Ciao
a tutti, rieccomi qui! Adoro quando riesco ad interessare e coinvolgere i
lettori col primo capitolo di una storia: ho già ricevuto moltissimi
suggerimenti per le ucronie che vi piacerebbe leggere ^__^
Alcuni
si intersecano un po’ visto quello che ho in mente, quindi si può dire che
sarete accontentati, anche senza capitoli tutti dedicati alla vostra idea; poi
vedrete, e spero mi farete sapere in tanti quel che ne pensate.
Intanto
partiamo con la nostra prima storia alternativa! Andiamo a vedere cosa accadrà
ad Italia, risucchiato dal mirabolante aggeggio di Alfred, in un mondo in cui
ha detto di “si” al suo primo vero amore!
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!
Ma
perché non aveva dato retta a Germania?
Lui
era sempre in gamba, ragionava attentamente e trovava sempre il modo in cui scampare
i pericoli. Invece si era lasciato abbindolare da America solo perché aveva
detto che sarebbe stato divertente…
Non era divertente affatto!
A
lui piaceva mangiare, non essere mangiato!
“VEEEEEEEEEEE!!!”
Italia
non riusciva a distinguere niente, solo tanti colori che giravano tutti
insieme, mentre lui non si sentiva più la terra sotto i piedi. Era come essere
in caduta libera, e alla fine di una caduta ci si fa sempre male!
Si
coprì spaventato gli occhi con le mani, aspettando lo schianto alla fine di
quello strapiombo virtuale in cui era stato risucchiato.
<<
Italia! >>
“Ve! America? Sei tu?”
<< Si, tranquillo, sono io! Ti sto
parlando tramite il comunicatore del mio apparecchio. A proposito, scusami un
secondo, torno subito… >>
America
si voltò verso la platea e prese fiato per gridare: “FUNZIONA! SI PUÒ
FAREEEEEEEEEE!!!”
E
rumore di tuoni e fulmini partì prontamente dal registratore che aveva in mano
per rendere la cosa ancora più epica!
“Tu
guardi troppi film…” –lo bacchettò Inghilterra, rimasto impassibile da bravo
inglese, mentre Lily spaventata si stringeva al suo fratellone.
“Un
momento!” –lo rimbeccò poi Germania- “Vorresti dire che hai portato qui quella
macchina senza nemmeno sapere se funzionava?!”
“Non
essere sciocco, certo che funzionava: l’ho costruita io! Mi serviva solo un
test sui consumatori!”
La
voce triste e sconsolata di Italia, proveniente dalla Macchina dell’Ucronia,
impedì a Germania di dirgli chiaro e tondo quel pensava di lui e della sua
invenzione: “VEEEE! AMERICA! TORNA QUI! HO TANTA PAURA!”
Alfred
si riavvicinò: sullo schermo era possibile vedere Italia, quindi nessuno aveva
alcun dubbio che stesse bene, era solo un po’ spaventato, cosa comprensibile,
ma incolume.
<<
Tranquillo sono qui, non posso mica
lasciare il mio test… cioè, il primo fruitore della mia straordinaria macchina
solo a sé stesso, no? Ora ascolta: grazie a questo altoparlante, io e gli altri
possiamo comunicare con te, e solo tu potrai sentirci. Se invece tu vorrai
parlare con noi non c’è problema: sentiamo tutto ciò che dici e vediamo tutto
ciò che fai. >>
Italia
singhiozzò: “Ve! Posso parlare con Germania?”
America
lasciò il posto a Ludwig: << Italia?
>>
“VEEEE! MI DISPIACE!”
<< Non urlarmi nelle orecchie!
>>
“Avrei
dovuto fare come dicevi tu! È una macchina pericolosa!”
<< Non esagerare Feli, direi che al
massimo è un po’ poco ortodossa, ma almeno sei sano e salvo. >>
“Ma
ho paura! Questa macchina è cattiva e spaventevole: qui è tutto buio e sono
tutto solo!”
<<
Ehm, quello è perché hai ancora le mani
sugli occhi. >>
“…… Oh! Eh eh! Mi ero dimenticato di toglierle!”
Francia,
Spagna e Prussia, sedutisi vicini, scoppiarono a ridere: “Con Italia la comicità
di questa storia alternativa è assicurata!”
Prussia
si asciugò una lacrimuccia: “Beh, questo spiega anche perché non si sia nemmeno
accorto di come è vestito! Ah ah ah!”
