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Autore: Chaosreborn_the_Sad    05/11/2012    3 recensioni
Sono passati secoli dalla Guerra dell'Anello e la Terra di Mezzo è cambiata drasticamente. Elfi e maghi elementali, vittime delle persecuzioni razziali di Nuova Gondor, sono costretti a vivere nascosti e al di fuori della Federazione. Un mago e un'elfa millenaria prenderanno in mano la situazione, in un lungo viaggio verso il cambiamento.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Legolas, Nuovo personaggio, Radagast
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nota dall'autore
E' presente nel capitolo un linguaggio scurrile e forte che potrebbe offendere i lettori, oltre ad essere implicato utilizzo di sostanze stupefacenti. Non intendo in nessun modo incoraggiare o supportare l'utilizzo di tali sostanze, la scena è totalmente frutto di fantasia.


Capitolo 2 - Postumi

Rallentai e scalai la marcia, mentre ci avvicinavamo al confine.
Presi un gran respiro e scoccai un'occhiata a Claudia, immersa nel sedile con i piedi poggiati sul cruscotto. Lei incrociò il mio sguardo con un'espressione seccata ed infilò una cassetta nell'autoradio, un tacito modo di dirmi che non aveva affatto voglia di chiacchierare. Riaffondò nel sedile, masticando volgarmente la gomma. Il trucco pesante che le avevo chiesto di portare accentuava la volgarità, ma almeno la faceva sembrare meno eterea, meno elfica. Meno bella.
Lucy, ti sbaglierai su molte cose ma su questo avevi ragione: così conciata sembra proprio una zoccola.
Scacciai quei pensieri, notando il cartello che indicava il confine a mezzo miglio di distanza e spensi la radio, tagliando l'assolo di Morello e guadagnandomi un'altra occhiataccia da Claudia. E certo, perché noi che siamo geniali ci presentiamo al confine con della musica di rivolta ad alto volume. Dispiace anche a me, elfa dei miei sacrosanti stivali, interrompere un po' di sano rock, ma sappiamo bene che c'è tempo e luogo per ogni cosa. Tempo e luogo. E noi eravamo decisamente nel luogo sbagliato in uno dei momenti peggiori. Cazzo.
“Claudia, passami un documento, ci siamo”.
Uno dei miliziani si avvicinò al finestrino mentre Claudia mi passava una carta d'identità, ovviamente falsa ma indistinguibile da una vera. L'altro miliziano restò in allerta dietro la sbarra, guardandoci con tutta l'autorità che poteva, nonostante la sua giovane età.
Senza una parola passai i documenti al soldato alla mia sinistra, che li osservò brevemente per poi restituirmeli.
“Dobbiamo effettuare una perquisizione. Accostate nella piazzola” disse, indicando un punto alla destra della sbarra.
Parcheggiai ed uscimmo dalla macchina. Il ragazzo perquisì Claudia -per sua fortuna molto rapidamente- per poi passare a me. Rilassati, Rain, non c'è alcun motivo di essere nervosi. Evita di far come Claudia, che per poco non ha ringhiato al miliziano quando le ha passato le mani sul culo. Trattenni un sorriso pensando ai mille modi in cui lei avrebbe potuto spaccargli l'osso del collo, ma questo pensiero fu interrotto quando il soldato volle accertarsi troppo a fondo che io non fossi un eunuco. Stronzo, per poco non mi castravi tu, con quella stretta.
Nel mentre l'altro miliziano stava frugando tra i nostri bagagli e nella macchina. Due stecche di sigarette della marca Haradrim più economica, vestiti, qualche cianfrusaglia non compromettente e una chitarra elettrica. Vacci piano con quella, coglione in divisa, che è costata più di quella schifo d'istruzione che v'hanno dato in questo paese a pezzi.
“Siete musicisti?”.
Trattenni un lamento, vedendolo tenere lo strumento per il manico e agitarlo come fosse un bastone trovato per strada. Annuii.
I due miliziani ci lasciarono andare poco dopo, tornando a controllare la sbarra, mentre noi ci apprestavamo a rifare i bagagli.
