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Autore: Chaosreborn_the_Sad    05/10/2012    4 recensioni
Sono passati secoli dalla Guerra dell'Anello e la Terra di Mezzo è cambiata drasticamente. Elfi e maghi elementali, vittime delle persecuzioni razziali di Nuova Gondor, sono costretti a vivere nascosti e al di fuori della Federazione. Un mago e un'elfa millenaria prenderanno in mano la situazione, in un lungo viaggio verso il cambiamento.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Legolas, Nuovo personaggio, Radagast
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Due parole da un'amica.

Salve a tutti!
Innanzitutto grazie a Chaos di avermi permesso di presentare questa storia personalmente. Ti ringrazierò di aver iniziato a scriverla tra qualche riga, quando avrò spiegato il perché.
"Lluvia y Viento" è la storia raccontata in “Alagos, Rain’s Rioters”, ma narrata dal punto di vista di Rain, piuttosto che di Claudia, come la scrissi otto anni fa. L’idea è nata tutta dal semplice desiderio: ehi, Chaos, scriviamo una storia a quattro mani? Pensa e ripensa, plot su plot e ore di brainstorming on-line per arrivare a trame che non ci convincevano fino in fondo. Finché una sera – mentre mangiavo un mascarpone ai frutti di bosco e ascoltavo un concerto blues, uno dei pochi di quest’estate – mi arriva un messaggio: e se a quattro mani riscriviamo Alagos, dal punto di vista di Rain?
Figo, bellissimo. Non tanto per l’idea in sé, quanto per il fatto di scriverla con un autore che forse ha compreso Rain più di me, e soprattutto con un amico. Aveva molto significato. Il primo esperimento è uscito così: un paragrafo ciascuno, ma a parlare erano due Rain diversi, non soltanto stilisticamente parlando, ma anche di spirito. Ci ho riflettuto a lungo, mentre avevamo sospeso la scrittura. Ne siamo venuti a capo solo qualche giorno fa: essendo Alagos scritta in prima persona dal punto di vista di Claudia, ogni lettore ha solo potuto immaginare i pensieri di Rain, per cui ogni lettore ha di lui una immagine diversa. Io stessa. Limitare l’uno il “Rain” dell’altro non sarebbe stato giusto. Perciò, altro messaggio: perché non la scrivi solo tu, Chaos? Voglio vedere il tuo Rain, senza intromettermi. Io ho fatto parlare Claudia, e ora tu fai parlare Rain, la tua voce e la tua interpretazione senza interferenze, e io ti ascolto come tu, al tempo, hai ascoltato me.
Quindi il “grazie” è per quello che scriverai e che comunicherai, e per aver deciso di continuare a far vivere questa storia. Perciò, amico mio, buona scrittura! A tutti voi e a me stessa, buona lettura!
Hareth





Capitolo 1 - Irriverente

Alzai gli occhi sul pubblico, lasciando che la luce dei riflettori mi inondasse.
Quello che mi stavo domandando, mentre centomila persone alzavano le braccia e gli indici verso di me, non era cosa provassero, né quanto apprezzassero la nostra musica, nemmeno perché cazzo fossero tutti lì, solo per noi, anziché farsene qualcosa di meglio delle loro vite. No. Quello che mi stavo chiedendo, con il plettro sulla prima nota dell’ennesimo divorante assolo, il petto gonfio della bruciante euforia scatenata dalla cocaina, era se quei centomila fottuti esseri umani sarebbero stati ancora lì, con le loro grida e i loro occhi esaltati, se avessero saputo chi eravamo. Noi tutti. Io, Dan, Blaine e Rom. Se non sarebbero scappati via urlando, nel capire che non eravamo umani.
Quando glissai dalla prima alla seconda nota, facendola fischiare, mi diedi una risposta. No, era la risposta. No, non sarebbero fuggiti, avrebbero ascoltato lo stesso, avrebbero urlato il mio nome, accesi, paonazzi, eccitati dalla mia chitarra. Frega un cazzo se sei un mago, avrebbero detto. Ne ero sicuro, come ero sicuro che respiravo, come ero dannatamente sicuro di dove mettere le dita, dopo quella seconda nota.
Le luci del palco mi accecavano. Lo struggimento interiore che provavo, amplificato all’ennesima potenza dalla droga, raggiunse il culmine quando le dita presero velocità. Ero stramaledettamente sicuro che, con quella chitarra in mano, non avrei più dovuto nascondermi. Ne ero così sicuro che, solo per un istante, vinto da una tale perfetta completezza, mi lasciai andare. Completamente. Il suono distorto e graffiato dell’amplificatore si mescolò al fluire del potere magico.
