The (he)art of the streap VIDEO.
Agli
sbalzi di temperatura.
A Ryan che ci prende in giro.
Alla
musica e cinema degli anni '60.
NOVE
Le ascoltavo,
le osservavo litigare mentre si dimenavano sui
divanetti, lanciandosi occhiate di fuoco e maledizioni sulle
famiglie reciproche, e non avevo la forza di fare nulla; i due
futuri mariti erano nella mia stessa situazione anche perché
capivano la metà dei discorsi. Fu nel momento in cui una
delle due
disse che avrebbe rinunciato a sposarsi che intervenni: non potevo
perdere una cliente.
- Ragazze, non capisco dove sia il problema.
Avrete entrambe la vostra parte del locale addobbata come preferite,
sarà tutto diverso tranne che la musica; quindi
perché
litigate?
Ilaria, la più pacifica delle due, abbassò lo
sguardo
imbarazzata. – Temo che Giada abbia paura che il mio
ricevimento possa essere migliore del suo.
- Questo non è vero,
io ti voglio bene e sono felice di festeggiare il giorno più
bello
della mia vita insieme a te.
- Allora smettila di cercare di
sabotarlo con le tue idee assurde. - Aveva le lacrime agli occhi e
forse potevo pure capirla: avrei voluto davvero fare qualcosa
per aiutare lei e zittire una volta e per tutte l'altra.
- Ci sono
due soluzioni: smettete di litigare, mantenendo quello che
avete
deciso fino ad adesso oppure… – Feci una
pausa per rendere
il momento più catartico
– … affidarvi a me e
lasciarmi organizzare tutto dall'inizio, ma avreste la stessa
cerimonia, stessi fiori, cibo, addobbi, colori: niente di diverso e
nessuna invidia.
Parlai lentamente in modo che anche i due futuri
sposi mi capissero; tutti e quattro si guardarono e io mi
rilassai contro lo schienale della poltroncina verde
pistacchio, aspettando una loro risposta che non
tardò ad
arrivare.
- Okey. - Disse la stessa Giada convinta. - Mi sembra la
cosa più giusta da fare, oltre al fatto di anticipare le
nozze, così
eviteremo di litigare e far impazzire te.
Anticipare cosa?
Forse non sapevano quanto fosse faticoso organizzare un matrimonio,
soprattutto il loro, e quanto sarebbe stato complicato ricominciare
tutto: il catering, il fioraio e compagnia bella mi avrebbero odiato,
o forse anche uccisa.
Spiegai loro che avrebbero dovuto lasciare
la data prevista in modo da darmi più tempo per preparare
tutto nel
migliore dei modi e per fortuna capirono: il matrimonio si sarebbe
celebrato un mese e mezzo dopo, loro non mi avrebbero assillato e io
sarei stata libera.
All'ennesimo
starnuto, Giulia mi tirò addosso una palla di
carta, colpendomi
in testa – Vuoi andartene a casa, per favore? Non voglio
ammalarmi
anche io.
- Non sono… – Dovetti fermarmi per
soffiare il
naso – … malata, è
solo un piccolo raffreddore.
Mina
mi guardò scettica e tolse la mascherina per parlare
– Piccolo?
Guarda il tuo naso com'è rosso e poi dimmi se è
solo
un piccolo raffreddore.
Non capivo perché avesse
quell'aggeggio a coprirle bocca e naso, neanche fosse Micheal Jackson
nei suoi ultimi giorni di vita; tuttavia ignorai lei e le
minacce di Giulia di denunciarmi a Carla. Stavo bene: qualche
starnuto non mi avrebbe certo mandato a casa e costretta a letto.
-
Non possiamo ammalarci pure noi, quindi vattene.- Mina era a un passo
dal trasformarsi in una belva assassina; mi
fece
ridere la sua finta espressione da dura. - Emily, sono seria.
-
Devo fare queste chiamate, ieri ho detto a quelle streghe che avrei
ristrutturato il matrimonio.