Valar se mi facevano pena, i due. Avranno avuto sì e no vent'anni, già sembravano automi. Indottrinati, dogmatici, con la stessa uniforme color sabbia, gli stessi capelli rasati, gli stessi sguardi duri di facciata. Non erano loro, il nemico che avremmo dovuto combattere. Loro erano come noi, dopotutto. Dei fottuti esseri viventi che volevano solo starsene in pace. Mago, elfo, umano... cosa cambia? Questa è la domanda. Porca puttana, cosa cambia?
Lanciai un ultimo sguardo alle mie spalle, rimettendo in moto. Claudia si accese due sigarette e me ne passò una, senza dire una parola, e riprese la sua posizione con gli stivali poggiati sul cruscotto. Espirai una boccata di fumo: non riuscivo a crederci. Non riuscivo a crederci, seriamente, che fosse andata così liscia, fin ora.
Eppure la Statale numero 5 era finita. Eravamo ufficialmente entrati nella Federazione di Nuova Gondor.

Il sole stava tramontando quando ci fermammo nel parcheggio di una piccola trattoria al lato della strada, una delle tante presenti nelle campagne del sud dell'Ithilien.
Claudia era stata estremamente taciturna durante tutto il viaggio, forse a causa del microfono che le milizie avevano infilato sotto il pomolo del cambio alla dogana, ma è più probabile che ce l'avesse ancora con me per le orecchie.
Diamine elfa, come credevi saremmo potuti passare per la Federazione, altrimenti? Lasciarti le orecchie con le loro belle punte sarebbe stato come tatuarsi Mago e Immortale sulle rispettive fronti. Anzi, ancora meglio, avremmo potuto passare la dogana a cavallo di un tornado, magari facendomi anche suonare un assolo in piedi sul tetto della macchina, giusto per fregare anche il resto degli Squall. Sospirai, osservando l'elfa in questione scendere alla macchina e guardarmi con espressione truce.
“Perché ci siamo fermati?”.
Splendido. Le prime parole che mi rivolgi dopo ore di viaggio, le prime da quando hai pescato da sotto un sasso quelle semiautomatiche e mi hai acidamente assicurato un proiettile in fronte e due nel petto se avessi provato a protestare, e sei ancora più acida, se possibile. Splendido.
“Siamo ancora nel nulla più totale e ci sono ancora uno strafottìo di chilometri prima di Osgiliath. Non so te, che forse ti sei imbottita di quel vostro bizzarro pan di via quando non guardavo, ma io sto crepando di fame”.
E in più non mi faccio da ieri pomeriggio e so che non avrò occasione di trovarne prima di Minas o di Osgiliath, ma questo è meglio se non te lo dico.
Claudia sbuffò. Calmati Rain, ne basta una di persona con la luna storta, almeno uno dei due deve restare tranquillo. O, per lo meno, sano di mente.
Entrammo nella trattoria, sedendoci a un tavolino vicino l'entrata ma abbastanza imbucato da essere ignorato dal resto della clientela.
Due birre, due piatti, un caffè per tenermi su almeno fino ad Emyn Arnen ed eravamo di nuovo in strada. Non una parola di troppo, se non per declinare la grappa offertaci dall'oste. Dovetti reprimere un altro sorriso, ripensando alla faccia di Claudia per aver accalappiato una così bella signorina. Chissà cosa le aveva dato fastidio, se i complimenti di un panciuto sessantenne con il grembiule sporco di sugo -sarebbe ipocrita da parte tua, mia cara, che hai alle spalle almeno un paio di millenni, nonostante il visetto da ventenne sprovveduta- o l'essere associata a me -altrettanto ipocrita, visto che fino a qualche giorno fa ti rotolavi nelle lenzuola con uno dei miei migliori amici-.
La guardai di sottecchi, sentendola muoversi sul sedile, e vidi che stava frugando nel portadocumenti.
“Hai un accendino?” mi chiese, notando il mio sguardo e mostrandomi una sigaretta spenta. Glielo passai in silenzio, per poi tornare a concentrarmi sulla strada. Claudia si accese la sigaretta e poggiò l'accendino sul cruscotto, affondando di nuovo nel sedile dopo aver cambiato cassetta.