“Eh?
Perché, come sono vestito?”
Ludwig arrossì: << Beh…
>>
Italia tolse le mani dagli occhi.
“Ve!”
Non
indossava più la sua divisa. Al suo posto c’era un abito principesco, di un
tessuto pregiato color verde chiaro con inserti, pizzi e svolazzi rossi e
bianchi, che finiva a terra in un’ampia e vaporosa gonna; al collo c’era una
collana d’oro e di perle, e sulla testa un diadema scintillante.
“Wow!
Ma che vestiti magnifici!”
<<
Ehm, Italia, quelli sono vestiti da
donna… >> –disse dal cielo la voce costipata di Germania…
“Sono
così carino! Guardate! Ho pure la corona!”
Per
nulla spaventato, ma anzi contento come una bimba il giorno del compleanno,
Italia girò su sé stesso, una volta e un’altra ancora, divertendosi a veder
girare la gonna come una trottola, per poi prenderne un po’, abbracciarla e
strofinarla vicino la guancia.
“Eh
eh eh! Forse questa macchina non è poi così cattiva.” –disse aggiustandosi la
coroncina.
Intanto
tra gli spettatori serpeggiavano ragionevoli dubbi sulla sua sanità mentale, o
magari sui suoi “orientamenti”; certi dubbi invece non prendevano affatto
Ungheria, che, per motivi di “gusti personali”, pensava solo a mangiarsi con
gli occhi quello spettacolo radioso di Italia-principessa. Germania, rossissimo
d’imbarazzo per l’amico e alleato, preferì non guardare le occhiate che gli
altri rivolgevano allo schermo e cercò di dargli una svegliata: << Ehm, Italia, perché non ti guardi un po’
intorno ora? >>
Feli
stavolta obbedì subito alla voce di fuori campo di Germania: smise di gongolare
e capì di trovarsi in un corridoio, un corridoio di marmo splendente, con bianche
colonne su di un lato e grandi finestroni che davano su di un giardino con
fontane di cui non si vedeva la fine, e che inondavano l’ambiente di una
splendida luce mattutina.
Doveva trattarsi di un qualche palazzo signorile, o addirittura una reggia
settecentesca.
“Oohh…”
Procedendo
a piccoli passi, sulle sue scarpette, femminili anch’esse come tutto il suo
vestiario, cominciò ad esplorare, spostando lo sguardo ovunque, trattenendolo
un po’ sugli affreschi che ornavano i soffitti.
Riportò
giù il naso e sobbalzò di spavento vedendo una guardia sull’attenti vicino la
finestra, ma mentre Feli si ritraeva, questi fece rispettosamente un saluto.
“Ehm…
Ciao!”
“Salve.”
“Può
dirmi dove sono?”
Il soldato portò il petto in fuori: “Siete nella vostra residenza estiva, mia
signora Italia.”
“Wow,
non sapevo di avere una villa così grande!”
“Ne
avete molte in tutto l’impero.”
“Eh? Impero? Quale impero?”
Preceduta da un rumore di stivali a cui non aveva prestato attenzione, gli
rispose una voce: “Il nostro impero. Cos’hai, mia cara Italia, oggi sembri
spaesata.”
“?!”
Italia
si voltò lentamente…
“Ci
siamo!” –sobbalzò America prendendo una mega-manciata di pop-corn- “Questa è la
scena clou! GNAM!”
“Sa…
Sa…” –balbettò, con la gola impastata e gli occhi che pizzicavano.
Le
mani sui fianchi, il petto forte e il mento fieramente dritto facevano di lui
una figura imponente. Tutto vestito di nero, allora come adesso, dagli stivali
al mantello, dalla giacca coi bottoni dorati al capello tricorno, ornato di un
ciuffo di piume bianche; in tutto quel nero spiccavano le sue bionde
sopracciglia, i suoi occhi azzurri, e sotto di essi l’amorevole sorriso che gli
rivolgeva.
“SACRO
ROMANO IMPERO!”
Nella
commozione del pubblico da casa (Belgio e Ucraina avevano già iniziato a
consumare fazzolettini), Italia si lanciò tra le braccia aperte del suo amore
di gioventù, come una colomba nel nido.
In
realtà all’ultimo passo era inciampato nella gonna, ma il potente impero era
stato pronto ad acchiapparla.
