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Autore: lady vampira    05/11/2012    3 recensioni
Cosa succede se una ragazza approdata a Berlino da un paesino di montagna si ritrova coinvolta nell'equivoco più emozionante della sua vita con l'uomo dei suoi sogni? Scegliere tra sincerità e amore non è semplice, e se di mezzo ci si mette anche un coinquilino moooolto particolare con i suoi saggi consigli ... fate voi!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5

Tutti i buon propositi di Vera finirono nuovamente per essere rimandati, quando giunse la fine di quella settimana … e con essa, una cosa che le era completamente sfuggita di mente, nel più vasto orizzonte degli eventi che ormai era impossibile tenere sotto controllo. 
2 settembre. Il giorno prima era stato il compleanno di Bill e del suo gemello Tom. Avrebbe voluto chiamarlo, anche in virtù dei brevi sms che si scambiavano - nonostante i ritmi serrati lui riusciva sempre a trovare due minuti per chiederle come stava prima di cadere in catalessi con le dita sulla tastiera del cellulare, immaginava Vera, almeno a giudicare dai testi smangiucchiati delle sillabe finali che le arrivavano e le facevano scuotere la testa nel leggerli-  ma un po’ per il timore di impelagarsi in qualche altro pastrocchio, un po’ perché qualcosa di malizioso l’aveva indotta a non farlo e fargli trovare, invece, una sorpresa. 
Quel mattino, di buon ora, aveva chiamato Carol e si era spacciata malata; poi, imbacuccata a dovere, aveva preso la metro, e aveva raggiunto l’Araba Fenice, il sancta sanctorum, o meglio, come l’aveva ribattezzata  lei, “l’Area 51”, la roccaforte dei gemelli a Berlino. 
Quando la vide, il signor Roth tutto intento a potare una siepe di rose s’illuminò. << Oh,Vera … che piacere rivederti! >>.
<< Ciao, Theo. Tutto okay? >>, chiese Vera. 
<< Sì, grazie al cielo non potrebbe andare meglio >>.
<< Ne sono contenta. Senti, Theodore … a che ora arrivano oggi i ragazzi? >>, domandò poi trafelata. 
<< Credo che per le quattordici e trenta dovrebbero atterrare a Berlino … ma si sa come vanno le cose in aeroporto … >>.
<< Già. Theo, tu ti fidi di me, vero? >>.
<< Naturalmente. Tu hai avuto fiducia in me. Bill ha avuto fiducia in te. Non posso fare diversamente che averne anch’io >>.
<< Grazie. Vorrei che mi facessi un grande, grande, grandissimo favore … ammesso che tu sia d’accordo, ovvio >>.
<< Certo. Dimmi pure >>.
Vera si chinò sull’orecchio dell‘uomo, come ormai da consuetudine. Un quarto d’ora dopo, lui annuì, agitando nell’aria fresca e serena la testa canuta. <>.
Vera sorrise, sforzandosi di non arrossire come una sciocca. << Me lo auguro >>.
 
Alle quattordici e trentacinque l’aereo proveniente da Mosca atterrò al Tegel. Passati tutti i controlli, Georg e Gustav si congedarono dai gemelli, così come David che era andato con loro; rimasti soli, i Kaulitz si guardarono in faccia. 
<< Andiamo a farci una birra? >>, propose Tom.
<< Veramente sto dormendo in piedi … >>, disse Bill, prendendo il cellulare dalla tasca … appena lo accese, si mise a squillare e la melodia di “ One more night ” dei Maroon Five risuonò nell’aria. 
<< Salve, straniero … com’era Mosca? >>, chiese una voce femminile. Bill s’aprì in uno splendido sorriso, nonostante la stanchezza. 
<< Ciao … come stai? >>.
<< Non mi lamento. E tu? >>.
<< Bene, ora che sono a casa >>.
<< Ah, è a casa che hai intenzione di andare … uhm, peccato >>.
<< Perché, avevi altri progetti? >>. 
<< Veramente ti aspettavo … >>.
<< Dove? >>, domandò immediatamente lui. << Dove sei? >>.
<< All’Arthemis”. Va’ alla reception e chiedi di Sarah … >>.
<< Sarah? >>, chiese incuriosito. 
<< La bambina di “Labirynth” … non dirmi che te ne sei scordato! Dopo che mi hai praticamente obbligato a guardarlo io non potrò farlo mai più! >>.
<< Ah, già. Oddio, scusa, ma … >>. Sono stanco morto, stava per dire. Ma qualcuno … o meglio dire, qualcosa non era d’accordo. E stava già esprimendo il suo disappunto … pulsando contro la zip. 
<< Ma? >>. 
<< Niente. Dammi cinque minuti >>. Chiuse la conversazione e si voltò verso Tom, che lo squadrava sornione. 
<< Ehm … fammi indovinare. Un nome a caso. Vera? >>.
<< Ah ah. Fratellino … >>.
<< Va’, va’ pure. Vorrà dire che trascinerò il nostro caro Saki in un tour de force di tutti i bar più malfamati di Kreutzberg … >>, fece Tom strizzando un occhio al loro bodyguard un tantino sconcertato appena tornato col resto dei bagagli. 
I tre raggiunsero la stazione dei taxi, e Bill ne chiamò uno per l’Arthemis. Gli ci volle più o meno un quarto d’ora per raggiungerlo nonostante il traffico congestionato.
Infilò i Ray- Ban e saldato il conto del taxi, si precipitò nella hall e da lì alla reception dove uno smilzo, impeccabile impiegato lo accolse con un sorriso cortese. 
<< Buonasera. Benvenuto all’hotel Arthemis. Come posso aiutarla? >>.
<< Ehm, io … sto cercando Sarah >>, sussurrò Bill in tono complice, come se stessero parlando di un pericoloso criminale ricercato. L’uomo sorrise ancora più visibilmente e tirò fuori da sotto il banco una scatola delle dimensioni di un cartone del latte meticolosamente incartato. Sopra c’erano scritte le sue iniziali, in una calligrafia chiara e morbida che Bill riconobbe appartenere ad Vera. 
<< Grazie … in che camera mi aspetta la signorina? >>.
<< Quale camera? C’è solo questo per lei. Mi è stato consegnato e mi è stato spiegato che quando fosse venuto qualcuno a chiedere di Sarah, dovevo darglielo. Ma nessuno ha preso camere, signore >>.
Bill battè le palpebre appena velate di grigio antracite iridescente. << Ah, d’accordo. Grazie mille >>.
Uscì, e sedutosi ad una panchina sul viale, avvolto dall’ombra verde e dorata dei tigli frondosi, aprì il curioso pacchetto. 
Dentro ci trovò un’autoreggente con la balza in pizzo nero e un bigliettino che lo mandava alla stazione della metropolitana di Askänischenplatz, e un numero che probabilmente era quello di una cassetta di sicurezza. 
Il problema che da lì alla stazione c’era almeno un buon tre quarti d’ora di tragitto, traffico permettendo. 
Sospirò. Borsone in spalla, chiamò un taxi di passaggio con un fischio e si rassegnò a raggiungere la cassetta di sicurezza, ansioso di sapere cosa ci avrebbe trovato dentro. 
 
Due ore e mezzo dopo, stremato, aprì la porta di casa sua e tirò il fiato, esausto. Aveva percorso in lungo e in largo Berlino, trovando in ogni luogo indicato un pacchettino identico al primo e un indumento o oggetto differente: l’altra autoreggente, una guépiére nera di seta, un foulard, un paio di culottes nere di pizzo, e l’ultimo biglietto con il proprio indirizzo. 