“Sai” disse, “fermarsi a mangiare non è stata una cattiva idea, sto molto meglio”.
Ho sentito bene? Oh sì, ha proprio detto qualcosa di simpatico.
“Sono contento per te” le risposi, poggiando distrattamente la mano sulla leva del cambio. Ricorda che ci stanno probabilmente ascoltando, i Neogondoriani non si fidano affatto di noi sporchi e meschini Sudroni. L'elfa seguì la mia mano con gli occhi e mi scoccò uno sguardo d'intesa.
“Spero solo di riuscire ad essere nello studio di registrazione domani” mi disse, scegliendo con cura le parole.
“Dovremmo arrivare domani nel tardo pomeriggio. Vuoi utilizzare gli strumenti e le strutture che ho io a disposizione o preferisci scegliere tu che studio sfruttare?” le domandai, continuando sulla linea della nostra copertura. Ti devo portare dai miei a Minas o ci sono elfi nella Capitale?
“Credo sia meglio se usiamo le tue strumentazioni, mi serve che tu dia il meglio di te”.
Insomma, vuoi conoscere i maghi dell'Empire e vedere effettivamente come me la cavo a fare il leader. Mi feci l'appunto mentale di fare un'altra telefonata a Felipe non appena saremmo arrivati ad Osgiliath. Avrebbe saputo esattamente che cosa bolliva in pentola conoscendo Claudia di persona, purtroppo per lui, ma potevo almeno assicurarmi che sarebbe stato tutto sotto controllo quando saremmo arrivati.
“Ottimo” le dissi, “vedrò di chiamare i miei amici e mettermi d'accordo con loro”.
L'elfa mi lanciò un'ultima occhiata, annuendo, e mi lasciò spiazzato sorridendomi per la prima volta in maniera sincera.
Chissà perché avevo il presentimento che stessimo entrambi cercando di essere la persona ragionevole dei due.

Fanculo.
Fanculo Claudia, fanculo gli elfi, fanculo i maghi, fanculo la Federazione, gli Squall e la Ribellione, le leggi, questi dieci anni, mio padre, Dan e Blaine e Romeo, Georgia, Lucinda e compagnia bella. Fanculo tutti.
E fanculo a te, Zèfiro.
Strafottutissimo nome, persona, leader responsabile e tutta la caterva di stronzate che ci hanno costruito sopra. Fanculo a te soprattutto.
“Hai una sigaretta?”. La voce della bionda al mio fianco mi fece uscire dal mio groviglio di pensieri e di fanculo, graffiandomi i timpani come un gessetto spezzato.
Joder que te calles!” le sibilai, scostandomi dal suo abbraccio.
L'avevo rimorchiata fuori del piccolo motel dove c'eravamo fermati, lungo la statale che tagliava Osgiliath da nord a sud.
“Una camera per due”, “Abbiamo una matrimoniale”, “Andrà bene”, tempo di parcheggiare Claudia al bar -probabilmente sarà di nuovo acida come non mai, oltre ad essere piena di whisky- ed ero fuori, con la scusa di una sigaretta. E poi via, di nuovo, un copione imparato a memoria a forza di pratica. Ormai le riconosci a vista, sai che probabilmente ne hanno poca ma sono più che disposte a dividerla con un chitarrista che sembra abbastanza famoso. Le prendi per vanità.
Sai trovarne di stupide, Rain, incredibilmente stupide.
Talmente stupide che ci cascano sempre. La inviti in camera, parlate di un paio di stronzate, magari t'inventi che le dedicherai la tua prossima canzone e così via. Poi vi fate e in men che non si dica ti trovi la sua lingua in bocca e le sue tette tra le mani.
E in quel momento tutto va bene. Il cuore a mille, la mente attiva e l'uccello giù. Ma che ti frega dell'ultima?
Per il resto stai bene.
La tua libido è totalmente a puttane, ma non è un problema. Ti sei fatto la tua riga e stai bene. Decisamente meglio di prima. Neanche ti dispiace per la povera ragazza che, invece, vorrebbe anche scoparti. Come questa adesso, che era a cavalcioni sul tuo inguine fino a due minuti fa. Neanche ti ricordi il suo nome, neanche ti ricordi con che nome ti sei presentato, stavolta. Ma chi cazzo se ne frega.