“Veeee…
Sniff! Sniff!” –piagnucolò sul suo petto.
“Suvvia,
sei così contenta di rivedermi?”
“Si!”
Era
ancora più bello di come se lo ricordava, forse perché era un bel po’ più
cresciutello… Nemmeno nei suoi sogni era stato così felice!
“Perdonami,
moglie mia, c’è sempre del lavoro da sbrigare.”
“…
Mo-mo-mo… MOGLIE?!”
Feli
sgusciò via dall’abbraccio e si strinse la faccia tutta rossa tra le mani,
sentendola calda come un forno!
“A-allora…
la macchina ha funzionato! Questo è come sarebbe stato se quel giorno io avessi
accettato di sposare Sacro Romano Impero!”
Sacro
Romano Impero, anche se confuso da quelle parole, le afferrò galantemente la
mano, regalandole occhi da innamorato in grado di scioglierlo come un
cioccolatino: “Rammentare quel giorno riempie di gioia indicibile anche me: il
giorno in cui mi dicesti di “si”, e da allora tutto andò per il verso giusto a
tutti e due, come se mai il cielo ci avesse amato di più.”
Gli
carezzò i capelli: “Grazie a te e al tuo si, mi hai concesso di far risorgere
l’impero di tuo nonno, e al tuo fianco, sono diventato il più potente
d’Europa.”
“I-il
più potente? E quindi io…”
“Tu sei la mia splendida regina che tutto il mondo mi invidia!”
“… Oh, Sacro Romano Impero…”
Intanto,
davanti lo schermo della Macchina dell’Ucronia…
“Però!
Da grande Sacro Romano Impero sarebbe diventato davvero un bell’uomo.”
–commentò Austria.
“…
Ehm, ma quel tipo ha qualche problema di vista?” –chiese Spagna.
“Che
intendi?”
“Come fa a non accorgersi che Italia è un… Cioè…”
“Beh,
anche Svezia mi chiama “moglie”…” –intervenne Finlandia.
“Si,
ma lo dice così convinto…”
“Non è che lui è un po’…”
“Chissà…”
Intanto
Feliciano, ancora un po’ frastornato, cominciava a capire che, inizi
traumatizzanti a parte, quel viaggio lì in quella storia alternativa era per
lui una grande occasione.
“Ehm,
Sacro Romano Impero…”
“Non mi dicesti che è un po’ lungo? Come mai oggi non mi chiami per il mio
altro nome?”
“Ah,
scusa… Ehm…”
Qual’era?
Non lo aveva mai saputo in effetti…
“Comunque,
cosa volevi dirmi?”
“Ecco, possiamo… passare un po’ di tempo insieme? Io e te? È da tanto tempo
che…”
“Ma
certo! Vieni, ordinerò di preparare una carrozza.”
Gli
porse il braccio e Italia accettò, seguendolo lungo il corridoio, con la testa
poggiata sulla spalla di una possibilità che aveva rifiutato, non senza valide
ragioni vero, ma che ora il destino, in qualche modo, gli restituiva.
America
nel frattempo si grattava la testa, strizzando tutto assorto gli occhi verso lo
schermo.
“Russia?”
“Si, America.”
“Guarda bene quel bellimbusto, non trovi che somigli a qualcuno?”
“…
Da, ora che guardo meglio.”
“Anche la voce è simile…”
Ed
entrambi guardarono una certa persona tra i presenti.
La
carrozza attraversò, in quella bella mattina di inizio estate di un anno di un
tempo mai esistito, magnifici paesaggi campestri, che Italia riconobbe come
quelli di casa sua: oltre i villaggi agricoli vedeva sorgere in lontananza
grandi città dall’aria fiorente.
“Ho
altri affari da sbrigare su al nord, ma stavolta ti porterò con me, contenta?”
“Si!”
<<
Pssst! Italia? >>
“America?”
“Cosa?”
<<
Sssh! Parla piano! La voce fuori campo puoi
sentirla solo tu! >>
“Ve! Scusa…”
<< Volevo solo augurarti un buon
giretto! >>
“Grazie!”
“Parli
da sola, mia cara?”
<< E ricorda che quando hai visto
abbastanza o ti sei scocciato o qualunque altra cosa, per tornare qui da noi,
ti basterà solo dire << Voglio tornare a casa >>, e in quattro
e quattr’otto sarai di nuovo qui da noi.
