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Autore: CarolPenny    05/11/2012    4 recensioni
Raccolta di One-shot scritte grazie all'ascolto de 'Le Quattro Stagioni' di Antonio Vivaldi.
[L'Estate]: "Il problema era un altro. Oh sì. Sherlock Holmes sembrava essere così presente anche quando non c'era."
[L'Autunno]: "Mi precipitai fuori dalla stanza, senza rendermi conto di aver urtato sia il tavolo, sia la ringhiera delle scale e senza neanche avvertire la signora Hudson, per non farle prendere uno spavento, uscii."
[L'Inverno]: "Vedi, John... il piccolo Paul mi ricorda tanto un bambino che conoscevo. Secondo i suoi genitori, non ha molti amici e passa molte giornate chiuso nella sua stanza per dedicarsi a giochi come 'Il piccolo chimico'"
[La Primavera]: "Forse non voleva ammettere di aver fallito, ma se ne stava prendendo tutte le colpe. Ritornarono a guardare le due lapidi.“Si dice che la primavera porti la vita.” riprese John “Ma è solo un modo di dire, no?”"
Genere: Angst, Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina, John si svegliò molto riposato. Riuscì a sentire indistintamente il cinguettio dei passerotti e notò che un raggio di sole aveva formato una striscia arancione sulla coperta. Doveva essere già alto in cielo da molto.
Indugiò ancora per qualche minuto a letto, stringendo il cuscino prima di alzarsi definitivamente per vestirsi. In casa sembrava regnare il silenzio più assoluto, solo un leggero rumore di posate e stoviglie proveniente dal salotto del primo piano.
Quando entrò lì, Sherlock Holmes era vestito di tutto punto e stava facendo colazione.
“Buon giorno!” rivolse a John un saluto raggiante e gli fece cenno di sedersi di fronte a lui.
Sembrava decisamente di buon umore.
“Buon giorno.” Rispose John, incerto, andandosi ad accomodare.
Sherlock addentò l’ultimo pezzo di pancetta dal suo piatto e si asciugò la bocca con il tovagliolo.
John si versò del the e osservò il cielo fuori dalla finestra. Era una giornata splendida, anche se doveva esserci parecchio vento. Gruppi di nuvole si muovevano velocemente, ma non erano molto numerose.
Si girò a guardare l’ora dall’orologio sopra al camino. Erano le otto e quarantacinque. E c’era fin troppa calma in casa.
Ad un certo punto, però,  Sherlock iniziò a canticchiare.
Canticchiare!
 A John non disse nulla di buono.
“Non vorrei metterti fretta...” fece appunto Holmes “… ma tra meno di dieci minuti, spero, dobbiamo uscire.”
John aveva appena addentato il primo boccone del suo uovo fritto. Alzò le sopracciglia e rispose nonostante avesse la bocca piena.
“Perché hai detto spero ?”
“Perché ho chiamato un taxi.”
“Dove andiamo?”
“Con Lestrade.”
Il dottore si asciugò la bocca a sua volta.
“Potresti essere un po’ più specifico?”
“Vedrai presto di cosa si tratta.”
John alzò le mani in segno di difesa.
“No, no, va bene. Riesco già ad immaginarmelo.”
Sherlock sorrise.
“Va bene non dirmi cosa è successo, ma almeno potresti dirmi il luogo dove siamo diretti?”
In quello stesso istante, Holmes girò la testa e si sporse per guardare fuori alla finestra.
“Il taxi è arrivato!” annunciò.
“Ma io devo ancora…”
“Avrai tempo di mangiare dopo.”
Sherlock gli tolse il piatto davanti e poi gli porse il giaccone.
John sospirò gravemente e rumorosamente indossando di malavoglia il suo indumento. L’amico stava facendo lo stesso e aveva ricominciato a canticchiare.
E quella melodia l'aveva già sentita. Era senza dubbio musica classica, se lo sentiva.