Fanculo a tutti, tu stai bene, ora.
La notai con la coda dell'occhio mentre si alzava e si rivestiva, uscendo poco dopo dalla stanza dicendomi:
Adios, cabròn!”.
Cazzo, questa comprendeva l'Haradrim. Poco male e fanculo anche a lei. Era anche una delle peggiori, quelle compassionevoli che ti dicono che non c'è problema e provano a tirartelo su in tutti i modi, quando tu vorresti solo spaccare il mondo e goderti la tua dose senza tirare in ballo il tuo amico là sotto. E poi aveva una voce fastidiosa.
Fanculo anche a lei, e ancora a te, Zéf. Soprattutto a te.
Sei uno stronzo, Zèfiro.
Sei uno stronzo perché sei stato tu a infilarti in questo casino. Leader dei miei coglioni pieni. Sei uno stronzo a circuire delle ingenue in questo modo. Sei uno stronzo per ogni volta che sputi sulla memoria di tuo padre, altra emerita testa di cazzo ma mai quanto te. Sei uno stronzo a scordarti che il tuo nome è Rain. Fanculo anche a te, Rain.
Alzati da quel letto e vai a sbronzarti, prima che quell'elfa arrivi e ti rompa i coglioni perché ti sei fatto.
Fanculo.

La mattina giunse senza troppe cerimonie, con Claudia che mi sbraitava di alzarmi dal letto e un pesante mal di testa per entrambi. Presto eravamo di nuovo per strada, rock'n'roll dall'autoradio e due paia di occhiali da sole a coprire le occhiaie di entrambi. Se non fosse stato per l'espressione inacidita di Claudia e il fatto che si stesse stiracchiando continuamente con quel suo fare da gatta solo per ricordarmi che le era toccato dormire sul pavimento saremmo potuti quasi passare per degli amanti. O almeno degli amici.
Dan, dovresti vederci. Altro che Quella ti sta fottendo. Questa è messa peggio di me, nel campo dell'avere le idee chiare. Un po' mi dispiace per lei, avrebbe bisogno di qualcuno con cui stendersi in un prato e parlare, senza problemi e senza remore. Certo, tirarle fuori qualcosa adesso sarebbe come cercare di fare una manicure a un troll con una limetta, aspettandosi che questo se ne stia tranquillo. Lascia perdere, Rain, non le caverai una parola più del necessario, per come è messa adesso. E anzi, la situazione può solo che peggiorare.
Questi pensieri mi accompagnarono lungo tutto il viaggio verso Nord, finché non decidemmo di fermarci in una di quelle cittadine-buco-di-culo che erano spuntate come funghi a Sud di Osgiliath, con la scusa che l'aria dell'Ithilien faceva bene agli animi. Guardai oltre il finestrino, cercando di immaginarmi i boschi che un tempo ricoprivano i campi coltivati e le occasionali fabbriche. Bel lavoro avete fatto, i miei complimenti.
Mentre entravamo nel centro abitato dissi a Claudia di tenere gli occhi aperti e cercare un motel non troppo squallido dove passare la notte e un posto dove mettere qualcosa sotto i denti. Mi rispose con un verso indifferente che decisi di prendere come un no. Poco dopo le indicai una pensione dall'insegna di legno e dei vasi di gerani sulle finestre. Sembrava essere ricavata da una vecchia torre di guardia, uno di quei luoghi prettamente turistici che vogliono far respirare quel feeling da Terza Era, fallendo clamorosamente infilandoti la TV nella stanza da letto.
Parcheggiai fuori ed estrassi il telefonino dalla tasca, zittendo ulteriori commenti di Claudia riguardo la facilità nel tracciare questi arnesi e la trasmittente nella macchina.