Se era uno scherzo, non avrebbe potuto organizzargliene uno peggiore, pensò. 
<< Bentornato … >>, mormorò una voce, e il corpo a cui essa apparteneva si materializzò sulla soglia del living - room; un corpo velato appena da una corta tunica di raso color perla, calzato di sandali bassissimi allacciati al polpaccio e impreziosito, oltre che dai brillanti che la crocchia spettinata sulla nuca lasciavano scoperti, due bracciali sugli avambracci. 
Il borsone cadde per terra con un tonfo, e la mascella delicatamente ombreggiata da un filo di barba del ragazzo non la seguì di schianto per un soffio. 
Vera gli tese le mani afferrando quelle di lui, che si sollevarono di scatto come quelle di un assetato nel deserto davanti ad una fonte. << Vieni. Devi essere stanco … >>.
<< Se non lo ero, il tuo tour de force mi ha costretto a diventarlo … >>.
Vera rise piano. << Lo so, mi spiace … ma dovevo essere sicura che lo fossi a sufficienza >>.
<< Così non avrò la forza di sfiorarti? Se non ti andava bastava che chiamassi un altro giorno, non c‘era bisogno di ridurmi a zerbino da sottoscala! >>.
<< Spiritoso. Comunque no … era perché così avresti apprezzato meglio la mia accoglienza … >>.
<< Ah ah. Cioè? >>.
<< Guarda tu stesso >>. Lei aprì la porta del bagno e un’ondata di vapore impregnato di alcuni dei profumi più allettanti esistenti in natura investì Bill, obbligandolo a riempirsi i polmoni con una profonda boccata. 
Vera lo attirò dentro, gli tolse con delicatezza gli occhiali, la pesante sciarpa e il giubbotto di lucida pelle; s’inginocchiò davanti a lui e lo liberò degli anfibi, slacciandoglieli con dita esperte, e dei calzini grigio scuro. 
<< Vera … >>.
<< Shhh … >>. Le sue mani risalirono per i polpacci, le cosce snelle e aprirono il bottone a pressione degli aderentissimi jeans. Glieli abbassò, assieme ai boxer; poi tornò in piedi e gli sfilò anche felpa e maglietta, entrambe grigio antracite. 
Passò i palmi sul suo dorso nudo, quel torace così levigato … quanto le era mancato. L’aveva soltanto sfiorato e già era sull’orlo dell’abisso, completamente bagnata, infuocata, dilatata, invasa da un fiume di umori in piena. 
E meno male che la “escort” era lei. 
Fu con uno sforzo disumano che lo aiutò a immergersi nella vasca colma di schiuma e petali di diversi fiori tra cui rose bianche, pesco e rosso vermiglio e petali di orchidee nivee e violacee, e sedutasi sul bordo di fredda porcellana bianca, gli posò le ginocchia sulle spalle e iniziò a sfregargli con lenta dolcezza il collo con la spugna imbevuta di olio da bagno alle mandorle e fior di loto. 
<< Oh, santo cielo … >>, sospirò lui, abbandonandole la testa in grembo. 
<< Rilassati … >>.
<< Mi piacerebbe, ma si dà il caso che tutto il mio desiderio di calma e tranquillità sia svanito d’incanto, appena mi hai posato le mani addosso >>.
<< Ma tu non eri stanco morto? >>.    
<< Be’, stanco sì, ma morto ancora no … e anche se lo fossi stato, mi avresti resuscitato >>.
<< Esagerato >>, fece lei, saccente. 
<< Tu dici? >>. Le afferrò un polso e la tirò dentro la vasca con sé; presa a tradimento, Vera non era riuscita a mantenere l’equilibrio ed era finita … a mollo. 
<< Bill! >>, sbottò lei riemergendo con uno sbuffo. << Dai! >>. 
Lui scoppiò a ridere, la attirò al suo petto e la bacio piano. Poi si sdraiò, sempre con lei addosso, in modo da farle sentire che aveva detto la pura verità. 
Vera non desiderava altro che cogliere il più bel fiore tra quelli che danzavano sulla superficie bianco soffice dell’acqua caldissima. Ma era ancora troppo presto. Aveva ancora così tanto da dargli … 
Prima di prendere. 
Tuttavia lui non sembrava essere dello stesso parere; appena Vera gli passò la spugna sul torace, scendendo verso il dorso, le cinse i fianchi avvolgendoli con le sue splendide dita affusolate e la guidò con imperiosa dolcezza nella scalata al suo corpo, accarezzandole il volto e i capelli oramai sciolti e gocciolanti dopo averla colmata di sé. 
<< Sei cattivo, però >>, mormorò lei con voce spezzata, mentre lui cominciava a muoversi sotto di lei, dentro di lei. << Non mi hai permesso di finire di lavarti … >>.
Bill la guardò e le fece scorrere le dita bagnate sui seni.  << Sei tu che sei troppo bella. Resistere troppo a lungo è impossibile >>. La strinse a sé, continuando a scatenare piccoli tsunami roventi nell’acqua, nel ventre  di Vera ad ogni spinta. Raccolse una manciata di petali e glieli posò su una spalla e poi sull‘altra, seguendoli con lo sguardo nella loro discesa sui seni di lei chiaramente visibili sotto il raso fradicio, i capezzoli irti che tendevano la stoffa. 
Si amarono con le labbra che si cercavano e si lasciavano senza sosta, il respiro che ora riempiva la gola dell’altro ora lambiva il suo volto, le lingue come piume che miravano a solleticare i punti dove la pelle era più sensibile e i vasi sanguigni pulsavano al di sotto come belve ruggenti, affannate, affamate. Bill attese di sentirla venire, e la scostò da sé a malincuore. 
Era la prima volta che la penetrava così, a nudo, senza aver prima indossato il profilattico. E aveva il fottuto timore che d’ora in poi non avrebbe più potuto fare diversamente, adesso che aveva assaporato la setosità umida e avvolgente della carne di lei attorno al suo membro. 
Sospirò, tra un ansito e l’altro. << Scusami. Non avrei dovuto >>, ammise poi, ancora eccitato, duro e non pago contro la pelle della coscia di lei. 
Vera non rispose; prese fiato, s’immerse e lo portò all’orgasmo rapidamente, servendosi di tutti gli strumenti a sua disposizione: la bocca, la lingua, le mani e perfino … i denti, mordicchiandolo con estrema delicatezza. Lui non poté far altro che cedere dopo una flebile resistenza e dissetarla col suo nettare appena stillato. 
<< Dicevi? >>, ansimò lei, riemergendo. Lui sollevò appena la testa che aveva reclinato nell’annebbiarsi repentino della lucidità. 
<< Che … ho contravvenuto alle regola delle precauzioni. Mai dentro senza. Mi spiace >>.
<< Le regole sono fatte per essere infrante, qualche volta >>, fece Vera, ammiccando maliziosa. << Anch’io ho contravvenuto, adesso >>. 
Bill arrossì suo malgrado. << Be’, se la metti così … allora non mi spiace affatto. Sei bellissima e morbida anche dentro, quanto fuori >>.