-
Ri-cosa? - La risata di Giulia risuonò cristallina nelle mie
orecchie e mi infastidì a tal punto che le lanciai la palla
di carta
di prima. Non misi troppa forza, tanto che cadde al centro
della
stanza facendole ridere ancora di più. - Non sai parlare
e, ripeto,
sembri uno zombie. Quindi adesso te ne vai a casa o ti faccio
licenziare.
Quando si mettevano in testa qualcosa era impossibile
fargli cambiare idea, perciò misi tutto ciò che
mi serviva nella
mia grande borsa beige e mi feci accompagnare a casa perché,
secondo
loro, nelle mie condizioni non ero in grado di prendere i mezzi.
Sarei potuta svenire tra tutta quella gente e qualcuno avrebbe potuto
approfittare di me. Avevo delle amiche con la mente piuttosto
contorta e non me ne ero mai resta conto.
-
Sicura che posso andare? - Giulia mi aveva accompagnato fin
davanti alla porta del mio appartamento contro la mia
volontà.
-
Sì, stai tranquilla. Io sto bene, hai insistito tu per farmi
da
scorta fino a qui.
Mi guardò male, ma non avevo la
forza di risponderle. La salutai con la mano prima di rintanarmi in
casa, dove lasciai cadere la borsa per terra e corsi, o
per meglio dire, mi
trascinai come un elefante in punto di morte sul
divano, accucciandomi
su me stessa per non sentire freddo. Mi svegliai di soprassalto
perché qualcosa nella mia testa rimbombava come le casse in
discoteca; non mi era mai successo di addormentarmi come una pera
cotta sul divano vestita e con il cappotto addosso.
Mi accorsi che quel rimbombo era la vibrazione del mio
cellulare dentro la tasca,quando quello riprese
a squillare: chi cavolo mi chiamava in quel modo disperato?
- Sai
quanto ci hai fatto preoccupare?
Sospirai all'urlo di Mina: perché
mi aveva chiamato, impedendomi
di dormire? - Ti serve qualcosa?
- No, volevamo sapere
come stavi.
Hai chiamato il medico?
- Perché dovrei… –
Mi fermai prima che ricominciasse a urlare quanto
fossi incosciente – Sì, prima. Posso tornare a
dormire adesso?
- Se hai bisogno di
noi, chiamaci.
La
rassicurai, riagganciando
subito il telefono.
Lo
spensi, lanciandolo
sul tavolino e, sempre con la leggerezza di un pachiderma incinta, mi
mossi verso la mia camera per indossare il mio pigiama grande e caldo
di pile e infilarmi nel letto, sotto le coperte, dove un mondo
migliore fatto di arcobaleni, unicorni, Paul Newman e Elvis Presley
mi stava aspettando.
L'ultima
cosa che ricordavo era di aver poggiato la testa sul cuscino e d'aver
programmato di chiamare il fioraio non appena mi fossi svegliata,
perciò perché ero su una giostra? Aprii gli occhi
lentamente, rendendomi conto di essere ancora sul letto, tutta
sudata e con le coperte attorcigliate ai piedi; il tetto non la
smetteva di girare e gli sbalzi di temperatura iniziavano a darmi sui
nervi. Mi misi a sedere, cercando la forza interiore che mi
aiutasse ad alzarmi del tutto e andare fino in cucina per bere, dato
che avevo la gola e le labbra secche, ma al primo passo un
capogiro più forte degli altri mi fece perdere l'equilibrio:
per
fortuna caddi sul letto, ma quel contatto morbido non
fermò il
conato di vomito stimolato dai dolori alla testa.
Arrivai in tempo
in bagno, ma non fui abbastanza brava a
trattenermi: per
fortuna il lavandino era molto vicino alla porta; sentivo bruciare la
gola mentre rigettavo del liquido verdognolo, gli occhi lacrimavano e
le tempie pulsavano a una velocità esorbitante. Scivolai
piano lungo
le mattonelle celesti e mi accasciai a terra, allungando le gambe per
sgranchirle. Non avevo forza in nessun muscolo neanche per togliere i
capelli incollati alla fronte sudata; probabilmente non mi sarei
più
mossa da lì, sarei morta di fame e sete perché
nessuno si sarebbe
premurato di venire a controllare le mie condizioni.
