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Autore: Hotaru_Tomoe    04/11/2012    12 recensioni
Raccolta di oneshot ispirate dalle fanart o prompt che ho trovato in rete su questa bellissima serie. Per lo più Johnlock centriche, con probabile presenza di slash.
Aggiunta la storia I'll be home for Christmas:Sherlock è lontano da casa per una missione, ma durante questo periodo il legame con John si rinforza. John gli chiede di tornare a casa per Natale, riuscirà Sherlock ad accontentarlo?
Questa storia, in versione inglese, partecipa alla H.I.A.T.U.S. Johnlock challenge di dicembre.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Storia partorita dopo aver visto la fotografia di due strabilianti cosplayers lucchesi che interpretavano Sherlock e John che si baciano. Anche se i volti non sono riconoscibili, ho deciso di non pubblicare la foto per ragioni di privacy (e ho dubbi che potrebbe violare il regolamento di EFP).
E tante scuse a Fëdor per l'uso improprio del suo titolo.




L'IDIOTA



Erano un paio di giorni che Sherlock lo trattava con distacco e questa volta John non poteva proprio dargli torto.
Non si trattava di uno dei suoi soliti capricci perché il dottore gli aveva nascosto la sua ultima riserva di sigarette o gli aveva sequestrato il revolver per impedirgli di trasformare il salotto in un poligono da tiro.
No, c'era una ragione più che valida se Sherlock non gli rivolgeva la parola da due giorni e quella ragione era lui stesso.

Stavano rincasando dopo aver interrogato dei testimoni. John era qualche passo avanti al detective e quest'ultimo era immerso in una riflessione profonda. Più volte John gli aveva fatto delle domande, ma Sherlock non aveva dato cenno di averlo sentito; il dottore si era limitato ad alzare le spalle, ormai abituato a come l'altro riuscisse ad estraniarsi dal mondo quando seguiva il filo logico dei suoi pensieri.
Per questo fu più che sorpreso quando sentì un braccio forte cingergli la vita e tirarlo a sé con violenza. Sbilanciato, John si dovette aggrappare alle spalle di Sherlock per evitare di finire a terra. Il suo viso finì sulla sua camicia di seta viola e il resto del suo corpo a peso morto contro quelle dell'altro. Aveva un buon profumo Sherlock e il suo corpo era caldo. L'osservazione gli sembrò davvero stupida: da dottore sapeva che tutti gli esseri umani avevano una temperatura corporea che oscillava tra i 35 ed i 37 gradi, pertanto sì, erano caldi. Eppure la freddezza e la razionalità di Sherlock potevano facilmente portare a pensare a lui come a un animale a sangue freddo.
Che sciocchezza, si disse, sfregando appena la guancia sulla stoffa liscia, sorprendendosi della piacevole sensazione sulla sua pelle.
Una frazione di secondo dopo il suo cervello analizzò la situazione da un altro punto di vista e John fu colto da un improvviso attacco di panico: il suo coinquilino maschio aveva appena abbracciato lui, che non era gay, nel bel mezzo della strada come se fossero due amanti.
Amanti.
A quella parola reagì spintonandolo via bruscamente, quasi fosse un appestato. "Sei impazzito? Cosa diavolo ti è preso?"
Un'altra frazione di secondo dopo un borioso esaltato a bordo di una Jaguar sfrecciò a tutta velocità vicino a loro, sollevando una piccola onda anomala da una grossa pozzanghera, che avrebbe sicuramente investito in pieno il dottore, se Sherlock non l'avesse tirato indietro all'ultimo istante.
"Scusati. Scusati subito, stupido che non sei altro!" si rimproverò. Ma l'imbarazzo che provava era tale che non riuscì ad articolare parola, né alzare lo sguardo verso il suo migliore amico. Vide solo la figura alta passargli accanto e superarlo, senza dargli il tempo di riflettere su quanto era appena successo.
John si sentì malissimo. E si sentì ancora peggio quando la voce tagliente e ironica di Sherlock lo raggiunse da lontano "Non restare lì imbambolato, o la gente, oltre che gay, penserà che sei un idiota."
Era una tiepida giornata di maggio, riscaldata da un bel sole, ma solo su quel marciapiede, John non aveva mai provato tanto freddo in vita sua.
Tornati a casa, ogni cosa sembrava essere tornata a posto e l'incidente dimenticato, dato che nessuno dei due ci tornò più sopra, ma la distaccata cortesia con cui Sherlock iniziò a trattarlo, gli dissero che non era così.
E, assurdamente, adesso l'unica cosa che desiderava era di poter poggiare di nuovo il viso sulla camicia di Sherlock e sentire la sua presa salda attorno alla vita.