Ora toccò a Vera avvampare. << Ehm … grazie >>. Si tirò su, rovesciando una quantità di rivoletti scroscianti. Uscì dalla vasca, si asciugò sommariamente e porse la mano a Bill, aiutandolo a uscire anch’egli. Lo avvolse nell’accappatoio, tamponando con cautela ogni angolo della sua pelle vellutata; e lo condusse in camera sua, dove una serie di candele rischiaravano il buio totale ottenuto con le imposte chiuse e le tende serrate. Aromi esotici si diffondevano nell’aria mescolandosi a quelli più conosciuti delle corolle di rose, orchidee, gladioli, gigli e iris sparsi sul letto; sembravano spuntati spontaneamente dalle lenzuola di seta di un delicato verde perla, che riflettevano la luce come uno stagno. 
Bill non trovò la forza di dire alcunché; solo contemplò con occhi lucidi quel rifugio sconosciuto, nuovo eppure familiare. Era la sua camera, eppure non lo era. Come se fosse passato da lì un incantesimo e l’avesse resa … magica, un luogo impenetrabile protetto dal resto del mondo, un piccolo angolo di Eden moderno, solo per loro. 
<< Vieni, dai >>, lo spronò Vera beandosi della sua espressione incredula. Lo liberò dall’accappatoio e lo fece sdraiare sul letto, tra i fiori freschi e odorosi che ancora stillavano rugiada. Gli salì cavalcioni sul fondoschiena e lasciata cadere qualche goccia di olio di mandorle sul palmo, la scaldò strofinandola tra le mani e poi prese a massaggiarlo piano insistendo sui punti nevralgici come le scapole e l’osso sacro. 
<< Ho il terrore di addormentarmi >>, mormorò lui, e Vera rise.
<< E perché mai? E’ appunto questo l’obbiettivo, farti rilassare! >>. 
<< Sì, ma se mi addormento prima o poi mi sveglierò e … se scoprissi ch’è soltanto un sogno? >>.
Vera si spostò un attimo per sedersi sul letto, gli divaricò le ginocchia e gli massaggiò le lunghe gambe levigate, sopra e sotto; le natiche sode e perfette, affondando le dita in quella candida rotondità, sfiorando con dolcezza maliziosa l’accesso al corpo di lui, che immediatamente rispose con un’erezione che teste il lenzuolo sotto di essa. 
<< Non credo che sarà così facile farti rilassare, se continui così! >>, lo rimbrottò lei sorridendo sotto i baffi. Bill alzò le spalle lucide d’olio. 
<< Colpa tua. Se davvero volevi farmi rilassare dovevi farmi trovare un biglietto con l’indirizzo di una cella frigorifera e poi chiudermi dentro! Se mi tocchi è impossibile che io mi rilassi! >>.
<< Ecco, cornuta e mazziata, è sempre colpa mia >>.
Lui si puntellò sui gomiti e si voltò. << Be’, forse mazziata, ma di certo cornuta mai. Non sono più stato in grado di poter anche soltanto guardare un’altra donna, da quando ci sei tu >>.
Vera ingoiò amaro, abbassò lo sguardo e fece finta di versarsi altro olio sulle mani, sfregandolo con più energia del dovuto. 
<< Ho sbagliato ancora, vero? >>.
<< N … No. No, Bill, è solo che … >>.
<< Che? >>.
<< Niente. E’ solo che quello che hai detto è stato molto … >>.
<< Inappropriato? >>.
<< Anche >>, sorrise lei. << Ma soprattutto molto bello. E’ strano poter pensare che tu … tenga tanto a me >>.
<< Certo che ci tengo >>, disse lui semplicemente, come se si trattasse di una verità fondamentale, innegabile, manifesta. 
Lei non disse più nulla, riprese a massaggiarlo, e Bill provò a farla terminare almeno stavolta ma quando giunse a lavorare l’interno della coscia nell’attaccatura con l’inguine, non riuscì più a trattenersi e la attirò di nuovo a sé.
Quando tutto fu finito, la tenne tra le braccia, e iniziò a giocare con i petali, passandoglieli piano sulle braccia e dietro la schiena, divertendosi a farla rabbrividire. 
<< A cosa pensi? >>, gli domandò lei, vedendo che non diceva nulla. 
<< Ah, soltanto a quanto mi costerà tutto questo … >>, scherzò lui. 
<< Niente >>.
<< Come sarebbe a dire? >>.
Vera respirò a fondo. << Niente. Questo è il mio regalo di compleanno … per te >>.
<< Ma il mio compleanno era ieri … >.
<< Lo so. Ma tu non eri qui >>, notò lei con semplicità. 
Silenzio. 
<< Lo fai … per tutti? >>.
<< Mhmm mhmm. Nein. Questa è un’altra … eccezione >>.
<< Vera … non dovevi >>, sussurrò lui piano, la bellissima voce argentea strozzata dall’emozione. 
<< No, infatti. Volevo. E comunque non è merito mio … ringrazia Saki, tuo fratello e il povero Theo che ha portato pacchi in giro per tutta la città! >>.
<< Eravate tutti d’accordo?! >>, saltò su lui. Vera rise.
<< E certo! >>.
Lui storse le labbra. << Spero solo che non ti abbiano chiesto nulla in cambio della loro collaborazione, soprattutto Tom! >>.
<< Ah, è naturale che me l’hanno chiesto. Mi hanno chiesto che … tu fossi felice >>.
<< Lo sono. Più di quanto possano immaginare >>. 
<< Ah ah, bene. Allora posso dire che il tuo regalo l’ho scelto bene >>. 
Lui si voltò a guardarla. << Sai, anch’io ho una cosa per te >>. Saltò giù dal letto, corse fuori e tornò col borsone. Lo gettò sul letto e ci salì anche lui. << Quando l’ho visto non ho potuto fare a meno di pensare a te >>. Lo aprì e ne trasse fuori un orsetto di peluche di medie dimensioni, con un ciuffo di pelliccia ritto tra le orecchie pelose, e un gilet di pelle con le borchie. 
<< No, dai! >>. Vera scoppiò a ridere. << E’ bellissimo!! >>.
<< Si chiama Boo >>, spiegò lui, porgendoglielo. << E già un po’ ti conosce … gli ho parlato di te … di quanto tu sia bella, dolce, sensuale … >>.
<< Ma guarda! >>.
<< … ed è già un po’ innamorato di te … >>.
<< Allora vorrà dire che dormirà sempre con me! >>.
Bill le scoccò un’occhiataccia. << Sono già geloso >>.
<< Dai, ci sarà un po’ di posto anche per te … forse! >>. Lui le tirò un cuscino, e Vera ricominciò a ridere. << Ma naturalmente … sempre assieme a lui! >>.
<< Ah, una cosa in tre quindi … questo ancora non l’ho mai provato >>.
<< No, ma davvero? >>. 
<< Ah ah >>.
<< Dobbiamo rimediare allora … >>. 
<< Non penso mi piacerebbe dividerti con un altro nello stesso letto … >>, osservò lui. 
<< Ma non deve per forza essere un ragazzo … >>, ammiccò Vera, con un sorrisetto malizioso. 
Bill alzò lo sguardo. << Non farebbe alcuna differenza … io … almeno, quando sei con me, mi tieni dentro di te, io … non voglio dividerti con nessuno. Voglio che il mio piacere sia il tuo, e il tuo il mio, anche se solo per qualche minuto . Chiedo forse troppo? >>.
Vera, colpita, ebbe appena la forza di sussurrare: << Oh, no, Bill, certo che no … stavo scherzando. Mi spiace >>. 
Lui non disse nulla per qualche istante. Aprì il cassetto del comodino e recuperato un pacchetto di sigarette, ne accese una. 