Hola! Filo, sono Rain! Sì, tutto bene, sto viaggiando in ottima compagnia, dovremmo arrivare domani. Ottimo, ottimo, sono felice che tutto stia andando come definito. Senti, riuscite a darci un alloggio voi, vero? Grazie, non vorrei succedessero ulteriori casini con la nostra ospite speciale. In ogni caso, chiama tutti, che la produttrice qui vuole sentire come me la cavo con diversi tipi di sound e supporto tecnico ad accompagnarmi, prima di lasciarmi incidere una singola nota. Vale, ci vediamo domani pomeriggio, allora. Statemi bene”.
Terminai la telefonata e mi dedicai a raccogliere i nostri bagagli, mentre l'elfa si avviava dentro la pensione.

“Sei sicuro che non ci siano rischi ad usare quel telefonino?” mi domandò, una volta in camera. Era stesa sul letto, fumandosi la prima sigaretta della giornata. Sembrava quasi dolce, in quel momento.
Rain? Stai pensando che l'elfa distesa sul letto sia attraente?
Beh, è un'elfa, bella è bella e soprattutto non mi sta più guardando come se le avessi tagliato via le orecchie o qualcosa del genere.
Ti devo ricordare che è ciò che hai fatto, giusto un paio di giorni fa?
Valar, devo aver seriamente bevuto troppo ieri.
“Rain? Ti sei incantato?” disse Claudia, riportandomi alla realtà.
“Scusami, sono un po' stanco”.
“Ci credo, puzzavi di distilleria quando sono salita in camera”.
“Da che pulpito... se ben ricordo non sono l'unico che ha passato la serata a tracannare. Scommetto che hai ancora la testa che pulsa”.
“Fortunatamente no. E tu? Oltre al mal di testa dovresti avere un bel pacco di sensi di colpa da affrontare, dopo quella biondina”. Di nuovo quel sorrisetto sardonico, era un po' che non lo vedevo. Cominciava a mancarmi.
“Che cosa intendi?”.
Ti amo, tesoro” esclamò, ricordandomi come avevo salutato Lucy al telefono, qualche giorno prima. Colpito e affondato. Sospirai.
“Nessun senso di colpa” le dissi. Non intendo darti questa soddisfazione. Poi, non possono esserci sensi di colpa se non ci ho combinato praticamente nulla.
“Immagino che non ci possano essere sensi di colpa quando hai quel piccolo problemino” disse, incurvando l'indice nella mia direzione. Joder. Pure questo sai. Fottuta elfa onnisciente.
Mi stesi sul letto rimasto, deciso a tentare di riposare un minimo. Inutile continuare a discutere con lei, non avremmo raggiunto niente né avremmo potuto parlare di qualcosa d'importante. Non ancora, non qui.
Presto sentii Claudia muoversi e uscire dalla stanza. Forse stava andando ad ubriacarsi di nuovo. Poco male. Almeno aveva deciso di lasciarmi in pace per un po'.

Mi svegliai un paio d'ore dopo, affamato e senza accenni di emicrania. Fuori era già buio.
Notai la luce accesa in bagno e mi avvicinai, trovando Claudia in piedi davanti lo specchio, un paio di forbici in mano. La vidi giocherellare con i suoi capelli, arrotolando un paio di ciocche tra le dita della sinistra, per poi sospirare e portare le forbici dietro la nuca. Restai immobile, non volendo disturbarla, ma poco dopo la vidi sospirare e abbandonare le braccia lungo i fianchi.
Senza una parola mi avvicinai e le presi le forbici dalle mani. Passai le dita tra quei lunghi capelli corvini, inebriandomi del loro odore. Dispiace anche a me, dolcezza, ma hai ragione. Dei capelli del genere sono comunque capaci di destare sospetti, specialmente vista la tua perfezione.
Avvicinai le forbici alla nuca, facendo attenzione a quali ciocche catturare fra le due lame. Non guardarla, Rain, dovete riuscirci. Concentrai il mio sguardo sulle lame, chiudendole lentamente, millimetro dopo millimetro.
Tagliai.
Le ciocche nere caddero senza tanti complimenti in terra, mentre continuavo a tagliare, cercando di non causare troppi danni alla sua chioma. Lei non fece nulla, resto ferma, fissando il lavandino. Forse singhiozzò, ma non mi fermai. Dovevo.
