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Autore: Ale666ia    07/11/2012    2 recensioni
Un mondo in putrefazione.
O sopravvivi o sei uno di loro.
Genere: Angst, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Avevano deciso di approfittare del caldo per farsi un bagno. Michael se ne sarebbe stato a svolgere il suo compito di vedetta sull'albero, proteggendoli da improbabili aggressioni di morti viventi.
Era per questo che, quella mattina, Jared si trovava immerso nel mare fino alla vita.
L'acqua gli lambiva la pancia, provocandogli una fastidiosa sensazione di solletico quando andava a toccare una porzione di pelle non ancora bagnata. Poco lontano da lui c'era Colin e più avanti Alissa e Dakota. Erano completamente nudi, ma la torbidità dell'acqua e la distanza di sicurezza facevano sì che ognuno avesse un po' di intimità.
Stavano anche lavando i propri indumenti. Non era la cosa più piacevole del mondo indossare un paio di boxer resi completamente duri dalla salsedine che si era andata ad infilare nella trama del tessuto, ma d'altra parte nessuno di loro desiderava indossare delle mutande sporche e maleodoranti. Per far sì che i vestiti non andassero persi trasportati dalla corrente marina avevano fissato una corda tra un palo portante della palafitta e l'altro, così da avere un appoggio per essi.
Jared prese a strofinare con la sabbia le ascelle di una t-shirt prima di gettarla in acqua e scrollare il tutto. Stava per passare ad occuparsi di un paio di calzini quando sentì Colin emettere un sospiro malinconico.
«Lavatrice: l'elettrodomestico che desidero di più in questo momento.»
Sorrise lievemente, senza alzare lo sguardo.
«Per non parlare del detersivo...» continuò il ragazzo. «Anzi, mi accontenterei di una semplice saponetta. Poi, naturalmente, avrei anche bisogno di un'asciugatrice.» sospirò ancora, decisamente scoraggiato dalla mole apparentemente immensa di vestiti che doveva ancora lavare. «Ho dei gran ricordi legati alla tecnologia. Voglio dire... se penso ad un semplice forno a microonde quasi mi commuovo. Anzi, no! Sapete qual'è stata la scoperta più bella dell'umanità, quella per cui commuoversi vale veramente la pena? Il computer. Era fantastico. Quando ero piccolo facevo un sacco di presentazioni con Power Point. E poi vogliamo parlare della PlayStation? Chi non ha mai avuto una PlayStation? Il Nintendo DS, il GameBoy Color, la Wii! Quante ore di insano divertimento ho passato in compagnia di quegli aggeggi cancerogeni...» disse con una calzata aria nostalgica nella voce.
«Ti ricordi solo degli oggetti più futili del passato?» chiese d'un tratto Alissa.
Jared riusciva a vedere solo una porzione della sua schiena, parzialmente coperta dai capelli paglierini divisi in ciocche bagnate.
«Perché hai sempre da ridire?» si lamentò Colin. «No, non rispondermi. Era una domanda retorica.»
Lei sbuffò. «Sicuro di conoscere il significato di “domanda retorica”?»
Colin emise un verso di frustrazione. «Alissa, smettila di comportarti come un parassita fastidioso, per favore.»
Dakota e Jared continuavano a lavare gli indumenti senza osare intromettersi nella discussione che si stava facendo sempre più scomoda. L'unico rumore di sottofondo era il continuo sciabordare dell'acqua.
«Un parassita... io?» chiese lei, ridendo stupita. «Chi è che porta solo guai da quando è entrato nel gruppo? Chi, Colin? Dimmelo. Sono curiosa di sapere chi sia questo famigerato parassita di cui parli perché, ehi, ho una mezza idea di chi potrebbe essere... ma certamente non sono io.»
«Adesso stai dando del parassita a me?»
«Come siamo sagaci!» lo schernì lei.
Colin rimase in silenzio.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» sghignazzò la ragazza. «Non credevo fossi così suscettibile. Ci andrò più piano con le prese in giro la prossima volta.»
Colin alzò gli occhi su di lei. Parlò con una voce stanca, rassegnata.
«C'è una sola domanda che mi sorge spontanea, sai?» disse. Aveva smesso di lavare i vestiti. «Cosa ti ho fatto?»
Alissa rise ancora, ma non rispose alla sua domanda.