<< Comunque, anche Boo ha qualcosa per te. Guarda nella tasca sinistra >>.
Vera fece come lui le aveva detto e … 
<< Mio Dio, Bill, non dovevi … >>.
Lui sorrise piano. << E mica sono stato io, è da parte di Boo … >>.
Vera lo guardò con aria di dolce rimprovero, stringendo tra le dita le punte nere di quello strano, incantevole monile. Un ciondolo a forma di stella nera ch’emanava bagliori iridescenti simili a schegge d’arcobaleno, sospeso ad una sottilissima catenina d’oro bianco. 
<< Non dovevi. Mi stai viziando troppo >>.
<< Allora siamo pari >>, concluse spegnendo quel che rimaneva della sigaretta nel posacenere. Si tirò su e avvicinandosi a lei, le porse la mano tatuata, che Vera colmò col gioiello. 
<< Anche quando ho visto questo, ho subito pensato a te … >>, le sussurrò, passandole dietro mentre glielo allacciava al collo. Vera si sentì mancare sotto quel tocco così carezzevole e caldo. Avevano già fatto l’amore -perché era amore quello, almeno da parte sua, e più lo conosceva e più imparava ad amarlo quel ragazzo così bello e sensuale, tanto sicuro di sé e impetuoso sul palco quanto timido e tenero fuori.- due volte, eppure lei lo voleva ancora. Disperatamente. Lo voleva dentro di sé, voleva sentirlo … subito. 
Dio mio che fatica, pensò. L’auto-controllo non era mai stata la sua specialità. E da quando conosceva lui era andato a put … ehm, a farsi benedire anche quel poco che aveva. 
Bill richiuse il fermaglio, posandovi sopra un bacio delicatissimo, prima di accarezzare quella nuova stella. << Perché è qui che vorrei fosse sempre quella che ho tatuata addosso. Tra la tua bocca e il tuo cuore … >>.
Quelle parole la finirono di stordire. Si mise giù, carponi, e si voltò poi a guardare lui scoprendo che la fissava rapito, sconvolto. 
Avevano ormai praticamente fatto di tutto.
Eppure gli si leggeva negli occhi che lei non smetteva mai di stupirlo. 
<< Prendimi così, Bill … adesso. Stanotte sono la tua schiava, puoi farmi tutto quello che vuoi, quante volte vuoi … >>.
Gli occhi bruni di lui brillarono come i bagliori incastonati nella stella. << Davvero?! >>, chiese, come un bambino a cui avevano appena detto che poteva scartare il regalo di Natale in anticipo. 
<< Sì >>.
<< Tutto? Qualsiasi cosa? Tutto quello che voglio? >>.
<< Ah ah >>, rimarcò Vera sensuale, eccitata e … pronta a qualsiasi cosa. 
Di certo però non lo era a quello che la aspettava perché Bill le passò le mani sulla schiena, seguì le rotondità del fondo di essa e dopo averle allargato le cosce, si sdraiò sotto di lei e iniziò a leccarla con studiata lentezza, assaporandola e stuzzicando ogni punto focale e sensibile di quel luogo di delizia: il contorno pieno e sodo delle labbra, il velluto umido del loro interno … il vuoto affamato e irresistibile che si apriva tra di esse e la piccola perla carnosa e rovente poco sopra. Nemmeno la sfiorò con la pallina d’argento sulla sua lingua che Vera tremò artigliando le corolle e le lenzuola impregnate di profumo, olio e rugiada. 
<< Bill … >>, ansimò, già completamente perduta nel piacere. Se dopo soltanto una settimana le sembrava di averlo avuto lontano per anni … come avrebbe fatto, se per disgrazia l’avesse perso davvero? 
Non poteva nemmeno pensarci. 
<< Ah no … se stai per chiedermi di fermarmi, scordatelo. Hai detto qualsiasi cosa … questo è quello che voglio. Gustarti fino a saziarmi di te … >>. Tornò a baciarla con una tale dolce intensità che lei non resistette a lungo prima di dissolversi in quel caldo oblio assoluto di tutto ciò che non era lui e il suo tocco di seta … appena venne la penetrò con la lingua, e la baciò a lungo finché Vera non divenne troppo sensibile per sopportare altre attenzioni. 
<< Vera … >>.
<< Che c’è? >>, chiese lei voltandosi e stendendosi, il petto che s’alzava e s’abbassava furiosamente. 
<< Va tutto bene? >>.
<< Sì … credo di sì >>.
Lui risalì, le infilò una mano tra i capelli ancora bagnati e planò a baciarla, sulla bocca stavolta. 
<< Non pensare che sia finita >>, l’avvertì scherzosamente, sfiorandole con un lieve bacio la punta del naso. << Ormai non penso serva dirtelo chiaramente ma … adoro sentirti venire. Sei bellissima … e adoro il sapore che hai quando vieni. Denso, pastoso, inebriante … >>.
<< Bill! >>, lo redarguì lei, ancora senza fiato. Le aveva appena dato un orgasmo travolgente e già ricominciava ad eccitarla. << Ho come l’impressione che questo viaggio in Russia si sia rivelato un fiasco e adesso tu voglia fregarmi il mestiere! >>.
Lui sorrise, mormorò un educato: << Grazie >> e poi scoppiò a ridere. 
Lei si passò una mano sulla fronte, madida di sudore tiepido e profumato per via dei fiori sul letto. << Dico sul serio. Saresti un accompagnatore fantastico. Le donne farebbero a pugni per accaparrarsi il diritto di trascorrere una notte con te >>.
<< Be’, che dire? Il viaggio è andato benissimo, ma semmai un giorno mi stancassi di cantare potrei sempre ripiegare su una carriera da gigolò … ma sai, non credo sarei così bravo come dici >>.
<< E perché mai? >>, chiese Vera voltandosi su un fianco per guardarlo meglio, in tutto il suo splendore nudo e puro. 
<< Perché le cose che dico, che penso, che faccio deve ispirarmele la persona che ho davanti … con te è così semplice che vengono spontaneamente >>. 
Lei arrossì, ma trovò ancora la forza di lanciargli una battuta. << Come me tra un po’ se continui a comportarti così, insomma >>.
Bill rise, prima di abbracciarla. << Mhmm … non penso mi piacerebbe. Preferisco darti piacere in modo concreto … mi fa sentire un po’ più parte di te >>.
Lei scosse la testa. << Sai, questo dovrebbero sentirlo tutti quei poveretti che sperano ancora che tu sia gay … >>.
Lui sbottò immediatamente in una smorfia di protesta, sopracciglia inarcate e sguardo incredulo accompagnato dalle mani alzate in avanti. <<  Mi dispiace per loro ma io … penso ormai che tu l’abbia capito, no? Io … cerco le donne >>, disse strizzandole un occhio. << In particolare ne cerco una che sappia farmi battere il cuore e prendermi l’anima >>, disse, fissandola in un modo tale ch’era impossibile non capire. 
Vera sentì l’aria farsi amara nella sua gola, nonostante il sapore dolce che indugiava nella sua bocca. << Spero tanto che tu possa trovarla >>, disse, sforzandosi di sorridere mentre sentiva venire meno la voce. Lui le posò un bacio sulla fronte lieve come quello di una farfalla, la sciolse dall’abbraccio e s’alzò, avvicinandosi con la sua pelle di pietra di luna intarsiata di onice nera alla porta finestra, mostrando in quell’alone dorato la sua fiera bellezza, senza falsi pudori; e guardò oltre il vetro perfettamente trasparente. Era buio fatto, ormai. 
