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Autore: grace88    03/11/2012    3 recensioni
Fersen e Marie Antoinette sono diventati amanti e si incontrano clandestinamente. Oscar, anche se è a sua volta innamorata di Fersen, è costretta a fare da messaggera tra i due... Oh, ma questo è solo l'inizio della storia, una storia un po' antica e un po' nuova, che vi racconto, così come l'ho pensata io, attraverso tre balli (Trois bals). Grazie a chi mi leggerà.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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TROIS BALS.
 
I- LE BAL DU SOLDAT E DU LOUP.
 
“Solo con voi posso veramente confidarmi”.
Le parole della regina rotolano ai piedi della donna soldato come pietre.
“Lo amo. Lo amo così tanto. Io…”.
E quelle pietre rotolano fino alla punta dei suoi stivali.
“Ma stasera… Stasera non posso”.
La donna soldato non guarda i piccoli sassi insidiosi. I suoi occhi, prima chini nella reverenza del saluto, ora possono offrire un porto limpido e quieto alla concitazione della regina. Più di vent’anni per costruire quello sguardo.
“Stasera non posso incontrarlo. Il re reclama la mia compagnia… E io non… Deve certo immaginare che… Ve ne prego, Oscar! Vi prego, andate da Hans…”.
I nomi cadono nell’aria della stanza come pezzi di metallo raschiati dal sole.
“Andate da Fersen! Andate da lui prima di sera e avvertitelo”.
È un ordine.
“Soltanto a voi posso chiedere… Soltanto voi conoscete il nostro segreto e…”.
La regina non riesce a finire le frasi, si aggrappa ai braccioli. Il nostro segreto, il vostro.
“Vi prego, andate e ditegli che… Che… Ditegli che non posso, ma che non potere mi… Sì, mi devasta il cuore, che nulla mi tarda tanto, quanto… Quanto il rivederlo al più presto. Domani…”.
Dietro le spalle minute della regina, il profilo di quel domani a portata di mano ha pizzicato impercettibilmente gli occhi della donna soldato.
“Sì, Domani! Ditegli che domani si potrà, che potremo…”.
Potrete.
“Mio Dio, Oscar, soltanto voi potete aiutarmi. Vi supplico! Ditegli tutto! Signore, ditegli tutto quello che non posso dirgli, che non posso, ma che vorrei, vorrei…”.
La donna soldato rimane dritta ad ascoltare ma, di colpo, ci crede un po’ meno.
“Ditegli tutto quello che il mio titolo e la mia condizione opprimono col silenzio, ditegli che… Che lo amo, che mi manca!... E che divento pazza quando non lo vedo, che…”.
La regina si interrompe. Fissa il vuoto.
La donna soldato sente sotto le dita il sospetto: non ci crede che gli amanti non si siano mai detti quell’amore, quella nostalgia quotidiana, affannosa.
Poi d’un tratto capisce. La regina deve sacrificare le sue parole al silenzio, ma soltanto per quel giorno, soltanto per modo di dire. È abituata a fare la regina, e non si accorge più di avere spostato col gomito la verità. Semplicemente ella sa, senza confessarselo ma per istinto, che la donna soldato accetterà di portare il messaggio soltanto se il compito è degno: allora ha invocato il titolo, la condizione, le insegne regali che l’altra rispetta. Ma che da tempo a lei stessa non impediscono più di fare e di dire ciò che vuole.
Senza poterlo ammettere ma per istinto, la donna soldato se ne accorge, mentre il sole si addossa contro le vetrate. La regina è una bambina scatenata e la donna soldato è un giovane lupo: ascolta la neve cadere nel buio.
 
Una settimana scadente per la donna soldato e burattino.
Lunedì ha portato verso sera il messaggio segreto della regina al suo amante. È un uomo che ella stessa conosce, un amico, un giovane alto, uno svedese ma con le sopraciglia scure. La donna soldato lo ama di nascosto: quasi di nascosto a se stessa. Ha imparato il messaggio a memoria per non sbagliarsi, mentre la nebbia assaliva il pomeriggio. Il soldato ha parlato con voce schietta di soldato, con negli occhi la luce simulata di una franca amicizia, senza neanche scendere da cavallo come per un dispaccio di guerra. Ma la donna era in ginocchio: il soldato le ha tenuto schiacciato il viso contro il suo fianco. Il suo stesso viso, in fin dei conti, il suo stesso fianco.
Martedì pioveva e la donna soldato ha scagliato un bicchiere di vino contro il muro. Quell’altro uomo con le sopraciglia scure, quello sorridente e amico e tenace, che divide le sue giornate fin dalla loro comune infanzia, si è preso gioco dei pezzi di vetro e della macchia sulla tappezzeria.
“Oscar, va bene, sei innamorata, abbiamo capito… Ma cerca almeno di risparmiare questa vecchia bicocca!”.
Aveva riso come un ragazzo, ma spiandola con occhi febbrili. Lupo anche lui.
Mercoledì l’amante della regina era venuto a pranzare nella casa della donna soldato. Fremeva per parlare del suo proprio amore, della regina, straniera in Francia come lui. Se ne infischiava degli amori degli altri: l’amore ingelosito e glaciale della donna soldato che lo ama; l’amore annodato alla tovaglia dell’amico d’infanzia che la ama. L’amante della regina si chinava a tagliare la carne, se ne metteva in bocca un pezzo piccolo, masticava rapidamente e sovrappensiero.
Giovedì pioveva. Un vero temporale questa volta. La donna soldato non se ne era neanche accorta. L’amico d’infanzia l’aveva guardata smarrirsi contro la vetrata della biblioteca, senza dirle niente.
Venerdì, come ogni venerdì, c’era stata la parata. La donna soldato aveva visto i volti vicini del re, della regina e dell’amante. Sul cavallo bardato e lento, il soldato si sentiva come una statua e la donna si era inginocchiata a nascondere il viso contro il suo fianco allenato.
Sabato c’era stato il ballo.
 