Intenso.
Intenso, incredibile e sublime, come non lo avevo mai percepito.
Voltai il capo all’indietro, puntando gli occhi sui riflettori, e avvertii una goccia di sudore scendere dalla tempia all’orecchio, nitidamente, distintamente. Quando s’alzò il vento, a spazzare le teste del pubblico in correnti impetuose, capii di non averne il controllo e mi spaventai. Le folate si inseguivano moltiplicandosi, attingendo e succhiando il potere dal mio corpo. Presto sarebbero diventate letali.
Bloccai le corde con il palmo, mollando a terra il plettro, e feci un passo indietro. Dan mi rivolse un’occhiata preoccupata. Cercò di portare avanti lo show con naturalezza. Impugnò il microfono e cacciò qualche urlo.
Mi guardavo i piedi e inspiravo, ed espiravo, usando tutta la concentrazione di cui disponevo per riacquistare il controllo del vento che avevo alzato, prima che distruggesse l’intero stadio. Rabbrividii, spalancando gli occhi verso il pubblico, le dita ancora ferme sulla pentatonica del la, nel rendermi conto che c’era davvero mancato un pelo.
“Che ti è preso, prima?” mi domandò Dan, fermandomi nel retropalco, appena terminato il concerto. Mi tenne stretta la spalla con una mano, mentre con l’altra continuava a raccogliersi il sudore dalla fronte.
“Io… non lo so”.
“Quanta ne hai presa, di quella roba?” Era inquisitorio.
“Falla finita, Dan. La coca non c’entra, ne prendo molta meno di una volta”.
“Sei stato tu ad alzare quel vento, vero?”.
Sospirai. Sentivo la chitarra pesante sulle spalle, e la schiena curva per la stanchezza. Ci speravo ogni volta, che la neve non se ne andasse così in fretta dal mio sangue, ma rimanevo puntualmente deluso. Deluso, spossato e senza energie, ed avevo pure la faccia tosta di rimanerci male, come un pivello.
“Sì, sono stato io”.
“Perché l’hai fatto?”.
“Non lo volevo fare, io non so cosa… sia successo… ma ne ho perso il controllo, Dan. Non avevo più controllo sui miei poteri, e il vento generato era dieci, venti, trenta volte più potente di quanto abbia mai potuto creare! Ti rendi conto che…?”.
“Stai delirando, Rain” mi ammonì, duro, spezzando in un attimo il mio entusiasmo, “Quella roba ti ha davvero fuso il cervello” concluse. Guardò con gelida preoccupazione i miei occhi sgranati, prima di voltarmi le spalle scrollando la testa.
Cominciò con quell’assolo diventato improvvisamente incontrollabile, la mia storia. Oh, sì, ci sono state molte cose interessanti anche prima, da poter raccontare. Storie di popoli, di guerre, di discriminazione. Di una evoluzione che forse, per la Terra di Mezzo, è stata nient’altro che una malattia. Come siamo arrivati agli amplificatori valvolari, al rock, alle cazzate mediatiche? Alle automobili, alle reti internet, alla cocaina e all’eroina? A ripudiare maghi ed elfi come la peggior piaga mandata dal Cielo? Ce n’è troppa, da spiegare. Troppi maledetti virus da inseguire. Preferisco partire da ora. Da quando un picco di adrenalina svegliò in me un potere sopito. Da quando iniziai a domandarmi quale fosse, davvero, il mio ruolo.
E da quando conobbi Claudia.

Erano passati un paio di giorni, dal concerto, privi di grandi avvenimenti o ulteriori picchi di magia.
“Romeo, passa una birra” dissi, dopo aver tentato inutilmente di allungarmi verso il frigo nell'angolo. Il batterista mi porse la bottiglia, mentre con la destra tentavo di liberare dalla tasca il pacchetto di sigarette. Rinunciai, afferrando la birra, rassegnato alla conclusione che le quattro o cinque sigarette rimaste nel pacchetto in quel momento venivano probabilmente sfracellate dal dolce peso di Lucy, seduta sulle mie gambe.
Bevvi un paio di sorsi, ascoltando Dan che si lamentava di un cavo dell'ampli andato perso durante il concerto.
“Per quanto ne so io, può averlo preso uno qualunque dei nostri roadie. Sai quanto può valere una cosa del genere su internet? È un vero pezzo da collezionisti” gli rispose Rom, con un ghigno.