<< Non è tanto importante che io trovi lei, Vera >>, disse, serio. Poi si voltò, offrendole ancora tutta l’immensa distesa di luce bruna dei suoi grandi occhi innocenti. Erano uno squarcio allo stomaco, quegli occhi. Due strali di fuoco ambrato che non conoscevano la finzione e arrivavano dritti al cuore di chi si azzardava a guardarli senza proteggersi, bruciandolo come i raggi solari fanno con le retine durante le eclissi. << L’essenziale è che lei trovi me >>. 
Rimasero in silenzio, vicini e contemporaneamente lontani anni luce, ognuno perso nei propri pensieri. 
Poi le tornò accanto. << Resti a cena, stasera, vero? >>, le chiese. Vera alzò le spalle. 
<< Se è proprio indispensabile … >>, disse con aria rassegnata. Bill scoppiò  a ridere e lei con lui. Il momento di dolce malinconia era passato. Per fortuna, si disse Vera, già sul punto di confessare. Grazie al cielo
<< Sì, è assolutamente indispensabile >>, disse lui stando al gioco. << Abito da sera e guanti lunghi >>.
<< Scusa, ma quelli lunghi non sono da cocktail? >>.
<< Boh, e che ne so? >>.
Vera assunse un’aria comicamente saccente. << Vergognati, un esperto di moda come te che non sa queste cose … >>.
<< Hai ragione, ma vedi, il fatto è che ultimamente, chissà come mai, preferisco stare così, “nature”, piuttosto che indossare vestiti … sia pure firmati >>, replicò lui in tono birbone. 
Vera si guardò un attimo la punta delle dita. << Senti, a proposito … se ti dico una cosa, ti offendi? >>.
<< No, certo che no, spara. Comunque se stai per dire ch’è meglio che mi copra non serve, lo so già! >>.
<< No! E’ solo che … ecco, sì, indubbiamente quelle che indossi ora sono creazioni d’alta moda delle più ricercate firme internazionali, bla bla bla … ma io … io preferivo i tuoi jeans stracciati, giubbotto di pelle e maglie dalle maniche a rete. C’era tutto il tuo cuore, nel tuo look, avevi pensato, scelto e realizzato quegli abbinamenti con amore e si sentivano, oltre a vedersi >>. Vera rialzò la testa che aveva chinato nell’imbarazzo della confessione e incontrò lo sguardo di lui che la fissava con stupore.
<< Ti ho offeso, mi spiace >>.
<< Oh, no, Vera … no no no. Anzi. Grazie. E’ stato un complimento bellissimo, un riconoscimento a quello che per anni per me è stato quasi un secondo lavoro oltre che una passione … anzi, come hai detto, una bellissima storia d’amore. Grazie >>.
Sembrava realmente commosso, e lei abbassò di nuovo lo sguardo, imporporando fino alla punta dei capelli. << Be’ … di niente >>. 
<< Vuol dire che quello che ho sempre fatto da solo è arrivato al cuore delle persone quanto quello che realizzano esperti che lo fanno da anni e sono celebrati in tutto il mondo. Significa tantissimo per me >>.
<< Sono felice di averti detto quello che pensavo, allora >>.
<< Scherzi?! Voglio che tu lo faccia sempre. Dire quello che pensi. E io ricambierò la tua franchezza dicendo quello che penso a mia volta … e penso che sia bene ordinare adesso altrimenti se mi sdraio di nuovo vicino a te stasera moriremo entrambi di fame >>.
<< Perché ordinare? >>, domandò Vera con semplicità. 
<< Vuoi uscire? >>, chiese a sua volta Bill. << Credevo preferissi restare qui >>.
<< Infatti è così >>.
<< E allora? >>.
<< Posso cucinare io >>.
<< Tu? >>.
<< Ah ah. Tesoro, so che forse non ti fiderai delle mie doti culinarie, ma vedi, io sono una che non può permettersi di cenare tutti i santi giorni al ristorante, e così ho imparato ad arrangiarmi >>, fece lei strizzandogli un occhio. 
<< Touché. Comunque, scusa la mia perplessità ma … sai … >>.
<< Ti pare strano che una che faccia il mio mestiere sappia cucinare? >>, ammiccò lei. 
<< Nient’affatto. E’ solo che … finora solo le persone a me care hanno cucinato per me con le loro mani e allora … >>.
<< Non vuoi che lo faccia anch’io. Ti capisco >>.
<< No, al contrario. Non mi aspettavo che me lo proponessi … ci terrei tanto, Vera, davvero. Grazie >>.
<< Prego. Non c’è di che >>.
 
Poco più tardi, Vera in cucina armeggiava tra pentole e padelle, cercando di raccapezzarsi su dove potessero trovarsi tutti gli ingredienti e gli attrezzi necessari a preparare la cena. Era stracontenta di aver sempre osservato Kosta all’opera durante i suoi “esperimenti” e di essersi “proposta” anche se non proprio di sua spontanea volontà come cavia per assaggiarli. Certo, era anche felice di avere buona memoria, anche se aveva scelto una ricetta semplice, niente di troppo complicato. Con le mani che le tremavano in stile lancetta da sismografo sarebbe stato troppo complicato cimentarsi in qualcosa dalla lavorazione lunga e articolata. Avvolta fino alle ginocchia in una felpa di Bill -lei, genialmente, aveva ricordato tutto per la preparazione della sua sorpresa ma scordato il borsone con il suo cambio di vestiti a casa - frugava, tirava fuori e rifletteva. 
La situazione le stava sfuggendo di mano.
Kosta aveva ragione. Era evidente che Bill si stava davvero innamorando … anzi, a voler essere onesti era cotto a puntino, tanto per usare una delle espressioni preferite del suo coinquilino. E lei era messa un po’ peggio ancora. Quella settimana lontana l’uno dall’altra era stata devastante, per i giochetti del “senza-complicazioni” che lei sperava ancora disperatamente di allestire … e la cosa davvero grave, era che adesso anche Bill stava mostrando segni inequivocabili di cedimento. Parole, sguardi, tutto era meno sensuale, mirava più ad accarezzare il sentimento, piuttosto che la voluttà. Il sesso era sempre lo stesso, fantastico, ma stava evolvendo alla velocità della luce e da sesso meraviglioso stava diventando meravigliosa comunione di anime e intenti da entrambe le parti.  
Quanto sarebbe riuscita a tirare in lungo quella farsa?
Poco. E quando sentì i passi di lui giù per le scale e le si annodò lo stomaco come se avesse dodici anni e stesse per incontrare per la prima volta il suo idolo, capì di non essere pericolosamente ad un passo dal baratro, ma già in bilico su di esso. 
Ma appena si voltò a guardarlo ebbe la certezza di non potersi più salvare. Jeans stracciati, maglia lunga nera con dei graffi argentati sul petto, i capelli tenuti su dal gel in tanti piccoli, adorabili spuntoni, ombretto nero denso sulla palpebra, matita spessa sotto la congiuntiva e rimmel passato più volte sulle ciglia già lunghe e folte. Non fosse stato per i piercing alle orecchie, il differente colore di capelli e i tatuaggi e i centimetri in più sia in altezza che in larghezza, avrebbe potuto credere benissimamente di essere caduta in qualche buco nero spazio -temporale ed essere tornata indietro di cinque anni e passa. 