“Ci sfornerà un reuccio bastardo che parla svedese”.
“Quella puttana”.
La donna soldato ascolta i sussurri rabbiosi delle dame di corte nella sala del ballo illuminata da fiaccole posate su anelli di zircone. E sa che quando usano quelle parole, graffiano non soltanto la regina, ma anche tutto quello che è una regina. Non lo sopporta. La sua propria gelosia vischiosa di donna si diluisce nella indignazione solerte del soldato. Non occorre più nascondersi. Può salvare la regina e nello stesso tempo allontanarla dall’amante. Sa come fare.
E lo fa: camminando un po’ di traverso, percorre la sala, come un lupo che ha sentito nel buio qualcosa che è caldo, qualcosa che non è neve. I suoi stivali di soldato scivolano tra le scarpine da ballo delle dame ghignanti. La sua uniforme di gala è perfetta.
La regina è apparsa tra gli arazzi, splendida: così bella che anche il suo fioco marito ne pare sconcertato, così pallida che per un attimo non è neanche più una puttana. Sulla soglia, poco dietro di lei, l’amante sembra mangiare l’aria, incantato. La regina lo cerca con gli occhi golosamente. Ma davanti a lei trova l’inchino leggero e trattenuto della donna soldato.
Anche la donna soldato è splendida: così pallida che la regina si lascia sfuggire un sorriso di riconoscimento e di compiaciuta sorpresa, così bella che per un attimo sembra il re socievole e forte che la Francia non ha. Dietro, sulla soglia, l’amante della regina incrocia lo sguardo della donna soldato e la ammira, e ammira Versailles.
“Maestà”.
“Oscar, che piacere, vi si vede ormai raramente ai nostri balli”.
Raramente da quando la regina austriaca organizza tre balli a settimana.
“Troppe diversioni nuocerebbero alla regola dell’ufficiale, maestà”.
Ride e cinguetta, la regina.
“Avete ragione, tanto peggio per noi altri! E non parlo alla leggera! Tanta è l’eleganza della vostra uniforme, non vi sono occhi che per voi!”.
“La generosità di sua maestà, benché immeritata, indora questa giornata”.
“Questa giornata, Oscar? Perché… Oh, ma è vero, è vero! Oggi è… Il vostro compleanno!”.
La regina si ricorda di colpo che hanno la stessa età. E ha l’impressione che questo voglia dire qualcosa, o che questo vorrà dire qualcosa.
“Oscar, quale dono possiamo…”.
“Maestà”.
La donna soldato ha interrotto la regina, che spalanca gli occhi, perché non è mai successo, perché non succede mai. Nessuno sembra accorgersene. La donna soldato sorride e tende lentamente una mano.
“…ballare con voi”.
“Voi, Oscar… Ballare? Vi rifiutaste fino a oggi…”.
Ricomincia docilmente a cinguettare.
“A una sola condizione, ma sì”.
“Dite”.
“Di ballare solo con voi, tutta la sera”.
Un guizzo di stupore si accende, poi scivola sul volto della regina che, per un attimo, sembra farsi seria. L’orchestra pare suonare più forte. La regina vorrebbe girarsi e cercare con gli occhi quelli dell’amante, chiedere all’uomo che fare.
Ma basta un istante e capisce: la donna soldato è venuta a salvarla. Ecco che si intromette con l’uniforme di gala tra lei e l’amante, difende col corpo la sua regina: per evitare loro di guardarsi con troppo amore di fronte a tutti, di parlarsi anche forse con troppo amore tra coloro che la chiamano puttana. E una regina sa che deve volere essere salvata.
“È un dono facile da accordarvi, Oscar”.
E tende la mano, stringe quella della donna soldato. Il soldato prende lievemente la mano della regina. La donna lupo la morde. Il ballo non finirà che poco prima dell’alba.
 
(à suivre - grace88)

  
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