Sbattendo le palpebre, John tornò al presente, a quella sala affollata dove Sherlock aveva appena ricevuto l'ennesimo riconoscimento per aver risolto un caso, salvato onori e dignità da onte innominabili, eccetera, eccetera.
Normalmente era lui a dover intrattenere le relazioni sociali, mentre il detective continuava a sbuffare chiedendogli quando se ne sarebbero potuti andare, ma quel giorno Sherlock non avrebbe potuto essere più affabile di così, mentre era John quello che voleva trascinarlo via da lì al più presto e chiedergli scusa per essersi comportato così, perché era stato davvero un idiota, perché quell'invisibile muro di silenzio tra loro non lo sopportava proprio, perché essere abbracciato a quel modo non gli era dispiaciuto per nulla, lo ammetteva, ed era certo che Sherlock se ne fosse accorto.
Solo che era in pieno giorno, in mezzo alla strada e se qualche paparazzo di un giornale scandalistico li avesse visti, ciò avrebbe avuto ripercussioni sulla carriera di Sherlock, perché la gente parla e...
"Hai finito di nasconderti dietro scuse patetiche, John Hamish Watson?" La verità è che erano mesi che John doveva battagliare con i suoi sentimenti per Sherlock, che erano lentamente ma inesorabilmente mutati, a dispetto della sua tanto sbandierata eterosessualità. La verità è che aveva paura ad abbandonare una strada battuta, conosciuta e rassicurante per qualcosa che gli era totalmente estraneo e presentava numerose incognite.
Perso in quelle riflessioni, notò solo all'ultimo il bel ragazzo dai capelli corti, ricci e castani che venne incontro al suo coinquilino con un sorriso raggiante dipinto in volto.
"Sherlock! Sei proprio tu." gli disse con entusiasmo, un attimo primo di circondargli le spalle in un abbraccio caldo e fraterno che Sherlock ricambiò senza alcuna esitazione. "Victor."
No, un attimo. Che diavolo stava succedendo? si chiese John smarrito.
Il nuovo arrivato, Victor, non sciolse l'abbraccio, ma tirò indietro la testa quel che bastava a guardare Sherlock negli occhi. Erano ad una distanza ridicolmente corta, a giudizio del dottore, ma nessuno dei due pareva farci caso. "Eppure è pieno giorno e sono in mezzo alla gente." Forse era lui l'unico idiota che dava peso a quelle cose.
"Non sei cambiato di una virgola." disse il detective battendogli una mano sulla spalla.
"Nemmeno tu. Sei sempre magro come un chiodo."
"Come vanno i tuoi affari in India?"
"Non mi lamento. Sono qui per incontrare un cliente che ha l'ufficio su al settimo piano, ma ti ho visto da lontano e mi sono detto 'mi venga un colpo se non è il mio caro, vecchio amico Sherlock Holmes'."
John sentì una spiacevole sensazione di panico attanagliargli lo stomaco e aprì la bocca per protestare, per dirgli che no, si sbagliava, era lui l'unico amico di Sherlock, prima che il suo cervello lo fermasse, impedendogli di prodursi in una gaffe imbarazzante ed insensata. Restò lì in silenzio a guardarli, dominando a fatica l'impulso di dividerli, di sciogliere quell'abbraccio che lo stava infastidendo così tanto.
Si sentiva completamente tagliato fuori, invisibile e si mosse nervosamente sul posto.
Solo in quel momento Sherlock sembrò ricordarsi della sua presenza. "John, questo è un mio vecchio amico dei tempi dell'università, Victor Trevor. Victor, questo è John Watson, il mio collega."
Collega.
Anche John aveva definito Sherlock a quel modo durante il Caso del banchiere cieco. Solo ora, però, realizzava quanto suonasse fredda quella parola, che non rappresentava che una minima parte del loro rapporto: non erano semplicemente colleghi.
Finalmente Victor staccò i suoi lunghi arti da polpo dalle spalle di Sherlock per allungargli una mano, che John strinse nella propria.
