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Autore: SusanTheGentle    04/11/2012    8 recensioni
Un amore improvviso, due cuori che si incontrano ma che non riescono mai a toccarsi davvero come vorrebbero...almeno fino all'ultimo giorno. Nessuno sa. Forse nessuno saprà mai. Solo Narnia, unica testimone di quell'unico attimo di felicità.
Caspian e Susan sono i protagonisti di questa nuova versione de "Il Viaggio del Veliero". Avventura, amore e amicizia si fondono nel meraviglioso mondo di Narnia...con un finale a sorpresa.
"Se vogliamo conoscere la verità, dobbiamo seguire la rotta senza esitazione, o non sapremo mai cos'è successo ai sette Lord e dove sono finite le Sette Spade"
Il compito affidatogli questa volta era diverso da qualsiasi altra avventura intrapresa prima. C'era un oceano davanti a loro, vasto, inesplorato; c'erano terre sconosciute alla Fine del Mondo; una maledizione di cui nessuno sapeva niente. Non era facile ammetterlo, ma era probabile che nessuno di loro sarebbe mai tornato. Stava a lui riportarli indietro.
Caspian si voltò a guardare Susan, la quale gli rimandò uno sguardo dolce e fiero, e all'improvviso capì che qualsiasi cosa fosse accaduta, finché c'era lei al suo fianco, avrebbe sempre trovato la forza per andare avanti"

STORIA IN REVISIONE
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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5. La famiglia Scrubb
 