<< Oh mio Dio … >>, disse tenendosi una mano sul petto. Stavolta proprio non era riuscita a dissimulare la sorpresa, e l’emozione soprattutto … non solo quella di rivedere il “suo” Bill come l’aveva conosciuto lei, ma la consapevolezza che l’aveva fatto per lei. 
<< Tah -dah! Non te l’aspettavi, eh? >>, rise lui avvicinandosi poi a posarle un lieve, morbido bacio sulla guancia strusciandovi la sua, perfettamente rasata. Ma lei non si mosse, impietrita. <>, le domandò allora, un po’ preoccupato. 
<< Sì. Un neurologo, un cardiologo e uno psichiatra, oltre che a tutta un’équipe di rianimatori … ma presto però! >>.
<< Esagerata … se si tratta di respirazione artificiale posso pensarci io >>, mormorò lui spostando l’attenzione dalla guancia alle labbra di Vera, socchiuse per lo stupore … le sfiorò con le proprie soffiandoci sopra con delicatezza, poi le portò due dita sotto il mento e la baciò per davvero, sondandola voluttuosamente con la punta della lingua. 
<< Va meglio? >>, chiese staccandosi piano. 
<< Non tanto, ma penso che riuscirò a sopravvivere per un po’, almeno finché non sarà pronta la cena >>.
<< Giusto … allora, vediamo un po’ con cosa hai intenzione di avvelenarmi … ahio! >>, esclamò ridendo, beccandosi la gomitata di Vera nelle costole. << Dai, era una battuta! >>.
<< Era cattiva. E non ti perdonerò più! >>, sbottò lei voltandogli le spalle. Incrociò le braccia e gli mise il broncio, sorda a qualsiasi tentativo di scuse.
<< Dai, per favore … mi spiace, sono un idiota! >>.
<< Ah questo si sapeva già >>, disse lei piccata. 
<< Non lo farò più >>.
<< Non basta >>.
<< Vuoi che mi metta in ginocchio? >>. 
<< Puoi anche provarci se vuoi, ma non credo funzionerà … oh, no, Bill, no, ti prego, no … >>, mormorò d’un tratto Vera, inchiodando con uno schiocco secco le mani sul piano marmoreo della penisola: Bill era sì inginocchiato ai suoi piedi, ma le stava chiedendo scusa in un modo molto particolare … un modo in cui non serviva la voce, e neppure un foglio e una penna eppure contemplava lo stesso l’utilizzo della bocca e delle dita. 
<< Bill, ti prego, smettila … >>, sussurrò lei per nulla convincente, tuttavia Bill sembrò darle retta. Riemerse da sotto la lunga felpa nera e la strinse a sé, lasciandola pochi istanti solo per slacciare la pesante cintura borchiata che portava sui jeans. La penetrò con un unico movimento deciso e la tirò su, posandola sul bordo del piano, quanto bastava perché dovesse aggrapparsi a lui per non scivolare giù; la baciò a fondo e Vera sentì nella sua bocca il proprio sapore. Bill aveva ragione: era denso, pastoso, riempiva la gola come un prezioso vino invecchiato a lungo nel buio, chiuso nella sua botte, che adesso veniva spillato e prendendo aria e luce liberava tutto il suo bouquet a beneficio di colui che lo stava degustando con tanta dedizione. 
<< Vera … >>, mormorò lui dislocando le mani sul suo corpo con un’abilità da prestigiatore, una sull’osso sacro per tenerla quanto più vicina possibile e l’altra sulla coscia, affondando teneramente le dita in un gesto di possesso. Posò le labbra sulla pelle del collo di lei e mimò in un sussurro impercettibile, a metà strada tra un bacio e un morso, una frase che Vera comprese benissimo comunque. 
Chiuse gli occhi e s’inarcò contro di lui con un sospiro che fu un principio di pianto, poco prima di venire travolta da un orgasmo dolce e amaro al tempo stesso. Lo sentì rischiosamente vicino a raggiungerla anche lui ma non ebbe la forza di farlo uscire da sé; però trovò quella di artigliargli la schiena, le natiche e serrarselo addosso come una parte di sé di cui aveva disperatamente bisogno per vivere. Lui le riversò dentro il suo fuoco liquido e denso e il mondo davanti agli occhi della ragazza non fu più che un lampo nero, un’interferenza oltre l’angelo dai grandi occhi bruni che teneva tra le braccia, tra le gambe e dentro di sé. 
<< Vera, piccola … cosa c’è? >>.
Lei scosse la testa, ammutolita, annientata da quel piacere doloroso, da quella dolcezza a doppio taglio. 
<< Ti ho forse fatto male? >>.
Non t’immagini neanche quanto, pensò Vera non trovando nemmeno il coraggio di alzare le mani davanti al volto per nascondere le lacrime. Un conto era supporre, un altro sentirselo dire a chiare lettere mentre la teneva stretta a sé e colmava in un impeto d’improvvisa passione il vuoto nel suo corpo, come una chiave che aveva fatto saltare tutte le serrature emotive nell’anima di lei.  
Bill uscì piano da lei, e s’allacciò i jeans, in una sorta d’attacco di redivivo pudore. 
<< Vera, tesoro, che c’è? Rispondimi per favore … è colpa mia? Sono stato troppo brutale? >>.
Lei continuò a scuotere la testa, e alla fine riuscì a tirar fuori soltanto un filo di voce soffocata, più simile a un gracchio. << No … solo … sentirti venire dentro di me così … mi ha fatto effetto. Ecco >>, disse infine, stralciando solo un pezzo di verità. 
<< Ah. Ehm, a questo proposito … >>.
<< Tranquillo. Domani dovrebbero venirmi. Ho già i crampi del ciclo >>.
<< Sì, okay, ma non mi riferivo a questo … nel caso non si porrebbe nemmeno il problema, non per me >>, dichiarò lui, fissandola con uno sguardo eloquente fin nel fondo delle iridi. Lo spirito di lei si sciolse una volta di più, nel sentirgli dire … quello.     
<< Ehm … >>.
<< Volevo dirti … perché mi hai trattenuto, Vera? >>.
Lei si lasciò riafferrare da quell’accesso di pianto. Le sembrava che delle mani invisibili le stessero serrando la gola, trattenendo le mani e le caviglie, strizzando il cuore senza misericordia e torcendo lo stomaco come uno straccio per i pavimenti. << Io … io … >>. La voce le venne meno. << Bill, io … >>.
<< Ehi, shht- shht- shht- shht >>, l’azzittì lui, circondandola con le braccia e cullandola. << Va bene così. Non voglio forzarti a dire cose di cui non sei sicura >>. 
E’ questo il punto, amore mio. Più certo di quello che provo per te c’è solo la morte. O la vita, avrebbe voluto dire Vera. 
<< Scusami >>, disse invece, asciugandosi col polso gli zigomi. << Sono una stupida >>.
<< Sei meravigliosa. Più ti conosco e più mi lasci senza fiato. Io … non credevo esistessero … >>.
<< Puttane come me? >>, fece lei aspra, cercando di convincersi che la soluzione migliore fosse la cattiveria, la furia, la negazione. Voleva fargli male, disilluderlo, svegliarlo ma senza rivelargli la verità. Ritorcergli contro quell’ignobile bugia per farlo ragionare. 