Ora, per non farti notare, fai “Ve!” se hai capito. >>
“Ve!”
“Adoro quando fai quel verso!” –gongolò Sacro Romano Impero facendogli il baciamano.
“Eh
eh eh!”
Niente
comuni in lotta tra loro, niente staterelli in attesa della potenza straniera
di turno che venisse a comandare, i vari ducati e principati si erano decisi
infine ad essere un unico paese, e lo stesso era successo in Germania: l’Impero
era rinato per davvero, unito e solido, non certo enorme come un tempo, ma
capace di mettere insieme almeno i popoli tedeschi e italiani.
E
non solo loro: durante il tragitto Italia strabuzzò gli occhi quando, passando
per un paese, vide Svizzera e Lily inchinarsi per salutarli al passaggio della
carrozza.
<<
Nessuno si è mai inginocchiato davanti a
me… Tranne per allacciarmi le scarpe quando ero bambino, certo… >>
“Siamo
arrivati!”
Italia
scese e gli si mozzò il fiato! La reggia che aveva davanti era ancora più
enorme di quella in cui era precipitato! Davanti ad essa, su di un pennone,
sventolava il vessillo del Sacro Romano Impero, l’aquila nera a due teste su
campo dorato.
“Wow…
Noi… abitiamo qui?”
“Non
ti piace come ho ristrutturato? Forse la volevi un po’ più grande?”
“No, no! È bellissima anche così!”
Salirono
affiancati la scalinata e due maggiordomi spalancarono il portone. Incredibile:
gli ricordavano quegli ambienti così grandi e sfarzosi che si era ritrovato a
spazzare e lucidare per i suoi vari padroni quando era un semplice domestico
(domestica?), e ora ci camminava da “regina” di un impero.
Per
l’abitudine, vista una macchia su un candelabro, si inumidì il dito per
pulirlo.
“Italia…”
Era
la voce di Austria, uno di quelli per cui aveva appunto pulito tanti candelabri
in passato.
“Aaah!
M-mi scusi, stavo giusto pulendo!”
“Ah ah ah, com’è spiritosa! Chiamerò subito un domestico! Intanto è un piacere
avervi qui.” –disse inchinandosi prima a lui e poi all’illustre marito.
“Austria,
il mio uomo più fidato! Come vanno le cose?”
“Ottimamente
signore.” –con aria da segretario, prese a leggere dei fogli che teneva in
mano- “Inghilterra vi manda i saluti dal nuovo mondo dove trascorrerà l’estate,
Francia vi manda a dire che tanto il migliore è sempre lui, l’incidente
diplomatico con Russia riguardo le cannonate nel suo giardino di girasoli è
stato appianato, e Polonia e Lituania dicono che verranno al ricevimento che
state organizzando con una nuova carrozza trainata da soli pony. Inoltre ho riparato
il pianoforte, ma questa è una buona notizia più per me che per altri.”
Sacro
Romano Impero rise, mentre Italia, pur nelle condizioni di poter parlare alla
pari, se non di più, con Austria nel suo periodo migliore, non riusciva ad
aprire bocca tanto non gli sembrava vero.
Cosa
dire ora che erano così in confidenza e non doveva litigare con lui per riavere
le sue regioni vitali?”
“Signor
Austria… Ehm… Come… Come sta…”
“Mia moglie?”
“Siete sposato?!”
“Certo!”
–ridacchiò Ungheria sbucando fuori ed abbracciandolo!
“Ungheria!
Sei ancora sposata con Austria, e… anche tu fai parte dell’Impero?”
Si
appoggiò tutta radiosa alla spalla di Austria: “Ovvio, no? L’Impero è la nostra
casetta accogliente, come lo è per te e tuo marito!”
Italia
arrossì di nuovo: “Ce-certo, che sciocco…”
“Oggi
Italia è un po’ svampita, eh eh! Perdonatela!” –la abbracciò il marito.
Non
era svampito, era distratto. Pensava a tutto quello che aveva visto fino a quel
momento in quell’ucronia.
L’impero
di nonno Roma rinato, lui sposato col suo primo amore, il prestigio dell’Italia
alle stelle, buoni rapporti con più o meno tutti i vicini, l’unione di Polonia
e Lituania ancora in piedi, Austria ed Ungheria ancora felicemente sposati…
<<
Sembra che qui siano tutti contenti…
>>
Un
solo matrimonio, un unico si, aveva cambiato la vita di così tante persone: la
storia è davvero delicata, pensò, se bastava cambiare un dettaglio per
stravolgere tutto.