Quando ebbi finito poggiai le forbici sul lavandino e le poggiai la mano sotto il mento.
“Guardati” le chiesi, con tutta la decisione che riuscii a trovare. Mi dispiace, Claudia. Spero tu sappia anche questo. Mi dispiace.
Sembrò inorridire, vedendo la sua immagine riflessa nello specchio. I suoi capelli, che prima scendevano fieri in mezzo alle sue scapole fino alla vita, le arrivavano a malapena alle spalle. Si voltò verso di me, senza nascondere il suo dolore.
“Claudia...” cominciai. Mi zittì scuotendo il capo.
Nessuna scusa. Nessuna battuta sarcastica. Nessuna parola. In questo momento c'erano solo lei e il suo dolore. Io non c'entravo, nella vignetta.
Le diedi una lieve stretta sulla spalla, sperando che capisse, che sentisse che c'ero, ma poi la lasciai in quel piccolo bagno, come mi aveva silenziosamente chiesto di fare.

La mattina dopo avevamo abbandonato la macchina alla stazione di Trascol, il paese dove ci eravamo fermati, pronti a prendere il primo treno per Minas Tirith.
Reprimetti uno sbadiglio. Avevo passato gran parte della notte nell'unico pub di Trascol, davanti la stessa pinta. Da una parte volevo evitare di ripetere l'esperienza di quella mattina, dall'altra non volevo disturbare Claudia. O forse non volevo che cambiasse idea, decidesse che i suoi capelli stavano bene prima e mi sparasse nel sonno. In ogni caso, era bene che la ragazza avesse un po' di spazio. Elfa, Rain, elfa.
Mi accesi una sigaretta, alzando gli occhi.
“C'è qualcosa che non va?” le domandai, notando che l'elfa in questione mi stava osservando. Sembrava comunque più allegra, quella mattina.
“Nulla, Rain, sto bene” mi rispose, guardandomi negli occhi. Sorrise.
“Comunque ti stanno bene i capelli corti, sai?” le dissi.
“Grazie della bugia, tesoro”.
Le accennai un mezzo sorriso a mia volta.
C'era il sole, quella mattina, gente attorno a noi che aspettava il treno per andare a lavoro o a scuola senza sospettare minimamente chi potessimo essere veramente, solo una delle innumerevoli coppiette in attesa sul binario due, e Claudia sembrava finalmente di buon umore. E allora perché avevo il presentimento che non sarebbe durata?
Scacciai quei pensieri mentre il treno, in ritardo di una decina di minuti, rallentava per poi fermarsi davanti a noi.
Feci un gesto alla mia compagna di viaggio, invitandola a salire, e la seguii con i bagagli.
Ci sedemmo in uno scompartimento vuoto, di quelli vecchio stile con tre sedili per lato, che odorava di tabacco nonostante le recenti leggi antifumo, mentre il treno si rimetteva in movimento verso la Capitale. Un mago e un'elfa, dritti verso la tana del lupo. Ridacchiai al pensiero: nonostante tutto, le cose stavano andando bene. Nessun casino alla dogana, nessun casino per strada e presto Minas Tirith e i miei, dove saremmo stati finalmente al sicuro, almeno per un po'. Mi rilassai contro lo schienale della sedia, osservando il profilo del Mindolluin in lontananza. Stava andando bene.
Fu in quel momento che udimmo gli spari.








Note dall'autore
E siamo a due.
Tra Santiago e giostrarmi nel pessimo mondo dell'UniTS ce l'abbiamo fatta. Veramente, grazie fanciulle per le recensioni al capitolo scorso, sono contendo vi piaccia come sta venendo fuori questa versione dal punto di vista di Rain.
Insomma, siamo sul treno, tra un po' Minas e di nuovo un po' di gente a distogliere Rain dai suoi flussi di pensieri, vista la poca loquacità di Claudia a questo punto del loro viaggio. Statemi bene e vi prego di scusarmi per il linguaggio di Rain nel Monologo del Fanculo, che potrebbe offendere qualcuno.
Ci si sente per il prossimo.
  
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