Ma Bill non era così facile da scalfire come pensava lei. Le cinse il volto con le mani e la guardò di sottecchi. << Ragazze, come te. Io non ho mai pensato che tu fossi una … come dici tu. Ecco, vedi? Io non riesco nemmeno a dirlo. Immagina pensarlo, e pensarlo di te. Non ti ho mai considerata un facile passatempo, Vera. Tu per me sei importante … sono io a temere di non essere abbastanza per te … o per meglio dire, lo temevo prima di oggi. Vera, guardami. Fa paura anche a me. Non credere che per me sia semplice. Cerchi qualcosa tutta la vita e quando ci arrivi scopri ch’è soltanto l’inizio della salita. Guardi giù, e ti vengono le vertigini e il senso di panico ti attanaglia il petto e ti blocca i polmoni. Se hai fortuna. Altrimenti non c’arrivi mai e trascorri tutta la vita chiedendoti come avrebbe potuto essere o peggio, le passo davanti e te ne rendi conto quando ormai l’hai perduta irrimediabilmente. E’ un salto nel buio >>. Si fermò un istante a riprendere fiato, ma non distolse lo sguardo dagli occhi di lei, mai, neanche per battere le palpebre. Le stava entrando dentro esattamente come aveva fatto poco prima con il suo incantevole membro, e suscitandole dentro sensazioni ancora più contrastanti, potenti, inarrestabili, tremende, dilanianti. << E se tu volessi saltare assieme a me, io non chiederei di più. Ma questa è una tua scelta >>. Le posò un rapido bacio sulle labbra salate. << E ora che ne dici, ci dedichiamo alla cena? >>.
Vera ritrovò un accenno di sorriso. << Sì >>.
<< Allora, cos’avevi intenzione di prepararmi di buono? Sai, sarei tentato di dire un’altra malignità per poterti di nuovo chiedere scusa come prima ma … >>. Allungò la mano arabescata a scostarle una ciocca sfuggita alla treccia e le baciò una tempia, l’abbracciò da dietro e iniziò ad accarezzarle teneramente il ventre. 
<< Stavolta ti butterei fuori >>, lo rimbeccò Vera tirando ancora su col naso. 
<< Ah lo so. Per questo cambio tattica e per assicurarmi che non vuoi liberarti di questo rompiballe, ti do una mano … >>.
<< Nooooooo! >>, sbottò Vera ostentando un vero e proprio terrore. Non che fosse del tutto finto … Bill Kaulitz era un uomo dalle molteplici doti, alcune evidenti e tante altre nascoste, ma né tra le une né tra le altre rientrava quella di destreggiarsi ai fornelli. Era cosa nota, ormai. 
<< Sì, mia cara … consideralo come un altro piccolo regalo … daiiii! >>, fece lui battendo le mani che ancora sapevano di lei, prima di lavarle con cura sotto il getto d’acqua, col sapone. 
<< Posso ancora dirti di no? Va bene, dai … >>.
<< Sìììììììì! Grazie grazie grazie! Allora, cosa posso fare? >>.
<< Comincia col riempire quella d’acqua … >>, fece lei, indicando col mento un pentola bassa e larga abbandonata sul piano di marmo dalle venature verde smeraldo. 
Quando fu pronto, Vera riempì i piatti e fece per portarli sul tavolo in soggiorno ma lui la bloccò. 
<< Aspetta. Restiamo qui … ti va? >>.
Vera si guardò intorno. << Ma … non c’è neanche dove sederci … >>.
<< Errore. Guarda >>. Le tolse i piatti di mano e la tiro ancora su, poggiandola ancora sullo stesso piano su cui avevano fatto l’amore … e cedendo a quello stesso sciocco, folle e meraviglioso impulso Vera gli permise di allargarle le cosce e ritagliarsi il suo posto a distanza di un respiro da lei. Bill affondò la forchetta e arrotolata con cura una presa di spaghetti, l’avvicinò alle labbra di lei, picchiettandole piano. Lei le socchiuse, accettando quello che lui le stava tendendo, e dopo se le leccò spiando la reazione di lui con la coda dell‘occhio. 
Lui fece una smorfia sorniona, e le allungò un’altra forchettata … di cui però la privò immediatamente mettendola in bocca e masticando con ostentata soddisfazione, mentre Vera raccoglieva la sfida sbuffando e chinandosi a mordere lui … sul collo.  
Cenarono così, imboccandosi a vicenda di tanto in tanto, accarezzandosi tra un morso e un sorso di vino, baciandosi tra uno spicchio di pesca e una manciata di mandorle. 
<< Okay >>, disse infine lui mettendole le mani sulle ginocchia, dopo aver assaporato dalle labbra di lei l’ultima, dolcissima presa di panna spolverata di cannella e cacao amaro, un peccato di gola meno dolce di quelli di lussuria che Bill amava concedersi con lei. << Devo riconoscerlo. Sei bravissima >>.
<< Grazie, ma non è tutto merito mio. Vivere con un aspirante chef gay ha parecchi vantaggi … >>.
<< Sempre il tuo coinquilino Kosta, no? >>.
<< Ah ah, quello che ti odia perché mi mandi Saki … è pazzo di lui! >>.
<< Anche! >>.
<< Be’, sì, sai com’è, con te ha perso le speranze, stava cercando di consolarsi ma … chissà come mai, credo che neanche così gli andrà molto bene … >>, ghignò lei. 
Bill rise, sorpreso. << Non ne avevo idea! Povero Kosta … >>.
<< E povero Saki, mi meraviglia che non gli fischino in continuazione le orecchie con tutte le porcate che gli dice dietro quel depravato >>.
Bill rise ancora all’espressione metà seccata e metà rassegnata di Vera, poi si fece serio. << Posso farti una domanda … un po’ fuori dalle righe? >>.
Lei gli scoccò un‘occhiata di sottecchi. << Tesoro, la maggior parte di tutto quello che facciamo è fuori dalle righe, una domanda non può fare tante differenza! >>.
<< Okay, ma poi non dire che non ti avevo avvertita … ma per caso, Kosta ti ha insegnato qualcosa di … be’, sì, insomma, di quello che sai? >>.
Vera spalancò tanto d’occhi. << Bill! Ma sei un depravato anche tu! Non si chiedono certe cose a una ragazza! >>.
<< E scusa, io ti avevo avvisata! >>, esclamò lui difendendosi dai colpi di strofinaccio con cui lei lo stava bersagliando. 
Poi Vera lo allontanò, ridendo. <>.
<< Va bene … >>, sospirò lui rassegnato. << Ma posso almeno aiutarti? >>.
<< Se con “aiutarmi” intendi riempire l‘intervallo tra un piatto e l‘altro con una seduta intensiva di manovre di convincimento alquanto scabrose, nooooo! >>.
<< No, dai, promesso, faccio il bravo >>.
<< Guarda che ti prendo in parola eh! >>.
Cominciò a lavare i piatti e le pentole che lui le allineava sul piano del lavello. Mentre insaponava e sciacquava in un silenzio infranto solo dal getto d‘acqua e dall‘acciottolio delle stoviglie nella vasca d‘acciaio, Vera ebbe agio di riflettere su se stessa e tutto quello che era avvenuto quel giorno e … si ravvide che stava per sputar fuori la verità. 
Spaventata, ebbe di colpo voglia di starsene da sola, di fuggire lontana da tutto quello scrosciare incessante di emozioni, frammenti di cristallo splendente, fragile e … affilato, che facilmente poteva ferire lei e il ragazzo che aveva accanto.
Non poteva correre questo rischio. Non in quel momento, in quella giornata perfetta. 