“Che
piccioncini che siete! Come coppia bucate lo schermo!” –scherzava Belgio, ridendo
delle facce arrossate di Ungheria e Austria che cercavano di non guardarsi e
intanto non facevano altro di nascosto.
Più
critico il commento di Russia: “Bah… Per me è una barba: troppo zucchero. E poi
se mi avessero cannoneggiato anche solo per sbaglio i girasoli, li avrei invasi
senza pensarci.”
America
gli diede un’amichevole gomitata: “Beh, si vede che lì in quel mondo devi
tenerteli buoni, amico! Chissà quanto sono forti quei due insieme e tutti i
loro alleati!”
“Tsk!”
“Neanche
a me piace.” –borbottò allora Germania a braccia conserte.
“Uffa!
Ma perché nessuno loda il mio genio piuttosto che notare dei difettucci?”
“America,
guarda dove hai spedito Italia! In un mondo che per lui è praticamente un
sogno: unito, rispettato, amato…”
“Non vedo l’ora che mi ringrazi quando tornerà!”
“Potrebbe decidere di non tornare più, brutto idiota!”
Colpito il punto, più di una nazione si accigliò.
“Il
tuo stupido congegno funziona che uno torna a casa quando decide lui, giusto?
Ma Italia, sempliciotto com’è, potrebbe decidere di restare!”
“Beh, visto il modo in cui lo trattiamo qui…” –si passò una mano sul collo
Francia.
“E
allora lo avremo perso in un questa specie di scatoletta!”
“Ehi! Non ti alterare
mister-somiglio-tanto-a-quel-tipo-ma-nessuno-sembra-notarlo… Continuiamo a
vedere, non deve essere per forza come dici tu!”
“……”
Tutti
incollarono di nuovo gli occhi allo schermo.
Italia,
in una delle tante stanze arredate con mobili in legni pregiati, trovò su di
una parete, oltre a un dipinto del suo matrimonio con Vaticano come prete, un
grande arazzo con la cartina dell’Impero: Austria ed Ungheria non erano così
estesi come quando erano stati un impero nella sua realtà, ma le loro regioni
vitali rientravano negli ampi confini di Sacro Romano, così come anche
Svizzera, Lily e Ceca.
“Che
emozione! Io comando così tante persone?”
Non
era mai stato abituato a comandare: gli era capitato, ma non era mai stato una
delle sue attività preferite. Con gli altri preferiva andare d’accordo in altri
modi. Però sembrava che tutti gli volessero bene anche così. Mentre divagava,
si ricordò di un’altra persona da cui desiderava essere amato, e che ancora non
si era fatta vedere.
“Sacro
Romano Impero?”
Entrò
nella stanza: “Si, mia cara?”
“Mio
fratello è anche lui in qualche residenza estiva? Mi piacerebbe salutarlo.”
“Ehm, ne dubito fortemente…”
“Che
intendi?”
“Non posso sapere dov’è tuo fratello: lui non è parte dell’Impero.”
“C-cosa?!”
Si
guardò il vestito, dei colori della sua bandiera, sentendosi colpevole: Romano
non ne portava dunque uno uguale? (Chissà quanto gli sarebbe piaciuto…)
“E
poi non credo che Spagna dia le sue residenze estive ai proprio sottoposti.”
“So-sottoposti? Lui… è ancora un sottoposto di Spagna.”
“Che
c’è di strano? Lo è sempre stato. Non ho mai avuto diritti sulla parte sud
della penisola, quindi non potevo certo rivendicarla.”
“……”
Italia
guardò l’arazzo. Che stupido a non notarlo prima: il confine dell’Impero tagliava
in due la sua bella penisola, il solco che a lungo lo aveva diviso dalla sua
metà era ancora lì. Oltre si stendeva lo stato di Vaticano, ancora in piedi, e
più a sud le terre di suo fratello, colorate dello stesso colore di quelle di
Antonio.
“Io
sono un impero… E mio fratello… è un servo?”
Ma
soprattutto, ed era quello che faceva più spavento, l’Italia era ancora una
nozione geografica, una “penisola”, con un nord e un sud: più che star
visitando un mondo alternativo, gli sembrava di aver fatto un passo indietro
nel tempo.