Non fu difficile scoprire dove fossero diretti, anche perché Sherlock dovette dare le indicazioni al tassista. Dunque: Notting Hill.
Arrivarono in una stradina non molto trafficata e dopo aver girato un angolo riconobbero subito la casa in cui era avvenuta la disgrazia, poiché una folla si era radunata proprio lì di fronte. Un gruppo di poliziotti però teneva la gente a debita distanza.
I proprietari dell’edificio dovevano essere molto ricchi poiché a prima vista sembravano vivere nel lusso. Una casa a due piani, spaziosa, pulita, ordinata.
Lestrade fece subito entrare Sherlock e John nel luogo del delitto, cioè il salotto che si trovava al piano terra. In quell’istante due donne stavano uscendo dalla stessa stanza. Una di loro stava piangendo a dirotto sulla spalla dell’altra. Sherlock rimase ad osservarla a lungo prima di entrare.
“Quella è…”
Lestrade fu subito interrotto da Holmes.
“La signora Smith, immagino.”
L’ispettore annuì.
“L’altra donna invece è la signora Parkinson, la governante. E’ stata lei a trovare il corpo del signor Smith stamattina.”
Detto ciò, entrarono definitivamente nella stanza. Era un salotto enorme, almeno il doppio di quello di Baker Street ed era estremamente ordinato, tranne che per un piccolo particolare, l’unico elemento fuori posto: il corpo della vittima.  Leopold Smith, aveva trentanove anni e giaceva a terra a non molta distanza dal camino. Le braccia e le gambe erano divaricate e c’era un visibilissimo buco sulla fronte dovuto ad uno sparo.
“Il viso è stato già ripulito dal sangue” intervenne Lestrade “Ma ne è rimasto ancora sul tappeto, se ti servisse.”
Sherlock non lo degnò di uno sguardo e si mosse velocemente verso il corpo.
L’ispettore si era appena accostato verso John spiegandogli la situazione quando Holmes ritornò verso di loro. Sembrava deluso.
“Trovato nulla?” gli chiese Lestrade speranzoso.
“Non più di quanto mi hai detto prima per telefono.”
Watson sbirciò più da vicino il corpo della vittima.
“Potete portarlo via per l’autopsia” riprese Sherlock “Ma è senza dubbio morto a causa di una emorragia celebrale. Prima però, ho bisogno di dare un’occhiata alle impronte presenti in questa stanza.”
“Lo abbiamo già fatto.” rispose Lestrade.
Sherlock parve sorpreso.
“Le uniche impronte presenti combaciano con quelle dei padroni di casa e della governante. Lei è pulita. E’ uscita di casa ieri sera alle venti e trenta ed è stata tutta la notte al S. Bart a fare compagnia ad una zia malata. Prima che voi due arrivaste abbiamo avuto conferma che almeno una dozzina di infermieri l’hanno vista lì. Infatti, la signora Smith è stata l’ultima a vedere il marito vivo. Ci ha detto di averlo salutato ed essere andata a letto intorno a mezza notte e di essere stata svegliata stamattina dalle urla della signora Parkinson.  Secondo te perché chiamarti se non le avessimo già provate tutte?”
“Siete stati rapidi.” Commentò Sherlock “Ciò non toglie che non abbiate raggiunto nessun risultato, come al solito…”
Lestrade guardò altrove trattenendo un verso di rabbia.
“Devo parlare con la signora Smith!” continuò Holmes.
“Ha già parlato con me, e io ti ho comunicato tutto per telefono.”
“Sicuramente hai tralasciato parecchie domande importanti. Devo parlarle io.”
“Non è possibile, Sherlock. L’hai vista anche tu. E’ completamente sconvolta in questo momento!”
“Anche troppo per i miei gusti.”
John rivolse a Sherlock uno sguardo di rimprovero e Lestrade spalancò gli occhi, incredulo.
“Pensi che abbia ucciso il marito?”
“Fammi parlare con lei e lo scoprirò!”
“Ha chiesto espressamente di essere lasciata in pace…”
“E tu hai chiesto il mio aiuto. Sai come lavoro e ti fidi di me, quindi lascia che le parli.”
Lestrade stava per rispondere, ma nello stesso istante, un rumore li fece zittire tutti e tre.
Si girarono immediatamente e videro un vaso in frantumi proprio sotto il finestrone.
Alcuni agenti della polizia si affacciarono nel salotto, ma Lestrade disse loro che era tutto sotto controllo.
Una forte raffica di vento aveva fatto cadere il vaso dalla tavola e ora stava invadendo tutta la stanza muovendo e spostando molte altre cose.
“John, per favore chiudi la finestra, io intanto vado di sopra dalla signora Smith.” Fece Sherlock, uscendo velocemente dalla stanza, con Lestrade alle calcagna.
Watson sbuffò. E dire che quella mattina si era svegliato parecchio riposato e di buon umore. Spostò le tendine, e chiuse le ante. Guardò la gente fuori dalla strada, ancora intenta a curiosare intorno alla casa, a capire cosa fosse successo, poi si dedicò alla sua immagine riflessa e improvvisamente si fermò sorpreso.
“SHERLOCK!” si ritrovò ad urlare e corse fuori dalla stanza.
Sul vetro di una delle ante della grande finestra c’era un buco. E secondo la sua esperienza, una sola cosa poteva averlo provocato.


