come un’aquila?»
«Quale... Ah, sì, quello con i piedi a penzoloni! Oddio, mi ha fischiato un orecchio per il resto del pomeriggio! Aspetta, è stata la stessa volta che la mela caramellata ti è rimasta attaccata all’apparecchio?»
Marco sorrise «Sì, è stata quella volta lì. Quando poi ci eravamo stesi sul prato e...»
«E sono partiti gli irrigatori! Ahahah è vero! Che Adele credeva che avesse cominciato a piovere! Dio, avevo riso così tanto che mi era venuto mal di stomaco!»
«Me lo ricordo, hai passato il resto del pomeriggio a lamentarti!»
«Non è vero! E se proprio vogliamo parlare di lamentele, sei tu quello che si è lamentato per tutta la sera, quella volta alla Fiera sugli autoscontri!»
Marco ci mise qualche secondo a capire di quale volta stesse parlando, poi scoppiò a ridere così forte che temette che i suoi genitori arrivassero a chiedere cos’aveva da ridere.
«Io mi sarò anche lamentato, ma ne avevo tutto il diritto! Scusa, quale persona normale alla guida di un autoscontro invece di lanciarsi contro le altre macchine comincia a girare su se stessa?!»
«Te l’ho detto! Io non l’avevo fatto apposta, ma tu ridevi così forte che era un peccato ricominciare a guidare normalmente!»
«No, tu sei sadica!»
Si presero qualche secondo per riprendere fiato.
«Che ore sono?» chiese Zoe.
«Le tre e mezza.»
«Hai sonno?»
«Se tu non ne hai, no.»
«No, ne ho un po’ anch’io. Sto meglio, davvero. Scusa se ti ho chiamato»
Marco sorrise «Piantala di scusarti. Adesso però dormi, che se domani ti interrogano poi vai male e ti lamenti.»
«Io non vado mai male, ho una memoria fotografica. Buonanotte, comunque. E grazie, Marc. Ti voglio bene.»
«Anch’io, Zoe. Tanto. Buonanotte.»

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Scusate il ritardo di un giorno ç___ç E grazie per aver di nuovo recensito ;)
Veniamo a noi. Allora, ecco svelato quello che era successo a Fed nell'altro capitolo. Ebbene sì, hanno scoperto la seconda famiglia di Enrique e non hanno intenzione di perdonarlo. Povera Zoe, così disillusa :( Ma c'è quell'amore di Marco che la consola *---* Sì, li amo troppo, sono troppo cucciolosi!
Poi basta, direi che l'unica cosa da dire è sul titolo del capitolo, preso ovviamente dalla canzone dei Green Day ;)
Riuscirà Marco a conquistare Zoe Blanchard, o dovrà accontentarsi delle tagliatelle? E riuscirà Zoe a coronare comunque il suo sogno?
Lo scoprirete nei prossimi capitoli!

  
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