Eustace odiava i suoi cugini Peter, Susan, Edmund e Lucy. Non tanto perché fossero insopportabili e petulanti come pochi, oltre che terribilmente noiosi; era soprattutto quel loro continuo parlare di favole, mondi incantati e altre stranezze del genere.
Eustace era un tipo pratico, con ben poca fantasia, non aveva grilli per la testa lui, e meno che mai perdeva il suo tempo a pensare a qualcosa che non esisteva affatto.
Lui e sua madre avevano la stessa opinione sui quattro fratelli Pevensie: gente senza un briciolo di sale in zucca, la testa piena di sciocchezze, che non si addicevano per nulla a ragazzi di quell’età ma che il signore e la signora Pevensie non cercavano in alcun modo di scoraggiare.
Insomma, per dirla come Alberta Scrubb: erano irrecuperabili.
«Sono ancora così giovani» ripeteva spesso la zia Helen, che era la sorella di Harold, il padre di Eustace.
«Ma mia cara» rimbeccava Alberta, «Peter è quasi un uomo, e Susan è una signorina fatta e finita. Sarebbe ormai ora che lasciassero perdere quei giochi infantili, ormai».
Secondo Alberta, la colpa maggiore era da attribuire a Edmund e Lucy.
«Dovresti incoraggiare i più grandi a ricercare la compagnia di giovani della loro età, e non sempre e solo di quella dei fratelli più piccoli. Non è bene che siano così attaccati».
La signora Pevensie era indecisa sul da farsi: dare o non dare ragione ad Alberta?
Alla fine, però, aveva ceduto alle pressioni della cognata. Povera Helen, che altro poteva fare? Suo marito non era nemmeno lì a consigliarla, dato che non sarebbe tornato in congedo dalla guerra prima di Natale.
Anche suo fratello Harold era stato al fronte, ma era dovuto tornare a casa molto prima, a causa di una grave ferita. Fortunatamente, ora sembrava stare molto meglio.
«Perché non mi mandi qui Susan, qualche volta?» aveva chiesto Alberta a Helen. «La farò entrare in società, ho delle conoscenze. Non la vedo da un po’ ma, da come me la descrivi, dev’essere diventata una bellezza. Non avrà di certo problemi ad inserirsi»
In quanto a Peter, era intervenuto il signor Scrubb.
«Lo indirizzerò al mondo del lavoro. Vuole diventare professore di letteratura, hai detto, Helen cara? No, no, ci penserò io a raddrizzargli la schiena!»
La decisione sembrava ormai presa: sia Susan che Peter sarebbero andati a Cambridge (gli Scrubb abitavano là) l’ultima settimana di ottobre.
Il giorno che la signora Pevensie era tornata a casa e aveva dato la notizia, naturalmente si era scatenato il putiferio.
«Dovrò assentarmi per un paio di settimane a causa del mio lavoro. Cercate di capire, ragazzi: in questi tempi così difficili è già tanto averne uno che ci permetta di tirare avanti. Inoltre, lo zio Harold e la zia Alberta si sono gentilmente offerti di ospitare due di voi. Non hanno spazio a sufficienza per tutti e quattro. Peter e Susan andranno dagli zii, Edmund e Lucy dormiranno in collegio. Ho già avvertito il rettore e dice che non c’è problema»
«Perché non possiamo restare a casa?» aveva esclamato Edmund Non siamo più così piccoli da non saper badare a noi stessi!».
«Mamma, se serve smetterò di studiare e mi cercherò un lavoro» aveva aggiunto Peter.
La signora Pevensie era rimasta molto colpita dalle parole del figlio maggiore, ma non ci fu nulla da fare.
«No, tesoro, devi finire, è importante. Devi prendere il diploma»
A quel punto, Edmund e Lucy avevano fatto i diavoli a quattro per convincere la mamma a non dividerli. Da troppo tempo aspettavano di ritrovarsi soli, così da poter suonare di nuovo il magico corno d’avorio che li avrebbe riportati a Narnia. Come avrebbero fatto adesso, se li separavano?
La signora Pevensie fu molto paziente ma alla fine si arrabbiò, con il risultato di esser costretta a minacciare Edmund e Lucy di metterli in punizione. Il che, dopotutto, non fu neanche un male…
Quando Edmund disse: «Due settimane a casa Scrubb…con Eustace! Non vi invidio, ragazzi», la signora Pevensie aveva ribattuto con queste parole:
«Dite di odiare vostro cugino Eustace, dovreste vergognarvi! Bene! Visto che la mettete così, ci andrete tutti a Cambridge! Gli Scrubb sono gli unici parenti che abbiamo e sono stati fin troppo gentili con noi!»
In un certo senso, i quattro fratelli avevano ottenuto quello che volevano: restare uniti. Purtroppo però, con quella peste di Eustace in giro, le occasioni di tentare il ritorno a Narnia sarebbero state scarse quanto lo erano state finora. Di sicuro, si sarebbe impicciato non appena avesse capito che gli tenevano nascosto qualcosa.
In fin dei conti, la situazione non era cambiata di molto, anzi, sarebbe perfino peggiorata.
Quindici giorni con Eustace…l’inferno, a confronto, era un praticello fiorito.
Ma se a casa Pevensie c’era stata la guerra, a casa Scrubb si era scatenata l’apocalisse!
Non appena saputo che i suoi cugini Peter e Susan (spocchioso e noiosa) sarebbero arrivati a casa sua, Eustace era stato addirittura felice, pensando già di potersi divertire con quei due tirando loro qualche bello scherzo (ad esempio, tingere i capelli di verde a Peter o mettere un serpente di gomma nel letto di Susan).
Essendo di qualche anno più grandi (Eustace aveva la stessa età di Lucy) Peter e Susan non avrebbero mai osato prendersela con chi era più piccolo di loro. Eustace sapeva fin troppo bene com’erano fatti, soprattutto Susan, che era sempre tanto buona e generosa con tutti. Di sicuro, non avrebbero voluto fare la figura dei prepotenti. Che cosa avrebbero potuto dire i genitori e gli zii, altrimenti?
Eustace già pregustava la vittoria, quando ecco una nuova terribile notizia: la zia Helen intendeva scaricare a Cambridge anche Edmund e Lucy (scemo e nanerottola).
«No, no e poi no! Non ce li voglio tutti qui! Non li sopporto, sono odiosi! Vedrete, mi faranno ammattire di sicuro. Sono cattivi! Perfidi! Mi giocano sempre degli orribili scherzi! Non potete! E poi non ci staremo tutti, la casa non è abbastanza grande!»