*
Sherlock Holmes e John Watson erano uno di fianco all’altro. Di fronte a loro, due grandi lapidi di marmo. Sulla prima il nome di un uomo, Leopold Smith, sulla seconda quella di una donna, Adelaide Smith. Il vento era ancora molto forte, come quel giorno in cui il signor Smith era stato trovato morto. Non era passata neanche una settimana.
Sherlock era stato così contento di quel buco sul vetro da essere riuscito a scoprire in meno di un minuto la traiettoria della pallottola e di conseguenza il luogo preciso da cui era partito lo sparo: la casa di fronte alla residenza Smith. Lì, però, vi abitava un’anziana donna cieca che certamente non poteva essere il cecchino.
“Una noiosissima questione sentimentale eh?” John ruppe il silenzio.
Sherlock non rispose.
Era stata la prima cosa a cui aveva pensato e ne era stato convinto fino alla fine.
Leopold Smith era stato un uomo molto amato in famiglia e dai suoi amici, non aveva mai avuto un solo nemico al mondo ed era sempre stato corretto con tutte le persone che aveva conosciuto. Un volta avuta conferma di ciò l’unica questione in sospeso da analizzare era stata il rapporto con la moglie. Non passavano più molto tempo insieme, soprattutto da quando lui aveva avuto una promozione e capitava spessissimo che lei rimanesse fuori casa fino a tardi.
Senza dubbio, aveva trovato un’amante.
“La signora Smith aveva un’amante che conoscendo il non indifferente numero di denaro che lei avrebbe ereditato se il marito fosse morto…”
“Una questione di denaro era la mia seconda ipotesi.” rispose finalmente Holmes, con tono tranquillo. “E come avrai notato, avevo ragione. La signora Smith era coinvolta nell’assassinio di suo marito, anche se inconsapevolmente.”
John scosse la testa. Sapeva che l’amico non avrebbe mai ammesso di aver sbagliato i suoi calcoli.
“L’assassino non era il suo amante, ma semplicemente un uomo che le aveva prestato dei soldi. Soldi che servivano a pagare dei debiti che lei non era riuscita a confessare al marito. Debiti che non era riuscita comunque a sanare, soldi che non era riuscita a restituire in tempo e cosa se non l’uccisione dell’innocente maritino avrebbe potuto scuotere la donna? Era un avvertimento, lei sapeva quanto fosse pericoloso quell’uomo! Se solo me l’avesse detto quella mattina… forse avrei potuto salvarla…”
Avremmo.” aggiunse John.
Sherlock scosse la testa. Il suo sguardo era grave. Sembrava arrabbiato più che mai, e anche molto rammaricato.
Forse non voleva ammettere di aver fallito, ma se ne stava prendendo tutte le colpe.
Ritornarono a guardare le due lapidi.
“Si dice che la primavera porti la vita.” riprese John “Ma è solo un modo di dire, no?”
Holmes non rispose nuovamente e si girò lentamente, per poi allontanarsi.
John lo prese come un sì e sospirò gravemente. Quando si girò a sua volta verso la strada vide il compagno salire su un taxi e partire subito dopo, senza di lui.
Quante altre volte se ne sarebbe andato così su due piedi solo per non dover affrontare un discorso a lui scomodo? Quante altre volte lo avrebbe guardato in faccia e gli avrebbe mentito solo per non mostrare quella parte di sé stesso che preferiva tenere nascosta?
“Che Dio ti aiuti, Sherlock Holmes. E che aiuti anche me.”



CONCLUSIONI:
Eccoci arrivati alla fine di questa piccola raccolta di one-shot. Mi sembra doveroso ringraziare tutti voi che mi avete seguita, che avete letto e che avete commentato questi piccoli attacchi di ispirazione, quest'idea nata un po' per caso. GRAZIE. Facendo un'analisi dei miei stessi scritti mi sono resa conto di aver trattato degli argomenti un po' delicati come il post- Reichembach, la malattia, la famiglia e il fallimento. Tutte cose che in qualche modo mostrano la parte un po' più umana di Sherlock Holmes, che è quella che lui tanto vuole (e ci riesce) a nascondere, ma che naturalmente qualcuno come John riesce a cogliere più di chiunque altro. Troppo sentilmentale? Spero di no ;)
Ho intenzione di tornare anche in futuro con altre fan fiction, ma per ora non posso promettervi niente. Vi ringrazio di nuovo ed infinitamente. Ciao.
Karol.


   
 
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