Notandone
il tremore, il premuroso Sacro Romano si avvicinò per calmarlo con le sue
carezze: “Cosa ti succede?”
“Io… Voglio vedere mio fratello! Voglio andare da lui!”
“Se
è questo che desideri va bene: i capi di Spagna sono ancora un po’ imparentati
coi nostri per fortuna.”
Italia
già non riusciva più ad ascoltare la sua voce che tanto gli era mancata. Ora
pensava solo al suo bisogno disperato di rivedere il fratellone.
La
carrozza si rimise in moto, stavolta per un viaggio ben più lungo. Si fermò in
un campo, facendo scendere Italia tra migliaia di spighe di grano.
Senza
paura di strapparsi il vestito, corse verso un puntino chino a raccogliere le
spighe appena falciate.
“Romano.”
–lo chiamò.
Quello,
che indossava una camicia bianca da fatica, e un fazzoletto legato sulla testa
per proteggersi dal sole, girò il capo quanto bastava: “Oh, sei tu…”
Riprese
a falciare e raccogliere, e Feli credette stesse aspettando che dicesse
qualcos’altro.
“Che…
Che bello rivederti… Stai… bene?”
“Che cavolo di domande fai? Non vedi che mucchio di lavoro da fare ho qui? Ma
tanto a te che ti importa: tu vivi nel lusso, lì con quel tedesco, nei palazzi
tutti belli e puliti…”
“Io…”
“Mentre
io, tuo fratello, la parte sfigata dell’Italia, se ne resta qui a farsi
comandare da un marcantonio straniero, a lavorare dal mattino alla sera.”
Finalmente
capì di doversi annodare la gola.
Romano
si alzò, massaggiandosi la schiena dolente, e lo fissò torvo.
“Te
ne sei andato con lui a fare la bella vita dimenticandoti di me; adesso non me
ne frega niente dei tuoi scrupoli di coscienza: ho altro a cui pensare.”
–finito di parlare gli diede le spalle.
“…
Se vuoi… ti do una mano.”
Romano
rimase immobile, come con quelle ultime parole fosse riuscito a colpirlo.
Strinse altre spighe nel pugno, e si preparò a falciarle: “Vai…” –pronunciò in
tono a un tratto più gentile, per poi schiarirsi la voce, e tornare arrabbiato-
“Vattene e non ti preoccupare per me, come hai sempre fatto!”
Vai
a goderti la bella vita, almeno tu che puoi.
Italia
tornò sulla carrozza, e lo lasciò lavorare: senza interruzioni, avrebbe finito
prima, e prima sarebbe andato a riposare; col pensiero che il suo fratellino,
anche in tutto il successo che aveva avuto, sarebbe stato pronto a spezzarsi la
schiena insieme a lui, se avesse potuto.
La
carrozza si fermò davanti il sontuoso palazzo, così ammirato prima, così triste
da rivedere adesso.
Camminò
a testa bassa per i corridoi e i saloni. La sua gloria aveva avuto per prezzo
l’abbandono di suo fratello. “La parte sfigata dell’Italia”…
L’Italia
era una. Ed era sfigata tutta.
Era
così che doveva essere, e così infatti era stato nel suo mondo. Ma non lì. Lui
era riuscito a scampare ai suoi guai, affidandosi alla potenza di un ambizioso
bambino, anziché condividerli tutti con Romano, per poi infine superarli
insieme, lottando aspramente, solo per averne degli altri, ed affrontarli
ancora.
“Veee…”
“Amore mio…”
Sacro
Romano Impero, da buon marito qual’era, non era rimasto impassibile dinanzi la
tristezza che sua moglie aveva sfoggiato per casa da quando era tornata dalla
visita al fratello.
“Cosa
ti turba?”
“Sacro Romano Impero…”
Si
fece forza, per quello che doveva assolutamente dirgli.
“Non
ti dimenticherò mai. Ma questo è solo il mondo più felice in cui io possa
vivere, non è anche il mondo che voglio. Preferisco essere piccolo, debole e
pieno di guai, ma almeno esserlo con il mio fratellone.”
“Italia!”
Sconcertato
e affranto, lo vide far scivolare via la mano dalle sue.
Un’Italia
unita a metà, non è un Italia unita. Ma soprattutto, anche se all’interno dell’impero
più maestoso, non è comunque un paese vero, un paese libero; ed esserlo era
qualcosa che aveva desiderato ardentemente ancora prima che sposarsi col suo
vero amore.