Dopo
aver constatato che se mi fossi alzata con molta probabilità
avrei
vomitato il nulla un'altra volta, strisciai, come un bravo soldato
durante il suo periodo d'addestramento, fino al divano in salotto e
mi ci buttai sopra, coprendomi con due coperte di pile. Accesi
la tv, sperando che il digitale trasmettesse qualcosa di
interessante, ma dovetti accontentarmi di Barbara e i suoi
attacchi di “mostruosità” di Paint
your life: quel
programma faceva venire la sonnolenza peggio di Maurizio Costanzo
Show ai tempi in cui andavo ancora a scuola. Non potevo continuare a
vegetare sul divano, dovevo trovare la forza di alzarmi e preparare
qualcosa da mangiare; anche se avevo lo stomaco chiuso e una
discoteca al posto del cervello, cucinai un po' di pasta con
il
brodino, anche perché erano gli unici ingredienti
disponibili
nella dispensa. Dovevo fare la spesa o, in quei giorni di reclusione
forzata, sarei morta di fame.
Riaccesi il telefono, mentre mi
obbligavo a inghiottire la seconda cucchiaiata di pasta e brodo: il
raffreddore aveva anestetizzato le mie papille gustative e la febbre
aveva ucciso il mio appetito perciò quella roba nel piatto
per me
era poltiglia nell'acqua. Trovai una decina di messaggi della
Vodafone che mi avvisava, molto cordialmente, che le mie care amiche
mi aveva cercato come delle disperate: mandai un messaggio a Giulia
per dirle che ero viva e vegeta e poi chiamai Mina per chiederle un
piccolissimo favore. In fondo lei mi aveva spedita a
casa, quindi
me lo doveva.
- Te lo scordi! Ho un
sacco di cose da fare domani,
non posso pensare a te.
Trattenni un conato di vomito, quando
finii di mangiare quella schifezza – Ma morirò di
fame. -
Piagnucolai come una bambina a cui rompono il giocattolo preferito
–
E tu non vuoi che succeda, vero?
- Certo che
no, ma...- La
sentii sbuffare e ghignai felice, mentre mi distendevo sul
divano esausta: ogni movimento mi costava molta fatica. -
D'accordo, ma mi devi un favore enorme.
Sorrisi e
chiusi la chiamata, mi veniva da piangere per il mal di testa e i
dolori muscolari, avevo bisogno di un massaggio e anche di un medico
che mi prescrivesse qualcosa per farmi guarire: non mi piaceva stare
male, mi sentivo impotente e inutile in quei momenti e in
più avevo
da fare tantissime cose non potevo permettermi il lusso di stare a
letto o sul divano sommersa da coperte e fazzolettini di carta.
Avendo
dormito per tutto il pomeriggio, la notte feci fatica a prendere sonno, nonostante
la debolezza e la stanchezza fisica mi avessero costretta a letto e
mi avessero
impedito di
fare ogni cosa.
Perciò mi svegliai alle sei del mattino, rigirandomi
più e più volte tra le coperte, per colpa degli
sbalzi di temperatura e delle smanie per il non fare nulla. Stavo
peggio rispetto a due giorni prima dato che Mina non mi aveva portato
la spesa e l'antibiotico che le avevo chiesto perché aveva
troppo da fare, ma
almeno, stando a letto, avevo recuperato un po' di forze, quelle
necessarie per lavorare e continuare a organizzare il matrimonio
dell'anno.
Con il portatile sulle gambe, il telefono accanto e dei fogli sparsi
sul resto del letto, cercai di sciogliere i nodi più
difficili di quella situazione; dovevo disdire le vecchie prenotazioni
e assicurarmi che non mi mandassero a quel paese mentre facevo quelle
nuove.
Il termometro, alle dieci del mattino, segnava la temperatura di
trentotto e due: avevo
i brividi di freddo e il mal di testa era tornato a farmi compagnia,
colpa anche di tutte quelle ore trascorse al pc, cercando
di distrarmi e impiegare al meglio il mio tempo.