Ridacchiai, poco convinto, mentre Lucy sbuffava. Povera ragazza, di certo l'ultima cosa che si aspettava, come fidanzata di una rockstar, era sentire il cantante della band che si lamentava dell'attrezzatura mancante.
I due continuarono a discutere per qualche minuto, continuando a lanciarsi frecciate.
“Ehi Lucy” fece Dan, a un certo punto, “non è che puoi presentare una tua amica al nostro Romeo? È troppo tempo che lo vedo senza una donna e, a quanto pare, ha cominciato a sprecare troppo tempo su internet”. Lucy sbuffò di nuovo, avvinghiandosi ancora di più a me. Romeo, dal canto suo, tentò di sviare la conversazione dalla sua vita sessuale.
“Dov'è Blaine?”.
“Ha detto che arriva tra un po'. Probabilmente si porterà dietro la sua nuova fiamma, quella che ha rimorchiato al concerto” gli rispose Dan, mantenendo la conversazione sull'argomento donne.
Il cantante cominciò a girarsi una sigaretta, continuando a parlare della nuova donna di Blaine. Dan, porca puttana, sai bene che questi discorsi non puoi farmeli quando ho Lucy seduta in braccio.
“Voi l'avete vista?”.
Appunto. Daniel, sinceramente, vaffanculo. Negai con la testa, mentre tentavo di districarmi dall'abbraccio di Lucy, nel modo più gentile possibile.
“Beh, io sì” continuò il cantante.
“E com'è?” incalzò Romeo. Rom, anche tu, vaffanculo.
“Diciamo che tenterò di rubargliela il prima possibile” rispose Dan, con un sorriso malizioso. Ovviamente la risposta non era soddisfacente, per il nostro sciagurato batterista.
“Interessante... dettagli? Parti fondamentali? Forza, descrivi! Tette, culo, volto?”. Bello avere degli amici. Ancora meglio quando il loro gioco preferito si chiama Facciamo girare le palle alla ragazza di Rain con discorsi maschilisti. Non a caso Lucy sbuffò di nuovo, tentando di infilare il volto nell'incavo del mio collo, ricatturandomi nel suo abbraccio.
Daniel stava ancora pensando a come descrivere la misteriosa donna quando fu anticipato dall'arrivo di Blaine.
“Ciao ragazzi” esordì, facendo due passi verso il frigo, “lei è Claudia” disse poi, indicando con la mano la ragazza che lo seguiva.
Un coro di ciao accolse la donna. Guardai divertito Dan che tentava di assumere un'espressione da Non stavo per cantare la grazia del tuo culo ai miei amici, per poi voltarmi ad osservare la ragazza.
Minuta, sul metro e sessantacinque, massimo settanta. Jeans scoloriti, t-shirt bianca decorata da scritta irriverente e un cappellino di tela coprire una lunga chioma di capelli neri. Probabilmente non vedevano un taglio radicale da una decina d'anni.
Fu però la sua pelle a colpirmi: diafana, di un bianco latteo umanamente impossibile. Non il pallore malaticcio di chi non vede mai la luce del sole, no, era un candore inumanamente sano, e i lineamenti del viso sembravano disegnati con perfezione millimetrica.
Claudia notò il mio sguardo e, se possibile, sembrò impallidire ancora di più.
Quella non era una donna. Così perfetta, era la versione sexy di Terminator. Era una statua portata in vita, era uscita da un dipinto, era la personificazione della bellezza immortale... immortale?
Oh, cazzo. Questa non me l'aspettavo proprio. Scansai Lucy con poco garbo, appropriandomi poi del tabacco di Dan, lasciato sul tavolino. Dan nel mentre -non posso crederci- aveva ricominciato il discorso del cavo, stavolta con Blaine.
Mi girai una sigaretta, pensando all'approccio giusto. Di certo nulla di plateale, non con Lucy nella stessa stanza. La povera ragazza era cresciuta a pane e propaganda di Nuova Gondor, non sapeva dei miei poteri, non sapeva della Ribellione, non sapeva nulla. Probabilmente si sarebbe messa ad urlare, correndo nella hall dell'albergo, al grido di “Elfo!”. Eliminiamo l'opzione Claudia, non è che puoi mostrarci le orecchie?.