Eustace pestò i piedi per terra, gridò, minacciò di fare lo sciopero della fame, tolse il saluto ai genitori e altre sciocchezze del genere. Comunque sia, la situazione non mutò.
Harold e Alberta non lo sgridarono, non ne valeva la pensa secondo loro, e così lasciarono che il figlio sbollisse la rabbia man mano che i giorni passavano.
Il fatto era che Eustace sapeva che, se Peter e Susan poteva sistemarli perfettamente anche da solo, con Edmund e Lucy a dar manforte ai fratelli maggiori, non c’era speranza per lui.
A preoccupare il ragazzino era soprattutto Edmund, il quale era capacissimo di far pagare al cugino tutti i suoi tiri mancini a suon di botte. Non sarebbe stata la prima volta che si accapigliavano.
Eustace ricordava benissimo l’ultima volta che era capitato, ne portava ancora i segni. Da allora, aveva imparato ad esser più cauto nell’architettare i suoi perfidi giochetti ai cugini, sempre tenendosi a debita distanza dai quattro, così da poter avere un buon vantaggio sulla fuga se questa si fosse richiesta necessaria.
A nulla valsero le sue proteste e, alla fine, eccoli lì, lui e i suoi genitori, sull’auto di suo padre Harold, diretti alla stazione di Cambridge per andare ad accogliere i fratelli Pevensie, che sarebbero arrivati con il direttissimo delle cinque.
Vista la stagione, faceva già un po’ buio. I lampioni ai lati della strada si accendevano piano piano uno dopo l’altro.
Nell’osservarli, con il viso appoggiato svogliatamente alla mano, Eustace sbuffò. Gli era tornato in mente un particolare che lo faceva innervosire. Ovviamente, riguardava i suoi cugini…
Li aveva sentiti più volte parlare di lampioni che crescevano in una foresta...
Di certo, a quelli lì mancava un venerdì, per non dire tutta la settimana: lampioni in una foresta?! Certo, e lui era Einstein!
L’auto si fermò davanti alla stazione. Harold spense il motore e scese per primo. Lo seguì Alberta. Eustace non si mosse.
Ancora non capiva una cosa: perché i suoi genitori si erano messi in mente di far da mentore a Peter e Susan? Che li lasciassero diventare stupidi e noiosi quanto volevano, a loro che importava? Bha…decisamente non capiva. Affari da adulti, probabilmente…
«Eustace, andiamo?» lo chiamò la madre, tenendo la portiera aperta.
«Non ci vengo. Tanto, tra cinque minuti me li ritroverò lo stesso davanti. Lasciami godere gli ultimi attimi della mia felicità»
«Oh, su, non fare lo stupido». Alberta lo prese per un braccio e lo fece scendere di peso dall’auto.
Eustace sbuffò di nuovo, anzi, lo fece per tutto il tragitto, dall’entrata fino al binario dove il treno era in arrivo.
«Come faranno con la scuola?»
«Hanno chiesto qualche giorno di permesso» spiegò suo padre.
«Ah, bello! Così io ci devo andare e loro no?! Non è giusto!»
«Smettila di comportarti come un bambino piccolo» lo ammonì Alberta. «Stiamo facendo un favore a tua zia che deve lavorare fuori città»
«Va bene, ma come ci sistemiamo per dormire? Eh?» insisté.
Questo era il punto che più gli premeva: non voleva assolutamente dividere la sua stanza con Peter e Edmund.
Intanto, il treno cominciava ad intravedersi in lontananza e il rumore sempre più assordante lo costringeva a parlare a voce più alta.
Suo padre si chinò vicino al suo orecchio per farsi sentire. «Non preoccuparti» gli disse semplicemente.
Non preoccuparti? Solo questo? Fosse facile! Con quei quattro in giro c’era da aspettarsi di tutto.
Eustace aveva sentito cose spaventose sul conto dei cugini. Aveva sentito che, circa un paio d’anni prima, i quattro ragazzi Pevensie erano andati a passare le vacanze da un vecchio professore amico di loro padre., Pareva che, durante tutta la loro permanenza, avessero rinchiuso suddetto professore dentro un grande armadio, e avessero costretto la governante della casa a servirli e riverirli come re e regine, mentre loro si sollazzavano dando ordini a destra e a manca.
I suoi genitori non sapevano quelle cose perché non avevano mai origliato i discorsi dei nipoti, ma lui sì! I cugini avevano una bella faccia tosta a sostenere che il malvagio e il più pestifero fosse lui! Sì, d’accordo, ogni tanto si divertiva alle loro spalle, ma qui era il bue che dava cornuto all’asino!
Erano tutti matti, quelli lì, altroché! Parola di Eustace Clarence Scrubb!
«Eccoli!» disse a un tratto Alberta, sventolando una mano in segno di saluto.
Nemmeno, lei - Eustace lo sapeva- amava particolarmente i nipoti. Ma i parenti si devono aiutare nel momento del bisogno, e gli Scrubb erano gli unici parenti che i Pevensie avevano, per cui…
Inoltre, con dei figli degenerati come quelli, il cielo sapeva se la cara Helen avesse bisogno di una mano, povera anima...
Ad ogni modo, ci avrebbero pensato loro a metterli in riga quei quattro, sissignore! Due settimane e sarebbero stati irriconoscibili.
Il treno si fermò sferragliando e, Peter, Susan, Edmund e Lucy, scesero sulla banchina della stazione. Ci furono stette di mano per gli uomini e baci sulle guance per le donne. Harold li aiutò con le valigie, prendendo quelle delle ragazze.
«Ciao, Eustace» disse Susan, chinandosi verso di lui per dargli un bacio.
Bleah! Perché diavolo sua cugina doveva sempre essere così terribilmente zuccherosa?
Si scansò appena in tempo. Susan ci rimase un po’ male.
“Ecco” pensò, “così impari a fare la finta gentile. Tanto lo so che mi detesti. Lo sanno tutti”
«Bè? Non si saluta?» sbottò Edmund con sguardo corrucciato.
Tra i lui e il cugino era odio puro!
«Sì, sì, ciao» tagliò corto Eustace.
«Andiamo, andiamo!» li incitò Harold, in testa al gruppo, guidandoli attraverso la ressa e poi fuori dalla stazione.
Fecero chiamare un taxi: non ci stavano tutti sull’auto con cui erano venuti gli Scrubb. Mentre aspettavano, si scambiarono qualche informazione di convenienza sulla salute, il lavoro, la scuola. Le solite cose, insomma, come si fa sempre per educazione con persone che non vedi da molto tempo.