Spensi il portatile e lo spinsi insieme alle altre
scartoffie ai piedi del letto e mi rifugiai sotto le coperte, sperando
che il piumone mi riscaldasse abbastanza.
Battevo i denti: stavo malissimo e sentivo troppo freddo: decisi
di chiamare Mina per chiederle aiuto, dato
che doveva ancora portarmi la spesa e le medicine.
- Lo so, lo so
– Rispose senza nemmeno salutarmi e ancora prima che potessi
dirle qualcosa –
Devo farti la spesa, solo che sono bloccata in mezzo al traffico e devo
ancora passare dalla Chiesa e parlare con il Parroco.
Sorrisi stanca, immaginandomela
alla guida della sua Ford Fiesta melanzana – Mina, ho bisogno
dell'antibiotico.
- Oddio, stai tanto
male vero? Sono una pessima persona. Maledetto traffico. -
Scostai il telefono dall'orecchio,perché
sentirla imprecare contro gli altri automobilisti contribuiva solo a
far aumentare il mio terribile mal di testa. - Prometto di portarti tutto
entro un'ora o delegherò qualcuno, non ti lascerò
morire da sola a casa.
- Lo spero, non voglio morire per una stupida influenza.
La sentii ridere, mentre
chiudevo la chiamata e lanciavo il telefono dall'altra parte del letto:
avevo sete, dovevo fare la pipì e forse avevo anche fame, ma
non riuscivo ad alzarmi da quel letto; puzzavo e mi sentivo una
stracciona. E se non avessi conosciuto Mina e Giulia? Se fossi stata
sola al mondo come avrei fatto? Sarei dovuta uscire e comprare le
medicine io stessa, quindi potevo e dovevo alzarmi e fare qualcosa, per
il mio bene e per l'igiene di tutto il mondo.
Come sempre mi trascinai fino in cucina: strisciavo
i piedi, perché
alzarli era troppo faticoso e in effetti mi divertivo, insomma,
perché sprecare energie nel camminare bene e alzare i piedi, se
strisciandoli si otteneva lo stesso risultato? È come:
perché rifare il letto se poi, la sera, lo si
riusa?
La febbre stava iniziando a farmi delirare, magari con una doccia mi
sarei ripresa o sarei tornata a ragionare come le persone normali;
sapevo che Mina non sarebbe arrivata prima di un'ora, perciò
feci tutto con calma, riscaldando pure le mie fragili ossa con l'acqua
calda e il vapore.
Uscii quando le mie mani si erano raggrinzite e quando le mie gambe
avevano iniziato a cedere, segno che la febbre stava salendo ancora:
maledetto freddo, maledetto tempaccio e stronza Mina che non mi aveva
portato l'antibiotico.
Profumavo di mandorle; i miei capelli mossi e ribelli e il mio pigiama,
sempre in pile, blu con le case disegnate mi davano un'aria sbarazzina
e liceale; quella doccia mi aveva rinvigorita e trovai addirittura la
forza di prepararmi una tazza di thè e sistemarmi sul
divano a mangiare, attendendo impaziente l'arrivo di Mina. Stavo
guardando Cucina
con Ale immaginando Alessandro Borghesi
nella mia cucina a preparare quel piatto di pasta succulento e
servirmelo a letto, quando
suonarono il campanello.
Non volevo alzarmi per aprire, sia perché
mi annoiava camminare sia perché
non volevo perdere, neanche per un secondo, quella bellissima visione,
ma, sapendo che fosse Mina con il mio cibo e la mia cura, avanzai fino
alla porta, avvolta in un coperta perché il freddo era
tornato a possedermi.
Aprii il portone del palazzo senza neanche rispondere e, con un gesto
meccanico, anche quella d'ingresso, lasciandola socchiusa, in modo da
poter tornare sul divano e godermi il mio Alessandro.
Dopo dieci minuti, sentii
un rumore familiare – Perché ci hai messo tanto?
- Non ricordavo il piano.
Una voce maschile.