Cazzo, però. Non è un caso che Blaine si scopi un'elfa. Non può essere. Gli elfi sono fuggiti, sono nascosti. Gli elfi non vanno ai concerti dell'arena sud di Umbar. Sentii le ondate di panico salire dal ventre. Non ora, Rain, cazzo, non ora, non mostrarti nervoso. Mantieni la calma. Non vorrai mica scatenare un tornado nel salottino di quest'albergo a quattro stelle. Non vorrai mica sputtanare gli ultimi... quanti? Nove anni di lavoro, di giri dentro e fuori la Federazione, a organizzare e unire il tuo popolo? Calma Rain, calma. Quell'elfa sa. Lo sa, non c'è altra spiegazione. Adesso devi solo trovare un modo discreto per farle capire che anche tu sai, che lei sa. Poi basta, fine. Ti assenti per dieci minuti, ne prendi un po' e torni giù, come nuovo. E Blaine, porca puttana, potevi guardarle le orecchie, oltre che il culo, in queste ultime due notti, no?
Sospirai, il più discretamente possibile. Lucy s'era abbandonata sulla poltrona, un'espressione imbronciata sul volto, i ragazzi continuavano a parlare del concerto, di come Blaine ancora non riuscisse a imbroccare le note sui pezzi un po' più impegnativi, Claudia sembrava essersi appena ripresa dal mancamento avuto poco prima. La promessa di andare a farmi poco dopo mi aveva calmato quel minimo necessario. Dovevo solo rivelare a Claudia la mia epifania, pareggiare il gioco. Tu sai, ma anche io so. Presi un altro respiro e mi decisi.
Due passi, le ero di fronte. I miei indici scivolarono veloci sotto il suo cappello a toccare le punte delle orecchie, mentre mormorai: “Suilannon, sìlol mellon nin”. Ti saluto, mia splendente amica. Sperai solo di non aver sbagliato qualcosa in Sindarin, insultandola invece di salutarla. A quanto pare no, perché mi sorrise, stupita.
Mae govannen, Sultha” mi rispose. Ben incontrato, Soffio di Vento.
Cazzo, due a uno per Claudia. Non solo sapeva chi eravamo, sapeva anche il mio Elemento. Ci parlo domani. Ci parlo domani che stasera proprio non è il caso.
Mi assentai con una scusa dal salottino, con la promessa di tornare subito.

La mattina dopo bussai alla porta di Blaine, per poi entrare. Avevo parlato con il bassista, la sera prima.
“Hai notato che la tua donna è un elfo?”.
“Un cosa?! Rain, che cosa hai preso per vedere degli elfi?”.
Ero rimasto impassibile e Blaine aveva capito che ero serio.
“Domattina devo parlarle. Fa' in modo che siate vestiti, non voglio perdere tempo utile” avevo continuato.
“Va bene, capo”.
Li trovai ancora a letto, semi-addormentati. Sospirai, avvicinandomi e trascinando Claudia fuori dal letto.
“Che modi!” mi disse, lanciandomi un'occhiata velenosa. Andò a raccogliere i suoi vestiti, senza accennare a coprirsi. Potevo capire perché Blaine non volesse che gli venisse portata via dal letto. Concentrati Rain, concentrati. Basta e avanza che il resto degli Squall sia stregato dalla vista di quel corpo, te devi restare serio.
Usciti dall'albergo c'incamminammo verso la statale. Lei non fece domande ma mi seguì tranquilla. Due a uno per lei, Rain, ricordatelo. Abbandonammo la statale, continuando a camminare sulla sabbia, nel deserto che circondava Umbar, un tempo Città dei Corsari, che ormai aveva preso il nome della regione di cui era capitale.
Mi fermai, accendendomi una sigaretta e sedendomi su una duna. Attorno a noi solo sabbia, la statale una striscia in lontananza, alle nostre spalle il sole che sorgeva.
Fu lei a rompere il silenzio.
“Ehi Rain... non è che hai una sigaretta anche per me?”. Un sorriso beffardo, i suoi occhi bruni puntati su di me. Le rivolsi uno sguardo gelido, lanciandole il pacchetto. Fottuta elfa irriverente. L'ultima volta che avevo controllato, la tua razza era eterea e malinconica. Nulla a che vedere con le ragazzine umane che riempivano parte delle nostre casse comprando album, poster, magliette e DVD. Ma, dopotutto, che razza di elfo si chiama Claudia?
“Perché sei venuta tra noi, immortale?” le domandai, soffiando una boccata di fumo fuori.
“Perché me lo chiedi, mago?” rispose. Sostenne il mio sguardo, ogni traccia di ironia scomparsa. Finalmente, aveva preso la situazione sul serio.
“Elfi e maghi non collaborano da secoli. Non ci sono simpatie tra le nostre razze. Chi ti manda?” continuai.