«Ecco, vedi? Lo stai facendo anche adesso. Mi stai trattando in questo modo anche adesso.»
«In quale modo ti sto trattando, Colin?» chiese, girando mezzo busto per guardarlo negli occhi, un braccio portato sul seno per coprirlo alla vista dei ragazzi che si trovavano dietro di lei. «Riservo ad un parassita il trattamento che merita di ricevere.»
Una pugnalata dritta al cuore.
Dakota si irrigidì.
Jared serrò la mascella.
Sollevò lo sguardo sul viso di Alissa e la vide sorridere. La fissò, a bocca aperta.
Non gli piacevano affatto quelle labbra carnose incurvate in una mezzaluna, soddisfatta della frase che aveva appena fatto fuoriuscire dalla bocca.
Poi guardò Colin, ma i suoi occhi si posarono sulla sua schiena nuda, perché stava uscendo da quello specchio salato. Se ne andò così, senza dire una parola. Lo vide dirigersi verso il filo che utilizzavano per stendere i vestiti, raccattare quelli sufficientemente asciutti e farsi strada verso la riva.
 
Erano seduti su un bordo della palafitta, Jared e Dakota.
Da quando era accaduto lo spiacevole evento quella mattina, avevano creato una specie di coalizione: non si erano lasciati per un attimo. Colin se ne stava in cima all'albero. Non aveva più proferito parola con nessuno, non aveva voluto. Si era ritirato in un silenzio indignato, quasi religioso, sul ramo più alto che era riuscito a raggiungere. Alissa, invece, era con Michael da qualche parte a fare una ricognizione o qualcosa di simile. Se ne era infischiata bellamente della reazione che aveva avuto il ragazzo alle sue parole.
E loro stavano aspettando che l'acqua marina appena raccolta in un secchiello evaporasse, per poter poi usufruire del sale. Infatti, le scorte erano terminate. Bisognava arrangiarsi così.
«In che mese siamo?» chiese Jared, raccogliendo i capelli in una coda.
«Non saprei.» rispose Dakota. «Forse siamo a fine agosto, o nei primi di settembre.»
«E da quanto tempo è che stiamo qui?»
«Quattro mesi circa.»
«Ah.»
«Per lo meno io. Tu sarai qui da un paio di mesi. Forse qualche giorno in più.»
«Mh.»
«Guarda, si stanno formando i cristalli.»
Osservarono per un po' le scaglie giallognole che si andavano formando sul pelo dell'acqua.
«Anzi...» continuò Dakota. «...Forse dovremmo preoccuparci.»
«Eh?»
«Scusa, stavo pensando ad alta voce. Voglio dire, io sono abituata a spostarmi in continuazione. Quattro mesi di postazione fissa per me sono una cosa totalmente nuova. Magari gli zombie stanno preparando un attacco a sorpresa.» ridacchiò.
«Ah.»
«Ma le mie sono solo paranoie.»
«Sì, credo di sì.»
«E sono contenta che siano solo paranoie.»
La ragazzina sorrise. Increspò le sue labbra sottili, gli zigomi si sollevarono facendo sì che gli occhi si stringessero, formando tante piccole rughe d'espressione.
«Forza. Dobbiamo sgretolare tutti questi cristalli.»
«Sì.»
Spezzarono ogni singolo frammento salino fino a ridurlo in polvere nel completo silenzio.
«Dakota, posso farti una domanda?» chiese Jared dopo un po', succhiando un polpastrello salato.
«Certo!»
«Perché Alissa ce l'ha tanto con Colin?»
La ragazzina continuò a fare il suo lavoro. Si portò una ciocca di capelli dietro le orecchie sporcandola di polvere bianca, poi si fermò a guardare l'orizzonte.
«Non lo so neanche io.» sospirò. «Sul serio.»
«Oh, ok. Non fa niente. Anzi, forse dovrei chiederlo direttamente ad Alissa...» Jared tornò a ridurre in frammenti i cristalli.
«Non so quanto ti convenga. Potrebbe decapitarti, ormai credo che tu abbia capito com'è fatta.»
Lavorarono per tutto il pomeriggio sotto al sole cocente. Furono ricompensati la sera, quando si sedettero l'uno accanto all'altra a mangiare dei pomodori piccoli e pieni di grinze.
Poi Jared si apprestò a salire sull'albero.