“Mi
spiace, io… Voglio tornare a casa.”
E
come l’ucronia avesse capito, ripresosi dallo sconcerto, sorrise ed annuì.
Un
bagliore apparve sotto i piedi di Italia, che colse quegli ultimi istanti per
avvicinarsi a lui, in un’ultima stretta.
“Ti
amo, Italia, e sempre ti amerò, in qualunque realtà.”
“Sacro Romano Impero…”
Feli
non cercò un ultimo bacio, semmai, c’era qualcosa che doveva chiedergli.
“Qual
è il tuo altro nome?”
Sorrise.
Rispose,
ma già non poteva più sentirlo. Non gli restò altro che un’impressione, la
sensazione che le prime lettere di quel nome, pronunciate da quelle labbra mute,
fossero proprio quelle di…
FLASH!
“Ve?”
Italia
si guardò: aveva di nuovo la sua divisa! Che sollievo essere a casa, ma anche
che peccato: quel vestito era così bello!
Il
pubblico, o perlomeno la sua fetta più sensibile, era in piedi ad agitare
fazzolettini e ad applaudire.
“BUAAAAH!”
“SIGH!”
“SNIFF!
CHE STORIA TRISTE!”
“BRAVO!”
Feli
rintanò la testa nelle spalle, arrossendo.
“Grandioso!
La mia Macchina dell’Ucronia ha funzionato alla perfezione, e alla fine Feli è
tornato sano e salvo! Non c’era nulla da preoccuparsi, visto? … Germania? Dove
sei?”
Mentre Ungheria abbracciava e coccolava Italia, come bisognoso di tutta la
consolazione del mondo, la porta della stanza venne aperta con un calcio.
“Per la miseria! Ma che è tutto questo casino?!” –sbraitò Romano- “Uno prova ad
essere educato bussando alla porta e nessuno gli risponde? Che cavolo state
facendo si può sapere?”
“………”
“… Ehi… Perché mi guardate tutti?”
“VEEEEEE! FRATELLONEEEEEEEE!”
“AAAAARGH!”
Per
scollarglielo da dosso non sarebbero bastati tutti i piedi di porco del mondo!
“Veee!
Sono così contento che ora sei con me e non lavori più per Spagna!”
Antonio
si era rintanato in un angolino in cupa depressione…
“Ma
che stai dicendo?!”
“Ti voglio tanto beneeeee!”
“……”
–a Romano uscirono gli occhioni lucidi- “Non dire idiozie, fratellino idiota!
Mollami!”
“No! Ti voglio troppo bene! Io e te siamo una nazione sola!”
“Mollami! Mi stai facendo commuovere davanti a tutti! Ti ammazzo! Sniff!”
Francia
diede una pacca alla strabiliante macchina: “Però… Non male alla fine questo
scatolone.”
“Già,
adesso ci sarà un sacco di gente che mi chiederà la sua ucronia, e noi ce le
godremo tutte con tanto di sedie comode, bibite e pop-corn! Evvai!”
Inghilterra
si sbatté una mano in faccia: poveri loro!
Notò
poi una cosa: “Ehi, ma Germania che fine ha fatto?”
“Non lo so…”
Nel ripostiglio
chiuso a chiave, Ludwig, abbracciatosi alle sue gambe, era impegnato in
inevitabili riflessioni esistenziali…
“Ero
lui… O non ero lui? Ma se ero lui… Allora io e Italia abbiamo… Io e Italia… No,
è impossibile… Però… Certo che gli somiglio proprio a quello lì…”
È
lui, o non è lui? Germania è Sacro Romano Impero?
Ad ognuno la propria idea ^__^
A
me non piace tanto dare risposte nette, penso sia sempre meglio dare la libertà
al lettore… Dal canto mio, in confidenza, ve lo dico: per me è lui! XD
La
prima ucronia si chiude qui: forse un po’ troppo idilliaca, specie per la
nostra amata patria, ma alla fine ha rivelato l’altra faccia della medaglia, e
Feli non ha avuto dubbi sul da farsi.
Forte Romano che arriva all’ultimo, vero? XD
Mi
auguro vi sia piaciuta ^__^ Intanto, rifletterò sulla prossima storia
alternativa da regalarvi! Non perdetevela, e continuate a descrivermi le vostre
idee!
PS:
GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!