Più precisamente, le due famiglie era dalla Pasqua precedente che non si vedevano.
Gli Scrubb e i Pevensie non avevano mai avuto gran rapporti tra loro. Si telefonavano o mandavano cartoline per Natale, e qualche volta si riunivano per pranzi e cene festive. O meglio, erano i Pevensie a mandare cartoline, telefonare o invitare gli altri. L’iniziativa partiva sempre da loro. Raro era anche ricevere una visita degli Scrubb in altri momenti dell’anno.
Quando il taxi arrivò, Harold e il tassista caricarono le valigie di Susan e Lucy, le quali sedettero sul sedile posteriore con la zia Alberta. La loro macchina partì per prima.
Dopo aver sistemato i bagagli dei nipoti, Harold fece cenno ai tre ragazzi di salire sulla sua macchina. Edmund e Eustace continuavano a spintonarsi e darsi botte. Peter ebbe l’accortezza di mettersi in mezzo a loro per farli smettere. Lanciò a entrambi un’occhiataccia, così che se ne stettero buoni per un pò, ignorandosi completamente.
Non si parlò molto sull’auto di Harold, a parte gli sporadici tentativi di Peter di intavolare una conversazione che si rivelò alquanto scarsa.
D’un tratto però, lo zio disse: «Ti piacerebbe venire a vedere dove lavoro, Peter?»
«Ehm…io…s-sì, perché no» balbettò il ragazzo.
Sapeva che zio Harold era proprietario di una segheria, ma la cosa non lo interessava molto, a dire il vero. Comunque, rispose così per non sembrare maleducato.
«Bene, bene!» esclamò lo zio, rianimandosi. «Domattina, allora, ti porterò con me».
Lì per lì, non sapendo bene come reagire, Peter disse solo «Va bene» e lanciò un’occhiata perplessa a Edmund, il quale aveva capito ancora meno di lui.
Da quando lo zio Harold era così bonario con loro?
Nel frattempo, nel taxi, la situazione non poteva essere più diversa. Alberta non la smetteva più di chiacchierare con Susan di circoli, feste e vestiti alla moda.
«Ho già pensato a tutto, mia cara» disse con voce entusiasta, ignorando completamente Lucy.
La ragazzina se ne stava a braccia conserte, sprofondata nel sedile, e aveva anche messo su il broncio. Sembrava davvero offesa. Susan le rivolgeva sorrisi di scusa, come a dire che non era colpa sua, tentando anche di coinvolgere la sorellina nel discorso ma senza successo.
«E domenica» annunciò la zia, «ci sarà un magnifico party, sei arrivata giusto in tempo. Bella come sei, farai un figurone. Tua madre lo dice sempre, sai? Susan qui, Susan là…e devo dire che ha ragione, sei proprio una bellezza rara»
Susan, che si sentiva molto a disagio e molto in colpa verso la sorellina, provò a chiedere:
«Potrà venire anche Lucy, vero zia Alberta?».
La donna diede in una risatina. «Ma certo che no! E’ troppo piccina!»
Lucy le fece una bella linguaccia. La zia, voltata di schiena, non la vide, ma Susan si.
Fortunatamente, Lucy non sembrava troppo arrabbiata con lei, e le due si scambiarono anche un sorriso.
«Sono sicura» proseguì Alberta, «che se abbandonassi quell’aria così seria ti troverai presto anche un buon corteggiatore. Anzi, più di uno»
«Non sono interessata agli spasimanti» ammise Susan.
Alberta sembrò alquanto stupita. «Come sarebbe? Hai sedici anni, tesoro. Tutte le ragazze della tua età desiderano le stesse cose: essere carine e avere successo con i ragazzi. Ero così anch’io»
«Sì, ma io…veramente…»
«Da come parli, potrei dedurre che hai già il fidanzato»
A quelle parole, le due sorelle si scambiarono uno sguardo. Lucy si tirò su dritta a sedere e Susan si rattristò.
«No» disse la maggiore con un filo di voce.
Ma quasi contemporaneamente, Lucy disse «Sì!».
Alberta, decisamente perplessa, si volse finalmente a guardare la più piccola.
«Come?»
Le due ragazze si guardarono ancora. I loro occhi azzurri si incontrarono. Lucy alzò le sopracciglia e mosse impercettibilmente le labbra, come a voler dire qualcosa alla sorella, quasi a chiederle di reggerle il gioco ma senza osare farlo in presenza della zia.
«Allora? E’ si o è no? Non capisco più» chiese di nuovo quest’ultima, con un sorrisetto.
«E’…» balbettò Susan. «Sì»
«Aaahh…» fece la zia, con aria compiaciuta.
Lucy si rilassò.
«Ecco, non è che sono proprio fidanzata, in effetti, ma…» aggiunse subito Susan.
Non se la sentiva di dire una bugia, quindi rimase sul vago. In fin dei conti era vero, non era impegnata proprio con nessuno. Anche se, a pensarci bene, ci era andata molto vicino.
Ricordava il fiore blu. Oh, se lo ricordava…
Nel suo mondo non significava nulla, ma nell’altro…
Un’antica tradizione di Narnia, vuole che un uomo regali una rosa blu alla donna che ha scelto come sua sposa per la vita...
Non volle far affiorare quel ricordo, o avrebbe rischiato seriamente di mettersi a piangere.
«Bè, se non sei fidanzata, allora sei libera, tesoro mio» disse ancora Alberta. «Mia cara nipote, sei troppo giovane per pensare a qualcosa di serio. Dovresti divertirti un po’, prima»
«Ma io non…» protestò Susan. O almeno ci provò.
«Zitta, zitta. Ormai ho deciso tutto. L’ho detto anche a tua madre, ovviamente, e lei mi è sembrata assolutamente d’accordo» «Che cosa?» Alberta batté una volta le mani, soddisfatta. «Vorrei che entrassi in società, Susan. Faresti un figurone- l’ho già detto?- se ti truccassi un po’ di più e ti pettinassi diversamente»
Dicendo questo, Alberta aggiustò i capelli di Susan, sollevandoli ai lati delle orecchie per vedere che effetto facevano, per poi lasciarli ricadere. Rimase pensierosa, portandosi un dito al mento, tornando ad ignorare Lucy completamente.
Susan cerò di nuovo appoggio nella sorellina, ma Lucy si era rivoltata dall’altra parte con l’intenzione di ignorarle a sua volta.
«Bene» annunciò infine la zia, con un gran sorriso. «Domani verrai dal parrucchiere con me»
«Ma…»
«Niente ma! Ho deciso»
Ancora una volta, Susan non riuscì a protestare.
Ormai erano arrivate a casa.