 
Uscì dalla palafitta e montò sulla zattera che custodiva la moto all'interno dell'inferriata. Remò fino alla riva col ramo piatto e camminò sulla sabbia mista a terriccio, poi fece forza sulle mani e sulle gambe e cominciò a salire. Una volta arrivato quasi sulla cima di quell'albero ormai morto da tempo, si sedette su di un ramo abbastanza largo e comodo da poterlo ospitare almeno fino a mezzanotte, minuto più, minuto meno. Ormai gli orologi non c'erano più, e tutto andava alla deriva. Le ore potevano essere scandite solo dalle meridiane e dal sole.
Sistemò meglio il fucile che teneva tra le mani. La luce della luna piena lo aiutava a scrutare lo spazio circostante, anche se qualche volta tutto si oscurava un po' di più a causa di alcune nuvole fastidiose. Non aveva paura: da quando si era trasferito lì, il suo fucile non aveva più sparato un colpo nei dintorni della palafitta.
Rimase immobile, a volte chiudendo gli occhi, la nuca appoggiata alla corteccia, formiche rosse che si insinuavano tra i suoi capelli. Le sentiva camminare sulla pelle nuda del suo collo, le loro minuscole zampe che tracciavano frettolosi sentieri prima di ricongiungersi all'albero che ospitava la loro tana. Le lunghe ciglia di Jared si abbassarono, facendo sì che la palpebra oscurasse le sue iridi di cielo. Si rilassò.
Rimase così per svariati minuti, sino a quando le sue orecchie non captarono un'anomalia.
Era l'acqua del mare ad essere strana. La risacca marina aveva cominciato a sciabordare con più intensità. Staccò la schiena dall'albero, guardando il cielo. Come previsto, vide delle nuvole scure in lontananza, quindi le onde erano provocate dalla tempesta imminente.
Decise di informare gli altri. Estrasse dalla tasca il walkie-talkie che utilizzavano per tenersi in contatto quando qualcuno andava a fare la sentinella e premette un pulsante.
«È in arrivo un temporale.» disse.
«Ok, Jared.» gli rispose la voce distorta e crepitante di Michael. «Ci prepariamo a ballare un po'.»
«Torno dentro per prendere qualcosa con cui coprirmi.»
«Certo.»
Jared scese dall'albero con cautela. Prima di poggiare i piedi a terra controllò bene attorno che il campo fosse libero e nonostante avesse fugato i suoi dubbi tenne il fucile a portata di mano. Una volta raggiunta la palafitta attraverso la zattera, risalì la scala di corda ed entrò nella baracca.
Trovò gli altri seduti a terra, in cerchio, ognuno con un foglio di carta ed una penna tra le mani (tranne Colin che aveva una matita). Dakota aveva Jack accoccolato tra le gambe, mentre Sally se ne stava seduta tra Alissa e Michael, le orecchie dritte e puntate verso di lui.
«Che fate?» chiese Jared mentre si dirigeva verso la catasta di oggetti tra cui si trovava anche il telo di plastica che utilizzavano per coprirsi in caso di pioggia.
«Giochiamo ad un gioco che si chiama “Nomi, Cose e Città”» rispose Dakota, mentre scriveva qualcosa sul suo foglio che era diviso in più parti da linee blu scuro tracciate dalla penna. «Mi dici un animale che inizia con la lettera M?»
«Ehi!» esclamò Colin. «Questo è barare! E comunque io ho finito.»
«Oh, no! Mi manca solo l'animale!» si lamentò la ragazzina. «E va bene! Zero punti. Ho finito anche io.» aggiunse, tracciando uno zero enorme sulla casella riguardante gli animali.
«Una canzone che inizia con la M.» sussurrò Alissa, pensosa.
«Io ce l'ho!» disse Michael, compiaciuto. Le sue mani facevano sembrare quel pezzo di carta e quella penna delle riproduzioni in scala ridotta.
«Stop! Fine del conto alla rovescia. Allora...» cominciò Colin, ma Jared lo interruppe.
«Ragazzi, io torno là fuori. Divertitevi.»
«No dai, rimani qui!» disse Dakota, afferrandogli un lembo dei pantaloni.