"Amico - disse poi con enfasi - Sono suo amico."
"Mi dà una mano con i miei casi." disse Sherlock in tono neutro.
"Gli guardo le spalle. Ad ogni ora del giorno e della notte."
"Siamo coinquilini." spiegò brevemente Sherlock.
"Viviamo insieme." ribatté il dottore con ostinazione.
Lo sguardo interrogativo e leggermente divertito di Victor si spostava dall'uno all'altro come in una partita di tennis, mentre cercava invano di sottrarre la mano dalla stretta di John, il quale però sembrava del tutto disinteressato alla cosa.
"Attento alle parole che usi, John, la gente potrebbe fraintendere." Sherlock sorrise con sarcasmo.
"Non importa. L'importante è che la persona giusta capisca."
"Oh, ti assicuro che la persona giusta ha capito benissimo." rispose il detective, con una piega amara delle labbra che esprimeva perfettamente i suoi sentimenti.
"Forse no, forse anche la persona giusta ha frainteso. Anche se - abbassò un attimo lo sguardo - in questo caso non è stata colpa sua. E' stata tutta colpa di quell'altra persona. Quella idiota." Tornò a guardarlo negli occhi. John non si sarebbe tirato indietro. Gli era bastata l'apparizione di quel Victor per fargli aprire gli occhi e fargli capire cosa stava per perdere. No, John non avrebbe lasciato che Sherlock gli scivolasse via dalle mani.
"Davvero?" chiese Sherlock, titubante.
"Sì, davvero."
Victor approfittò di un attimo di pausa in quel confronto sincopati per riprendere possesso del suo arto "Ehm... devo andare, sono in ritardo per il mio appuntamento. Sherlock, resto in città una settimana, ti chiamo io. John, è stato un piacere."
"Sì, anche per me. - gli rispose il dottore - E grazie."
Il ragazzo inclinò la testa da un lato, perplesso "Grazie di cosa?" Ma rinunciò alla sua spiegazione, vedendo quanto i due colleghi-coinquilini-amici-e-molto-altro-ancora-questo-è-del-tutto-evidente si stessero guardando intensamente. Scrollò le spalle con un sorriso e corse agli ascensori.
"Se non fosse abbastanza chiaro, mi sono scusato per il mio comportamento di due giorni fa." disse John, guadagnandosi uno sbuffo infastidito da parte di Sherlock "L'avevo capito. Non sono io quello idiota."
"No, tu sei quello che fa gesti inconsulti e getta l'idiota nel panico più totale." John messo un passo verso di lui.
"Allora in futuro eviterò di comportarmi in modo avventato."
"Oh no, non devi. L'idiota resterebbe molto deluso."
"E perché?"
"Perché - un altro passo e John lo stava sfiorando con il suo corpo - l'idiota adora i gesti inconsulti. E li adori anche tu."
"Ne sei sicuro?"
Era sicuro? Una parte di lui si aspettava di aver paura, di provare un'inevitabile insicurezza davanti a quello che stava per fare, ma non era così. Sì, era sicuro di aver compreso sino in fondo i propri sentimenti, finalmente.
"Sì." disse John e mise fine a quella conversazione passando una mano sulla nuca di Sherlock per attirarlo a sé e baciarlo.
La cedevolezza di Sherlock, che non si irrigidì né oppose alcuna resistenza a quel contatto, gli diede un'ulteriore certezza, quella di non aver sbagliato a leggere i silenziosi messaggi che gli aveva lanciato Sherlock, in quel balletto di sguardi e sfioramenti che era durato fin troppi mesi.
Sherlock si staccò appena da lui, appoggiando la fronte sulla sua, rivivendo il bacio che si erano appena scambiati dietro gli occhi chiusi.
"Adesso sì che la gente parlerà." mormorò, senza rinunciare alla sua consueta ironia.
John gli sfiorò la guancia con la punta del naso "Allora diamogli qualcosa di succulento di cui parlare." gli rispose, prima di catturare le sue labbra perfette in un bacio assai meno casto del precedente.

   
 
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