Non era Mina, a meno che non fosse diventata un uomo nel giro di
qualche ora; ero in preda al panico perché con molta
stupidità avevo aperto la porta senza neanche chiedere chi
fosse: uno sconosciuto era dentro casa mia e mi avrebbe uccisa,
violentata e uccisa.
Avevo la febbre, magari se glielo avessi fatto presente sarebbe
scappato.
- Tua mamma, il grande avvocato, non ti ha insegnato che non si apre la
porta agli estranei?
Sospirai sollevata quando lo riconobbi e mi voltai a guardarlo
– Gerri! - Esclamai felice, mordendomi
la lingua un secondo dopo: quello non era il suo vero nome! –
Che… che
ci fai tu qui?
- Certo che sei messa davvero male eh?
Posò dei sacchetti sul tavolo e dopo qualche secondo
tirò fuori, da uno di quelli, uno scatolino della farmacia.
- La mia salvezza.
Mi alzai, ma
la fretta causò
un altro di quei terribili capogiri e cascai sul divano; fu
Geremia stesso a portarmi un bicchiere d'acqua e una capsula,
ma non riuscii a guardalo negli occhi e lo
ringraziai mentre prendevo la pillola dalla sua mano destra.
La ingoiai e mi distesi sul divano, aspettando
che facesse effetto.
- Che ci fai qui? - Gli chiesi mentre sistemava il latte in uno
sportello. - Voglio dire, perché mi hai portato la spesa?
- Ero al supermercato e ho incontrato la tua amica. Dove va questo? -
Mi mostrò una bottiglia di succo di frutta alla pera e gli
indicai il frigorifero. - Comunque quella è un po' fuori di
testa, voleva pagarmi per farmi venire. - Si bloccò e mi
sorrise malizioso. - Quello è gratis, oltre che naturale e
spontaneo.
- Idiota. - Mi rannicchiai su me stessa, coprendomi
meglio con il piumone; lo sentivo muoversi in cucina e sistemare il
resto della roba.
Non volevo che restasse un minuto di più
perché la sua presenza mi imbarazzava: era
pur sempre un estraneo e non mi andava farmi vedere in quello
stato.
- Ti serve qualcos'altro? - Negai e mi alzai per accompagnarlo alla
porta, non volevo cacciarlo, ma
se fosse rimasto un minuto in più si sarebbe ammalato anche
lui. - Se hai bisogno di qualcosa chiamami.
Lo guardai incerta. - Sì, certo. - Provai a ringraziarlo, ma
un altro conato di vomito ebbe la meglio: tappai
la bocca con le mani e corsi in bagno, cercando di non inciampare nel
tappeto del piccolo corridoio; questa volta arrivai in tempo e rigettai
il thé e i biscotti che avevo mangiato qualche ora prima
dentro il water.
Mi sentivo uno straccio. Quando provai ad alzarmi delle
mani mi aiutarono a farlo, Geremia era rimasto e aveva assistito allo
spettacolo.
- Oddio, che vergogna.- Mi sedetti sul bidet, nascondendo
il viso tra le mani.
Lo sentii ridere e lo guardai scettica, più o
meno. - Cosa ci trovi di così divertente?
Fece spallucce e, dopo
aver tirato lo sciacquone, buttò
un po' di candeggina dentro per eliminare il cattivo odore: era
un uomo di casa. - Tu che ti vergogni d'aver l'influenza. - Mi porse
una mano e mi sorrise: non
era il suo solito ghigno malizioso o strafottente, era diverso, quasi
preoccupato. - Forse è meglio se ti porto a letto.
- Vorresti approfittare di me in queste condizioni?- Mi finsi offesa e
la sua risata mi rilassò. - In realtà avrei un
po' di fame.
Mi sorrise di nuovo e mi scortò fino in cucina, aiutandomi a
sedere sullo sgabello. - Cosa desidera mangiare,signorina?
Lo guardai sbalordita e divertita, mentre
indossava un grembiule – Sai cucinare?
- Me la cavicchio.
Allora, cosa
vuoi che ti prepari: primo o secondo? – Chiese, non
smettendo di sorridere e guardandosi intorno, probabilmente
cercando di orientarsi.