Jared le sorrise e proprio mentre stava prendendo fiato per spiegarle che non poteva, Michael gli disse che qualche minuto di pausa se lo poteva concedere. Solo qualche minuto, però. Quindi il ragazzo si fece spazio nel cerchio tra Colin e Alissa, ed attese che gli altri elencassero le parole che avevano scritto. C'era una certa tensione nell'aria prodotta dai due che quella stessa mattina avevano litigato, e la barriera che il suo corpo aveva creato la spezzò. Probabilmente lei non aveva chiesto scusa, e mai l'avrebbe fatto.
Fu Colin a cominciare. Poi sarebbe stato il turno di Alissa, Michael e infine Dakota.
«Nomi: Milena.»
«Martin.»
«Margareth.»
«Mabel.»
«Cose: mattarello.»
«Mantello.»
«Matita.»
«Mattone.»
«Città: Milano.»
«Malibù.»
«Madisonville.»
«Memphis.»
«Animali: manta.»
«Merlo.»
«Maiale.»
«Niente.» disse Dakota, infastidita.
«Canzoni: Memoirs.»
«Memento Mori.»
«Ma...»
Non seppero mai quale era la canzone che Michael aveva scritto sul suo foglio.
Un forte scossone aveva fatto tremare l'intera palafitta.
Il mare ruggiva, potevano sentirlo chiaramente attraverso quei legni che li proteggevano dalla realtà esterna. Il suono delle onde che si ritirano e ancora uno scossone, questa volta anche più potente. I cani si agitarono, cominciando ad uggiolare e ad emettere dei suoni bassi e lamentosi.
Non volevano trovarsi su di una superficie che tremava e si scuoteva.
Michael si alzò velocemente e fu imitato da tutti gli altri. Si precipitarono fuori dalla porta e si accorsero che gli schizzi delle onde stavano arrivando fino a loro, cavalloni immensi percorrevano lo specchio tumultuoso del mare fino ad infrangersi contro i pali di legno che sostenevano la casa sull'acqua.
Si guardarono tra loro, spaventati.
«Finirà?» chiese Dakota nervosamente, arretrando di un passo rispetto a tutti.
Michael la ignorò. «Quanto sarà lontano quel temporale secondo voi?» chiese, scrutando le nuvole all'orizzonte.
«Sarà qui a momenti.» rispose Alissa. I lunghi capelli le schiaffeggiavano il viso per effetto del vento. «Non so se sarà sicuro rimanere qua dentro.»
«Allora prendiamo le cose più importanti e passiamo la nottata sull'albero.» suggerì Colin.
Dakota spalancò gli occhi. «E se poi ci colpisce un fulmine?»
«Non accadrà nulla.» la tranquillizzò il nero. «Innanzitutto torniamo dentro e raccattiamo le cose più utili. Qualche arma, teli di plastica, lattine di cibo. Poi vedremo il da farsi.»
Annuirono e si apprestarono ad eseguire l'ordine che Michael aveva appena impartito. Jared rimase per qualche secondo in più sul bordo della struttura di legno, ammirando il temporale.
Era iniziato.
I fulmini illuminavano la parte superiore delle nubi, rivelando varie sfumature di grigio dispensatrici d'acqua. Fece per tornare dentro, soprattutto perché Dakota lo stava chiamando con voce quasi isterica, quando colse un movimento con la coda dell'occhio. La luce fredda di un fulmine aveva appena inondato di bianco la superficie del mare.
C'era qualcosa laggiù.
Strinse gli occhi per proteggerli dal vento freddo e dagli schizzi gelati. Un altro fulmine illuminò tutto, diramandosi nel cielo in linee spezzate.
Le pupille si restrinsero istantaneamente e il respiro gli morì in gola.
 
 
 
 
Angolo mio
Perdonate l'attesa, ma sono tornate le fastidiosissime e pedanti olive: sto sempre nel campo a raccoglierle. E comunque... Non so. La parte iniziale di questo capitolo mi sembra forzata. E dire che l'ho riscritta tremila volte. Poi boh. Sul serio, se dovete farmi delle critiche non esitate. Voi cosa mi dite? C'è qualcosa, a parer vostro, che posso migliorare? Consigli da darmi? Attendo vostre risposte.
A proposito, grazie a illyria93 che ha messo la storia tra i preferiti.
Ci sentiamo nel prossimo capitolo che, vi giuro, non tarderà così tanto ad arrivare!
P.s. Ho scritto una nonsense. Se volete fare un giro nel mio cervello contorto, andate pure.  
  
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