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Autore: hiccup    04/11/2012    4 recensioni
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Panico.
D'improvviso non vedi altro; annusi la paura stessa ed è come morire di nuovo, lacerando la carne.
Ma non vuoi morire.
Hai paura di morire.
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Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Mi sono dimenticata come si respira








“Sei sicura di stare bene?”
“Certo, perché?”


Te lo chiedono, te l’hanno chiesto, in troppi modi diversi, con espressioni diverse, con toni diversi. Te l’hanno chiesto così tante volte che non riesci quasi più a fermare quel disco inceppato che è la tua voce.


“Certo, perché?”


Certo, rispondi. E cos’altro dovresti dire? Sei viva, giusto?
Respiri e sei viva; non hai nessuna ferita, nessun problema. Semplicemente non hai nulla e niente di sbagliato. All'esterno.

Perché, chiedi.
Mai rispondere ad una domanda con una domanda, non lo sapevi? E blah blah blah.


Come risposta ottieni solo sguardi indagatori e preoccupati. Ti senti squadrata, valutata, giudicata, criticata.
Guardano il tuo corpo come se fosse un oggetto strano, curioso. Una cosa rotta, danneggiata. Qualcosa senza più nessuna utilità.

Ed è proprio così che ti senti, non è vero?
Inutile. E vuota.

Ma non sei vuota: avverti quel tarlo roderti l’anima, lo spirito, i sogni. Quel tarlo ha un nome ma non ti va di pronunciarlo. Non vuoi nemmeno pensarlo perché farebbe troppo male da accettare, ed è la cruda realtà. Meglio le illusioni, allora.

Stai morendo da dentro. Parte delle tue cellule ne sono già state intaccate – dal tarlo, dico – e muoiono lentamente. Lentamente s’increspano e scricchiolano come foglie calpestate in un viale autunnale.
Le foglie sono colorate, però. Tu no, il nero è un non colore che li riunisce e li annulla tutti quanti. I colori, dico.


“Hai bisogno di qualcosa?”
“No, grazie”


E poi vengono queste voci di falsa pietà; voci ipocrite che domandano e che prestano favori vacui.
No, scuoti la testa leggermente facendo ondeggiare i capelli scuri. Di cosa potresti aver bisogno? Hai già tutto quello di cui hai bisogno. Respiri, dopotutto. Non necessiti d’altro: l’acqua e il cibo passano in secondo piano mentre il semplice fattore di respirare diventa una necessità, perché non ti ricordi quasi più come si faccia.


Respiri ed espiri.
Respiri ed espiri.

Espirando singhiozzi.

Non ami farlo davanti a quelle voci ambigue e a quegli sguardi curiosi, preferisci essere da sola nella tua stanza spoglia. Da sola. Nessuno deve vederti spaventata perché non riesci più a respirare.
Le lacrime sgorgano, senza che tu te ne renda conto, dagli occhi chiari e corrono lungo le guance, il profilo del volto per poi cadere sulle lenzuola candide e profumate di pulito; e il respiro s’interrompe per alcuni secondi, poi riprende. S’interrompe di nuovo. Aspiri troppo ossigeno fino a che la gola non sembra spaccarsi in due bruciano.

Quando torni a ricordare come respirare tutto diventa quieto e silenzioso come prima. Il silenzio perfetto per quelle voci.
Le tue guance sono asciutte e gli occhi chiari come poco fa. Ma le lenzuola sono bagnate dalla tristezza e nasconderle è difficile.

Hai nascosto anche le lenzuola sporche di dolore vermiglio, ricordi?
Ma preferisci non ricordare altrimenti il tarlo avanza più in fretta.


“Perché non mi racconti cos’è successo?”


Ecco, appunto.
Perché dovresti parlarne – rivangare – le cose successe?
Perché girare il coltello nella piaga? Perchè dare anima - sostentamento - al tarlo?

E allora chiudi gli occhi, perché fuori la luna è alta e tu sei stanca. Terribilmente stanca; i tuoi muscoli gridano stanchi di non potersi stiracchiare e il tuo cervello è costretto a rallentare... ogni... pensiero...



Buio.











Devi prendere le pastiglie ogni sei ore. Le pastiglie sono tre. Servono per tenerti calma e rilassata, per non farti desiderare la morte, dicono. No, non dicono l’ultima parte, ma la pensano, che è quasi la medesima cosa.

Le pastiglie contro la morte.
Sembra una frase da fantascienza, da romanzo.

Sì è così.
Ma quello che ti è successo non è una storia da leggere prima di andare a letto.
I protagonisti di questa storia sono due.
Uno è buono, l’altro è cattivo.
Riesci a vedere – a sentire - il pavimento sporco e peso opprimente del corpo. E poi il male. E il sangue. E i singhiozzi. E ti perdi. E urli. E dimentichi il respiro.

Forse due delle tre pastiglie ti sono scivolate a terra prima di prenderle?







Panico.
D'improvviso non vedi altro; annusi la paura stessa ed è come morire di nuovo, lacerando la carne.
Ma non vuoi morire.
Hai paura di morire.













Comunque non ti sono mai piaciuti i lieti fine, giusto? Sapevano troppo da favole per bambini piccoli; erano troppo zuccherosi e troppo irreali.


“Hai bisogno di qualcosa?” domanda l’infermiera porgendoti il bicchiere d’acqua con le cinque pillole bianche - non erano tre?
“Vorrei il mio visse per sempre felice e contenta









Perché alla fine il mostro – il tarlo – muore. Deve morire.













  
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