- Stupiscimi. - Per la seconda volta mi morsi la lingua: quella
febbre stava iniziando a farmi dire le cose peggiori.
Era peggio dell'alcol. - Voglio dire…
- Sì ho capito, non peggiorare la tua situazione.
Gli feci una smorfia e l'osservai lavorare: di
tanto in tanto mi chiedeva dove fossero le spezie o altri oggetti e gli
rispondevo con gesti e cenni del capo; era divertente stare a guardare
senza fare nulla, sentirmi ospite in
casa
mia e avere un uomo attraente in cucina a prepararmi il pranzo. Il
silenzio però era troppo imbarazzante: cercai,
quindi, di instaurare una conversazione per lo meno civile, senza
nessun litigio o doppio senso; rispondeva alle mie domande tranquillo, mentre
tagliava i pomodori e li metteva in padella.
Lui non chiedeva mai nulla, come se non gli importasse
nulla di me.
- E quindi è da molto che fai questo lavoro?
- Lo spogliarellista? Qualche anno.
Chiacchierare con lui era davvero difficile. - Perché, hai
qualche altro lavoro? - La sua risposta mi aveva indotto a pensare che
facesse qualcos'altro oltre a spogliarsi la notte e a farsi infilare
banconote da minimo venti euro nel perizoma.
Rabbrividii al ricordo di lui nudo.
- Hai freddo?
- No,
sto bene, grazie.
Non l'avevo mai visto così preoccupato, in realtà
non l'avevo mai visto in altri momenti o in altre vesti.
Si stava prendendo cura di me come se fossi una sua amica.
Piombò di nuovo il silenzio e ne approfittai
per guardalo ancora: mescolava la pasta dentro la pentola facendo
attenzione che l'acqua non schizzasse fuori, con un cucchiaino, poi,
aveva assaggiato il condimento e aveva aggiunto del sale e pepe, forse,
dopo aver fatto una smorfia schifata.
- È quasi pronto. - La sua voce mi colse in flagrante e
abbassai subito lo sguardo – Apparecchio qui o vuoi andare
sul divano?
- Va bene qui, grazie.
Se lo avessi ringraziato ancora, mi
sarei sparata alle ginocchia.
- Comunque – Continuò, mentre
scolava la pasta – in teoria non ho nessun altro lavoro.
Mi porse il piatto fumante e abbastanza invitante, lo odorai, ma
non sentii nulla: avevo naso e gola chiusi per colpa del raffreddore
– E in pratica? - Mandai giù il primo boccone e lo
guardai in attesa di una risposta.
I suoi occhi erano fissi nei miei, come se da un momento all'altro
aspettasse che dicessi qualcosa quando in realtà era lui a
dover parlare.
Masticai gli spaghetti con calma, cercando
anche di capire che sapore avessero.
- Ti piacciono?- Aveva preferito cambiare discorso e lo lasciai fare
perché, in effetti, non avevo tanta voglia di stare
lì a discutere sul suo lavoro o altro; non gli risposi
perché non sapevo che dirgli, per me erano insapore.
Allo
stesso tempo non volevo deluderlo, perciò annuii e continuai
a mangiare, alternando
dei sorrisi accennati ai bocconi.
Essere osservata mentre mangiavo, però,
era piuttosto inquietante e fastidioso, ma
non gli dissi nulla per non sembrare scortese: in
fondo mi aveva preparato un pranzo coi fiocchi senza che gli avessi
chiesto nulla.
Aspettò che finissi tutto prima di togliere il
piatto e riposarlo dentro il lavandino insieme alla forchetta e al
bicchiere.
- Che stai facendo?- Lo fermai prima che iniziasse a lavare le
stoviglie, un conto era cucinare e un conto era sfruttarlo come
domestica personale. - Ti prego, lascia stare, li farò
più tardi o domani.
- Ma stai male e... D'accordo, non insisto. - Gli sorrisi grata. -
Adesso devo andare, ti serve altro?
- Oh, no
no. Hai fatto troppo e ti devo un favore enorme.
- Non pensare che tutto quello che gli altri fanno per te sia questione
di dare e ricevere, magari è anche un piacere farlo, no?