“Non mi manda nessuno. Agisco da sola”. Complimenti, Claudia, battuta da premio Oscar. Avrei dovuto immaginare una risposta del genere. Chi ti manda... neanche stessimo giocando agli agenti segreti del peggior film di serie B.
“Decido io chi rientra tra le mie simpatie. Da tempo vi osservo, so della Ribellione” disse.
Ovviamente sai della Ribellione. Altrimenti non saresti venuta da noi.
“Come?” chiesi.
“Non sono nata ieri, ti basti questo. Voglio aiutarvi”.
Allora, vediamo di fare il punto. Vieni qui, ti porti a letto uno dei miei migliori amici nonché secondi in comando, mi rincoglionisci l'altro con la tua semplice presenza, mi fai venire ulteriori paranoie -fidati, ne ho già abbastanza di mio- e te ne esci fuori dicendo che vuoi aiutarci? Molto divertente, Claudia, molto divertente. Hai già fatto abbastanza, secondo me.
“In che modo vuoi aiutarci?” chiesi, tentando di mantenermi calmo. Avrà pure perso l'espressione sardonica, ma continua ad essere infuriante.
“Mettendovi in contatto con gli elfi del Nord. I tempi sono maturi. Credo sia il momento buono per un'alleanza”.
Lasciai trasparire il mio scetticismo:
“Non so se fidarmi di te, elfa”.
“Fa' un po' come ti pare, Rain”.
Sospirai, spegnendo il mozzicone nella sabbia.
“Qual è il tuo vero nome?” le domandai, poi. Mi sorrise, di nuovo beffarda.
“Non ha importanza”.
“Dimmelo”. Non mi fido affatto di te, Claudia. Sappilo. Non rispose.
“Io e te non andremo d'accordo” dissi, laconico.
Mi accesi un'altra sigaretta. Cazzo, non avevo ancora fatto colazione e già avevo perso il conto.
Fottuta elfa. Se il resto della tua razza è come te, per quale motivo dovrei volere un'alleanza? Nel Nord dove, poi? Troppe domande mi si accavallarono nella mente e c'era solo un modo per trovare risposta a tutte: fidarsi di quella stramaledetta elfa con i jeans scoloriti e la maglietta di Blaine.
Espirai del fumo. Nove anni. Nove anni da quella maledetta sera in cui le Milizie di Gondor avevano effettuato una retata in tutti i locali che sapevano esser frequentati da maghi. Nove anni da quando mi sono ritrovato addosso la responsabilità ed il peso di una Ribellione, di un’Organizzazione clandestina che contava sempre più elementi, di un popolo.
Nove anni dal nostro primo concerto. Sorrisi amaramente, guardando i due plettri che pendevano da un bracciale sul mio polso.
Fottuta elfa. Tre a uno.
“Partiamo tra due giorni. Devo sistemare le cose, qui a Umbar, prima. E dobbiamo anche far sparire quelle punte” dissi, indicandole le orecchie con la sigaretta. Credeva che scherzassi, perché non diede peso alla mia ultima battuta. Ma non stavo affatto scherzando.

“Aspetta un secondo, Capo, faccio un giro di telefonate” fece Carlos, sparendo nel cucinotto del suo appartamento. Quando facevamo tappa a Umbar, per i concerti, era da Carlos che ci ritrovavamo. I membri del mio popolo erano sparsi ovunque tra Harad, Federazione di Nuova Gondor e i pochi stati liberi ancora rimasti, ed ogni città aveva un luogotenente che mi facesse rapporto e che tenesse monitorata la situazione.
Mi mordicchiai un’unghia, ripensando al pessimo incipit della mia presunta nuova alleanza con gli elfi. Io e te non andremo d’accordo. E cosa potevo sperare allora? L’incontro successivo non era stato meglio. Anzi.
“Come ci metterai in contatto con questi elfi del Nord?”.
C’era chi diceva che non fossero rimasti che pochi vagabondi ed eremiti, della razza immortale, e invece quella ne parlava come se avessero un fottutissimo regno con tanto di cappello. Le persecuzioni razziali da parte dei gondoriani avevano costretto il popolo dei maghi elementali haradrim a nascondersi, ma non era nulla confronto al genocidio attuato sulla razza elfica. Sufficiente da pensare che ormai, non ne fosse rimasto nessuno.
“Andremo io e te, Rain. Fino a N.G. e poi più a nord”.
”Vuoi entrare a N.G.?!”.
“Non è possibile fare diversamente”. La sua freddezza iniziava a darmi ai nervi. Tanto che avrei quasi voluto mandarla a fanculo. Ma feci di peggio, e m’impegnai per essere ancora più glaciale di lei.