 
 
 


Scusate se ci ho impiegato così tanto a mettere questo nuovo capitolo, ma sono i crisi totale per via del lavoro che non va affatto bene (se sono davvero sfigata mi lasciano a casa tra un po’, e non solo io, anche un sacco di miei colleghi). Capirete dunque che non sono stata molto in vena negli ultimi giorni, mi scusate? Cercherò di rifarmi e speriamo che le cose si sistemino.
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo. Ho descritto bene gli Scrubb? Molti li trovano antipatici, ma a me non lo sono per niente. Forse Eustace è un po’ petulante e tutto il resto, ma che volete farci, io lo trovo fortissimo, mi fa morir dal ridere in certe scene! XD
Altri problemi per i Pevensie, poveretti. Chissà cosa succederà? Ebbene, lo scoprirete nel prossimo capitolo, perché la vostra Susan ha già in mente tutto!

 
Grazie a: CaspiansLOver, FrancyNike93, GosspGirl88, JLullaby, piumetta, Poska, SerenaVdW e SweetSmile per aver messo la storia nelle seguite.
 
Per le recensioni dello scorso capitolo invece ringrazio:  IwillN3v2rbEam3moRy (la mia fedelissima XD ogni volta ho paura di scriverlo sbagliato) e SerenaVdW (sto aspettando il seguito della tua fic!!!)
 
E se qualcun altro volesse recensire, c’è spazio per tutti, non esitate, mi fate solo piacere. Grazie!
Un bacio
Susan^^
   
 
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