Doveva andare via, prendere tempo. Ancora tempo. Gliene serviva ancora un altro po’.  
Perciò, appena ebbero finito di mettere in ordine, Vera guardò l’orologio a muro, e tuttavia nonostante il suo desiderio di solitudine fu percorsa da un vago senso di vuoto, di perdita. Tornando a guardare lui, si rese conto che stava guardando lei allo stesso modo. << Devi andare >>, disse, e non fu una domanda. 
<< Veramente … sì >>.
Bill si rabbuiò leggermente, ma non disse nulla oltre a: << Vuoi che ti accompagni ora? >>.
<< Non serve … posso … chiamare un taxi >>.
<< Io … oh, be‘, se preferisci … >>.
Vera si accorse del repentino cambiamento d’umore di Bill e non sapeva a cosa attribuirlo, perché fino ad un momento prima le stava sorridendo, e adesso una nube nera si era addensata sul fondo dei suoi occhi bruni. << Davvero pensi che possa preferirlo? Era solo per non costringerti a uscire >>.
<< E tu davvero pensi che per me sarebbe un obbligo? Sarebbe un piacere riconsegnarti sana e salva al tuo appartamento e augurarti la buonanotte … l’ennesimo di tutti quelli che mi hai fatto provare oggi, Vera >>. Le baciò galantemente la mano, ma rimase distante, quasi freddo. E anche quando lei ebbe infilato il cappotto sulla sua felpa, e la biancheria che lui le aveva recuperato dai pacchetti, e lui le ebbe ripreso la mano per guidarla di sotto in garage, restò distaccato. 
Per tutto il tragitto non disse una parola. Solo quando Vera accese lo stereo e selezionò una stazione su cui davano “Der letze Tag“, lui le lanciò un’obliqua occhiata divertita. 
<< Non sei molto originale >>, disse, e lei: << Lo so, ma amo la voce di questo ragazzo … >>.
<< Già, ma si dà il caso che se fosse rimasto “quel ragazzo”, oggi non avrebbe gli stessi livelli di prestazione che ha adesso … e non parlo di voce! >>.
<< Complimenti per il romanticismo, Kaulitz >>, lo apostrofò Vera. << Hai fatto un corso di aggiornamento in porcate, là “sulle rive del Volga”? >>. 
Lui le mostrò la lingua, e lei ribatté con una smorfia. Approfittando di un semaforo rosso che li tenne sospesi più del dovuto scoppiarono a ridere entrambi, e la freddezza apparente di Bill si dissolse come brina al sole. 
<< Senti, tesoro, mi spiace, ma non ce la faccio … stavo provando a ristabilire una certa distanza perché mi sono reso conto di aver esagerato e averti turbata, stasera, e … io non ti voglio perdere. Per cui, se mi dici che per te va bene che io mi comporti seguendo quello che sento, okay; ma se preferisci che io mi tenga un po’, lo farò senza problemi … o perlomeno posso prometterci di provarci, impegnandomi al massimo. Anche se con te è una fatica immane mettere il guinzaglio a tutto quello che mi scateni dentro … >>. 
Vera lo guardò, e per un assurdo attimo si domandò se lui non fosse al corrente della verità e stesse facendo di tutto per farla capitolare e confessare. 
Ma no, Bill non sapeva nulla, non aveva la più pallida idea della rete in cui era finito impigliato, povera innocente farfalla dalle ali di bronzo dorato. Era la sua piccola, tenera coscienza sporca a farla sentire così. 
Era stata la giornata più bella della sua vita; certo, da quando conosceva lui ne aveva trascorse parecchie ma questa era la vetta della sua personalissima Top ten, tanto per rimanere in ambito musicale. Era partita come un regalo per Bill ma alla fine, era stato lui a regalarle qualcosa … d’inestimabile. 
Se stesso. 
<< Va bene >>.
<< Va bene, vuoi che mi trattenga? >>.
<< No, voglio che tu faccia e dica esattamente quello che senti. Tutto, fino in fondo >>.
<< Tutto? >>.
<< Sì, Bill. Tutto >>.
<< Come stasera? >>.
<< Ah ah. Come stasera, come adesso. Sempre >>.
<< E tu … non scapperai? >>, domandò, quasi timoroso. 
Vera sorrise, nel percepire quella timidezza e quel calore affusolato e serico attorno alle proprie dita. Quelle di lui. 
<< Ma no >>.
<< E’ una promessa? >>.
<< Mhmm mhmm >>, annuì lei. << Promesso >>. Chinò il volto sulla testa pelosa di Boo che teneva stretto al petto e catturò quell’immagine, quell’ultimo scatto. L’alone bianco impalpabile del lampione all’angolo della strada illuminava l’abitacolo quel tanto che bastava a distinguere il profilo perfetto di Bill dello stesso colore della luna stagliato contro il nero bluastro del finestrino. Quasi rispondendo a un richiamo lui voltò la testa verso di lei e la appoggiò sul sedile, fissando a sua volta Vera. Per lei fu un impulso irresistibile: stese il braccio e seguì il contorno delicato dell’orecchio, poi risalì attraverso la tempia, girò attorno all’occhio allungato dal trucco che abbassò la palpebra scura a quel tocco, scivolò lungo la linea inimitabile del naso, fino alle curve vellutate e piene della bocca, lambendo appena il piccolo neo all’angolo del mento e sfiorando con un lievissimo bacio di polpastrello quest’ultimo. 
Ti amo. Era così palpabile, sospeso tra loro, quasi visibile, tangibile, che non occorreva neppure dirlo. Quel viaggio delle sue dita alla scoperta dei tratti del volto di lui era più che eloquente. 
<< Buonanotte, Vera >>, disse finalmente Bill, irrompendo nel silenzio di quell’istante fatato senza romperlo, solo allacciandosi a esso con garbo. Si erano detti tutto, in quel silenzio. 
Be’, quasi tutto. Vera sospirò, pensando al filo tra realtà e menzogna che si assottigliava sempre più vibrando paurosamente. 
<< Buonanotte >>. 
Scese dall’auto, e tenne duro fino alla porta, quando si girò a salutarlo con la mano libera ed entrò. Lui ripartì e lei salì le scale, un gradino per volta, senza fretta. 
Appena entrò in casa, però, trovò Kosta che le rivolse un sorriso a trentadue denti perfetti freschi di pulizia dall’odontotecnico. 
E scoppiò a piangere come una fontana. 
Kosta balzò in piedi, le andò incontro in un lampo. << Santo cielo, Vivvi, ma che è successo?! >>.
<< Da dove vuoi che comincio, stavolta? >>, sbottò lei appena inintelligibilmente, tra i singhiozzi profondi e duri che le squassavano la cassa toracica e tutto ciò che c’era dentro; niente a che vedere con le lacrime agrodolci e mute tra le braccia di Bill. Questo era un pianto dirotto, da far smuovere anche le pietre; i sobbalzi del cuore erano attenuati solo dall‘urto contro la morbida pelliccia dell‘orsetto, oltre che da quello contro il caldo tessuto della felpa di lui. << Da tutti gli orgasmi che mi ha dato, da quello che gli ho fatto avere dentro di me dopo avermi detto che mi ama, o dal fatto che è disposto a trattenere i suoi sentimenti pur di non perdermi? >>.
Kosta la fissò esterrefatto, travolto da tutto quel dolore improvviso e pulsante, vivo. Non aveva mai visto nessuno così … devastato. Mai. 
<< Oh, accidenti, Vera … >>.
  
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