“In tal caso provvederemo a tagliarti le orecchie il prima possibile, come ti ho già detto”.
Claudia aveva allargato le narici, soffiando come un cane irritato. L’avevo guardata con un ghigno soddisfatto.
“Va bene, Rain” aveva risposto poi, tranquilla. “Ma voglio che sia tu a farlo”.
Era riuscita ancora a spiazzarmi. Era stata sprezzante, con me, più che con chiunque altro in quei giorni, ma delle volte mi fissava con occhi così intensi che non potevo far a meno di sentirmi a disagio. Cosa c’era dietro quello sguardo?
“Rain, sei sicuro di quello che stai facendo?”. Era Dan. Accomodato a gambe accavallate sul sofà di Carlos, mi stava rivolgendo occhiate inquisitorie.
“No, che non sono sicuro. E come potrei?”.
“Ottima risposta, come Capo” mi ammonì.
Dan era l’unico, tra tutti, a non trattarmi come un superiore d’alto grado. Mi sentivo più libero di parlare, con lui.
“È solo la verità. Mi trovo a dover prendere decisioni da solo e non ho un mentore a cui appoggiarmi”.
“Vorresti tuo padre, al tuo fianco?”.
“Perché mi ricordi ogni singolo schifoso giorno della mia vita quanto l’ho deluso? Sta meglio sotto terra”.
Dan si accigliò. “Smetti di essere così duro. Lo sappiamo tutti e due che non è quello che pensi”.
Gli rivolsi un mezzo sorriso stupito. “Che hai oggi, Eric? Sei ancora più rompicazzo del solito”. Lo chiamavo col suo vecchio nome, il nome che portava prima della Ribellione, quando volevo che mi prendesse davvero sul serio. E lo volevo davvero. Non avevo bisogno che mi mettesse ancora più confusione in testa.
“Ti rompo il cazzo perché hai deciso così, su due piedi, di lasciare il tour mettendoci nei casini, e ti ricordo che se non ci pagano per i concerti, non sono solo le nostre tasche a piangere, Zèfiro, ma anche quelle della Ribellione”.
Touchè. Odiavo, quando mi chiamava così. “E stai facendo tutto questo per andare a fare passeggiate nei boschi del Nord, alla ricerca di un fantomatico regno elfico nascosto di cui nessuno ha mai sentito parlare”. Prese un respiro. “Quella ci sta fottendo, Rain. Non c’è nessun reame elfico. Come fai a crederle?”.
Mi strinsi nelle spalle. “Ha accettato di farsi tagliare le orecchie. Tanto mi basta”.
Dan sbuffò, scrollando la testa di capelli neri. “Almeno portatela a letto, dannazione” borbottò, rassegnato.
Gli sorrisi. Era l’unico modo che conoscevo per ringraziarlo della sua premura nei miei confronti.
“Tutto a posto, Capo” disse Carlos, tornando in soggiorno. “Ho trovato una maga di Elemento Vita che è disposta a fare l’operazione".
“Le hai chiesto se rimarranno cicatrici?”.
“Dice che con i suoi poteri, la guarigione sarà perfetta e senza segni. Si chiama Marta. Vi aspetta oggi pomeriggio a casa sua".
“Va bene, Carlos, ottimo lavoro”.
Gracias, Rain”.

“Come sarebbe a dire che te ne vai?!” strillò ancora Lucinda, poi puntò l’indice chissà dove. “E con quella là!”.
Dannata la volta che ho deciso di pranzare con lei. Cazzo, Lucy, non siamo sposati!
“Te l’ho detto, è un’occasione da non perdere…”.
“Lascerai il tour a metà! E mi lascerai qui da sola!”.
“Senti, tesoro, mi dispiace ma non…”.
“Portami con te”.
“Non posso, il viaggio è pagato per una persona sola”. Sospirai. Diventava ogni giorno più difficile, nasconderle la verità, e non mi piaceva mentirle. Non eravamo assieme da molto e all’inizio mi piaceva, il fatto che mi trattasse come un normale ragazzo di ventisei anni, ma ora iniziava a pesarmi. “Quella donna vuole finanziarmi un disco da solista, ed è il sogno della mia vita” su questo non dovetti mentire, “non capita tutti i giorni che una produttrice miliardaria ti offra una occasione come questa”.
Lucy si rasserenò solo un po’ e mise il broncio. La adoravo, quando metteva il broncio. “Quella là non sembra proprio una produttrice miliardaria. S’è scopata Blaine tutte le notti da quando l’ha conosciuto. A me sembra solo una baldracca navigata” sentenziò.