Abbassai lo sguardo imbarazzata: mi aveva colpita nel segno; in
realtà mi comportavo in quel mondo, erigevo un muro
invisibile, perché non volevo soffrire, non volevo stabilire
nessun tipo di contatto o legame con gli altri.
Era più comodo pensare che qualcuno fosse
gentile con me per un tornaconto personale piuttosto che per vera e
propria gentilezza o perché volesse farlo.
Non credevo, comunque, che Geremia si comportasse in quel modo nei miei
confronti perché avesse qualche interesse o
perché, mosso da uno spirito di crocerossino, sentiva il
bisogno di prendersi cura di me; ero convinta che ci fosse sotto
qualcosa, ecco
perché mi tenevo a debita distanza, continuando
a mettere mattoni sempre più grossi su quel muro
invisibile.
- A presto e grazie di tutto … - Era frustrante non sapere
il suo nome.
- Pietro.
- Cosa?
- Mi chiamo Pietro e mi sembra assurdo che tu non lo sappia ancora. -
Scoppiai a ridere, colpa dell'imbarazzo e della febbre alta, sotto il
suo sguardo interrogativo. - Se hai bisogno di qualcosa, chiamami. - Mi
lasciò un bacio sulla guancia, ma
molto vicino alle labbra; indugiò
troppo sulla mia pelle tanto da farmi chiudere gli occhi, mentre
percepivo il contrasto freddo–caldo tra
la sua bocca e la mia guancia.
Sospirai quando si staccò. - A presto.
Mi chiusi la porta alle spalle e sfiorai il bacio con
la punta delle dita. - Pietro. Pietro. Torna indietro.
*******
Emily
ha la febbre, povera piccola.
Ciao a tutte e ben tornate! Come
è andata il 31 notte? Avete festeggiato o siete rimaste a
casa a
lavorare a maglia? Io sono andata a ballare e sto utilizzando questi
giorni di vacanza per riprendermi del tutto ma forse è
meglio
smettere di ciarlare inutilmente e concentrarci sul capitolo.
Emily,
finalmente si è sbarazzata di quelle due stupide spose,
cioè, le ha
messe d'accordo anche se dovrà lavorare il doppio ma almeno
le farà
stare zitte – speriamo.
Sì è però, beccata una brutta
influenza ed è costretta a stare a casa, ora, vorrei
precisare
qualcosa: non sono un medico né mai lo diventerò
perciò non so
quali sono i giusti sintomi della febbre ma avendola avuta spesso e
soffrendo di emicrania e cefalea tensiva so quanto ci si possa
sentire allo stremo delle forze e quanto sia possibile vomitare per
dei capogiri o fitte alla testa. Ovviamente è tutto
amplificato,
datemi un po' di licenza letteraria su. XD
Paint
your life è
un programma su RealTime, non saprei come spiegarvelo perché
l'ho
visto poche volte e ogni volta mi sono addormentata, perciò,
cliccate sul nome per saperne di più.
Cucina
con Ale
invece, è molto carino, sulla cucina e sempre su RealTime
condotto
da Alessandro Borghese ve lo consiglio se vi piace cucinare e se vi
piace lui.
IL NOME. Finalmente si è scoperto questo benedetto
nome di Gerri, in realtà si chiama Pietro, Pietro Vivaldi.
Alcune
di voi avevano indovinato, altre se lo ricordavano perché ne
avevo
parlato mesi fa nel gruppo dimenticando che non potevo.
Comunque
sia ormai il mistero è risolto ;)
Credo di non avere altro da
dire e lascio la parola a voi.
Ringrazio tutte coloro che hanno
recensito la scorsa volta e chi continua ad aggiungere la storia tra
le varie categorie: grazie millissime, mi riempite il cuore di gioia,
amore e pace. <3
Grazie, ovviamente, a Ellina
e al suo tocco rosa.
Vi ricordo, per chi volesse, l'esistenza del
gruppo facebook
e
del mio canale youtube.
Grazie ancora e che la panna sia con voi.
Alla prossima.