Scoppiai a ridere. “Sta sul cazzo anche a me” la informai. “Mi piacciono solo i suoi soldi”.
Lucinda mi sorrise e venne a sedersi su di me. “Sicuro che non ti piaccia altro, di lei? Non sono scema. È molto più bella di me”.
Mi veniva da annuire vigorosamente, ma mi trattenni. Strinsi Lucy tra le braccia e la baciai. Senza troppa passione, a dire il vero. Stavo bene, con lei, ma la verità era che nei giorni a venire, di Lucinda non mi sarebbe mancato nulla. Forse solo quel broncio delizioso. Del resto, ci avrebbe pensato la cocaina, a farmi provare amore. Amore al cubo.
“Non mi piace nulla di lei. Non è il mio tipo” confessai, pronunciando la peggior bugia della giornata.

Ay ay ay ay,
canta y no llores!
Porqué cantando se alegran,
cielito lindo, los corazones
”.
Sul marciapiede di fronte a me un suonatore di strada stava massacrando la sua povera chitarra, sperando che i passanti gettassero qualche spicciolo nella custodia aperta ai suoi piedi.
Sospirai, guardando di nuovo l'orologio appeso alla fermata dell'autobus.
Dove diamine era finita quell'elfa?
Le avevo telefonato dopo pranzo, dandole l'indirizzo e le indicazioni su come arrivarci dall'albergo. Avrei dovuto aggiungere le indicazioni dal letto di Blaine alla hall, cazzo.
Calmati Rain. Arriverà. Cinque minuti di ritardo sono accettabili per tutti e probabilmente si starà districando dalle lenzuola di quel letto. Altri cinque minuti e poi chiami Blaine.
Non fu necessario, poco dopo -giusto in tempo per sentire l'ultima nota dell'agonizzante chitarra del musicista- vidi Claudia farsi strada oltre un gruppo di studenti diretti alla fermata.
“Alla buon ora!” sbottai quando si fermò davanti a me. Vestita di jeans e di una maglia a maniche lunghe aderente mi resi conto di quanto grande fosse la bugia detta a Lucy, giusto due ore prima.
“Fottiti. Mi hai fatto girare mezza Umbar!”.
Cominciamo bene...
“Al capolinea della 70. Un quarto d'ora alla destra dell'albergo. Mi chiedo come tu possa esserti persa. Comunque muoviti, che siamo in ritardo”.
Mi avviai lungo la strada senza attendere la sua risposta, controllando i numeri civici, mentre Claudia mi seguiva, borbottando insulti nei miei confronti, finché non mi bloccai, guadagnandomi un altro epiteto dall'elfa che mi sbatté contro.
Non le diedi attenzione ma estrassi il foglietto dove mi ero segnato l'indirizzo di Marta.
“Che ti succede Rain, ti sei perso anche tu?”. Di nuovo irriverente. Ti preferivo quando m'insultavi.
Marta Hernandez, carrer Elisabets 42.
M'aspettavo il portone di un palazzo, non la vetrina di un negozio di piercing e tatuaggi.
Mi riscossi velocemente, notando che Claudia non aveva battuto ciglio ma anzi, osservava con espressione annoiata i disegni esposti nella vetrina.
Le feci un fischio e le indicai di seguirmi dentro. Mi accolse una voce annoiata:
“Siamo ancora chiusi”.
La prima cosa che notai furono gli anfibi, poggiati sul bancone accanto al registratore di cassa. A calzarli era una ragazza sui venticinque anni dai corti capelli biondi acconciati da una quantità esorbitante di gel e il volto affondato in una rivista.
“Stiamo cercando Marta, abbiamo un appuntamento e ci hanno detto di venire qui” le risposi.
Jefe?!”. Oh cazzo, è lei Marta?! Di certo non quello che mi aspettavo, ma ne ebbi la conferma quando alzò due occhi di un verde opalino per osservarmi meglio. Mi aspettavo una ragazza eterea di quelle che si vede lontano un miglio che non hanno mai consumato nulla di più tossico di un succo di mango durante la loro esistenza, non una con un ammasso di metallo sul volto e litri d'inchiostro sulla pelle.
“Scusami, vi stavo aspettando”. Si voltò verso Claudia: “Piacere, Marta. Non ti preoccupare, non sentirai nulla e non ci sono rischi d'infiammazioni o infezioni, anche se è la prima volta che mi trovo a fare questo tipo di operazione. Accomodati di là, io arrivo subito”.
La vidi chiudere la porta a chiave e avviarsi verso il retrobottega, seguita da Claudia, che sembrava essersi resa conto solo adesso della serietà della situazione.
Non più tanto strafottente, eh?
Mi dispiacque subito aver fatto quel pensiero quando incrociai il suo sguardo, una volta raggiunte le due. “Ehi Rain... sei sicuro che sia necessario?” mi domandò. Sospirai, abbassando gli occhi.
“Se è vero quello che dici allora è impossibile fare altrimenti. Non possiamo passare la dogana e men che meno andare a Minas se ti tieni quelle punte” le dissi.
“E sia” mi rispose. La durezza del suo tono mi fece quasi desistere: non era rivolta a me né a Marta, che nel frattempo stava armeggiando in uno stipetto alle nostre spalle e che, povera, non c'entrava molto. Quella durezza era per lei, a soffocare l'impulso di abbandonare la strada scelta. Mi guardò fisso negli occhi e annuì.
“Marta, devo chiederti una sola cosa: il taglio deve farlo Rain. Deve essere così”. La ragazza riemerse dall'armadietto mezzo minuto dopo, porgendo a me dei guanti e un bisturi e uno specchio a Claudia.
“Dunque, come le vogliamo queste orecchie?”. Elfa e maga discussero qualche minuto e Marta estrasse un pennarello, segnando un orlo arrotondato sotto le punte. Feci un passo avanti ma la maga m'intimò di attendere con un gesto.
Avvolse le dita piene d'anelli attorno alle punte e si concentrò per una decina di secondi, prima di stringerle con forza. Vidi Claudia stringere i denti ma restare impassibile mentre l'incantesimo le toglieva sensibilità alle orecchie.
“Capo, tocca a te”.
“Fai un lavoro preciso, per favore, non voglio dover passare il resto dell'eternità con le orecchie storpie” asserì Claudia, abbozzando un sorrisetto e tentando di tornare al tono cinico di prima.
Con molta cautela incisi l'orecchio seguendo la linea, per poi passare il bisturi più forte e recidere la punta del tutto. La maga di Vita mise subito la destra sulla ferita, facendola rimarginare e adattando il nuovo bordo del padiglione auricolare al resto. Ripetemmo velocemente l'operazione sull'orecchio sinistro.
In meno di cinque minuti avevamo dato a Claudia un apparenza un po' più umana.

Poggiai la mia sacca nel bagagliaio e lo chiusi, per poi accendermi una sigaretta. Una gatta nera si strusciò contro le mie gambe, facendomi le fusa.
“Già perdonato per averti cacciato dalla macchina?” le domandai. In risposta quella emise un miagolio soddisfatto per poi sparire dietro l'angolo.
Espirai del fumo, riflettendo sulle parole che Daniel mi aveva detto poco prima.
Sì, stavo correndo un grosso rischio, portandola all'Empire. La base di Minas era da sempre la più importante e la più rischiosa, ma non potevo fare altrimenti: dovevo assolutamente esporre la situazione alla divisione della capitale in modo che se ci avessero beccato a gironzolare per la Federazione gli altri avrebbero avuto il culo parato.
E Dan si fidava di me.
Aveva ragione, da un certo punto di vista: mi mancava un mentore. Mio padre, un altro mago di Aria, non avrebbe avuto importanza chi, ma qualcuno a cui chiedere consiglio e che ne sapesse più di me.
E invece eccoci qua, tutti nella stessa merda a tentare di sopravvivere. E se gli altri ci son dentro fino al collo io ci sono dentro fino alle punte dei capelli.
Spensi la sigaretta sotto il tallone e alzai lo sguardo dietro le lenti degli occhiali da sole, notando l'elfa che aveva dato una scossa alla mia vita venirmi incontro con il suo solito sorriso beffardo.
“Pronta?”.
“Pronta”.
E partimmo lungo la Statale numero 5, la grande strada asfaltata che collega Nuova Gondor all'Haradwaith.





Note dall'autore
Sorpresa!
Dopo anni dalla sua pubblicazione questa storia ritorna, ma stavolta da un altro punto di vista.
Sono io a dover ringraziare Hareth per avermi permesso di entrare nel suo universo e di scrivere qualcosa appartenente ad esso. Alagos - Rain's Rioters è stata la prima fiction che ho seguito e recensito in questo sito e poter dare parola ai pensieri di Rain è un onore grandissimo.
Spero che questa storia piacerà a chi già la conosce e che entusiasmerà nuovi lettori come, ormai otto anni fa, prese me.
Ci sentiamo presto per il prossimo capitolo.

  
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